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Sociologia dei processi culturali

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Sociologia dei processi culturali



1) Il centro della teoria che Bourdieu espone ne "La distinzione" è che le pratiche culturali sono un importante strumento di esclusione funzionante all'interno della società: esse, infatti, hanno la funzione di rendere alcune classi sociali inaccessibili - o quasi - dall'esterno. L'impressione è che Bourdieu stia descrivendo una società piuttosto stabile (quella francese degli anni '70), dove la dimensi 111e45b one economica e quella culturale tendono a coincidere, In particolare su una struttura economica si innestano determinate pratiche simboliche; per questa sua visione il sociologo francese è stato più volte accusato di "terrorismo sociologico". Le pratiche, sostiene Bourdieu, formano un insieme coerente sia al livello dell'individuo sia al livello del gruppo a cui questo fa parte: egli parte da questa visione come un dato di fatto e, per spiegarla, utilizza il concetto di habitus.

L'habitus è un principio generatore (una grammatica) di pratiche oggettivamente classificabili r, allo stesso tempo, un sistema di classificazione di queste pratiche. Così, la sistematicità delle pratiche di un individuo o di un gruppo dipende dal fatto che esse sono il risultato dell'applicazione di schemi identici e che si contrappongono alle pratiche costitutive di habitus differenti. Struttura strutturante delle pratiche e della loro classificazione, l'habitus è anche struttura strutturata: a determinate condizioni oggettivamente classificabili corrispondono altrettanto determinati habitus. Di conseguenza, l'habitus, innalzando le diversità presenti al livello fisico dei corpi al livello simbolico delle distinzioni significanti, fa sì che agli individui piaccia ciò che essi possono avere: la necessità che si fa virtù e la scelta del proprio destino (amor fati) sono due espressioni che Bourdieu usa per sottolineare la trasformazione delle costrizioni in preferenze attuata dall'habitus.



E' importante sottolineare come il processo di esclusione che si verifica attraverso l'habitus non risponda ad una strategia deliberata, ma sia la logica conseguenza della natura stessa dell'habitus:a differenza di quanto accadeva per Veblen qui non c'è nessun piano di esclusione, semplicemente alle persone piace stare con coloro che hanno i loro stessi gusti. In quanto atteggiamento generalizzabile, l'habitus per Bourdieu produce pratiche trasferibili e applicabili all'interno di ogni campo sociale. Un ultimo punto importante della sua teoria - che viene criticato da Lahire successivamente - è la forza con cui le disposizioni sono interiorizzate all'interno di ogni individuo: esse sono incorporate con pari intensità (forte).

Lahire critica principalmente tre assunti della teoria dell'habitus: il fatto che tutte le disposizioni di un habitus sono omogenee perché derivanti da processi di socializzazione coerenti; la generalizzabilità e la trasferibilità delle disposizioni; la stessa intensità di interiorizzazione delle disposizioni e la stessa forza della loro applicazione.

Partiamo da quest'ultimo punto: criticando Bourdieu per non aver chiarito come una disposizione si forma all'interno di un individuo, Lahire propone di distinguere tra disposizioni ad agire e disposizioni a credere (credenze). Queste ultime possono essere più o meno forti, ma non vanno identificate mai con le prime. Viviamo in una società, infatti - spiega Lahire - in cui gli individui possono interiorizzare convinzioni e idee senza avere le possibilità disposizionali o materiali per concretizzarle. Le persone possono avere convinzioni forti, ma trovarsi in un contesto che non permette una loro trasformazione in realtà; oppure possono maturare convinzioni meno forti perché si accorgono che i contesti in cui si trovano comunque non permetterebbero una loro concretizzazione. Questi contrasti tra credenze e contesti o disposizioni ad agire generano negli individui un senso di impotenza e disagio (qui Lahire è, se possibile, ancora più sociologicamente determinista di Bourdieu) e ci fanno capire come il rapporto tra disposizioni ad agire e credenze sia complesso, a differenza di quanto sostenuto ad esempio da Peirce, per cui le credenze sono quelle cose per cui gli individui sono pronti ad agire. Il contesto, allora, ignorato da Bourdieu, diventa qui centrale. Sottolineando la differenza - non rilevata da Bourdieu - tra disposizioni e appetenze, Lahire sostiene che "la necessità che si fa virtù" non è il principio generale con cui gli individui si rapportano con la realtà sociale. Occorre sempre andare a studiare ogni singolo caso empiricamente, ma in generale solo quando avverrà una socializzazione prematura, regolare e intensa le disposizioni saranno forti all'interno dell'individuo.

Sulla tresferibilità e generalizzabilità delle disposizioni di un habitus Lahire fa notare come il processo di trasferimento non sia stato studiato empiricamente da Bourdieu. Secondo la sua visione è scontato che le disposizioni siano necessariamente indipendenti dal contesto e sempre attive in ogni momento della vita di un individuo. Lahire sottolinea che molti ritengono oggi la trasferibilità una nozione relativa: è stato dimostrato che essa ha maggiore successo in contesti simili (per contenuto e struttura) a quello in cui si è formata la disposizione per la prima volta; inoltre ci sono disposizioni applicabili a situazioni contestuali o campi sociali fortemente limitati.

Infine, sull'omogeneità delle disposizioni di un habitus, Lahire sostiene che occorre superare la visione fenomenologica della persona come essere unico e unificato; allo stesso tempo occorre scartare, però, quella postmoderna che presenta l'individuo infinitamente frammentato e disperso. Gli individui sono tenuti assieme - dice Lahire - da complessi tipi di disposizioni e credenze, più o meno fortemente costituiti. Il grado di omogeneità delle disposizioni dipende dalla forza con cui le disposizioni sono state interiorizzate e dalla frequenza con cui esse so sono potute attualizzare (perché la socializzazione continua sempre). Di fronte all'eterogeneità delle società odierne, l'individuo è sottoposto a processi multipli di socializzazione e prevedere i suoi comportamenti così come si riesce a prevedere la caduta dei corpi grazie alla forza di gravità è assurdo.

Alle critiche di Lahire è possibile aggiungere altre tre osservazioni, che schematizzo: 1) Bourdieu non prende in esame altre dimensioni sociali che possono portare a confini simbolici importanti (es. genere, si veda Lamont): Bourdieu in realtà sussume queste dimensioni nella nozione di classe sociale, ma poi l'attenzione per loro è scarsa; 2) Bourdieu dà per scontata l'esistenza di una cultura legittima, anche se ci sono gruppi che sembrano poco interessati ad essa (es. i giovani); 3) Bourdieu dà per scontato che il capitale culturale sia un principio di classificazione universale, ma non è così.





2) Alcuni studiosi mettono indubbio il ruolo del consumo di cultura alta come barriera di status, appoggiandosi ai risultati di alcune ricerche empiriche recenti, che hanno dimostrato come centrale sia diventato il quantum (vs. quid) nei consumi culturali al fine della definizione dei confini simbolici. Peterson, replicando assieme a Kern nel 1992 una ricerca di Peterson e Simkus (1982), avvalora la tesi di un cambiamento nelle basi della definizione dei confini di status: oggi si osserva uno spostamento da un'esclusione di tipo snob della cultura medio/bassa ad un'appropriazione di tipo onnivoro di essa. Onnivoro non è sinonimo di accettazione indiscriminata di tutto, ma indica l'atteggiamento di chi è almeno aperto ad apprezzare ogni forma di cultura. In tale concetto, quindi, non c'è indifferenza alle distinzioni; esso suggerisce piuttosto la formazione di nuove regole governanti la definizione dei confini simbolici: centrale diventa il "come" si consuma piuttosto che il "cosa". Peterson avanza cinque ipotesi per spiegare tale cambiamento. La prima è il mutamento dell'organizzazione strutturale della società: alcuni cambiamenti avvenuti (l'accesso maggiore ad un sistema educativo elevato e la diffusione universale dei media in primis) rendono più disponibile la cultura alta, prima limitata ad una cerchia di persone più ristretta. Come secondo fattore Peterson indica un mutamento di valori avvenuto nelle società occidentali: in seguito ad alcune esperienze storiche del XX secolo oggi c'è una maggiore tolleranza, così come una maggiore apertura verso la diversità. I cambiamenti avvenuti all'interno del mondo dell'arte - per cui la stessa definizione di ciò che è arte non avviene più in termini essenzialistici - costituiscono la terza causa. Il quarto fattore è il cambiamento avvenuto in termini di politiche generazionali: se in passato i giovani facevano esperienza di forme culturali che poi abbandonavano in età adulta, oggi tendono a conservarle come parte del loro patrimonio simbolico. Infine, l'ultima variabile influente è la mutazione avvenuta nelle politiche di definizione degli status: si è passati sempre più dall'esclusione delle forme culturali medie e basse - etichettate come moralmente degradanti - ad una loro appropriazione attraverso un lavoro di ingentilimento delle loro caratteristiche. Secondo Peterson il principio di snobismo è entrato in crisi visibilmente nella società americana a partire dal secondo dopoguerra.

Di Maggio imposta una teoria piuttosto complessa, collegandosi alla relazione tra struttura sociale e sistemi di classificazione evidenziata da Durkheim già nell'opera "Alcune forme primitive di classificazione". Non considera i generi culturali come dei tipi distinti, ma classificazioni varianti lungo quattro principali dimensioni sulle quali agiscono forze interne e forze esterne (caratteristiche della struttura sociale e del sistema educativo). Le dimensioni lungo le quali variano i sistemi di classificazione artistica sono: il grado di differenziazione dei generi istituzionalizzati; il grado di gerarchizzazione del loro prestigio; il grado di universalità (riconoscimento); il grado di ritualizzazione delle loro barriere (intensità con cui sono difesi i loro confini). Aggiunge, inoltre, che agiscono a livello di produzione e distribuzione industriale dei beni culturali altri tre principi di classificazione, subordinati e in competizione tra loro.: la classificazione commerciale (per aumentare i profitti tende a ridurre la differenziazione e la forza delle barriere tra i generi), quella professionale (gli artisti per conservare o aumentare il loro prestigio producono generi differenziati ma scarsamente istituzionalizzati) e quella amministrativa (può avere diversi effetti).

Sulla base di queste premesse - qui schematizzate oltre misura per vincoli di spazio - Di Maggio spiega l'onnivorismo presente in America. In primis si è avuto un passaggio dalle classi alte locali alle élites nazionali che ha diminuito l'importanza del ruolo della comunità. Il secondo fattore è il sorgere di un alto numero di mondi dell'arte fortemente competitivi tra loro, che ha aumentato la differenziazione del sistema culturale. La terza variabile è l'aumentata influenza della classificazione commerciale, determinata dall'enorme successo e dalla notevole diffusione delle industrie di beni culturali di massa. Infine, non per importanza, il quarto fattore menzionato da Di Maggio è un accesso quasi universale ad un sistema educativo di alto livello, che ha portato ad una conoscenza più diffusa di generi culturali precedentemente ristretti a cerchi più ridotte, come notava anche Peterson. 






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