Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

IL CONCETTO DI DIRITTO - Herbert Hart

filosofia



IL CONCETTO DI DIRITTO - Herbert Hart


Prefazione dell'autore


Problemi preesistenti

INCERTEZZE DELLA TEORIA GIURIDICA

Che cos'è il diritto? "Ciò che i giudici decidono in relazione alle controversie costituisce..il diritto"; "Le predizioni di ciò che i tribunali decideranno.sono ciò che io intendo per diritto". Le leggi sono "fonti del Diritto, non parti del Diritto stesso"; "Il diritto costituzionale è semplicemente moralità positiva"; "non si deve rubare; se qualcuno ruba deve esser punito.. Se pur esiste la prima norma è contenuta nella seconda che è la sola norma genuita. il diritto è la norma primaria che stabilisce la sanzione".

Norme di conoscenza comune:



Le norme che proibiscono o comandano certi tipi di comportamento sotto minaccia di sanzione;

Le norme che richiedono di risarcire in qualche modo le persone danneggiate;

Le norme che stabiliscono le condizioni per fare testamento, per stipulare contratti e per creare altri provvedimenti che conferiscono diritto e impongono obblighi;

Dei tribunali che determinano quali sono le norme e quando sono state violate, e che fissano la misura della pena o del risarcimento;

Un potere legislativo che emana nuove norme e abroga le vecchie.

Sono inoltre stati sollevati dei dubbi in merito alla giuridicità del:

Diritto primitivo. Infatti certi tipi di diritto primitivo, compresi quelli dai quali possono essere gradualmente derivati alcuni ordinamenti giuridici contemporanei, sono pure privi di queste caratteristiche, ed è perfettamente chiaro a tutti che la loro deviazione dal caso tipico a questo riguardo che rende problematica la loro inclusione nell'ambito del diritto.

Diritto internazionale. In quanto privo di potere legislativo, gli stati non possono essere citati davanti ai tribunali internazionali senza il loro previo consenso, e manca un effettivo sistema di sanzioni, organizzato in modo accentrato.


TRE PROBLEMI RICORRENTI

La caratteristica generale più evidente del diritto in ogni tempo e luogo consiste nel fatto che la sua esistenza implica che certi tipi di condotta umana non più facoltativi, ma sono in un certo senso obbligatori. Nell'ambito della condotta obbligatoria non-facoltativa si possono distinguere diversi tipi. Il primo e più semplice significato per cui un certo comportamento può dirsi non più facoltativo si ha nel caso in cui un individuo è forzato a fare ciò che un altro gli dice, perché l'altro gli minaccia conseguenze spiacevoli in caso di rifiuto.

Il secondo tipo di questi problemi deriva da un altro modo in cui un certo comportamento può essere non facoltativo ma obbligatorio. Le norme impongono obblighi e sottraggono certi tipi di condotta alla libera scelta dell'individuo. È necessario evidenziare che talvolta si crea una corrispondenza tra diritto e morale e molte volte la relazione tra essi trova si concreta nel concetto di giustizia (virtù particolarmente adatta al diritto, ed è la più giuridica delle virtù).

Secondo il giusnaturalismo e la giurisprudenza tradizionale suggeriscono l'idea che il modo migliore per comprendere il diritto stia nel considerarlo come un "ramo" della morale o della giustizia, e che la sua "essenza" consista piuttosto nell'essere conforme ai principi della morale e della giustizia che nell'essere composto di comandi e minacce. Questa è la concezione tipica non solo della teoria giusnaturalistica scolastica ma anche di qualche dottrina giuridica contemporanea avversa al "positivismo" giuridico (Austin). HOLMES "le predizioni di ciò che i tribunali effettivamente decideranno, e nulla di più pretenzioso, sono quelle che io intendo per diritto".

Il terzo fondamentale problema che provoca il continuo riproporsi della questione "Che cos'è il diritto?" ha una caratteristica più generale. Sia coloro che hanno trovato la chiave per la comprensione del diritto nella nozione di ordini sostenuti da minacce, sia coloro che l'hanno trovata nella sua relazione con la morale o la giustizia, dicono che il diritto contiene delle norme, se non proprio che esso è composto in prevalenza da queste. Che cosa sono le norme? Che cosa significa dire che una norma esiste? I tribunali applicano realmente le norme o fingono soltanto di farlo? Vi sono norme di tanti tipi diversi non solo nell'ovvio senso che oltre alle norme giuridiche vi sono regole di etichetta e di lingua, regole di giochi e di associazioni, ma nel senso meno ovvio che, anche all'interno di ciascuna di queste sfere, quelle che vengono chiamate norme o regole possono avere origini diverse e diverse relazioni con il comportamento a cui si riferiscono.


La prima spiegazione che si è cercato di dare del significato dell' "esistenza" di una norma, consiste nel dire che il fatto che una norma esiste significa soltanto che un gruppo di persone, o la maggioranza di esse, si comporta "di regola", cioè generalmente, in modo simile in certe circostanze. Al contrario la differenza tra la situazione sociale della mera convergenza di comportamenti e quella dell'esistenza di una norma sociale si manifesta spesso anche nel linguaggio. Qual è dunque la differenza essenziale tra la mera convergenza abituale di comportamenti di un gruppo sociale e l'esistenza di una norma della quale i termini "si deve", "bisogna", "è obbligata" sono spesso un segno?nel caso di norme giuridiche si è spesso ritenuto che la differenza essenziale consiste nel fatto che le deviazioni da certi tipi di comportamento incontrano probabilmente una reazione ostile, e nel caso di norme giuridiche sono punite da funzionari. Nel caso di quelle che si possono chiamare mere abitudini di gruppo le deviazioni non incontrano una pena, nemmeno un rimprovero.

La prevedibilità della pena è un aspetto importante delle norme giuridiche. La scuola di pensiero giuridico in Scandinavia sostiene che se si osserva attentamente l'attività del giudice o del funzionario che punisce le deviazioni dalle norme giuridiche, si vede che le norme esercitano in essa una funzione che l'interpretazione ora considerata non spiega completamente. Infatti il giudice, nel punire, assume la norma come propria guida e la violazione della norma come la ragione e la giustificazione della punizione del reo.

Secondo la teoria della previsione chi tiene un comportamento contrario a una disposizione normativa sarà punito secondo quanto prescritto dalla norma.

Che cosa può esserci in una norma, a parte la regolare e quindi prevedibile punizione o il rimprovero rivolto a coloro che deviano dai normali modelli di condotta, che la distingua da una mera abitudine di gruppo? Noi semplicemente crediamo, si esprimo certi critici, che vi sia qualcosa nella norma che ci obbliga a fare certe cose e ci guida e giustifica nel farle, ma questa è una illusione, anche se utile. Tutto quello che esiste sono i nostri potenti "sentimenti" di obbligo che ci spingono a comportarci in modo conforme alla norma e a reagire contro coloro che si comportano diversamente.

La differenza palese tra norma giuridica e abitudine di gruppo è che la violazione della prima comporta una punizione/sanzione, la violazione della seconda alcunché.

Si ritiene tuttavia che ulteriore differenza, soggettiva, si configura come il forte sentimento di obbligo che spinge qualsiasi persona ad adeguarsi alla prescrizione della norma giuridica.

 







Inoltre in sede processuale il giudice deve scegliere fra significati alternativi da attribuire alle parole di un testo di legge, o tra interpretazioni contrastanti di ciò che un precedente "significa". Soltanto l'idea tradizionale che i giudici "trovino" e non "creino" il diritto nasconde questo fatto, e presenta le loro decisioni come se fossero deduzioni tratte facilmente da chiare norme preesistenti, senza l'intromissione di una scelta del giudice. Tale idea non può essere condivisa in quanto tutte le norme hanno un margine di incertezza nel quale i giudici devono scegliere tra soluzioni alternative.

Gli scettici ci rammentano che non soltanto le norme sono incerte, ma che l'interpretazione data di esse dai tribunali può essere non solo dotata di autorità ma anche definitiva. Di fronte a tutto questo, non è forse la concezione che vede il diritto come composto essenzialmente da norme una grossolana esagerazione se non un errore? Queste idee conducono alla paradossale negazione di quanto abbiamo già citato: "le leggi sono fonti del diritto, non parte del diritto stesso".


DEFINIZIONE

Questi sono dunque i tre tipi di problemi ricorrenti:

In che cosa il diritto differisce dagli ordini sostenuti da minacce e in che cosa è ad essi connesso?

Cosa differisce l'obbligo giuridico dall'obbligo morale, e quale rapporto ha con esso?

Che cosa sono le norme e in che misura il diritto è questione di norme?

Il candidato più naturale per assumere la funzione in una definizione del diritto è la categoria delle norme di comportamento: tuttavia il concetto di norma che abbiam visto, è dubbio come quello di diritto, così che le definizioni del diritto che partono dall'identificazione delle proposizioni giuridiche con una specie delle norme non aumentano la nostra comprensione del diritto. Per questo scopo è necessario qualcosa di più essenziale di un tipo di definizione di cui ci si serve con successo al fine di sistemare qualche gruppo speciale e subordinato di fenomeni nell'ambito di un genere familiare, conosciuto e generale. Secondo Austin, la chiave per la comprensione del diritto si trova nel semplice concetto di ordine sostenuto da minacce, che Austin stesso chiamò "comando", mentre egli, come Bentham, ripudiò l'idea che il diritto potesse venir meglio compreso attraverso la morale.


Norme giuridiche, comandi e ordini

VARIETA' DI IMPERATIVI

Il tentativo più chiaro e completo di analizzare il concetto di diritto sulla base di elementi apparentemente semplici come comandi e abitudini, è stato quello compiuto da Austin nella Province of Jurisprudence Determined.

In molte situazioni diverse della vita sociale una persona può esprimere il desiderio che un'altra faccia qualche cosa o si astenga dal fare qualche cosa. Quando il desiderio viene espresso non soltanto come una informazione interessante o come una deliberata rivelazione dei propri sentimenti, ma con l'intenzione che la persona a cui ci si rivolge si conformi al desiderio espresso, è consuetudine, in inglese e in molte altre lingue, benché non necessario, usare una speciale forma linguistica detta "modo imperativo". Tale proposizione si differenzia sia da semplici richieste, suppliche e avvertimenti, in quanto per garantire l'adempimento dei desideri da lui espressi, chi parla minaccia di fare qualcosa che una persona normale reputerebbe dannoso o poco piacevole.

Si useranno i termini "ordini sostenuti da minacce" e "ordini coattivi" in riferimento agli ordini che sostenuti solo da minacce, e le parole "obbedienza" e "obbedire" per riferirci all'osservanza di questi ordini. È tuttavia importante notare, se non altro a causa della grande influenza esercitata sui giuristi dalla definizione austiniana del concetto di comando, che la semplice situazione in cui vengono usate soltanto minacce di cose spiacevoli e non altro per costringere all'obbedienza non è la situazione in cui si parla naturalmente di "comandi". Questa parola porta con sé la forte implicazione di un'organizzazione gerarchica, relativamente stabile di uomini.

Un punto più importante e che non è necessario, quando viene dato un comando, che vi deve essere una latente minaccia di infliggere un danno in caso di disobbedienza. Comandare significa essenzialmente esercitare autorità sulle persone, non già avere potere di infliggere del male, e, benché possa essere unito a minacce di male, un comando è essenzialmente un richiamo non alla paura ma al rispetto dell'autorità.

È ovvio che il concetto di comando con il suo forte legame con l'autorità non è molto più vicino a quello di legge di quando lo sia l'ordine sostenuto da minacce. La nozione di comando è vicina al diritto per il nostro scopo, infatti l'elemento di autorità implicito nelle norme giuridiche è sempre stato uno degli ostacoli sulla via verso una chiara spiegazione di che cosa sia il diritto.


IL DIRITTO COME INSIEME DI ORDINI COERCITIVI

La forma tipo di una legge penale è generale in due modi:

Indica un tipo generale di condotta.

Si applica a una classe generale di persone dalle quali ci si aspetta che la riconoscano come applicabile a loro e si conformino ad essa.

Il controllo giuridico è primariamente, anche se non esclusivamente, un controllo attuato mediante direttive generali. In uno stato moderno si intende normalmente che le sue leggi generali si estendono a tutte le persone comprese sui confini territoriali. Nel diritto canonico si estende in modo simile che di regola tutti i membri della chiesa rientrano nell'ambito delle sue norme. Il determinare la sfera di applicazione di una legge spetta all'interpretazione di questa principale legge con l'aiuto di queste nozioni generali. Ordinare alle persone di fare certe cose è una forma di comunicazione e implica realmente il "rivolgersi" ad esse, cioè di attirare la loro attenzione o prendere misure per attirarla, ma creare delle leggi per loro non implica questo. Può essere davvero desiderabile che le leggi siano , subito dopo la loro emanazione, sottoposte all'attenzione di coloro a cui vengono applicate. Lo scopo del legislatore nell'emanare le leggi sarebbe frustrato se questo non venisse generalmente fatto, e spesso gli ordinamenti giuridici stabiliscono, con norme speciali concernenti la promulgazione delle leggi, che si provveda a ciò. Ma le leggi possono essere complete come leggi prima che questo sia compiuto, e perfino se questo non è stato compiuto per nulla. In mancanza di norme speciali che stabiliscano il contrario, le leggi sono validamente emanate perfino se coloro cui esse si riferiscono sono costretti a cercarsi per conto loro quali leggi siano state create e chi siano le persone a cui queste si applicano. Se usiamo qui la parola "rivolte", non riusciamo a scorgere una importante differenza tra la creazione di una legge e un ordine dato direttamente, e possiamo confondere le due questioni distinte: "A chi si applica la legge?" e "Per chi è stata pubblicata?"

Le leggi hanno carattere di permanenza o persistenza. È necessario supporre che in coloro ai quali si applicano gli ordini generali vi sia la generale convinzione della probabilità che alla disobbedienza segua l'esecuzione della minaccia, non soltanto in occasione della prima promulgazione dell'ordine, ma continuamente, finché l'ordine non viene ritirato o cancellato. Inoltre, qualunque ne sia il motivo, la maggioranza degli ordini viene più spesso obbedita che disobbedita dalla maggioranza delle persone coinvolte. Chiameremo perciò questa, seguendo Austin, una "generale abitudine all'obbedienza". Rimane però da verificare se tale abitudine sia sufficiente a garantire il carattere di stabilità e continuità posseduto dagli ordinamenti giuridici. L'ordinamento giuridico di uno stato moderno è caratterizzato da un certo tipo di supremazia nell'ambito del suo territorio e di indipendenza da altri ordinamenti. Entro il territorio di ogni paese vi possono essere diverse persone o organi formati da persone che danno ordini generali sostenuti da minacce e che ricevono obbedienza abituale. Ma dobbiam distinguere alcune di queste persone o organi come legislatori subordinati in contrapposizione al Parlamento che è supremo, infatti mentre il Parlamento nell'emanare leggi non obbedisce abitualmente a nessuno, i legislatori subordinati si mantengono entro limiti stabiliti per legge e così si può dire che nell'emanare norme giuridiche essi sono agenti del Parlamento. La stessa caratterizzazione negativa del Parlamento, come un organo che non obbedisce abitualmente agli ordini di altri, definisce approssimativamente la nozione di indipendenza che usiamo nel parlare degli ordinamenti giuridici separati di diversi paesi.

Ovunque vi sia un ordinamento giuridico, alcune persone o organi composti da persone che danno ordini generali sorretti da minacce che sono generalmente obbediti, e de ve esservi la generale convinzione che è probabile che queste minacce vengano eseg 353c21d uite in caso di disobbedienza. Questa persona o organo deve essere interamente supremo ed estremamente indipendente. Se, seguendo Austin, definiamo come sovrano una simile persona o gruppo di persone supremo e indipendente, il diritto di qualsiasi paese risulterà formato da ordini generali sostenuti da minacce rivolti o dal sovrano o da organi subordinati in obbedienza al sovrano


La varietà di norme giuridiche

IL CONTENUTO DELLE NORME GIURIDICHE

Non tutte le norme giuridiche ordinano alle persone di fare o non fare certe cose. E certamente non tutte le norme giuridiche vengono emanate, ne sono tutte espressioni del desiderio di qualcuno come gli ordini generali del nostro modello. Le norme giuridiche, anche quando sono leggi deliberatamente emanate dal potere legislativo, non sono necessariamente ordini rivolti solo agli altri. La nozione di ordine generale sostenuto da minacce è stata trasformata in modo tale da non essere più riconoscibile. Le obbiezioni che abbiamo menzionato possono essere divise in tre gruppi, alcune di esse riguardano il contenuto delle norme giuridiche, altre il modo della loro origine, e altre ancora la loro sfera di applicazione. L'intera concezione di un sovrano supremo e indipendente abitualmente obbedito, sulla quale si regge il modello analizzato, è fuorviante, poiché vi sono pochi elementi in ogni ordinamento giuridico esistente che vi corrispondono.

IL CONTENUTO DELLE NORME GIURIDICHE. Il diritto penale è qualcosa che noi obbediamo o disubbidiamo e ciò che le sue norme impongono viene definito come "dovere". Se disobbediamo si dice che "violiamo" la legge e ciò che abbiamo fatto viene qualificato giuridicamente un "illecito", una "violazione dell'obbligo", o un "reato". la funzione sociale esercitata da una legge penale è quella di descrivere e definire certi tipi di condotta come qualcosa da evitare o da compiere da parte di coloro a cui essa si applica, senza badare ai loro desideri. La pena o la sanzione che la legge fa seguire alle trasgressioni o violazioni del diritto penale ha lo scopo di offrire un motivo per astenersi da queste attività. Analogia tra questi ordini generali e la legge sulla responsabilità civile, lo scopo principale della quale è quello di procurare agli individui un risarcimento per il danno ricevuto a causa della condotta di altre persone. Condotta che viene poi definita "violazione dell'obbligo" e il risarcimento e gli altri rimedi giuridici "sanzione". Le norme giuridiche che stabiliscono i modi di formazione di contratti, testamenti, matrimoni validi, non impongono alle persone di agire in un certo modo indipendentemente dai loro desideri. Queste leggi non impongono obblighi e doveri. Viceversa esse attribuiscono agli individui i mezzi per realizzare i loro desideri, conferendo loro i poteri giuridici di creare, mediante certe procedure specifiche soggette a date condizioni, delle strutture di diritti e doveri nella cornice coattiva del diritto. Il potere così conferito agli individui di foggiare i loro rapporti è uno dei grandi contributi del diritto alla vita sociale. Se consideriamo le varie norme giuridiche che attribuiscono poteri giuridici a privati cittadini ci accorgiamo che anche queste si dividono in due categorie diverse. Così dietro al potere di formare testamenti o contratti vi sono norme relative alla capacità o al minimo di attributi personali che devono essere posseduti da chi esercita quel potere. Altre norme regolano nei particolari i modi e le forme in cui il potere deve essere esercitato, altre ancora determinano la varietà, o stabiliscono il limite massimo o minimo di durata, sella struttura di diritti e doveri che gli individui possono creare con questi atti giuridici.

Le leggi che conferiscono facoltà e poteri dicono "se vuoi fare questo, ecco il modo per farlo", le leggi penali invece "fa questo ce tu lo voglia o no". Inoltre ci sono norme che conferiscono poteri aventi carattere pubblico ufficiale piuttosto che privato, come per esempio le norme che stanno alla base dell'attività di un tribunale, lo scopo delle norme che conferiscono tali poteri non è quello di trattenere i giudici dal compiere atti non propri del loro ufficio, ma è quello di stabilire le condizioni e i limiti nei quali le sentenze dei tribunali possono dirsi valide.

Inoltre nel caso in cui un tribunale abbia assunto una decisione non valida in quanto in contrasto con alcune norme, è ovviamente nell'interesse dell'ordine pubblico che tale decisione abbia autorità giuridica finché un tribunale superiore non attesti al sua invalidità. Finché non viene annullata in sede di appello come provvedimento pronunciato al di fuori della competenza, tale decisione rimane come un provvedimento giuridicamente efficace tra le parti e potrà essere eseguita. Ma ha un difetto giuridico: è soggetta ad essere eliminata o annullata in appello a causa della mancanza di competenza. Quando si ha una decisione del tribunale inferiore che viene annullata per difetto di competenza non è quello che il giudice nel tribunale inferiore ha detto o ordinato che è errato, ma lo è il fatto stesso che egli lo abbia detto o ordinato. Egli ha fatto qualcosa a cui non era giuridicamente autorizzato. La legislazione è un esercizio di poteri "operativi" o efficaci nel creare diritti e obblighi giuridici. Il mancato adempimento delle condizioni della norma che attribuisce il potere rende ciò che è stato compiuto inefficace, e quindi nullo rispetto al suo scopo. Le norme che stanno alla base dell'esercizio del potere legislativo sono anche più varie di quelle che stanno alla base della giurisdizione di un tribunale, dato che esse devono provvedere a molti diversi aspetti della legislazione. Così alcune norme specificano l'oggetto sul quale il potere legislativo può essere esercitato; altre norme stabiliscono i titoli o l'identità dei membri del corpo legislativo; altre ancora i modi e le forme della legislazione, e i procedimenti che devono essere eseguiti dall'organo legislativo.

Alcune delle caratteristiche differenziali di un ordinamento giuridico stanno nelle disposizioni che esso prende, mediante norme di questo tipo, per l'esercizio di poteri privati e pubblici. Il desiderio di uniformità è forte nella teoria giuridica: e dato che esso non è per nulla disonorevole, dobbiamo considerare due argomentazioni alternative in suo favore, che sono state sostenute da grandi giuristi. Queste argomentazioni sono volte a mostrare che la distinzione da noi sottolineata tra varietà di norme giuridiche è superficiale, se non irreale, e che in "ultima analisi" la nozione di ordini sostenuti da minacce è adatta per l'esame delle norme che attribuiscono poteri come per quello delle norme del diritto penale.

È importante rendersi conto del fatto che le norme che conferiscono poteri, benché diverse dalle norme che impongono doveri e che in quanto tali hanno qualche analogia con gli ordini sostenuti da minacce, hanno sempre un rapporto con queste ultime; infatti i poteri da esse conferiti sono poteri di emanare norme generali imperative o di imporre obblighi a persone particolari, che non vi sarebbero altrimenti soggette.

a. La nullità come sanzione

La prima argomentazione, volta a dimostrare le fondamenta di identità dei due tipi di norme e a presentare entrambe come ordini coattivi, si riallaccia alla "nullità" che segue quando alcune condizioni essenziali per l'esercizio del potere non vengono adempiute. Questa, è stato sostenuto, è come la pena prevista dal diritto penale, un male minacciato o una sanzione richiesta dalla legge per il caso di violazione della norma. La nullità non può, per ragioni più importanti, venire assimilata alla pena unita alla norma come incentivo all'astensione dalla condotta proibita dalla norma stessa. Nel caso di una norma di diritto penale si possono riconoscere e distinguere due cose: un certo tipo di condotta che la norma proibisce e una sanzione volta a scoraggiarla. Ma come si potrebbero considerare sotto questa luce delle attività socialmente desiderabili, come quelle di persone che si fanno reciproche promesse, le quali però non soddisfano le condizioni giuridiche richieste sulla norma? Queste norme si limitano a togliere riconoscimento giuridico a questi atti.

Sanzione ≠ nullità negozio giuridico

 




Nel caso di norme del diritto penale è logicamente possibile e potrebbe essere desiderabile l'esistenza di tali norme anche in mancanza della minaccia di una pena o di un altro male. Si può sostenere naturalmente che in questo caso esse non sarebbero norme giuridiche: tuttavia possiamo distinguere chiaramente la norma che proibisce certi comportamenti dalla disposizione che stabilisce una pena in caso di violazione di della norma, e supporre che la prima esista senza la seconda. Possiamo togliere la sanzione e tuttavia lasciare un modello comprensibile di un comportamento che si intende debba essere osservato. Ma non possiamo logicamente fare una simile distinzione tra la norma che richiede l'adempimento di certe condizioni e la cd "sanzione della nullità". Infatti sei il mancato adempimento delle condizioni essenziali comportasse la nullità della norma, non si potrebbe dire sensatamente che la norma esiste senza sanzioni nemmeno come norma giuridica. La disposizione che stabilisce la nullità è parte della norma di questo tipo, in un modo in cui non lo è la pena nei confronti della norma che impone obblighi.

L'argomentazione ora criticata è un tentativo di mostrare la fondamentale identità di norme conferenti poteri e ordini coattivi mediante l'allargamento del significato della sanzione o del male minacciato, in modo tale da comprendervi la nullità di un accordo giuridico quando questo è viziato dal mancato adeguamento a quelle norme. La seconda argomentazione che considereremo assume una linea diversa, anzi opposta. Invece di tentare di mostrare che questo norme sono una specie di ordini coattivi, essa rifiuta loro lo "status" di "norme giuridiche" escludere queste norme significa restringere il significato del termine "norma giuridica". Tale argomentazione sostiene che quelle a cui ci si riferisce come a complete norme giuridiche sono in realtà frammenti incompleti di "norme coattive" le quali sono le uniche norme genuine.

b. Le norme che conferiscono poteri come frammenti di norme giuridiche.

Nella sua forma estrema questa argomentazione porterebbe a negare perfino che le norme del diritto penale, nei termini in cui sono spesso redatte, siano vere norme giuridiche. Questa tesi è adottata in questa forma da Kelsen: "il diritto è la norma primaria che stabilisce la sanzione". Non vi è quindi per esempio nessuna norma che vieti l'omicidio, ma vi è una norma che ordina ai funzionari di infliggere certe sanzioni, in date circostanze, a coloro che commettono un omicidio. Secondo questa tesi, ciò che si considera di solito il contenuto della norma, volto a guidare la condotta dei privati cittadini, è semplicemente l'antecedente o la "clausola condizionale" di una norma che non è rivolta a loro ma ai funzionari, e che ordina a questi di infliggere certe sanzioni se date condizioni vengono adempiute. Secondo questa visione, le sole norme giuridiche genuine, hanno questa forma: "Se viene fatto o omesso o succede qualcosa di genere X, allora applica la sanzione del tipo Y". Con una sempre maggiore elaborazione dell'antecedente o clausola condizionale, le norme giuridiche di qualunque tipo, comprese quelle che attribuiscono poteri privati o pubblici e ne definiscono il modo di esercizio, possono essere riformulate in questo modo condizionale. Secondo questa teoria non è necessario che una sanzione sia prescritta per il caso della violazione di ogni norma: è solo necessario che ogni vera norma giuridica ordini l'applicazione di qualche sanzione. Questa teoria generale può assumere due forme, una delle quali è meno estrema dell'altra:

Nella forma meno estrema l'originaria concezione del diritto inteso come insieme di ordini sostenuti da minacce rivolti, tra gli altri, ai privati cittadini, viene mantenuta almeno per quelle norme che, secondo un'idea di buon senso, si riferiscono primariamente alla condotta dei cittadini ordinari, e non soltanto ai funzionari, le norme del diritto penale secondo quest'opinione più moderata, sono norme giuridiche così come sono senza bisogno, senza bisogno di venire riformulate come frammenti di altre norme complete: infatti esse sono già ordini sostenute da minacce. Le norme che conferiscono poteri giuridici ai cittadini privati sono meri frammenti delle vere norme giuridiche complete che sono gli ordini sostenuti da minacce. Alcune norme possono essere riformulate come norme che specificano alcune delle condizioni in base alle quali in ultima analisi sorge un obbligo giuridico. Esse appariranno allora come parte dell'antecedente o "clausola condizionale" di ordini condizionali sostenuti da minacce o norme che impongono obblighi. La sola differenza consiste nel fatto che in base alla versione più moderata le norme che conferiscono poteri sono rappresentate dagli antecedenti o clausole condizionali delle norme che ordinano ai cittadini ordinari, sotto minaccia di sanzioni, di fare certe cose, e non soltanto come clausole condizionali di direttive, rivolte ai funzionari, di applicare le sanzioni.

La critica specifica di tutte e due le forme di questa teoria che svilupperemo qui consiste nel dire che esse acquistano la piacevole uniformità del modello, cui riducono tutte le norme, a un prezzo troppo alto: quello di falsare le diverse funzioni sociali esercitate da diversi tipi di norme giuridiche.

c. La distorsione come prezzo dell'uniformità

Vi sono molte tecniche di controllo della società, ma la tecnica caratteristica del diritto penale consiste nel designare mediante norme certi tipi di comportamento come criteri di guida dei membri della società considerata nel suo complesso odi speciali classi nel suo ambito. Soltanto quando la legge viene violata, e viene a mancare questa funzione primaria del diritto, sorge per i funzionari il compito di riconoscere il fatto della violazione e di infliggere le sanzioni minacciate. L'idea che le norme sostanziali del diritto penale abbiano come loro funzione la guida non soltanto di funzionari che mettono in opera un sistema di sanzioni, ma dei cittadini ordinari nelle attività della vita non ufficiale, non può venire eliminata senza gettare a mare delle distinzioni fondamentali e senza rendere oscuro lo specifico carattere del diritto come strumento di controllo sociale. La pena per un reato, come una multa, non è la stessa cosa di una tassa imposta per l'esercizio di un certo tipo di attività, sebbene entrambe implichino l'ordine rivolto ai funzionari di infliggere un'uguale perdita di denaro.

Qualche volta si è sostenuto in favore di teorie come quella ora esaminata che definire il diritto come un insieme di ordini rivolti all'applicazione di sanzioni porta un aumento di chiarezza, dato che in tal modo si tutto ciò che l' "uomo cattivo" desidera sapere sul diritto. Questo può essere vero, ma appare una difesa inadeguata della teoria. Perché il diritto non dovrebbe interessarsi anche all' "uomo ignorante" o all' "uomo perplesso" che desidera fare ciò che si richiede, se soltanto gli si dice in che cosa consiste? Le funzioni principali del diritto inteso come mezzo di controllo sociale non devono essere viste nelle controversie private o nei procedimenti penali, che rappresentano rimedi essenziali, ma pur sempre sussidiari, per quando il sistema viene meno. Queste funzioni devono essere viste nei diversi modi in cui il diritto è usato per controllare, guidare e pianificare la vita fuori dei tribunali. Tutte le regole sono in realtà norme che ordinano ai funzionari di compiere certi atti in certe condizioni.

La forma meno estrema della teoria lascerebbe intatte le leggi penali e le altre leggi che impongono obblighi, dato che queste sono già conformi al semplice modello dell'ordine coattivo. Ma ridurrebbe a questa singola forma tutte le norme che conferiscono poteri giuridici e ne definiscono il modo di esercizio.

Bisogna considerare le norme che conferiscono poteri privati, se si vuole comprenderle, dal punto di vista di coloro che esercitano questi poteri. Esse appaiono allora come un elemento aggiuntivo introdotto dal diritto nella vita sociale oltre e sopra quello del controllo sociale. Questo avviene perché il possesso di questi poteri giuridici trasforma il privato cittadino, il quale, in mancanza di tali norme, sarebbe un mero soggetto di obblighi, in un legislatore privato. La riduzione delle norme, che conferiscono e delimitano i poteri legislativo e giudiziario, a esposizione delle condizioni in base alle quali sorgono gli obblighi ha, nella sfera pubblica, l'analogo difetto di rendere oscura la materia. L'introduzione nella società di norme che permettono ai legislatori di fare mutamenti e aggiunte alle norme che impongono obblighi, e ai giudici di determinare quando queste norme sono state violate, è un passo avanti importante per la società, e può giustamente essere considerato come il passaggio dal mondo pregiuridico a quello giuridico.


L'AMBITO DI APPLICAZIONE

Certamente la legge penale, fra tutte le varietà di norme giuridiche, è quella che si avvicina di più al semplice modello dell'ordinamento coattivo. L'ordine sostenuto da minacce è essenzialmente l'espressione del desiderio che altri facciano o si astengano dal fare certe cose. È naturalmente possibile che la legislazione assuma questa forma esclusivamente rivolta agli altri. L'ambito di applicazione di una legge dipende sempre dalla sua interpretazione. Si può, mediante l'interpretazione, escludere o meno gli autori della legge e, naturalmente, oggi si emanano molte leggi che impongono obblighi giuridici agli autori della legge stessa. La legislazione può avere questa funzione auto vincolante. Non vi è in essa nulla di essenzialmente riguardante gli altri (carattere auto vincolante dei procedimenti legislativi). Promettere significa dire qualcosa che crea un obbligo per chi promette: affinché tali parole abbiano questo effetto devono esistere delle norme le quali stabiliscono che, se certe espressioni vengono dette da certe persone in certe occasioni, queste sono obbligate a fare le cose da loro indicate. Così, quando noi promettiamo, facciamo uso di specifici procedimenti per cambiare la nostra situazione morale mediante l'imposizione a noi stessi di obblighi e l'attribuzione ad altri di diritti; nel linguaggio dei giuristi si dice che noi esercitiamo "un potere" attribuito alle norme. Sarebbe possibile distinguere due persone "nell'ambito" del promittente: una che agisce nella capacità del creatore di obblighi e l'altra nella capacità della persona obbligata. Ugualmente possiamo fare a meno di questo espediente per comprendere la forza auto vincolante della legislazione. La formazione di una legge, come la formazione di una promessa, presuppone l'esistenza di certe norme che regolano il procedimento. Vi sono molte differenze tra la formulazione di promesse e l'emanazione di leggi. Le norme che regolano la seconda sono assai più complesse e non è presente il carattere bilaterale di una promessa.

Necessario come correttivo del modello dell'ordine o norma coattiva è una nuova concezione della legislazione come introduzione o modificazione di criteri generali di condotta che devono essere seguiti generalmente dalla comunità. Il legislatore non è necessariamente simile a colui che dà ordini a un altro: qualcuno cioè che per definizione è al di fuori dell'area su cui agisce. Al pari dell'autore di una promessa egli esercita poteri attribuiti da norme: molto spesso egli può, così come il promittente deve, rientrare nel loro ambito di applicazione.


MODI DI ORIGINE

L'emanazione di una legge, come l'imposizione di un ordine, è un'azione deliberata e situabile nel tempo. Coloro che prendono parte alla legislazione attuano consapevolmente un procedimento per creare diritto, proprio come colui che dà un ordine usa consapevolmente una formula verbale al fine di assicurare la conoscenza e l'osservanza dei suoi desideri. Le teorie che si servono del modello degli ordini coattivi nell'analisi del diritto propongono la tesi secondo cui è possibile riconoscere che tutte le norme giuridiche, se si tolgono i travestimenti, hanno questo punto di contatto con la legislazione e devono il proprio carattere giuridico a un deliberato atto creativo. Il tipo di diritto che contrasta più naturalmente con questa tesi è la consuetudine. La discussione avente come centro il fatto che la consuetudine sia o meno norma giuridica si articola nell'analisi di sue problemi essenziali:

La consuetudine come tale è diritto? Il significato e la sensatezza dell'affermazione che la consuetudine, in quanto tale, non è diritto, sta nella semplice verità che in una società vi sono molte consuetudini che non formano parte del diritto. Essa è diritto solo se appartiene a una certa classe di consuetudini che è "riconosciuta" come diritto da un particolare ordinamento giuridico.

Che cosa significa per la consuetudine essere giuridicamente riconosciuta? Il riconoscimento consiste nel fatto che qualcuno, forse il "sovrano" o un suo delegato, ha ordinato di osservare la consuetudine, così che il carattere giuridico di questa deriva da qualcosa che, sotto questo aspetto, somiglia a un atto di legislazione? La consuetudine nel mondo moderno non è una "fonte" molto importante di diritto. È generalmente una fonte subordinata, nel senso che il potere legislativo può con una legge privare di carattere giuridico una norma consuetudinaria. Al fine di presentare questa dottrina del riconoscimento giuridico dobbiamo ricordare la parte sostenuta dal sovrano nella concezione del diritto come insieme di ordini coattivi. In base a tale teoria, la legge è l'ordine del sovrano o di un suo subordinato che egli può scegliere allo scopo di dare ordini in suo nome. Nel primo caso il diritto è creato dall'ordine del sovrano; nel secondo caso l'ordine dato da una volontà subordinata rientra nel diritto solo se viene dato, a sua volta, in obbedienza a qualche ordine emanato dal sovrano. Il potere subordinato deve avere un'autorità delegatagli dal sovrano per emanare ordini per suo conto. La teoria viene estesa se si sostiene che qualche volta il sovrano può esprimere la propria volontà in un modo meno diretto. I suoi ordini possono essere "taciti"; il sovrano può, senza dare un ordine espresso, palesare la propria intenzione che i sudditi facciano certe cose, non intervenendo quando i suoi subordinati danno ordini ai suoi sudditi e li puniscono in caso di disobbedienza. È sotto questa luce che ci si chiede di considerare le norme consuetudinarie che hanno lo status di diritto in un ordinamento giuridico. Finché i tribunali non le applicano ai casi particolari queste norme sono mere consuetudini, non sono in alcun senso diritto. Quando i tribunali le applicano e danno in base ad esse degli ordini che vengono eseguiti, allora per la prima volta queste norme ricevono riconoscimento giuridico.

Per riconoscimento giuridico si intende applicazione di una consuetudine da parte di un tribunale.

 





Tra le critiche sono rilevanti:

La prima che consiste nel dire che non è necessariamente vero che finché non vengano applicate in una controversia le norme consuetudinarie non hanno natura giuridica. È possibile naturalmente che un ordinamento giuridico stabilisca che nessuna norma consuetudinaria abbia carattere giuridico finché i tribunali, nella loro incontrollata discrezionalità, glielo attribuiscano. Ma questa non sarebbe che una possibilità, che non può escludere l'eventuale esistenza di ordinamenti nei quali i tribunali non hanno una simile discrezionalità. Le repliche fatte a queste obiezioni si riducono qualche volta a niente di più della riaffermazione del dogma che nulla può essere diritto a mano che e finché non abbia ordinato che esso sia tale.

La seconda critica della teoria secondo cui la consuetudine, quando è diritto, deve la sua natura giuridica all'ordine tacito del sovrano, ha un carattere più fondamentale. La maggiore obiezione all'uso del concetto di espressione tacita della volontà del sovrano per spiegare la natura giuridica della consuetudine consiste nel dire che, in ogni stato moderno, è raramente possibile attribuire tale conoscenza, considerazione e decisione di non interferire al "sovrano", sia che lo identifichiamo con il potere legislativo supremo, sia che lo identifichiamo con il corpo elettorale. È vero, naturalmente, che in molti ordinamenti giuridici la consuetudine è una fonte di diritto subordinata alla legge. Questo significa che il potere legislativo le potrebbe togliere il carattere giuridico; ma la mancanza di un simile provvedimento non può essere un segno dei desideri del legislatore. Soltanto molto raramente l'attenzione di un'assemblea legislativa, e ancora più raramente quella dell'elettorato, è attratta verso le norme consuetudinarie applicate dai tribunali.

A che cosa deve la propria natura giuridica una norma consuetudinaria, se non lo deve all'ordine del tribunale che la applica a un caso particolare o a un ordine tacito del potere legislativo supremo? Si può rispondere solo dopo aver esaminato la dottrina secondo la quale per l'esistenza del diritto è necessaria la presenta di una persona o di persone sovrane i cui ordini generali soltanto, espliciti o taciti, costituiscono diritto. La teoria del diritto come insieme di ordini coattivi incontra all'inizio l'obiezione che vi sono delle varietà di norme giuridiche che si trovano in tutti gli ordinamenti, le quali, per tre principali aspetti, non si adattano alla descrizione. In primo luogo anche una legge penale, che pure assomiglia di più a un ordine coattivo, ha spesso una sfera di applicazione diversa da quella degli ordini dati agli altri; infatti una simile legge può imporre degli obblighi a coloro che la creano come agli altri. In secondo luogo le altre leggi sono diverse dagli ordini in quanto non esigono che le persone facciano certe cose, ma conferiscono loro poteri; esse non impongono obblighi ma offrono facilitazioni per la libera creazione di diritti e obblighi giuridici entro la cornice coattiva del diritto per la libera creazione di diritti e obblighi giuridici entro la cornice coattiva del diritto. In terzo luogo, benché l'emanazione di una legge sia in qualche modo simile all'imposizione di un ordine, alcune norme giuridiche hanno la loro fonte nella consuetudine e non devono la loro natura giuridica a nessun simile atto normativo consapevole. Per difendere la teoria contro queste obiezioni sono stati adottati molti vari espedienti. L'idea originariamente semplice della minaccia di un male o di una "sanzione" è stata estesa fino a includervi la nullità di un atto giuridico; la nozione di una norma giuridica è stata ristretta fino a escludere le norme che attribuiscono poteri, considerate come meri frammenti di norme; si sono trovate due persone entro la singola persona naturale del legislatore i cui provvedimenti sono auto vincolanti; la nozione di ordine è stata estesa da un'espressione verbale a una "tacita"" di volontà, consistente nella non interferenza con gli ordini dati ai subordinati. Nonostante l'ingegnosità di questi espediente, il modello dell'ordine sostenuto da minacce rende oscure più parti del diritto di quante non ne illumini.








Sovrano e suddito

L'ipotesi che in ogni società, in cui vi sia diritto, esista realmente un sovrano caratterizzato in modo positivo e negativo dal riferimento all'abitudine all'obbedienza: una persona o un gruppo di persone i cui ordini vengono abitualmente obbediti dalla grande maggioranza della comunità e che non obbedisce abitualmente a nessun'altra persona o persone. La dottrina afferma che in ogni società umana, in cui vi sia diritto, si può trovare in ultima analisi, nascosta sotto la varietà delle forme politiche, in una democrazia come in una monarchia assoluta, la semplice relazione tra i sudditi che prestano abituale obbedienza e il sovrano che non la presta a nessuno. Questa struttura verticale composta dal sovrano e dai suoi sudditi è, in base a tale teoria, una parte essenziale della società in cui esiste il diritto, come la spina dorsale di un essere umano. Dove essa è presente, è possibile parlare di una società, insieme al suo sovrano, come di uno stato singolo e indipendente, e si può parlare del suo diritto: dove non è presente, non è possibile applicare nessuna di queste espressioni, dato che la relazione fra sovrano e sudditi costituisce, in base a questa teoria, parte del loro significato.

Due punti di questa dottrina hanno particolare importanza:

Il primo riguarda il concetto di abitudine all'obbedienza, che è tutto quello che si richiede a coloro a cui si applicano le leggi del sovrano. Si esaminerò se una simile abitudine sia un elemento sufficiente per spiegare due essenziali caratteristiche della maggior parte degli ordinamenti giuridici:

La continuità dell'autorità di emanare leggi posseduta da una successione diversa di legislatori

La permanenza delle leggi molto tempo dopo che il loro autore e coloro che gli hanno reso obbedienza sono periti.

Il secondo punto riguarda la posizione occupata dal sovrano sopra la legge: egli crea diritto per gli altri e così impone obblighi giuridici o "limiti" ad essi, mentre egli stesso è considerato giuridicamente illimitato e illimitabile.


L'ABITUDINE ALL'UBBIDIENZA E LA CONTINUITA' DEL DIRITTO

Il concetto di obbedienza è un concetto complesso. Non è infatti facile definire quale connessione precisa debba esservi tra l'imposizione di un ordine e il compimento di una specifica azione, affinché quest'ultima costituisca obbedienza.

L'abitudine all'obbedienza è una relazione personale tra ciascun suddito e Rex; ognuno fa regolarmente ciò che Rex ordina a lui, insieme agli altri, di fare. Se noi diciamo che la popolazione "ha una certa abitudine", questa affermazione significherà soltanto che le abitudini della maggioranza sono convergenti. Tutto ciò che si esige dalla comunità per costituire Rex come sovrano sono gli atti personali di obbedienza da parte della popolazione. La comunità sotto Rex ha certamente alcune delle importanti caratteristiche di una società di diritto, ha una certa unità, così da poter essere chiamata "stato". Questa unità è costituita dal fatto che i suoi membri obbediscono alla stessa persona, anche se possono non avere idee circa la giustizia di questo comportamento.

Soltanto quando gli ordini di rex saranno obbediti per un certo tempo saremo in grado di dire che si è stabilita un'abitudine all'obbedienza. Allora, ma non prima di allora, saremo in grado di dire, di ogni ordine successivo, che esso è già diritto non appena è stato emanato e prima che sia stato obbedito. È una caratteristica dell'ordinamento giuridico quella di assicurare la ininterrotta continuità del potere legislativo mediante certe norme che costituiscono il ponte di passaggio tra un legislatore e un altro: queste regolano la successione in anticipo, elencando e specificando in termini generali le qualifiche e il modo di nomina del legislatore.

Una caratteristica che distingue le norme sociali dalle abitudini è l'aspetto interno delle norme. Quando un abitudine è generale di un gruppo sociale, questo carattere di generalità è semplicemente un fatto relativo al comportamento osservabile della maggior parte dei membri del gruppo. Per l'esistenza di una simile abitudine non è affatto necessario che i membri del gruppo si preoccupino del comportamento generale, è sufficiente che ciascuno per suo conto si comporti nel modo in cui anche gli altri effettivamente si comportano. Viceversa, per l'esistenza di una norma sociale è necessario che almeno alcuni considerino il comportamento in questione come un criterio generale di condotta che il gruppo nel suo complesso deve seguire. Una norma sociale ha un aspetto "interno", in aggiunta all'aspetto esterno, che ha in comune con un'abitudine sociale e che consiste nel comportamento uniforme e regolare di cui un osservatore può rendersi conto.

L'aspetto interno delle norme è spesso travisato, in quanto viene presentato come una mera questione di "sentimenti", in contrasto con il comportamento fisico esternamente osservabile. Senza dubbio, là dove le norme sono generalmente accettate da un gruppo sociale e generalmente sostenute dalla critica sociale e dalla pressione in favore della comunità, i singoli possono spesso avere delle esperienze psicologiche analoghe a quelle della restrizione o della compulsione. Quando dicono di "sentirsi obbligati" a comportarsi in certi modi, essi possono davvero riferirsi a queste esperienze. Ciò che è necessario qui è che sia presente un atteggiamento critico riflessivo nei confronti di certi modelli di comportamento intesi come criteri comuni di condotta, e che questo si manifesti nella critica, nelle richieste di conformità, e nel riconoscimento che simili critiche e richieste sono giustificate.

Rex sarà di fatto un legislatore con autorità di legiferare, cioè di introdurre nuovi criteri di condotta nella vita del gruppo, e non vi è motivo per cui egli non debba essere vincolato dalle norme da lui stesso emanate. La parola di rex sarà un criterio di comportamento, per cui le deviazioni dalla condotta da lui designata saranno soggette a critica. Per vedere come queste norme spieghino la continuità dell'autorità legislativa, ci basta soltanto notare che in alcuni casi, anche prima che un nuovo legislatore abbia cominciato a legiferare, può apparire chiaro che vi è una norma, fermamente stabilità, che gli attribuisce, in quanto membro di una classe o serie di persone, il diritto di fare questo quando arriva il momento. L'accettazione e così l'esistenza di una simile norma, sarà manifestata in parte dall'obbedienza nei confronti del sovrano, in parte dal riconoscimento che l'obbedienza è qualcosa a cui egli ha un diritto derivato dal precedente sovrano secondo la norma generale. L'accettazione di una norma da parte della società in un dato momento non garantisce la continuazione della sua esistenza. Può avvenire una rivoluzione: la società può cessare di accettare la norma. L'asserzione che un nuovo legislatore ha il diritto di legiferare presuppone l'esistenza, nel senso sociale, di una norma in base alla quale egli ha questo diritto. Se risulta chiaro che la norma che ora lo autorizza era accettata anche durante la vita del suo predecessore, che veniva pure autorizzato da essa, bisogna supporre, in mancanza di prove contrarie, che non è stata abbandonata ed esiste ancora.

L'abitudine all'obbedienza a ciascun membro di una serie di legislatori non è sufficiente per dare ragione del diritto di un successore a succedere e della conseguente continuità del potere legislativo, perché le abitudini non sono "normative": non possono, come invece le norme accettate, riferirsi a una classe o a una serie di futuri successivi legislatori come all'attuale legislatore o rendere probabile l'obbedienza ad essi.

Nel riferirci alla nostra società abbiamo parlato partendo dal presupposto che le persone più comuni non solo osservassero la legge ma comprendessero e accettassero la norma che autorizza una serie di legislatori a legiferare. In una società semplice può avvenire questo; ma in uno stato moderno sarebbe assurdo pensare che la massa della popolazione, per quanto ligia alla legge, abbia una chiara idea delle norme che stabiliscono le qualifiche di un organo composto da una serie continua mutevole di persone legittimate a legiferare. Noi esigiamo una simile conoscenza soltanto da parte dei funzionari e dagli esperti dell'ordinamento; i tribunali, che hanno l'incarico di determinare ciò che è diritto, e i giuristi, che il privato cittadino consulta quando vuol sapere che cosa è diritto.

I funzionari dell'ordinamento riconoscono esplicitamente le norme fondamentali che attribuiscono autorità legislativa; i legislatori operano questo riconoscimento quando emanano leggi in accordo con le norme che attribuiscono loro il potere legislativo: i tribunali quando riconoscono, come diritto che essi devono applicare, le leggi emanate dalle persone qualificate in quel modo, e gli esperti quando guidano i comuni cittadini richiamandosi alle norme così create. Il cittadino ordinario manifesta la sua accettazione in gran parte con la propria acquiescenza al risultato di queste operazioni dei funzionari. Egli obbedisce alle norme giuridiche così create e individuate, e inoltre solleva pretese ed esercita poteri conferiti ad esse. La forza della dottrina che sostiene l'obbedienza abituale a ordini sorretti da minacce è il fondamento dell'ordinamento giuridico, consiste nel fatto che essa ci stimola a pensare in termini realistici a questo aspetto relativamente passivo di quel complesso fenomeno che ciamiamo esistenza di un ordinamento giuridico.


LA PERMANENZA DEL DIRITTO

Come può una norma creata da un legislatore più antico, morto da molto tempo, essere ancora giuridica per una società di cui non è possibile dire che gli obbedisca abitualmente? Non possiamo restringere la nostra considerazione delle norme giuridiche al periodo della vita dei loro autori, dato che la caratteristica che dobbiamo spiegare è proprio la loro durevole capacità di sopravvivere a questi e a coloro che le obbedivano abitualmente.

L'incoerenza della teoria la quale sostiene che le leggi passate devono il loro attuale carattere giuridico all'acquiescenza dell'attuale potere legislativo nei confronti della loro applicazione da parte dei tribunali, risulta nel modo più chiaro dalla sua incapacità di spiegare perché i tribunali odierni debbano distinguere tra una legge vittoriana non ancora abrogata, in quanto norma giuridica, e una abrogata sotto Edoardo VII, in quanto non più giuridica. I tribunali non fondano la distinzione tra le due leggi sulla conoscenza del fatto che l'attuale sovrano ha tacitamente comandato una legge ma non l'altra.

Vi è una differenza essenziale, per la comprensione del diritto, tra l'affermazione vera che, perché una legge sia giuridica, i tribunali devono accettare la norma secondo la quale certe attività legislative creano diritto, e la teoria fuorviante secondo cui nulla è diritto finché non viene applicato da un tribunale in un caso particolare.

Teoria realistica. Non vi è nulla che possa distinguere la natura giuridica di una legge dell'attuale sovrano da quella di una legge non abrogata da un sovrano precedente. Prima di venire applicate dai tribunali odierni a un caso particolare, o sono entrambe giuridiche o non lo è nessuna.


LIMITI GIURIDICI AL POTERE LEGISLATIVO

Nella dottrina della sovranità l'abitudine generale all'obbedienza dei sudditi ha, come suo complemento, l'assenza di una simile abitudine al sovrano. Questi crea il diritto per i suoi sudditi e lo fa da una posizione esterna al diritto stesso. Non vi sono, e non vi possono essere, dei limiti giuridici al suo potere normativo. È importante rendersi conto che il potere giuridicamente illimitato del sovrano gli appartiene per definizione: questa teoria afferma semplicemente che vi potrebbero essere dei limiti giuridici al potere legislativo soltanto se il legislatore fosse agli ordini di un altro legislatore, da lui abitualmente obbedito; e in questo caso egli non sarebbe più il sovrano. Per poter essere sovrano egli non deve obbedire a nessun altro legislatore e perciò non vi possono essere dei limiti giuridici al suo potere legislativo.

Questa teoria non si limita ad asserire che vi sono alcune società in cui si trova un sovrano non sottoposto ad alcun limite giuridico, ma afferma che dappertutto l'esistenza del diritto implica l'esistenza di un simile sovrano. D'altra parte questa teoria non insiste a dire che non vi è nessun limite giuridico ad esso. Così il sovrano può, nell'esercizio del potere legislativo, rimettersi di fatto all'opinione pubblica. Molti fattori differenti possono influenzarlo in questo (limiti non giuridici al suo potere).

L'attrattiva di questo modo generale di concepire il diritto risulta evidente. Esso sembra darci in forma semplice e soddisfacente la risposta a due fondamentali domande. Possiamo riconoscere nei suoi ordini generali il diritto di una società e distinguere questo da molte altre norme, principi, criteri,morali o meramente consuetudinari, dai quali la vita dei suoi membri è pure regolata. Secondo, nell'ambito del diritto possiamo determinare se ci troviamo di fronte a un ordinamento giuridico indipendente o soltanto a una parte subordinata di qualche ordinamento più ampio. Su questa base immagineremo una società nella quale via sia una norma generalmente accettata dai tribunali, dai funzionari e dai cittadini, secondo la quale, ogni volta che Rex ordina di fare qualche cosa, la sua parola costituisce un criterio di condotta per il gruppo.

L'obiezione a questa dottrina considerata come teoria generale del diritto consiste nel dire che l'esistenza, in una società immaginaria, di un sovrano come Rex, non soggetto a limiti giuridici, non è una condizione o un presupposto necessario dell'esistenza del diritto.

Vi sono dei legislatori, ma talvolta il potere legislativo supremo è lungi dall'essere illimitato. Una costituzione scritta può restringere il potere legislativo non soltanto specificando il modo e la forma della legislazione, ma anche escludendo completamente certe materie dalla sfera della sua competenza legislativa, imponendo così dei limiti di sostanza. A differenza dell'inosservanza dell'opinione pubblica o delle convinzioni morali popolari, che egli potrebbe spesso rispettare anche contro le proprie inclinazione, l'inosservanza di queste specifiche restrizioni renderebbe invalida la sua legislazione (limiti sostanziali).

LIMITE = assenza di un potere giuridico (assenza di una capacità giuridica)

 
Un costituzione che effettivamente limiti i poteri normativi del supremo organo legislativo nell'ordinamento non fa questo imponendo ad esso obblighi di non tentare di legiferare in certi modi; viceversa stabilisce che ogni provvedimento del corpo legislativo così inteso è nullo. Essa non impone obblighi giuridici ma delle incapacità giuridiche.



Tali limiti al potere legislativo di Rex si possono ben chiamare costituzionali, ma essi sono mere convenzioni. Essi costituiscono parte della norma che attribuisce autorità legislativa e riguardano in modo fondamentale i tribunali, dato che questi usano tale norma come criterio di validità dei pretesi provvedimenti legislativi che si trovano di fronte. Rex può ben essere soggetto a tali limiti e non tentare mai di sfuggirvi; tuttavia può non esservi nessuno a cui egli obbedisce abitualmente. Egli si limita ad adempiere alle condizioni necessarie per creare del diritto valido. Oppure può darsi che egli tenti di sfuggire a questi limiti emettendo degli ordini in contrasto con essi; tuttavia facendo questo non disobbedisce a nessuno: non ha infranto la legge di nessun legislatore superiore a sé, ne violato un obbligo giuridico. Egli certamente non ha creato una legge valida anche se non ha violato nessuna norma.


RIASSUMENTO

I limiti giuridici all'autorità legislativa non consistono in obblighi imposti al legislatore di obbedire a qualche legislatore superiore ma in incapacità contenute nelle norme che lo legittimano come legislatore.

Per stabilire se una certa norma è giuridica, non dobbiamo dimostrare che essa è stata emanata, in forma espressa o tacita, da un legislatore che è sovrano o illimitato, o nel senso che la sua autorità di legiferare è giuridicamente illimitata, oppure nel senso che egli non obbedisce abitualmente a nessun altro. Dobbiamo dimostrare che essa è stata emanata da un legislatore autorizzato a legiferare in base a una norma esistente, e in questa non è contenuto assolutamente nessun limite oppure nessuno che riguarda la norma particolare di cui si tratta.

Per mostrare che ci troviamo di fronte a un ordinamento giuridico indipendente non abbiamo bisogno di dimostrare che il suo supremo potere legislativo è giuridicamente illimitato o non obbedisce a nessun altra persona. Dobbiamo soltanto mostrare che le norme le quali legittimano il legislatore non attribuiscono un'autorità superiore a coloro che hanno pure autorità su un altro territorio.

Dobbiamo distinguere tra un'autorità legislativa giuridicamente illimitata e un'autorità che, benché limitata, è suprema nell'ordinamento (rex-costituzione).

Mentre la presenza o assenza di norme che limitano la competenza del legislatore a legiferare è essenziale, le abitudini all'obbedienza del legislatore sono al massimo di qualche importanza probante indiretta.


IL SOVRANO DIETRO IL LEGISLATORE

Vi sono nel mondo moderno molti ordinamenti giuridici in cui l'organo normalmente considerato suprema autorità legislativa nell'ordinamento stesso è sottoposto a limiti giuridici nell'esercizio dei suoi poteri legislativi ma i provvedimenti di una simile autorità legislativa nell'ambito dei suoi limitati poteri costituiscono certamente diritto. Esempi di limiti essenziali si possono trovare in costituzioni di stati federali .

Vi possono esser naturalmente molti espedienti per difendere le disposizioni di una costituzione dalle attività del potere legislativo. Se una costituzione impone alle normali attività della suprema autorità legislativa dei limiti giuridici, anche questi possono essere o non essere immuni da certe forme di mutamenti giuridici. La maggior parte delle costituzioni contiene un ampio potere di revisione che può essere esercitato o da un organo distinto dal potere legislativo ordinario, oppure dai membri di quest'ultimo mediante un procedimento speciale.

Non tutte le costituzioni prevedono un potere di revisione, e qualche volta anche dove esso esiste alcune norme costituzionali, che pongono limiti al potere legislativo, vengono mantenute al di fuori della sua sfera di applicazione; qui il potere di revisione è esso stesso limitato. Austin nell'elaborare la teoria non ha identificato il sovrano con il potere legislativo. La sua idea era che in ogni democrazia non siano i rappresentanti eletti a costituire o formare parte dell'organo sovrano ma gli elettori. Considerata in questa prospettiva la differenza tra un ordinamento giuridico in cui il potere legislativo ordinario è libero da limiti giuridici, e uno in cui questo potere non è sottoposto ad essi, si presenta come una mera differenza tra i modi in cui l'elettorato sovrano decide di esercitare i poteri sovrani. In Inghilterra secondo questa teoria, il solo esercizio diretto fatto dall'elettorato della sua partecipazione alla sovranità consiste nell'elezione dei rappresentanti al Parlamento, e nella delegazione ad essi del potere sovrano. Questa delegazione è negli USA, come in ogni democrazia in cui il potere legislativo ordinario sia giuridicamente limitato, il corpo elettorale non ha circoscritto il proprio esercizio del potere sovrano alle elezioni dei delegati, ma ha sottoposto questi a limiti giuridici. In questo caso l'elettorato può essere considerato un "legislatore straordinario e ulteriore" superiore al legislatore ordinario, che è giuridicamente obbligato a osservare i limiti costituzionali. L'elettorato costituisce quel potere sovrano libero da ogni limite giuridico. Se tentiamo di trattare l'elettorato come il sovrano e applichiamo ad esso le definizioni semplici della teoria originaria, ci troveremo costretti a dire che qui la massa della società obbedisce abitualmente a se stessa. Così la chiara immagine originaria di una società divisa in due segmenti, il sovrano privo di limiti giuridici che da ordini, e i sudditi che obbediscono abitualmente, ha lasciato il posto all'immagine confusa di una società in cui la maggioranza obbedisce agli ordini dati dalla maggioranza stessa o da tutti. Certamente non abbiamo qui né ordini nel senso originario ne obbedienza.

Per replicare a questa critica si può fare una distinzione tra i membri della società nella loro capacità privata di individui e le stesse persone nella loro capacità ufficiale di elettori o legislatori. Non può salvare la teoria della sovranità, nemmeno se siamo pronti a fare il passo ulteriore consistente nel dire che gli individui nella loro capacità ufficiale costituiscono un'altra persona.

Dato che esistono norme che stabiliscono ciò che i membri di una società devono fare per agire come elettorato, non possono avere esse stesse la natura di ordini emessi dal sovrano: infatti nulla può essere considerato come un ordine emesso dal sovrano se non esistono già le norme e non sono seguite. Possiamo allora dire che queste norme sono parte della descrizione dell'abitudine all'obbedienza della popolazione? Nel semplice caso in cui il sovrano sia una persona singola obbedita dalla massa della società, se, e solo se, egli da i suoi ordini in una data forma, si potrebbe dire che la norme per cui egli deve legiferare in questo modo è parte della descrizione dell'abitudine all'obbedienza della società. Le norme sono costitutive della sovranità, non sono meri elementi che dobbiamo menzionare in una descrizione dell'abitudine all'obbedienza al sovrano. La nozione di norma che conferisce poteri, che possono essere limitati o illimitati, a persone autorizzate in un dato medo a legiferare seguendo un certo procedimento è quello che si richiede.

La teoria che considera l'elettorato come sovrano, vale, nella migliore delle ipotesi, soltanto per un potere legislativo limitato in una democrazia in cui esiste un elettorato.


Il diritto come unione di norme primarie e secondarie

UN NUOVO PUNTO DI PARTENZA

Il semplice modello del diritto come insieme di ordini del sovrano non è in grado di spiegare alcune delle principali caratteristiche di un ordinamento giuridico. Le ragioni del fallimento di questa teoria sono:

Benché di tutti i tipi di norme giuridiche, la legge penale sia quella che più assomiglia agli ordini sostenuti da minacce rivolti da una persona alle altre, essa tuttavia differisce da tali ordini in un aspetto importante, in quanto cioè comunemente si applica anche a coloro che l'anno emanata e non soltanto agli altri.

Vi sono norme giuridiche che conferiscono i poteri giuridici di giudicare e legiferare (poteri pubblici) o di creare o modificare dei rapporti giuridici (poteri privati), che non possono, senza condurre all'assurdo, essere concepite come ordini sostenuti da minacce.

Vi sono norme giuridiche che differiscono dagli ordini nel loro modo di origine, perché non sono state poste in essere da un atto simile a una prescrizione esplicita.

L'analisi del diritto compiuta sulla base della nozione di sovrano, obbedito abitualmente e necessariamente privo di qualsiasi limite giuridico, non è in grado di spiegare la continuità dell'autorità legislativa, tipica di un moderno ordinamento giuridico, e d'alta parte non si è riusciti a identificare il sovrano, persona o gruppo di persone, né con l'elettorato né con il potere legislativo di uno stato moderno.

Evidenziamo ora il fallimento di alcuni espedienti per giustificare questa teoria:

La nozione di ordine tacito. È sembrano non potersi applicare alla complessa realtà di un moderno ordinamento giuridico, ma soltanto a situazioni assai più semplici, come quella di un generale che deliberatamente si astiene dall'interferire negli ordini dati dai suoi subordinati.

Trattare le norme che attribuiscono poteri come meri frammenti di norme che impongo obblighi travisa il modo in cui di queste si parla, si pensa e si fa realmente uso nella vita sociale.

Considerare le norme come dirette unicamente ai funzionari travisa il modo in cui di queste si parla, si pensa e si fa realmente uso nella vita sociale.

L'espediente che aveva lo scopo di rendere compatibile il carattere auto-vincolante della legislazione con la teoria secondo cui una legge è un ordine impartito agli altri, consisteva nel distinguere i legislatori agenti nella loro capacità ufficiale, come una persona che ordina ad altri, fra i quali ultimi compresi i legislatori stessi nella loro capacità privata. Questo, espediente di per sé impeccabile, implicava l'aggiunta alla teoria di qualcosa che non era ancora contenuto in essa: e cioè della nozione di una norma che stabilisce ciò che si deve fare per legiferare; infatti soltanto conformandosi a una simile norma i legislatori possono assumere una capacità ufficiale e una personalità separata da poter contrapporre a sé stessi in quanto individui privati.

Il motivo principale del fallimento deriva dal fatto che gli elementi sui quali la teoria è stata costruita, cioè i concetti di ordine, obbedienza, abitudine, minaccia, non includono, e non possono produrre con la loro combinazione, la nozione di norma, senza la quale non si può sperare di spiegare nemmeno le forme più elementari di diritto.

La nozione di norma non è affatto semplice, è necessario distinguerne tra due tipi:

NORME DI TIPO FONDAMENTALE O PRIMARIO. Norme che impongono agli uomini di compiere o di astenersi dal compiere certe azioni che lo vogliano o no. Tali norme impongono obblighi, riguardano azioni che implicano movimenti o mutamenti fisici.

NORME DI TIPO SUSSIDIARIO. Norme che stabiliscono che gli uomini possano, mediante certi atti e certe parole, introdurre nuove norme del tipo primario, modificare o abrogare quelle più antiche. Attribuiscono poteri pubblici o privati.


IL CONCETTO DI OBBLIGO

La teoria che concepisce il diritto come un insieme di ordini coattivi parte, nonostante i suoi errori, dalla valutazione perfettamente corretta del fatto che, dove esiste il diritto, il comportamento umano è reso in un certo senso non-facoltativo od obbligatorio.

Vi è una differenza tra l'asserzione che qualcuno era obbligato a fare qualcosa e l'asserzione che egli aveva un obbligo di farlo. La prima è un'affermazione che riguarda le opinioni e i motivi per cui un'azione è compiuta.

Benché riferimenti a giudizi comuni sul danno comparativo e sui ragionevoli calcoli di probabilità siano impliciti in questa nozione, l'affermazione che una persona era obbligata a obbedire a qualcuno è, essenzialmente, una osservazione psicologica relativa alle opinioni e ai motivi per cui una data azione è stata compiuta. L'affermazione che qualcuno aveva un obbligo di fare qualcosa è di un tipo assai diverso, e vi sono molti segni di questa differenza. Alcuni studiosi, Austin compreso, considerando forse la generale irrilevanza delle opinioni, dei timori e dei motivi di una persona per la questione se essa abbia l'obbligo di fare qualcosa, hanno definito questa nozione non sulla base di fatti oggettivi, ma sulla base della "possibilità" o "probabilità" che la persona soggetta all'obbligo soffra una pena o un "male" da parte di altri in caso di disobbedienza. Questa teoria, in realtà, considera le asserzioni normative non come delle affermazioni psicologiche ma come delle previsioni o degli accertamenti della possibilità di ricevere una pena o un "male".

In un normale ordinamento giuridico l'affermazione che una persona ha un obbligo e l'affermazione che è probabile che essa soffra a causa della disobbedienza, sono solitamente vere.

Si è già visto che l'esistenza di una qualsiasi norma sociale implica la combinazione di un comportamento regolare e dell'atteggiamento consistente nel considerare quel comportamento come un modello.

Si concepiscono le norme e si parla di esse come di qualcosa che impone obblighi, quando è persistente la generale richiesta di conformità e quando è grande la pressione sociale che si fa sentire su coloro che deviano da esse. Queste norme possono avere un'origine del tutto consuetudinaria; può non esistere nessun sistema centralmente organizzato di sanzioni per la violazione delle norme; può darsi che la pressione sociale assuma soltanto la forma di una reazione ostile o critica generalmente diffusa, che può non arrivare alle sanzioni fisiche. Essa può limitarsi a manifestazioni verbali di disapprovazione o a richiami al rispetto degli individui per la norma violata: può dipendere molto dai sentimenti di vergogna, rimorso e colpa. Quando la pressione è del tipo ora menzionato possiamo essere inclini a classificare le norme come parte della moralità del gruppo sociale, e l'obbligo derivante dalle norme come obbligo morale. Viceversa, se tra le forme di pressione sono preminenti o comuni le sanzioni fisiche, anche se non vengono definite in modo preciso né vengono applicate da funzionari ma sono lasciate nel suo complesso, saremmo inclini a classificare le norme come una forma primitiva e rudimentale di diritto.

L'insistenza sull'importanza e serietà della pressione sociale dietro le norme è il fattore primario che determina se esse siano o no concepite come una fonte di obblighi. Le norme sostenute da una seria pressione vengono considerate importanti perché sono ritenute necessarie per il mantenimento della vita sociale o di qualche caratteristica di questa ampiamente apprezzata. Si pensa a obblighi e doveri some a concetti che implicano tipicamente un sacrificio o una rinuncia, e la permanente possibilità di conflitto tra l'obbligo o dovere e l'interesse è, in tutte le società, una delle idee più ovvie espresse tanto dai giuristi che dai moralisti. Il fatto che le norme che impongono obblighi siano generalmente sostenute da una seria pressione sociale non comporta la conseguenza che avere un obbligo in base alle norme significhi provare sentimenti di costrizione o pressione. Sentirsi obbligati e avere un obbligo sono cose diverse benché spesso concomitanti.

Teoria della predizione. Definendo il concetto di obbligo sulla base della probabilità che la pena minacciata o la reazione ostile succedano alla deviazione da certe linee di condotta. Può sembrare che vi sia una differenza lieve tra l'analisi della concezione dell'obbligo di predizione, o come asserzione della possibilità di una reazione ostile alla deviazione, e la nostra idea che, benché questa asserzione presupponga un ambiente in cui alle deviazioni dalle norme seguono generalmente delle reazioni ostili, tuttavia la sua funzione caratteristica non consiste nel predire ma nell'affermare che il caso di una data persona rientra nell'ambito di una simile norma.

Quando un gruppo sociale ha certe norme di condotta questo fatto ci permette di svolgere delle osservazioni strettamente connesse ma di tipo diverso; infatti è possibile occuparsi delle norme, sia soltanto come osservatore che on le accetta egli stesso, sia come membro del gruppo che le accetta e le usa come criteri di condotta. Possiamo chiamare questi due punti di vista rispettivamente "esterno" e "interno". Le osservazioni svolte dal punto di vista esterno possono a loro volta essere di tipi diversi. Infatti l'osservatore può, senza accettare egli stesso le norme, asserire che il gruppo accetta le norme, e così pure riferirsi dall'esterno al modo in cui i membri del gruppo si occupano delle norme dal punto di vista interno. È possibile assumere l'atteggiamento di un osservatore che si accontenta di registrare la regolarità del comportamento osservabile in cui consiste in parte l'osservanza delle norme, e quell'ulteriore regolarità di comportamento, in forma di reazioni ostili, rimproveri o pene, che segue alle deviazioni delle norme.

Il punto di vista esterno può rappresentare quasi perfettamente il modo in cui le norme operano nella vita di certi membri del gruppo, e cioè di quelli che rifiutano le sue norme e si preoccupano di esse soltanto quando e perché ritengono che probabilmente certe conseguenze spiacevoli succederanno alla violazione.

La vita di qualsiasi società regolata da norme, giuridiche o no, può probabilmente consistere in una tensione tra coloro che, da un lato, accettano le norme e cooperano volontariamente al loro mantenimento e coloro che, dall'altro, rifiutano le norme e si occupano di esse soltanto dal punto di vista esterno, considerandolo come il segnale di una possibile sanzione.


GLI ELEMENTI DEL DIRITTO

Dove non esistono potere legislativo, tribunali e funzionari la struttura sociale viene spesso considerata come basata sulla consuetudine. Per un analisi semplificata intenderemo una struttura sociale come composta da norme primarie che impongono obblighi. Se una società deve vivere sulla base soltanto di questo norme primarie, vi sono certe condizioni le quali, ammesse alcune fra le più ovvie verità sulla natura umana e sul mondo in cui viviamo, devono chiaramente venire soddisfatte. La prima di queste condizioni è che le norme devono contenere in qualche forma dei limiti all'uso indiscriminato della violenza, del furto, dell'inganno, comportamenti ai quali gli esseri umani vengono tentati ma dai quali devono, in generali, astenersi, se vogliono coesistere in stretta vicinanza gli uno con gli altri. Anche se in una tale società può apparire la tensione, già descritta, tra coloro che accettano le norme e coloro che le rifiutano, tranne quando il timore della pressione sociale li spinge a conformarsi ad esse, è chiaro che il secondo gruppo di persone non può che essere una minoranza, se una società di persone, approssimativamente della stessa forza fisica, organizzata in modo così vago, deve durare.

Soltanto una comunità strettamente legata da vincoli di parentela, sentimenti e credente comuni, e situata in un ambiente stabile, potrebbe resistere con successo, con un simile regime di norme non ufficiali.

Elenchiamone i difetti:

Incertezza della struttura sociale semplice. Se sorgono dubbi circa la natura delle norme o circa l'ambito preciso di una data norma, non vi sarà nessun procedimento per risolverli. Un simile procedimento e il riconoscimento di testi o di persone dotate di autorità implicano l'esistenza di norme di un tipo diverso dalle norme che impongono obblighi, le quali ex hypotesi sono tutto ciò che il gruppo possiede.

Carattere statico. Il solo metodo di mutamento delle norme noto a una simile società è il lento processo di crescita, mediante il quale tipi di condotta un tempo ritenuti facoltativi diventano prima abituali o consueti, e poi obbligatori e il processo inverso di decadenza. Non vi è nessun mezzo per adattare deliberatamente le norme alle mutevoli circostanze, abrogando le vecchie norme o introducendone di nuove.

Inefficienza della pressione sociale diffusa dalla quale queste norme sono sostenute. Questo consiste nel fatto che le sanzioni per la violazione delle norme, e le altre forme di pressione sociale che implicano uno sforzo fisico o l'uso della forza, non sono inflitte da un organo apposito, ma vengono lasciate agli individui i cui interessi sono stati lesi o al gruppo nel suo complesso.

Il rimedio per ciascuno di questi tre principali difetti consiste nell'integrare le norme primarie che impongono obblighi con le norme secondarie che sono di diverso tipo. L'introduzione del rimedio per ciascun difetto potrebbe esser considerato un passo dal mondo pregiuridico a quello giuridico. Tutti e tre i rimedi insieme sono sufficienti per trasformare il regime di norme primarie in quello che è indiscutibilmente un ordinamento giuridico.

Mentre le norme primarie riguardano le azioni che gli individui devono fare o non fare, tutte queste norme secondarie riguardano le norme primarie stesse.

La forma più semplice di rimedio per l'incertezza del sistema di norme primarie è l'introduzione di quella che chiameremo una "norma di riconoscimento". Questa specifica alcune caratteristiche, il cui possesso da parte di una certa norma è considerato come un'indicazione affermativa e decisiva circa la sua qualificazione come una norma del gruppo che deve essere sostenuta dalla pressione sociale esercitata dal gruppo. Ciò che è essenziale è il riconoscimento del riferimento alla scrittura o alla iscrizione come dotate di autorità, cioè come il modo proprio per risolvere i dubbi relativi all'esistenza della norma. Dove esiste un simile riconoscimento siamo in presenza di una forma molto semplice di norma secondaria: una norma per l'individuazione decisiva delle norme primarie che impongono obblighi. In un ordinamento giuridico progredito le norme di riconoscimento sono naturalmente più complesse: invece di individuare le norme esclusivamente mediante il riferimento a un testo o a un elenco, esse le individuano mediante il riferimento a qualche caratteristica generale posseduta dalle norme primarie.

Il rimedio per il carattere statico del sistema di norme primarie consiste nell'introdurre quella che chiameremo "norma di mutamento". La forma più semplice di questa norma è quella di attribuire a un individuo o a un gruppo di persone il potere di indurre nuove norme primarie per la condotta della vita di gruppo, o di qualche classe nell'ambito di questo, e di abrogare delle norme antiche. Questa norma di mutamento può essere molto semplice o molto complessa: i poteri conferiti possono essere limitati o illimitati in vari modi; e la norma, oltre a designare le persone legittimate a legiferare, può definire in termini più o meno rigidi i procedimenti da seguire nella legislazione. È chiaro che vi è un legame assai stretto tra la norma di mutamento e la norma di riconoscimento.

La terza integrazione del sistema di norme primarie volta a rimediare all'inefficienza della sua diffusa pressione sociale, consiste in norme secondarie che legittimano gli individui a risolvere d'autorità la questione se, in una particolare occasione, la norma primaria sia stata violata. La forma minima di giudizio consiste in simili decisioni, e chiameremo perciò le norme secondarie che conferiscono il potere di compierle "norme di giudizio". Oltre a individuare le persone che devono giudicare, queste norme stabiliscono anche la procedura che deve essere seguita. Queste norme definiscono un gruppo importante di concetti giuridici: in questo caso i concetti di giudice o tribunale, giurisdizione e giudizio.

Se osserviamo in prospettiva la struttura che risulta dalla combinazione di norme primarie di obbligo e quelle secondarie di riconoscimento, mutamento e di giudizio è chiaro che non soltanto siamo penetrati nel cuore di un ordinamento giuridico, ma anche che ci siamo provveduti di uno strumento molto potente per l'analisi di molti problemi che hanno reso perplesso sia il giurista sia lo studioso di teoria politica


Il fondamento dell'ordinamento giuridico

NORMA DI RICONOSCIMENTO E VALIDITA' GIURIDICA

Fondamento dell'ordinamento giuridico consiste nel fatto che la maggioranza del gruppo sociale obbedisce abitualmente agli ordini sostenuti da minacce della persona o delle persone sovrane, le quali a loro volta non obbediscono a nessuno. Questa situazione sociale è, per questa teoria una condizione tanto necessaria quanto sufficiente per l'esistenza del diritto.

Fondamento dell'ordinamento giuridico: norma secondaria di riconoscimento che viene accettata e usata per l'individuazione delle norme primarie che impongono obblighi.

Ovunque una simile norma di riconoscimento sia accettata, sia i privati sia i funzionari hanno a loro disposizione dei criteri dotati di autorità per l'individuazione delle norme primarie che impongono obblighi. I criteri comprendono il riferimento a un testo dotato di autorità, a un provvedimento legislativo, alla pratica consuetudinaria, a dichiarazioni generali di persone specificate, o a decisioni giudiziarie pronunciate in casi particolari.

In un ordinamento giuridico moderno, in cui vi è una varietà di "fonti" del diritto, la norma di riconoscimento è più complessa: i criteri per individuare il diritto sono molteplici e comunemente comprendono una costituzione scritta, le norme emanate da un legislatore e i precedenti giudiziari.

È importante distinguere questa relativa subordinazione di un criterio a un altro dalla derivazione, dato che dalla confusione di questi due concetti è venuto un appoggio spurio alla concezione del diritto come essenzialmente o "realmente" (anche solo tacitamente) prodotto dalla legislazione - nell'ordinamento inglese la consuetudine e i precedenti sono subordinati alla legislazione, dato che le norme consuetudinarie e della common law possono venire private della loro natura giuridica, per quanto precaria, non a un esercizio "tacito" di potere legislativo ma all'accettazione di una norma di riconoscimento che attribuisce loro questa posizione indipendente per quanto subordinata-

Nella maggior parte dei casi la norma di riconoscimento non viene dichiarata ma la sua esistenza "si manifesta" nel modo in cui vengono individuate le norme particolari. La norma di riconoscimento di un ordinamento giuridico è come la regolare del punteggio di un gioco. Nel corso di un gioco, la regola generale che definisce le azioni che portano a ottenere un punto viene raramente formulata: invece essa è usata dall'arbitro e dai giocatori per individuare le particolari fasi del gioco che conducono alla vittoria.

Coloro che usano tali norme in questo modo manifestano la loro accettazione di esse come norma guida.

Possiamo distinguere due tipi di affermazioni:

INTERNA. "il diritto dice che." perché manifesta il punto di vista interno ed è usata naturalmente da chi, accettando la norma di riconoscimento e senza affermare il fatto che essa viene accettata, la applica nel riconoscere come valida una qualche norma dell'ordinamento. Punto di vista di coloro che usano le norme come criteri di valutazione del comportamento proprio e di quello degli altri.s

ESTERNA. "in quel paese riconoscono come diritto.."

Dire che una norma è valida significa riconoscere che essa ha superato tutte le prove stabilite dalla norma di riconoscimento, e che è quindi una norma dell'ordinamento.

Una norma è VALIDA se soddisfa tutti i criteri stabiliti dalla norma di riconoscimento.

 





Se per efficacia si intende il fatto che una norma giuridica che impone un certo comportamento viene obbedita più spesso di quanto non venga disobbedita, risulta chiaro che non vi è nessuna connessione necessaria tra la validità di una norma particolare e la sua efficacia, a meno che la norma di riconoscimento dell'ordinamento non contenga tra i suoi criteri, come avviene qualche volta, la disposizione che nessuna norma deve essere considerata appartenente a quell'ordinamento se ha da lungo tempo cessato di essere efficace (norma della desuetudine).

Chi fa un'affermazione interna sulla validità di una particolare norma dell'ordinamento presuppone la verità dell'affermazione esterna relativa al fatto che l'ordinamento è in generale efficace. Sarebbe tuttavia errato dire che le affermazioni di validità "significano" che l'ordinamento è in generale efficace.

Asserire la validità di una norma significa predire che sarà applicata dai tribunali o che verrà intrapresa qualche azione pubblica (teoria della predizione). Il motivo per sostenere la teoria della predizione consiste nella convinzione che questo è il solo mezzo per evitare interpretazioni metafisiche, quasi che non ci fossero che queste due alternative: o l'affermazione che una norma è valida deve attribuire qualche misteriosa proprietà che non può essere scoperta con mezzi empirici oppure essa deve essere una predizione del comportamento futuro dei funzionari. Asserire la validità di una norma significa predire che essa sarà applicata dai tribunali o che verrà intrapresa qualche altra azione pubblica. Il motivo per sostenere la teoria della predizione consiste nella convinzione che questo è il solo pezzo per evitare interpretazioni metafisiche, quasi che non ci fossero che queste due alternative: o l'affermazione che una norma è valida deve attribuire qualche misteriosa proprietà che non può essere scoperta con mezzi empirici oppure essa deve essere una predizione del comportamento futuro dei funzionari.

Le affermazioni del giudice (decisioni giudiziarie) sono asserzioni interne che evidenziano la validità della norma, con le quali si riconosce che la norma soddisfa le condizioni poste per l'individuazione di quello che deve essere considerato come diritto nel suo tribunale, e non è una profezia ma una parte del motivo della sua decisione.

La norma di riconoscimento che stabilisce i criteri in base ai quali viene asserita la validità delle altre norme dell'ordinamento è, in un senso importante, che cercheremo di chiarire, una norma definitiva, e dove, come di consueto, vi sono parecchi criteri posti in ordine relativamente gerarchico, uno di questi è supremo.

Un criterio di validità giuridica o di determinazione delle fonti del diritto è supremo se le norme individuate in base ad esso vengono riconosciute come norme dell'ordinamento, anche se sono in conflitto con norme individuate mediante un riferimento ad altri criteri, mentre queste ultime non vengono riconosciute come tali se contrastano con le norme individuate con un riferimento al criterio supremo. I concetti di criterio superiore e supremo si riferiscono soltanto a una posizione relativa in una graduatoria e non comportano la nozione di potere legislativo giuridicamente illimitato. Nelle forme più semplici di ordinamento giuridico i concetti di norma definitiva di riconoscimento, criterio supremo e legislatore giuridicamente illimitato, sembrano convergere. Infatti, dove vi è un potere legislativo non sottoposto ad alcun limite costituzionale e legittimato a privare della natura giuridica, con i propri provvedimenti, tutte le altre norme provenienti da altre fonti, in un simile ordinamento la norma di riconoscimento contiene la disposizione secondo cui i provvedimenti presi dal potere legislativo costituiscono il supremo criterio di validità.

Il miglior modo di comprendere il significato in cui la norma di riconoscimento è la norma definitiva di un ordinamento è quello di seguire una linea di ragionamento giuridico assai familiare.

Alcuni scrittori, che hanno sottolineato il carattere giuridico definitivo della norma di riconoscimento, lo hanno fatto dicendo che, mentre la validità giuridica delle altre norme dell'ordinamento può essere dimostrata in riferimento ad essa, la sua validità non può essere dimostrata ma soltanto essere "assunta" o "postulata", o è una "ipotesi". È importante distinguere tra l' "assumere la validità" e il "presupporre l'esistenza" di una norma. Nell'ordinamento semplice, costituito da norme primarie, l'asserzione che una data norma esiste può essere soltanto un'affermazione esterna di fatto quale un osservatore potrebbe compiere e verificare accertando se, di fatto, un dato tipo di comportamento sia o meno accettato come criterio da seguire e sia o meno accompagnato da quelle caratteristiche che distinguono una norma sociale da una mera concordanza di abitudini.

L'affermazione che una norma esiste può ora non essere più quello che era nel semplice caso delle norme consuetudinarie: un'affermazione esterna del fatto che un certo tipo di comportamento è in pratica generalmente accettato come criterio da seguire. Ora può essere un'affermazione interna che applica una norma di riconoscimento accettata ma non espressa e che significa nulla di più che la norma è "valida dati i criteri di validità dell'ordinamento". La norma di riconoscimento è diversa dalle altre norme dell'ordinamento. L'asserzione che essa esiste può essere soltanto un'osservazione fattuale esterna. Infatti, mentre una norma inferiore dell'ordinamento può essere valida e, in questo senso, "esistere", anche se viene generalmente disobbedita, la norma di riconoscimento esiste soltanto come una prassi complessa, ma di solito concorde, dei tribunali, dei funzionari e dei privati, di individuazione del diritto in riferimento a certi criteri. La sua esistenza è una questione di fatto.


NUOVI PROBLEMI

Una volta abbandonata l'idea che il fondamento di un ordinamento giuridico consista in un'abitudine ad obbedire a un sovrano giuridicamente illimitato, e sostituita a questa la concezione di una norma di riconoscimento definitiva che stabilisce il criterio di validità delle norme di un ordinamento, ci si presenta una serie di problemi importanti.

La prima difficoltà è quella della classificazione, infatti la norma che viene usata per individuare il diritto sfugge alle categorie convenzionali usate per descrivere un ordinamento giuridico.

Una delle opinioni diffuse è quella che alla base degli ordinamenti giuridici vi è qualcosa che "non è diritto", che è "pregiuridico", "metagiuridico", o che è semplicemente un fatto "politico". l'argomento in favore dell'attribuzione del termine "giuridica" alla norma di riconoscimento consiste nel fatto che la norma la quale stabilisce i criteri per l'individuazione delle altre norme dell'ordinamento può essere benissimo considerata un elemento della definizione di ordinamento giuridico.

Una seconda serie di problemi sorge dalla nascosta complessità e dalla imprecisione dell'affermazione che un ordinamento giuridico esiste in un dato paese o in un dato gruppo sociale. Un modo per rendersi conto di questa complessità consiste nel vedere in che punto la semplice formula austiniana di una generale abitudine ad obbedire agli ordini non rende o altera i fatti complessi che costituiscono le condizioni minime di esistenza da soddisfare perché una società possa avere un ordinamento giuridico. La relazione con il diritto di cui qui si tratta può venire chiamata "obbedienza" soltanto se questo termine viene esteso al di là del suo uso normale in modo da non poter più caratterizzare e dare informazioni su queste attività. In nessuno dei comuni significati del termine "obbedire" si può dire che i legislatori obbediscono quando, nell'emanare leggi, si adeguano alle norme che attribuiscono loro il potere legislativo, tranne naturalmente quando le norme che attribuiscono tali poteri sono rinforzate da altre norme che impongono il dovere di seguirle. Né la parola "obbedire" rende esattamente ciò che i giudici fanno quando applicano la norma di riconoscimento dell'ordinamento e riconoscono una legge come una norma valida e la usano per decidere le cause.

Viene fatto naturale di reagire al fallimento dei tentativi di spiegazione del significato dell'esistenza di un ordinamento giuridico, attuati attraverso il richiamo al concetto piacevolmente semplice dell'obbedienza abituale, che è in verità caratteristico della relazione del cittadino ordinario con il diritto compiendo l'errore opposto. Si potrebbe benissimo dire che nel semplice mondo di Rex I vi era qualcosa di più di una mera obbedienza abituale alla sua parola da parte della massa della popolazione. Potrebbe ben darsi il caso che ivi sia la popolazione sia i funzionari dell'ordinamento "accettano", nello stesso modo esplicito e consapevole, una norma di riconoscimento che qualifica la parola di Rex come il criterio della validità del diritto per l'intera società, anche se i cittadini e funzionari adempiono diverse funzioni e hanno diverse relazioni con le norme giuridiche individuate mediante tale criterio. Ma proprio perché un ordinamento giuridico è un'unione complessa di norme primarie e secondarie, la prova di questo fatto non è il realtà tutto quello di cui abbiamo bisogno per descrivere le relazioni con il diritto che sono implicite nell'esistenza di un ordinamento giuridico. Questa deve venire integrata da una descrizione della relazione rilevante tra i funzionari dell'ordinamento e le norme secondarie che li riguardano in quanto funzionari. Ma proprio la semplice nozione di obbedienza generale, che era adatta a caratterizzare l'elemento minimo e indispensabile nel caso dei comuni cittadini, si rivela inadeguata. Non si tratta, o non si tratta soltanto, della argomentazione linguistica, secondo cui il termine "obbedienza" non viene normalmente usato in riferimento al modo in cui queste norme secondarie vengono rispettate in quanto tali dai tribunali o da altri funzionari. Ciò che rende il termine "obbedienza" fuorviante come descrizione dell'atto che i legislatori compiono quando si conformano alle norme che attribuiscono il loro potere, è il fatto che l'obbedienza a una norma non implica necessariamente l'idea, da parte di chi obbedisce, che ciò che egli fa sia la cosa che si deve fare, da parte sua e degli altri: egli non deve avere necessariamente l'idea che il suo atto costituisce l'osservanza di un criterio di condotta valido anche per gli altri membri del gruppo sociale. Non è necessario che egli consideri il proprio comportamento conforme alla norma come "giusto", "corretto" o "obbligatorio". Il suo atteggiamento, in altre parole, non ha necessariamente quel carattere critico che è presente quando vengono accettate delle norme sociali e quando certi tipi di comportamento vengono considerati come criteri generali di condotta. Egli può considerare la norma soltanto come qualcosa che esige che egli compia un certo atto sotto minaccia di sanzione: il soggetto potrà ritenere di obbedire per paura delle conseguenze, o per inerzia, senza ritenere di essere soggetto, o che gli altri siano soggetti, a un obbligo di compiere questa azione. Questo rapporto meramente personale con le norme, che è tutto quello che il privato cittadino può avere nell'obbedire ad esse, non può caratterizzare l'atteggiamento dei tribunali nei confronti delle norme con cui essi operano in quanto tribunali. I singoli tribunali dell'ordinamento, per quanto possano deviare da queste norme, devono in generale avere un atteggiamento critico verso queste deviazioni.

Vi sono due condizioni minime necessarie e sufficienti per l'esistenza di un ordinamento giuridico:

Devono essere obbedite le norme ritenute valide in base a criteri definitivi di validità dell'ordinamento.

Tali norme che stabiliscono i criteri di validità giuridica e le sue norme di mutamento e giudizio devono essere accettate come criteri comuni e pubblici del comportamento ufficiale, da parte dei funzionari.

La prima condizione è la sola che i cittadini privati devono necessariamente soddisfare. La seconda è quella che deve essere soddisfatta dai funzionari dell'ordinamento. Essi devono considerare le norme come dei criteri comuni di comportamento ufficiale e valutare criticamente le variazioni proprie e di altri come errori.

L'affermazione che un ordinamento giuridico esiste è perciò un'asserzione bifronte che è rivolta sia all'obbedienza dei privati cittadini sia all'accettazione da parte dei funzionari delle norme secondarie come criteri comuni di giudizio del comportamento ufficiale. Tale dualismo è soltanto il riflesso del carattere complesso dell'ordinamento giuridico, confrontato con una forma pre-giuridica di struttura sociale, più semplice e decentrata formata solo da norme primarie. Nella struttura più semplice, dato che non vi sono funzionari, le norme devono essere ampiamente accettate come norme che pongono criteri di valutazione per il comportamento del gruppo. Ma nel caso in cui vi sia un'unione di norme primarie e secondarie, il modo più fruttuoso di considerare un ordinamento giuridico, l'accettazione delle norme come criteri comuni per il gruppo può essere separata dalla questione, relativamente passiva, dell'acquiescenza delle norme che il cittadino privato attua obbedendo soltanto per conto suo.


LA PATOLOGIA DI UN ORDINAMENTO GIUIDICO

Un ordinamento giuridico esiste quando vi è convergenza di diritto pubblico e privato nelle loro rispettive relazioni tipiche con il diritto, ossia quando le norme riconosciute valide al livello dei funzionari sono generalmente obbedite.

 
La prova dell'esistenza di un ordinamento giuridico (corrispondenza tra settore pubblico e privato) deve perciò essere trattata da due diversi settori della vita sociale. Esiste un ordinamento giuridico quando risulta chiaro che i due settori convergono nelle loro rispettive relazioni tipiche con il diritto. Presentata semplicemente, questa situazione si avvera quando le norme riconosciute come valide al livello dei funzionari sono generalmente obbedite.




La "rivoluzione", quando vengono sollevate contrarie pretese di governare dall'intero gruppo, è soltanto un caso, e benché implichi sempre la violazione di alcune delle forme dell'ordinamento esistente, essa può portare soltanto la sostituzione giuridicamente non autorizzata di un nuovo gruppo di individui al governo, e non una costruzione o un nuovo ordinamento giuridico. Certamente, se vi è qualche fondata possibilità di restaurazione o sei turbamento dell'ordine stabilito è un episodio di una guerra generale il cui esito è ancora incerto, non si potrebbe giustificare l'affermazione incondizionata che l'ordinamento ha cessato di esistere.

Naturalmente possono sorgere dei problemi difficili quanto a tali interruzioni segue il ristabilimento delle normali relazioni tra i tribunali e la popolazione. Un governo che ritorna dall'esilio dopo l'espulsione delle forze occupanti o la sconfitta di un governo ribelle ne è un esempio: in questo caso sorge la questione relativa a ciò che era o non era "diritto" in quel territorio durante il periodo di interruzione. Qui è assai importante rendersi conto che questa può non essere una questione di fatto. Se una questione di fatto dovrebbe essere risolta chiedendosi se l'interruzione è stata così lunga e completa da doversi dire che l'ordinamento originario ha cessato di esistere e che è stato stabilito un ordinamento simile a quello vecchio, di ritorno dall'esilio. La questione può essere presentata come una questione di diritto internazionale, o, in modo un po' paradossale, come una questione di diritto nell'ambito dell'ordinamento giuridico esistente dal momento della restaurazione.


Formalismo e scetticismo sulle norme

LA STRUTTURA APERTA DEL DIRITTO

In ogni ampio gruppo di norme il principale strumento di controllo sociale deve consistere in norme generali, criteri e principi, e non in direttive particolari rivolte separatamente a ogni individuo. Il diritto deve riferirsi in modo prevalente a classi di persone, di atti, cose o circostanze.

Si sono usati due espedienti principali, a prima vista molto diversi tra loro, per comunicare tali criteri di condotta prima delle successive situazioni in cui devono essere applicati. Il primo è esemplificato da ciò che chiamiamo la legislazione e il secondo dal precedente. Per avviarci all'uso giuridico del precedente dobbiamo supporre che un soggetto consideri sé stesso e sia considerato da altri come una persona che accetta i criteri tradizionali di condotta e non ne introduce di nuovi. La comunicazione per via di esempio (es. ecco, questo, cioè toglierti il cappello, è quello che devi fare prima di entrare in chiesa) in tutte le sue forme può lasciare aperta una serie di possibilità, e perciò di dubbi. In contrasto con l'indeterminatezza della comunicazione per via d'esempi, la comunicazione di criteri generali di condotta per mezzo di esplicite forme linguistiche di carattere generale sembra chiara, attendibile e certa, le caratteristiche che devono essere prese come guida generale di condotta sono in questo caso riconosciute attraverso le parole.

La teoria del diritto di questo secolo è stata caratterizzata dalla graduale comprensione del fatto importante che la distinzione tra le incertezze della comunicazione per mezzo di esempi dati da autorità (precedente), e le certezze della comunicazione per mezzo del linguaggio generale dotato di autorità (legislazione) è assai meno stabili di quanto possa apparire da questa ingenua contrapposizione. Anche quando si usano norme generali formulate verbalmente possono saltare fuori in particolari casi concreti delle incertezze.

I canoni interpretativi non possono eliminare queste incertezze, benché possono diminuirle: infatti questi canoni sono essi stessi norme generali per l'uso del linguaggio e fanno uso di termini generali che richiedono a loro volta di essere interpretati. I casi normali, in cui non serve ricorrere all'interpretazione, sono soltanto quelli familiari. I termini generali sarebbero utili per noi come mezzo di comunicazione se non esistessero questi casi familiari, generalmente non soggetti a dubbi.

Nel caso delle norme giuridiche i criteri della rilevanza e della strettezza della somiglianza dipendono da molti fattori complessi che pervadono l'intero ordinamento giuridico e dagli scopi o dalla ratio che si possono attribuire alla norma. Qualunque mezzo, precedente o legislazione, venga scelto per la comunicazione di criteri di condotta, per quanto il loro effetto sulal grande massa dei casi ordinari sia regolare, si dimostreranno indeterminati (avranno cioè struttura aperta). Le lingue naturali hanno una struttura irrimediabilmente aperta.

È una caratteristica delle difficoltà umane il fatto che noi ci troviamo sotto l'influenza di due svantaggi tra loro connessi ogni volta che cerchiamo di regolare, in modo non ambiguo, e in anticipo, qualche sfera di condotta per mezzo di criteri generali che devono essere usati senza ulteriori direttive ufficiali in occasioni particolari. Il primo svantaggio è la nostra relativa non conoscenza dei fatti: il secondo è la relativa indeterminatezza dei nostri scopi.

I legislatori umani non possono avere una conoscenza assoluta di tutte le possibili combinazioni di circostanze che può portare il futuro. Questa incapacità di anticipazione porta con sé una relativa indeterminatezza di scopi. Quando noi osiamo foggiare qualche norma generale di condotta il linguaggio usato in questo contesto fissa delle condizioni necessarie che si devono soddisfare se si vuole essere entro il suo raggio di azione. Vi sono i casi paradigmatici e il nostro scopo nel legiferare è fino a questo punto determinato perché abbiamo fatto una scelta.

Diversi ordinamenti giuridici, o lo stesso ordinamento in tempi diversi, possono ignorare o riconoscere più o meno esplicitamente una simile necessità di un ulteriore esercizio della scelta nella applicazione di norme generali a casi particolari. Il difetto noto alla teoria giuridica come formalismo o concettualismo consiste in un atteggiamento di fronte a norma formulate verbalmente, consistente nel cercare sia di nascondere sia di minimizzare la necessità di una simile scelta, una volta che la norma generale sia stata posta.

L'esaurimento di questo processo è il "cielo dei concetti" dei giuristi: questo viene raggiunto quando si dà a un termine generale lo stesso significato non soltanto in ogni applicazione di una singola norma, ma ogni volta ce esso appare in una norma dell'ordinamento giuridico.

Tutti gli ordinamenti, in modi diversi, fanno un compromesso fra due bisogni sociali: la necessità di certe norme che possano, per ampie sfere di condotta, essere applicate sicuramente da individui a se stessi, senza una nuova guida ufficiale o senza un esame delle questioni sociali, e la necessità di lasciare aperte, per una successiva risoluzione ad opera di una scelta consapevole e ufficiale, delle questioni che possono essere bene valutate e sistemate soltanto quando sorgono in un caso concreto.

La teoria giuridica è portata o a ignorare o a esagerare l'indeterminatezza delle norme giuridiche. Per evitare questa oscillazione fra estremi abbiamo bisogno di ricordarci che l'incapacità umana di prevedere il futuro, che sta alla radice di questa indeterminatezza, varia di misura in diversi campi di condotta, e che gli ordinamenti giuridici provvedono a questa incapacità con una corrispondente varietà di tecniche. Al fine di regolare una data sfera di condotta il potere legislativo stabilisce criteri molto generali e poi delega a un organo amministrativo, che sia a conoscenza dei vari tipi di casi, il compito di foggiare norme adatte alle loro particolari esigenze.

Quando la sfera da controllare è tale che è impossibile riconoscere una classe di azioni specifiche che devono essere uniformemente compiute od omesse e farne l'oggetto di una semplice norma. In questo caso si possono usare nel diritto i comuni giudizi relativi a ciò che è "ragionevole". Questa tecnica lascia agli individui il compito, soggetto a una supervisione da parte dei tribunali, di soppesare e fare una ragionevole scelta fra le esigenze sociali che sorgono in varie forme che non si possono prevedere. In questo caso si richiede loro di conformarsi a un criterio variabile prima che questo sia stato ufficialmente definito, ed essi possono apprendere da un tribunale soltanto ex post facto, quando lo abbiano violato, qual è, in termini di specifiche azioni e omissioni, il criterio di condotta che si esige da loro. L'esempio più noto di questa tecnica nel diritto anglo-americano è l'uso del criterio della doverosa diligenza (due care) nei casi di colpa. Sanzioni civili, e meno frequentemente sanzioni penali, possono essere inflitte a coloro che non esercita una ragionevole diligenza per evitare di cagionare danni fisici agli altri.

Ciò a cui tendiamo nell'applicazione dei criteri di doverosa diligenza è la garanzia:

Che vengano prese precauzioni per evitare un danno sostanziale

Che le precauzioni siano tali che il loro peso, quando non siano adatte , non implichi un sacrificio troppo grande di altri interessi degni di tutela.

Il nostro scopo di proteggere le persone contro i danni è indeterminato finché non lo poniamo in connessione con, o non lo verifichiamo sulla base delle possibilità che solo l'esperienza ci può offrire: quando questa ce le offre, allora ci troviamo di fronte a una decisione che, una volta fatta, renderà il nostro scopo determinato pro tanto. Certi atti, eventi o situazioni riconoscibili hanno per noi tale importanza pratica, come cose da evitare o da attuare, da rendere assai limitato il numero delle circostanze concomitanti che ci spingono a considerarle in modo diverso. Questo carattere di prevalenza di certi atti, eventi o situazioni facilmente individuabili può essere, in un certo senso, convenzionale o artificiale. La comunicazione di norme generali per mezzo di esempi dotati di autorità porta con sé un'indeterminatezza di un tipo più complesso. Il riconoscimento del precedente come criterio di validità giuridica ha un diverso significato in ordinamenti diversi, e nello ordinamento in epoche diverse.

Ogni onesta descrizione dell'uso del precedente nel diritto inglese deve lasciare un certo spazio per le seguenti coppie di fatti contrastanti:

In primo luogo non vi è un unico metodo per determinare la norma rispetto alla quale un dato precedente ha autorità vincolante per i giudici futuri. Nonostante questo, nella grande maggioranza dei casi decisi vi sono molti pochi dubbi. La massima è di solito abbastanza corretta.

In secondo luogo,non è possibile estrarre dai casi un'unica formulazione corretta o dotata di autorità della norma.

In terzo luogo, qualunque carattere di autorità possa avere una norma estratta da un precedente, essa è compatibile con l'esercizio, da parte dei tribunali che sono vincolati ad essa, dei due tipi seguenti di attività creativa o legislativa. Da un lato i tribunali nel decidere un caso successivo possono raggiungere una decisione opposta a quella contenuta nel precedente, restringendo la norma tratta dal precedente, e ammettendo qualche eccezione prima non considerata, o, se considerata, lasciata aperta. Questo processo di distinzione dal caso precedente implica il ritrovamento di qualche differenza giuridicamente rilevante tra quello e il caso precedente. D'altra parte, nel seguire un antico precedente, i tribunali possono respingere una restrizione trovata nella norma così come formulata nel caso precedente, per il fatto che essa non è stabilita da nessuna legge o precedente più antico. Fare questo significa allargare la norma (interpretazione estensiva).

Il risultato del sistema inglese dei precedenti è stato quello di produrre, mediante il suo uso, un corpo di norme, molte delle quali, sia di importanza maggiore che minore, sono determinate come qualsiasi legge scritta. Esse possono essere oggi modificate solo tramite legge. La struttura aperta del diritto significa che vi sono, in realtà, delle sfere di condotta in cui deve essere lasciato molto spazio all'attività dei tribunali e dei funzionari che decidono, alla luce delle circostanze, tra interessi in conflitto che variano di importanza di caso in caso. La vita del diritto consiste in larga misura nella guida che sia sui funzionari sia sui cittadini privati viene esercitata da norme determinate che, a differenza delle applicazioni di criteri variabili, non richiedono da loro un nuovo giudizio di caso in caso.

Al margine delle norme e negli spazi lasciati aperti dalla teoria dei precedenti, i tribunali esercitano una funzione normativa che, al centro delle norme, viene compiuta dagli organi amministrativi nell'elaborazione di criteri di condotta variabili. In un ordinamento in cui il principio dello stare decisis è stabilmente riconosciuto, questa funzione dei tribunali è molto simile all'esercizio di poteri legislativi delegati da parte di un organo amministrativo.


VARIETA' DI SCETTICISMO DELLE NORME

In ogni ordinamento giuridico viene lasciato un ampio e importante spazio all'esercizio della discrezionalità da parte dei tribunali e di altri funzionari nella determinazione di criteri inizialmente vaghi, nel chiarimento delle ambiguità delle leggi, nello sviluppo e nella determinazione di norme trasmesse soltanto in modo generico per via dei precedenti dotati di autorità. Tuttavia queste attività, per quanto siano importanti e non siano state sufficientemente studiate, non devono mascherare il fatto che sia la cornice in cui hanno fatto luogo sia il loro principale risultato finale sono costituiti da norme generali. Si tratta di norme la cui applicazione può essere provveduta dai singoli stessi di caso in caso, senza un ulteriore ricorso a una direttiva o alla discrezionalità dei funzionari.

Lo scetticismo sulle norme, o la tesi secondo cui il discorso in termini di norme è un mito, che nasconde la verità che il diritto consiste semplicemente nelle sentenze dei tribunali e nella predizione di queste, può avere un potente richiamo sul candore dei giuristi. Questa tesi è certamente del tutto incoerente: infatti l'affermazione che vi sono delle sentenze dei tribunali non è compatibile con l'assoluta negazione dell'esistenza delle norme. L'esistenza di un tribunale implica l'esistenza di norme secondarie che attribuiscono la giurisdizione a una successione mutevole di individui e in tal modo attribuiscono autorità alle loro decisioni. In una comunità di persone che comprendono le nozioni di sentenza e di predizione di una sentenza, ma non la nozione di norma, mancherebbe il concetto di sentenza dotata di autorità e con esso il concetto stesso di tribunale. Qualche versione più moderata della teoria può concedere che se vi devono essere tribunali devono esservi delle norme giuridiche che li costituiscono. Un'affermazione caratteristica di questo tipo  di teoria è che le leggi, finché non vengano applicate dai tribunali, non sono diritto ma soltanto fonti del diritto, e questa è incompatibile con l'asserzione che le sole norme esistenti sono quelle che si richiedono per stabilire i tribunali. Vi devono essere anche delle norme secondarie che attribuiscono poteri legislativi a successioni mutevoli di individui. Infatti questa teoria non nega che esistano leggi: in realtà essa le designa come mere "fonti" del diritto, e nega soltanto che le leggi costituiscano diritto prima di essere applicate dai tribunali.

Le norme giuridiche operano nella loro vita non soltanto come abitudini o come base per la predizione delle sentenze dei tribunali o degli atti di altri funzionari, ma come criteri giuridici di comportamento che sono accettati. Essi non soltanto compiono con sufficiente regolarità ciò che il diritto esige da loro, ma considerano questo come un criterio giuridico di comportamento, gli si riferiscono nel criticare gli altri, e nel giustificare delle pretese, o nel riconoscere legittime delle critiche o delle richieste fatte da altri. Nell'usare le norme giuridiche in questo modo normativo essi partono dal presupposto che i tribunali e gli altri funzionari continueranno a decidere e a comportarsi in certi modi regolari e perciò prevedibili, in base alle norme dell'ordinamento: ma è certamente un fatto verificabile dalla vita sociale che i cittadini non si limitano al punto di vista esterno, a registrare o predire le sentenze dei tribunali e la probabile incidenza delle sanzioni.

Abbiamo precedentemente considerato la tesi secondo cui i termini normativi come "obbligo" non indicano nulla più di una predizione del comportamento di funzionari. Se quella tesi è falsa, le norme giuridiche funzionano in quanto tali nella vita sociale: esse vengono usate come norme come norme, non come descrizioni di abitudini o come predizioni. Senza dubbio esse sono norme con una struttura aperta, e nei punti in cui la struttura è aperta i cittadini possono soltanto predire in che senso decideranno i tribunali e adattare il proprio comportamento in conseguenza. È falso e senza senso considerare i giudici come soggetti essi stessi alle norme o "obbligati" a decidere le controversie nel modo in cui lo fanno. Lo scettico sulle norme è talvolta un assolutista deluso: egli ha scoperto che le norme non sono tutto quello che sarebbero nel cielo dei formalisti, o in un mondo in cui li uomini fossero simili a dei e potessero prevedere tutte le possibili combinazioni di fatto, e in cui quindi la struttura aperta non fosse una caratteristica necessaria delle norme. La concezione dello scettico sul significato dell'esistenza di una norma può essere così un ideale irraggiungibile, e quando egli scopre che questo non è raggiunto da quelle che chiamiamo norme, egli esprime il proprio disappunto con l'affermazione che non esistono, o non possono esistere, delle norme. Così il fatto che le norme, dalle quali i giudici sostengono di essere vincolati nella decisione di una controversia, hanno una struttura aperta, o contengono delle eccezioni non specificabili in anticipo in modo esauriente, sono spesso usati per sostenere la tesi scettica. Questi fatti vengono messi in evidenza per mostrare che "le norme sono importanti in quanto vi aiutano a predire le azioni dei giudici. In tutto ciò sta la loro importanza, tranne che come graziosi giocattoli".

Sostenere questo significa ignorare che cosa siano realmente le norme in ogni sfera della vita sociale, il dilemma che si presenta è "o le norme sono ciò che sarebbero nel cielo dei formalisti e vincolano come delle catene, oppure non esistono norme ma solo delle decisioni prevedibili o dei modelli di comportamento".

Molto spesso quando una persona accetta una norma come obbligatoria o come qualcosa che essa e gli altri non sono liberi di mutare, può capitare che essa si accorga in modo del tutto intuitivo dell'atto richiesto in una data situazione, e che lo compia senza prima pensare alla norma. Il più importante dei fattori che mostrano che nell'agire abbiamo applicato una norma è quello per cui se il nostro comportamento viene criticato siamo disposti a giustificarlo riferendoci a una norma: e la veridicità della nostra accettazione della norma può manifestarsi non soltanto nel nostro riconoscimento generale, passato e successivo, della norma stessa e del nostro adeguamento ad essa, ma anche nella nostra critica delle deviazioni da essa, compiuta da noi o da altri.

È possibile che in una data società, i giudici possono sempre raggiungere subito le loro decisioni per via intuitiva o "in modo istintivo", e poi meramente scegliere da una lista di norme giuridiche una norma che essi pretendono assomigli al caso in esame: essi potrebbero allora sostenere che questa era la norma che essi consideravano come quella che imponeva la loro decisione, anche se null'altro nei loro atti o nelle loro parole mostrava che la consideravano come una norma per loro vincolante.

L'ultimo tipo si scetticismo sulle norme non si basa sul carattere aperto delle norme giuridiche o sul carattere intuitivo delle sentenze ma sul fatto che la sentenza ha una posizione unica in quanto in qualche modo dotata di autorità, e, nel caso delle corti supreme, definitiva. Gray (the nature and sources of law): "certamente il legislatore è, sotto tutti i rapporti, colui che ha l'assoluta autorità di interpretare leggi scritte ok orali, e non colui che per la prima volta le ha scritte o pronunciate".

Forme di scetticismo, basate su:

Carattere aperto delle norme;

Carattere intuitivo delle sentenze;

Fatto che la sentenza ha una posizione unica in quanto dotata di autorità, e, nel caso delle corti supreme, definitiva.

 








DEFINITIVITA' E INFALLIBILITA' DELLA SCENTENZA

Appare pedante la distinzione nel caso delle sentenze di un tribunale supremo tra la loro definitività e loro infallibilità ("il diritto, o la costituzione, è ciò che è dichiarato tale dai tribunali").

L'aspetto più interessante e istruttivo di questa forma della teoria in esame è lo sfruttamento che essa opera dell'ambiguità di espressioni come "il diritto (o la costituzione) è ciò che è dichiarato tale dai tribunali". Come i mutamenti da un regime di norme consuetudinarie a un ordinamento giuridico progredito, l'aggiunta al gioco di norme secondarie che istituiscono un arbitro le cui decisioni sono definitive, porta nel sistema un nuovo tipo di affermazioni interne. È chiaro che i vantaggi di una risoluzione veloce e definitiva delle controversie vengano ottenuti a un certo prezzo. Si possono prendere delle disposizioni per correggere le decisioni di un terzo (esempio dell'arbitro, gioco della discrezionalità dell'arbitro) mediante un appello a un'autorità superiore: ma si deve terminare a un certo punto con un giudizio definitivo, dotato di autorità, che sarà dato da esseri umani fallibili. È impossibile provvedere con una norma alla correzione della violazione di ogni norma. In ogni norma è compreso inoltre un nucleo di significato fisso (es. la regola del punteggio) in base al quale giudicare correttamente.

La struttura aperta del diritto lascia ai tribunali un potere normativo molto ampio e importante. Quali siano le decisioni dei tribunali, sia in materie che rientrano in questa parte della norma che appare chiara a tutti, sia in materie che stanno nel margine aperto a discussioni, esse rimangono valide finché non vengono modificate per mezzo della legislazione; e nei riguardi dell'interpretazione di quest'ultima, i tribunali avranno di nuovo l'ultima parola dotata di autorità.

" La costituzione (o il diritto) è ciò che è dichiarato tale dai giudici", se viene interpretata come una negazione di questa distinzione, è una posizione falsa. In ogni dato momento i giudici, anche quelli di una corte suprema, sono organi di un ordinamento le norme del quale sono sufficientemente determinate nella parte centrale per offrire dei criteri per una corretta pronuncia giudiziale. Queste norme sono considerate dai tribunali come qualche cosa che essi non sono liberi di trascurare nell'esercizio della loro autorità di pronunciare quelle sentenze che nell'ambito dell'ordinamento non possono essere soggette a discussione. Tali criteri non potrebbero in verità continuare a esistere se la maggior parte dei giudici del tempo non aderisse ad essi, dato che la loro esistenza in ogni dato momento consiste semplicemente nell'accettazione e nell'uso di essi come criteri di giudizio corretto. L'adesione del giudice è necessaria per conservare questi criteri, ma il giudice non li crea. È possibile naturalmente, che dietro lo schermo delle norme che attribuiscono alle sentenze autorità definitiva i giudici si accordino per rifiutare le norme esistenti e per cessare di considerare perfino le più chiare leggi emanate dal Parlamento come norme che impongono dei limiti alle loro decisioni.

Nessuna norma può essere garantita contro la violazione o il rifiuto e se un numero sufficiente di persone viola o rifiuta le norme per un periodo di tempo sufficientemente lungo, allora tali norme cessano di esistere.

Ultima considerazione relativa alla teoria dello scetticismo sulle norme, i tribunali considerano le norme giuridiche non come predizioni, ma come principi che si devono seguire nella decisione, determinati in modo sufficiente, nonostante la loro struttura aperta, per limitare, se non per escludere la loro discrezionalità.


INCERTEZZA DELLA NORMA DI RICONOSCIMENTO

L'incertezza della norma di riconoscimento e perciò dei criteri definitivi usati dai tribunali nel riconoscere le norme giuridiche valide. La distinzione tra l'incertezza di una norma particolare, e l'incertezza del criterio usato per riconoscere questa come una norma dell'ordinamento è sempre chiara. Le parole di una legge e le sue prescrizioni per un caso particolare possono essere perfettamente chiare: tuttavia possono esservi dei dubbi relativi al potere dell'organo legislativo di legiferare in questo modo. Qualche volta la soluzione di questi dubbi richiede soltanto l'interpretazione di un'altra norma giuridica che ha conferito il potere legislativo, e la validità di questa può non essere in questione. Nella enorme maggioranza dei casi la frase "Ogni provvedimento emanato dal Parlamento costituisce diritto" è una formulazione adeguata della norma sulla competenza normativa del Parlamento, e viene accettata come un criterio definitivo per l'individuazione del diritto, per quanto le norme così individuate possano essere aperte ai loro margini. Sotto l'influenza della dottrina austiniana secondo la quale il diritto è essenzialmente il prodotto di una volontà giuridica illimitata, alcuni più antichi studiosi del diritto costituzionale hanno considerato una necessità logica l'esistenza di un potere legislativo sovrano, nel senso che sia libero, in ogni momento della sua esistenza come organo permanente, non solo da limiti giuridici imposti ab extra, ma anche dalla propria precedente legislativa.

Principio che potrebbe meritare il nome di "sovranità", secondo cui il Parlamento, invece di essere incapace di limitare in modo irrevocabile la competenza legislativa dei suoi successori, dovrebbe possedere questo potere di autolimitazione. L'esigenza che in ogni momento della sua esistenza il Parlamento sia libero da limiti giuridici, compresi quelli imposti da lui stesso, è, dopo tutto, soltanto un'interpretazione dell'ambiguo concetto di onnipotenza giuridica. Si tratta in effetti di una scelta tra un'onnipotenza permanente in tutte le materie che non toccano la competenza legislativa dei parlamenti successivi e un'onnipotenza illimitata riguardante se stesso.

La norma accettata attualmente è quella della sovranità permanente, così che il Parlamento non può proteggere le proprie leggi dall'abrogazione. Si ammette in base alla norma attuale che il Parlamento non possa con una legge sottrarre irrevocabilmente qualunque oggetto dall'ambito della legislazione futura del Parlamento.

Esso non può vincolare irrevocabilmente i suoi successori: infatti ciò che esso fa non è tanto vincolare i successori, quanto eliminarli in rapporto a certe questioni e trasferire i loro poteri legislativi in relazione a queste questioni al nuovo organo speciale. Così si può dire che, in rapporto a queste questioni speciali, il Parlamento non ha "obbligato" o "vincolato" il Parlamento stesso o diminuito la sua onnipotenza permanente, ma ha "ridefinito" i concetti di Parlamento e di procedimento legislativo.

La proposizione "la costituzione è quella che è dichiarata tale dai giudici" non significa soltanto che le particolari sentenze dei tribunali supremi non possono essere impugnate. Benché qualsiasi norma possa essere dubbia in qualche punto, è certamente una condizione necessaria dell'esistenza in un ordinamento giuridico il fatto che non tutte le norme siano aperte al dubbio in tutti i punti.

Un tipo di errore "formalistico" può essere forse proprio quello di pensare che ogni misura presa da un tribunale sia coperta da qualche norma generale che attribuisce in anticipo l'autorità di prenderla, così che i suoi poteri creativi siano sempre una porta di potere legislativo delegato.

Dove sono in gioco questioni sociali meno vitali può venire "inghiottita" una quantità molto sorprendente di attività normativa giudiziale riguardante proprio le fonti del diritto. Dove succede questo, si dirà spesso retrospettivamente, e potrà realmente sembrare, che vi era sempre un potere "insito" nei tribunali di fare quello che fanno.

L'elaborazione da parte dei tribunali inglesi delle norme che riguardano la forza vincolante dei precedenti riceve una descrizione più onesta se la si presenta in questo modo, come un tentativo riuscito di assumere dei poteri e di usarli. Qui il potere acquista autorità ex posto facto mediante la riuscita.





Privacy




Articolo informazione


Hits: 33031
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI

luca-61720
direi fatto bene vorrei sapere se ci sono anche gli ultimi 3 capitoli



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024