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L'AZIENDA E LA SUA CIRCOLAZIONE

giurisprudenza



L'AZIENDA E LA SUA CIRCOLAZIONE


Nel linguaggio comune questo termine viene utilizzato come sinonimo di impresa, ma nel linguaggio giuridico l'azienda è una cosa diversa dall'impresa.


IMPRESA = attività economica svolta dall'imprenditore, che presenta le caratteristiche di cui all'art. 2082.


AZIENDA - art. 2555 - E' il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.


Quindi, l'azienda è il complesso di beni, e di rappor 818b12i ti, che costituisce lo strumento mediante il quale l'imprenditore esercita la sua attività imprenditoriale.



Per esercitare la sua attività imprenditoriale, l'imprenditore ha la necessità di organizzare beni e rapporti giuridici: mettere insieme l'organizzazione materiale (mediante macchinari) e l'organizzazione di persone (rapporti di lavoro, rapporti di collaborazione, ecc.).

Dal punto di vista economico l'azienda presenta una caratteristica: l'azienda viene considerata come una sorta di bene unitario, perché ha un valore, dato dall'organizzazione, che prescinde dal valore economico dei singoli componenti.

Questo valore economico dell'azienda, che deriva dal fatto di essere un complesso di beni organizzato all'esercizio dell'impresa, viene chiamato AVVIAMENTO. Si dice che l'avviamento è una qualità dell'azienda che esprime la sua capacità di reddito futuro.

Per il fatto stesso di essere una struttura organizzata al fine dello svolgimento di un'attività imprenditoriale, l'azienda esprime un plusvalore (avviamento) che è rappresentato proprio dal fatto di essere in grado di produrre reddito futuro.

Comunque l'avviamento è una qualità immateriale dell'azienda, che dal punto di vista economico assume spesso un valore determinante: spesso ci troviamo di fronte ad aziende in cui il valore dei beni materiali e dei rapporti giuridici è magari modesto e il valore di avviamento è altissimo, proprio perché, pur attraverso un'organizzazione di componenti economicamente di scarso rilievo, è stato in grado di produrre reddito elevato.

Dal punto di vista economico l'azienda viene considerata un bene unitario, in cui ciò che assume rilievo determinante è il fatto che si tratta di un patrimonio in cui è stato impresso un vincolo di destinazione all'esercizio dell'impresa, che è ciò che consente a quel complesso di beni di creare reddito (profitto futuro).

Un'altra caratteristica dell'azienda è il fatto che l'azienda può anche essere composta da complessi di beni che non sono di proprietà dell'imprenditore, perché, ad esempio, il luogo dove si svolge l'attività è un locale in affitto o in locazione, oppure in beni strumentali sono in parte in leasing.

Ciò che connota l'azienda, non è tanto il fatto di essere un complesso di beni di proprietà dell'imprenditore, ma di essere un complesso di beni che l'imprenditore organizza al fine dell'esercizio dell'impresa, che possono non essere di proprietà dell'imprenditore, ma essere solo nella sua disponibilità in base ad un contratto.

Gli artt. 2555/ss. c.c. sono norme che sono dettate essenzialmente per disciplinare il fenomeno del trasferimento dell'azienda e, nel regolare la circolazione dell'azienda, il legislatore si è dovuto porre una serie di problemi, tra cui anche quello di come conciliare la disciplina della circolazione dei beni e dei contratti, con l'esigenza del mantenimento di questa unità economica. Occorre individuare una disciplina che consenta di far sì che, quando l'azienda viene ceduta da un imprenditore ad un altro, venga mantenuta questo vincolo di destinazione all'esercizio dell'impresa, perché altrimenti si rischia di disgregare l'azienda, quindi di non consentire all'imprenditore cedente di realizzare il valore di avviamento dell'azienda stessa.

Ci sono due teorie contrapposte:

La prima ritiene che, giuridicamente, l'azienda debba considerarsi come un unico bene sui generis ed equiparato all'universalità di beni.

(teoria atomistica) Sostiene che l'azienda, anche se economicamente è una sorta di bene unitario, dal punto di vista giuridico è semplicemente un complesso di beni distinti, che sono soltanto tra loro legati dal vincolo di destinazione, ma restano beni tra loro distinti. Questa teoria trova un supporto in una norma di legge - ART. 2556, il quale occupandosi della forma del contratto di cessione dell'azienda, stabilisce il principio per cui non è richiesta ai fini della validità della cessione dell'azienda una forma specifica, salvo che questa non sia richiesta dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda, o per la particolare natura del contratto. Ecco allora che i sostenitori di questi tesi trovano in questa norma la prova provata che il legislatore considera l'azienda non come un bene unico, ma come un complesso di beni, tanto è vero che ai fini della legge di circolazione e della forma richiesta per il trasferimento, fa riferimento ai singoli beni che compongono l'azienda.


Fingiamo, però, che queste due teorie non esistano, perché sono prive di qualsiasi fondamento.

ART. 2556 - Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda, o per la particolare natura del contratto.

I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.


Leggendo questo secondo comma si potrebbe ritenere che per il trasferimento di un'azienda occorre l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata, che devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese.

In realtà non è così: i contratti sono perfettamente validi, anche se non sono fatti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, perché la regola generale per quanto riguarda la validità del contratto è quella per cui ai fini della validità non è richiesta nessuna forma particolare, salvo quella richiesta dai singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto.

La L. 310/93 ha introdotto alcune disposizioni del nostro codice civile con l'intento di realizzare una forma di pubblicità dei trasferimenti delle ricchezze legate all'attività imprenditoriale. Lo scopo perseguito è quello di ricostruire vicende che possono attenere a riciclare il denaro sporco. Uno dei sistemi con cui si ricicla il denaro sporco è l'investimento in attività produttive, del tutto illegittime: questo avviene in gran parte acquisendo aziende da operanti.

Ecco allora che il legislatore si è preoccupato di imporre una forma di pubblicità si realizza stabilendo che c'è un obbligo a carico di chi effettua il trasferimento di un'azienda, di redigere il contratto nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, e di dare pubblicità al trasferimento mediante il deposito nel registro delle imprese.

Questo obbligo, però, non incide sulla validità del contratto: il contratto è perfettamente valido anche se non è stato redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata e se non è stato iscritto nel registro delle imprese.





EFFETTI DEL TRASFERIMENTO DI AZIENDA

Quando viene trasferita un'azienda si ha una situazione molto diversa rispetto a quella che si ha quando viene trasferito un singolo bene, perché all'azienda fanno capo, ad esempio, una serie di rapporti contrattuali.

Quindi, il primo problema che si pone è quello della sorte di questi contratti: quando si trasferisce un'azienda, questi contratti seguono l'azienda, oppure no?

Prima di vedere in che modo il legislatore risolve questo problema, bisogna fare una ulteriore precisazione. La disciplina relativa agli effetti del trasferimento dell'azienda presuppone che quella che viene trasferita sia un'azienda: questa disciplina scatta soltanto quando si è in presenza di un trasferimento che sia qualificabile come trasferimento di azienda.

Da qui la necessità di fornire una definizione di trasferimento di azienda.

Si ha trasferimento di azienda in tutti i casi in cui il complesso di beni e di rapporti che viene ceduto sia tale da consentire la realizzazione del ciclo produttivo.

Può essere anche solo una parte dell'azienda originaria, ma deve essere comunque una parte autosufficiente, cioè in grado di realizzare completamente un ciclo di produzione.

Se quello che viene ceduto non è sufficiente per realizzare un ciclo di produzione, allora non possiamo parlare di trasferimento di azienda, ma di trasferimento di singoli beni.

Nella prassi il problema che si incontra più di frequente è il problema inverso: capita spesso che si facciano contratti di cessione di beni aziendali, quando in realtà ci troviamo di fronte a contratti di cessione di azienda. Questo succede per ragioni di carattere fiscale, perché il trasferimento di azienda vede applicata l'imposta di registro, nella quale si conta anche il valore di avviamento dell'azienda. Allora, quando si cerca di evitare l'imposta di registro, si può cercare di nascondere una cessione di azienda attraverso un contratto che viene denominato "contratto di cessione di beni aziendali", nel quale non si evidenzia il valore di avviamento, in modo tale da sottrarre quel contratto all'applicazione dell'imposta di registro.

Al di là di tutto questo, quanto è scritto sul contratto (la sua denominazione) non assume nessun rilievo: chi deve interpretare il contratto per individuare la disciplina applicabile non si deve fermare al nome che è stato dato dalle parti, ma deve andare a verificare qual è il contenuto effettivo del contratto. Se il contenuto effettivo si traduce nel trasferimento di un complesso di beni o di servizi, siamo di fronte ad un trasferimento di azienda, qualunque sia la denominazione data dalle parti.

Una volta chiarito cos'è il trasferimento di azienda, vediamo quali sono gli effetti che ne conseguono.

EFFETTI SUI CONTRATTI RELATIVI ALL'AZIENDA CEDUTA


ART. 2558 - Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.





PRINCIPIO DELLA SUCCESSIONE DEI CONTRATTI


La regola è un ingresso automatico dell'acquirente dell'azienda nei contratti relativi all'azienda ceduta. Unica eccezione riguarda i contratti aventi carattere personale.

La regola fissata riguardo alla cessione del contratto stabilisce che non si può cedere il contratto senza il consenso dell'altro contraente.

In questo caso, però, la regola della cessione del contratto non si applica, ma vale una regola opposta.

Per i contratti relativi all'azienda, quando viene ceduta l'azienda, la successione dei contratti è automatica: non bisogna chiedere il consenso dei contraenti.

Perché in questo caso la disciplina che si applica è diversa rispetto a quella della cessione del contratto?

La ragione di questa diversa disciplina è che se si dovesse applicare la regola generale prevista dal diritto comune, non si riuscirebbe a trasferire l'azienda, perché bisognerebbe ogni volta chiedere il permesso a tutti i contraenti ceduti.

In questo modo non si viene a pregiudicare l'interesse dei terzi contraenti?

Questo è senz'altro vero. Il legislatore ha cercato di parificare l'esigenza di favorire le attività imprenditoriali e gli interessi individuali di coloro che hanno stipulato un rapporto contrattuale con l'imprenditore. Nello stesso tempo, però, si è anche preoccupato di stabilire una qualche forma di tutela nei confronti del contraente ceduto:

ART. 2558/2° c. - Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante.

La tutela è rappresentata dalla possibilità, per il terzo, di esercitare il diritto di recesso dal contratto, che può essere esercitato nel termine di tre mesi dalla notizia del trasferimento, ma che comunque può essere esercitato solo in presenza di una giusta causa (ad esempio, rappresentata dal fatto che il subentro del nuovo imprenditore non offre garanzie sufficienti di solvibilità). Ma non è facile per il terzo contraente dimostrare che il suo recesso è avvenuto in presenza di una giusta causa.

Comunque, si tratta di una disciplina a conservare il più possibile l'unitarietà del contratto aziendale, sacrificando l'interesse di coloro che hanno posto in essere rapporti contrattuali con l'imprenditore.

Il principio della successione automatica dei contratti non vale per quei contratti che hanno carattere personale. Questa formulazione viene interpretata dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti in modo molto restrittivo: quello che si vuole salvaguardare è la ratio della norma, volta a tutelare l'unitarietà del complesso aziendale.

Con l'espressione "contratti aventi carattere personale", ci riferiamo, quindi, a quei contratti in cui l'elemento di carattere personale è stato assolutamente determinante ai fini della stipulazione del contratto, anche se poi si discute se debba essere stato assolutamente determinante dal punto di vista dell'imprenditore, o assolutamente determinante dal punto di vista del terzo contraente. Sono, perciò, i contratti in cui il profilo di carattere fiduciario basato sulle caratteristiche personali del soggetto, ha una preminenza assoluta nella scelta del contraente: sono, ad esempio, i contratti con il professionista del precedente imprenditore (avvocato o commercialista del precedente imprenditore). In questi contratti l'elemento di carattere personale incide in maniera determinante con la scelta del contraente.

La legge fa salvo il patto contrario, cioè consente alle parti di regolare diversamente le norme di successione del contratto, per esempio escludendo che determinati contratti si trasferiscano. Dato che la successione è prevista nell'interesse dell'acquirente, affinché questi possa subentrare nei contratti relativi all'azienda ceduta, si consente all'acquirente di convenire con l'alienante qualcosa di diverso quando la scelta dell'interesse sia tale per cui chi acquista non è interessato a subentrare nei contratti.

Questa libertà di escludere la successione dei contratti non è però assoluta, nel senso che non possono essere esclusi dalla cessione quei contratti che sono essenziali affinché l'azienda sia in grado di svolgere il suo ciclo produttivo, altrimenti quel contratto non sarebbe più un contratto di trasferimento di azienda: esempio, non si può cedere un'azienda alberghiera escludendo il sub-ingresso del contratto di locazione dell'immobile in cui l'attività viene svolta, perché altrimenti quell'azienda non è in grado di svolgere la sua attività alberghiera.





CREDITI RELATIVI ALL'AZIENDA CEDUTA

ART. 2559 - La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante.


Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un'eccezione rispetto alle norme generali.

La disciplina generale in tema di cessione del credito dice che la cessione del credito, tra le parti, è perfettamente valida ed efficace, senza la necessità del debitore ceduto; ma perché la cessione sia efficace verso il debitore ceduto, deve essergli notificata o deve essere da questi accettata. Se cedente e cessionario si accordano per la cessione, ma poi non notificano al debitore ceduto l'avvenuta cessione, il debitore ceduto è legittimato a pagare al cedente e il suo pagamento è liberatorio. Inoltre, in ogni caso la cessione del credito ha effetto nei confronti dei terzi, solo se è stata notificata al debitore o se è stata da questi accettata, con atto avente data certa = opponibilità nei confronti dei creditori del cedente.

In questo caso, invece, per rendere efficace nei confronti dei terzi la cessione dei crediti non è necessario notificare al debitore ceduto con atto avente data certa: è sufficiente l'iscrizione nel registro delle imprese della cessione dell'azienda.

Chi acquista l'azienda, per evitare di avere problemi con gli eventuali creditori dell'alienante dell'azienda, relativamente ai crediti ceduti, secondo le norme di diritto comune dovrebbe notificare a tutti i debitori ceduti l'avvenuta cessione dell'azienda e l'avvenuta cessione del credito, cosa che è impensabile, perché sarebbe una cosa estremamente complicata.

Allora la legge viene in aiuto all'acquirente dell'azienda, perché gli consente di rendere opponibili i crediti che derivano dalla cessione dell'azienda semplicemente iscrivendo nel registro delle imprese l'avvenuta cessione dell'azienda.

L'iscrizione nel registro delle imprese sostituisce, ai fini dell'opponibilità ai terzi, la notifica al debitore ceduto o l'accettazione da parte del debitore ceduto.

Chi acquista, quindi, viene favorito nel poter opporre l'avvenuta cessione ai terzi. Però, per i singoli debitori ceduti, il fatto che sia stata iscritta nel registro delle imprese la cessione dell'azienda, non è un elemento che consente l'acquisizione della conoscenza in ordine al fatto che è cambiato il titolare: allora il legislatore si è anche preoccupato di tutelare i debitori ceduti. Se il debitore ceduto, non avendo saputo che è intervenuta la cessione dell'azienda, paga il proprio credito al cedente, il suo pagamento è valido e lui è liberato.







DEBITI RELATIVI ALL'AZIENDA CEDUTA


ART. 2560 - L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.

Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori


L'alienazione dell'azienda non comporta liberazione dai debiti per l'imprenditore alienante: se i creditori consentono alla liberazione, però, è ovvio che l'imprenditore alienante può essere liberato dai suoi debiti antecedenti alla cessione.

Il secondo comma della norma sta a significare che la cessione dell'azienda determina un accollo, da parte dell'acquirente, per i debiti relativi all'azienda ceduta. L'accollo non è liberatorio, ma è un accollo cumulativo, perché l'alienante non è liberato.

Il legislatore si è preoccupato del fatto che, se la responsabilità dei debiti relativi all'azienda fosse rimasta unicamente in capo all'alienante, si sarebbe potuto utilizzare un'operazione di cessione di azienda come un'operazione di frode ai creditori.

In questo modo, il creditore dell'azienda, il cui credito sia sorto prima dell'alienazione dell'azienda, avrà di fronte due soggetti responsabili: potrà avvalersi nei confronti dell'imprenditore alienante, che non è liberato, e potrà avvalersi nei confronti dell'imprenditore acquirente, perché l'acquisto dell'azienda determina l'accollo del debito in capo all'imprenditore acquirente.

La responsabilità dell'imprenditore acquirente viene limitata ai soli debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, per tutelare lo stesso imprenditore acquirente. I debiti che risultano dalle scritture contabili sono debiti di cui lui può accertare l'esistenza: se ci sono debiti che non sono stati contabilizzati, non si può fare carico all'acquirente dell'azienda della responsabilità di debiti della cui esistenza non può venire a conoscenza.

DIVIETO DI CONCORRENZA


ART. 2557 - Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova imprese che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanza sia idonea a sviare le clientela dell'azienda ceduta.

Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale all'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.


L'alienazione di azienda comporta, come conseguenza, che l'imprenditore alienante si deve astenere dall'iniziare un'attività imprenditoriale che in relazione all'oggetto, al luogo o ad altre circostanze, sia in grado di sviare la clientela dell'azienda ceduta.

Ciò che viene tutelato è l'interesse dell'imprenditore acquirente a poter fruire di quell'avviamento per cui ha pagato il prezzo. Avviamento che verrebbe completamente svuotato se l'imprenditore alienante avesse la possibilità, una volta ceduta l'azienda, di aprirne un'altra immediatamente.

L'acquirente può pretendere anche di estendere il divieto di concorrenza a limiti più ampi rispetto a quelli stabiliti nel primo comma di questo articolo: il patto di astenersi dalla concorrenza è valido, purché non impedisca ogni attività professionale all'alienante.

E' giusto tutelare l'acquirente nel suo interesse alla fruizione dell'avviamento, ma non fino al punto di impedire all'alienante di svolgere qualsiasi attività professionale.

La durata quinquennale non è derogabile: non si può prevedere un patto che abbia una durata superiore a cinque anni.

Questa disposizione si ricollega all' ART. 2596 - Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni.

A proposito del divieto di concorrenza si è posto un problema: si può invocare l'art. 2557 per sostenere che chi ha venduto l'azienda, attraverso la vendita della società, è tenuto al divieto di concorrenza?

La ratio dell'art. 2557 dovrebbe indurre a dire che anche in questo caso si dovrebbe avere divieto di concorrenza; però la legge prevede il divieto di concorrenza solo in caso di vendita dell'azienda, e non anche in caso di vendita della società.

Fino a due anni fa la giurisprudenza si era sempre espressa in senso negativo, cioè sostenendo che l'art. 2557 non è suscettibile di applicazione analogica al caso di vendita delle quote di partecipazione di una società.

Recentemente la corte di cassazione ha sostenuto che quando la questione delle quote di partecipazione di una società equivale economicamente alla cessione di un'azienda, in particolare quando nel determinare il valore delle quote si è tenuto conto del valore di avviamento dell'azienda, allora trova applicazione l'art. 2557, quindi i soci alienanti sono tenuti al divieto di concorrenza.



Fino ad ora abbiamo sempre parlato di trasferimento dell'azienda: però, l'azienda può essere oggetto anche di diritti di godimento. Non solo è possibile trasferire la proprietà dell'azienda, ma è anche possibile farne oggetto di diritto di godimento, sia di un diritto reale di godimento (usufrutto), sia di un diritto obbligatorio (personale di godimento - affitto - art. 1615).

Quindi, l'azienda può essere oggetto sia di usufrutto, sia di affitto.

Cosa cambia quando, anziché esserci il trasferimento della proprietà, c'è la concessione in godimento dell'azienda?

Per quello che riguarda la successione dei contratti non cambia nulla: le norme in tema di successione del contratto si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario o nei confronti dell'affittuario dell'azienda, per la durata del godimento dell'azienda.

Lo stesso vale per quello che riguarda la disciplina dei crediti relativi all'azienda ceduta.

Non trova applicazione la disciplina relativa ai debiti dell'azienda ceduta: in particolare non si applica all'usufruttuario e all'affittuario la norma che dice che chi acquista l'azienda diventa responsabile dei debiti. La responsabilità dei debiti non c'è in caso di usufrutto o di affitto, perché la proprietà rimane comunque in capo al proprietario, o comunque a colui che ha concesso il godimento dell'azienda, quindi non si pone il problema di tutelare i terzi accollando il debito all'acquirente.

Specificamente in tema di usufrutto e di affitto vengono progettate alcune disposizioni, in cui la più significativa è costituita dal fatto che si impone all'usufruttuario (ma anche all'affittuario) di gestire l'azienda senza modificare la destinazione e in modo tale da conservare l'efficienza dell'organizzazione degli impianti e le normali dotazioni di scorte (art. 2561/2° c.). Se non adempie a tale obbligo, l'usufruttuario incorre nella sanzione prevista dall'art. 1015, cioè la cessazione per abuso del suo diritto; mentre per l'affittuario costituisce un grave inadempimento che consente la risoluzione del contratto per inadempimento.


IMPUTAZIONE DELL'ATTIVITA' DI IMPRESA



L'imputazione dell'attività di impresa consente di individuare il soggetto che è tenuto alle obbligazioni contratte nell'esercizio dell' impresa e che sopporta i rischi di natura patrimoniale connessi all'attività d'impresa, compresa la possibilità di essere assoggettato a fallimento, o alle altre procedure concorsuali.

Una regola rispetto alla quale non ci sono motivi di dissenso è sicuramente che il rischio d'impresa (di attività imprenditoriale) è imputabile al soggetto che direttamente la svolge, o al soggetto in nome e per conto del quale l'attività viene è svolta (rappresentante).



E' possibile che un minore eserciti l'attività di impresa?

Sì, perché lo prevede espressamente la legge (art. 320), che parlando del minore e della rappresentanza del minore da parte dei genitori dice che il minore può essere autorizzato dal tribunale a continuare l'esercizio di un'impresa (a continuare, non ad iniziare). L'ipotesi è che il genitore, imprenditore, muore e lascia in eredità al figlio l'azienda: quando ci siano ragioni di convenienza, che dovrà valutare il tribunale, può essere opportuno che l'attività venga continuata.

Ad esercitare effettivamente l'attività sarà il tutore del minore, che agisce in nome e per conto dell'imprenditore (minore).

Stessa cosa avviene per l'interdetto.

Sia il minore che l'interdetto, poi, subiranno anche le conseguenze dell'attività svolta.

Le norme in tema di incapacità prevedono anche la possibilità che l'inabilitato possa svolgere attività di impresa, come anche il minore emancipato. Però, il minore emancipato può anche iniziare l'attività di impresa, mentre tutti gli altri possono solo continuare tale attività.



Può essere considerato imprenditore, quindi può essergli imputato il rischio di impresa, anche colui che non è mai comparso come tale nei confronti dei terzi?

Questo è il caso dell' IMPRENDITORE OCCULTO

(v. pag. 30 - Simone).

La legge (fallimentare) coinvolge nel rischio di impresa e nella procedura fallimentare anche il socio il cui vincolo sociale non sia stato esteriorizzato.

La giurisprudenza applica l'art. 147 l.f. anche ad una fattispecie che non è esattamente quella descritta dalla norma, ma ritiene che la norma sia applicabile anche ad una situazione nella quale di fronte ai terzi non compare una società, ma un imprenditore individuale.

(vedi pagg. 86/97 - vol. I - Campobasso).






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