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Scopi della Comunità Europea - Il principio della competenza d'attribuzione

diritto



Scopi della Comunità Europea


L'art 2 definisce gli obiettivi che la Comunità è chiamata a promuovere e gli strumenti di cui essa dispone a tal fine.




OBIETTIVI DELLA COMUNITÁ EUROPEA

Il numero degli obiettivi è aumentato dai 5 iniziali agli attuali 9.

Tra i primi 5 prevalevano obiettivi dalla caratterizzazione economica:

  1. sviluppo armonioso delle attività economiche;
  2. espansione continua ed equilibrata;
  3. stabilità accresciuta;
  4. miglioramento del tenore di vita.

Le modifiche apportate dall' art 2 hanno aumentato l'importanza degli obiettivi di tipo ambientale e sociale.

L'aumento degli obiettivi non economici è stato giudicato tale da giustificare il mutamento stesso dell'originaria denominazione della Comunità da Comunità economica europea a Comunità europea.

L'art I - 3 della Costituzione definisce gli obiettivi dell'Unione:

obiettivi di carattere economico,soc 929f59j iale, ambientale e culturale; politica commerciale ed estera;

indica gli obiettivi principali attraverso cui gli obiettivi interni vanno realizzati.


STRUMENTI

Nella versione originaria, tali strumenti erano soltanto due:

  1. l'instaurazione di un mercato comune;
  2. graduale ravvicinamento delle politiche economiche: questo è stato sostituito da un nuovo e più avanzato strumento consistente nell'instaurazione di un'unione economica e monetaria.

È stato inserito nell'art. 2 anche un terzo strumento, consistente nell'attuazione delle politiche e azioni comuni:le azioni e politiche previste sin dall'inizio hanno caratterizzazione economica; esse comportano:

   libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;

   3 politiche comuni ( politica commerciale comune, politica comune nei settori dell'agricoltura e della pesca, politica comune nel settore dei trasporti);

   Un regime di libera concorrenza;

   Il riavvicinamento delle legislazioni nazionali.

L'unica azione di natura sociale prevista sin dall'origine è quella che si riferisce a una politica nel settore sociale comprendente un Fondo sociale europeo.

Completano il quadro alcune nuove azioni e politiche di tipo economico come il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria, la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico e l'incentivazione della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee.

Alle azioni e politiche previste dall'art. 3, si aggiungono quelle contemplate dall'art. 4 che si riferiscono più direttamente all'instaurazione di un'unione economica e monetaria.


Il principio della competenza d'attribuzione

principio della competenza d'attribuzione: La Comunità può intervenire soltanto nei settori in cui ciò sia contemplato dal Trattato e soltanto per gli obiettivi che il Trattato stesso indica.

la Comunità può essere considerata competente quando l'esercizio di un certo potere risulti indispensabile per l'esercizio di un potere espressamente previsto ovvero per il raggiungimento degli obiettivi dell'ente ( teoria dei poteri impliciti).

Art 308:Nuovi poteri della Comunità: consentirle di intervenire in settori non menzionati espressamente dal Trattato:

l'adozione di interventi nel campo monetario ed economico,

in quello della protezione dell'ambiente,

della politica regionale,

della ricerca e dello sviluppo tecnologico,

della politica industriale,

della politica energetica

della tutela dei consumatori

Una limitazione al ricorso dell'art. 308 è derivata dall'introduzione del principio di sussidiarietà

I vari tipi di competenza comunitaria

COMPETENZE ESCLUSIVE: in questo settore, la competenza degli Stati membri è preclusa anche qualora la competenza comunitaria non sia stata ancora esercitata pienamente. Gli interventi degli Stati membri hanno carattere transitorio e debbono essere autorizzati dalla Comunità.

COMPETENZE CONCORRENTI: in questo settore, almeno inizialmente, Comunità e Stati membri possono ciascuno esercitare i propri poteri.

COMPETENZE di COORDINAMENTO, di SOSTEGNO o di COMPLEMENTO: in  taluni settori, viene precisato che la competenza deve essere esercitata in parallelo con la competenza degli Stati membri, attraverso azioni destinate a sostenere, coordinare o integrare quelle degli Stati membri e senza che la competenza comunitaria possa sostituirsi a quella degli Stati membri.


Il principio di proporzionalità


ha la funzione di tutelare gli Stati membri da interventi comunitari di portata ingiustificatamente ampia.

Bisogna distinguere tra PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÁ e PRINCIPIO GENERALE DI PROPORZIONALITÁ:

il principio generale di proporzionalità si è inizialmente affermato come strumento di protezione dei singoli nei confronti delle istituzioni comunitarie ovvero delle autorità degli Stati membri, quando queste ultime agiscono in un settore retto dal diritto comunitario. Il principio esige infatti che i sacrifici e le limitazioni di libertà imposti ai singoli non eccedano quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici da perseguire;

il principio di proporzionalità riguarda il rapporto tra le competenze comunitarie e quelle degli Stati membri e costituisce una garanzia per questi ultimi.



Diritti e dovere del cittadino europeo

non esistono articoli che specifichino i doveri dei cittadini dell'Unione, mentre per quanto riguarda i diritti, essi hanno natura eterogenea:


   DIRITTI DI MOBILITÁ: legati alla circolazione del cittadino all'interno dell'Unione o in Paesi terzi. Tra questi diritti, rientrano:

DIRITTO DI CIRCOLAZIONE;

DIRITTO DI SOGGIORNO;

   DIRITTI POLITICI: attengono alla partecipazione del cittadino alla vita politica dell'Unione e degli Stati membri e ai suoi rapporti con le istituzioni.


Mercato comune e mercato interno


Manca una definizione di MERCATO COMUNE.

MERCATO COMUME: Il mercato comune viene gradualmente instaurato attraverso l'attuazione delle azioni e delle politiche elencate nell'art. 3, ma non è detto che l'attuazione di tutte le azioni e di tutte le politiche basti a rendere il mercato comune sufficientemente simile ad un mercato interno: per il raggiungimento di questo ulteriore traguardo dipende dal contenuto e dall'intensità di tali azioni e di tali politiche.

MERCATO INTERNO: viene richiamato come metro di paragone e di confronto, nel quale l'aggettivo "interno" sottintende un implicito riferimento alla realtà di un mercato nazionale.


L'Unione doganale


L'Unione doganale assume un'importanza centrale ai fini della realizzazione del mercato comune.

UNIONE DOGANALE: la sostituzione di un solo territorio doganale a due o più territori doganali.

I dazi doganali tra gli Stati membri, tanto all'importazione, quanto all'esportazione, sono interamente soppressi, così come lo sono le tasse d'effetto equivalente.

Per quanto riguarda le regolamentazioni commerciali restrittive vanno ricordati gli artt. 28 e successivi, che proibiscono tra gli Stati membri le restrizioni quantitative sia all'importazione che all'esportazione.

Tanto al divieto dei dazi doganali e tasse d'effetto equivalente, quanto quello delle restrizioni quantitative e misure d'effetto equivalente, si applicano sia ai prodotti originari degli Stati membri che ai prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri.

Per quanto riguarda gli scambi con i paesi non appartenenti all'Unione doganale, l'art. 26 prevede la fissazione di una vera e propria tariffa doganale comune in sostituzione delle preesistenti tariffe nazionali.

LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

La disciplina della libera circolazione delle merci all'interno della Comunità è interamente contenuta nel Trattato:

art. 25 = vieta i dazi doganali e le tasse d'effetto equivalente fra gli Stati membri;

artt. 28 e 31 = vietano le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente tra gli Stati membri;

art. 90 = relativo alle "imposizioni interne" , svolge una funzione complementare rispetti alle norme sull'abolizione dei dazi doganali.

Tutte le norme richiamate prevedono a carico degli Stati membri divieti assoluti.


Il divieto di dazi doganali e tasse d'effetto equivalente


Il motivo per cui, nell'ambito doganale, i dazi doganali sono aboliti è legato agli effetti che dazi del genere producono: la loro riscossione provoca un aumento del costo dei prodotti importati o esportati che ne sono colpiti e favorisce tali prodotti rispetto alle merci nazionali corrispondenti che, non dovendo transitare attraverso la frontiera, ne sono esenti.

Quanto alla portata del divieto, occorre ricordare che esso si applica soltanto negli scambi di merci tra gli Stati membri e riguarda perciò tanto le merci originarie degli Stati membri quanto i prodotti originari di Stati terzi, una volta che siano stati immessi in libera pratica nel territorio di uno Stato membro ma non i prodotti importati direttamente dal di fuori della Comunità.

Lo scopo del divieto è di impedire che l'effetto liberatorio derivante dalla soppressione dei dazi doganali possa essere frustrato, consentendo agli Stati membri di percepire sulle merci importate prelievi fiscali che hanno gli stessi effetti di un vero e proprio dazio doganale.

Il divieto di tasse d'effetto equivalente serve a rendere più piena la portata del divieto principale, il divieto di dazi doganali.


Il divieto di imposizioni interne discriminatorie o protezionistiche


Lo scopo della norma è:

Riconoscere che ciascuno Stato membro può tassare i prodotti provenienti da altri Stati membri;

Limitare tale potere, vietando agli Stati membri di colpire i prodotti importati in maniera discriminatoria o protezionistica. (senza questa limitazione, la liberalizzazione degli scambi intracomunitari non sarebbe completa, visto che gli Stati membri potrebbero continuare ad ostacolare le importazioni attraverso lo strumento fiscale.

Esso riguarda dunque gli scambi tra Stati membri e si applica tanto ai tributi che determinano una discriminazione fiscale a danno dei prodotti importati, quanto a quelli che hanno lo stesso effetto riguardo a prodotti destinati all'esportazione rispetto a quelli destinati ad essere smerciati nel mercato dello Stato membro in questione.

Quanto alla nozione di imposizione interna, occorre distinguere un'imposizione interna da una tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale :

le tasse d'effetto equivalente sono vietate sic et simpliciter;

le imposizioni interne sono vietate nella misura in cui sono discriminatorie nei confronti dei prodotti importati o hanno effetti protezionistici in favore della produzione interna.

Di conseguenza una stessa tassa non può essere considerata, allo stesso tempo, come una tassa d'effetto equivalente e come un'imposizione interna.

Esiste una differenza anche tra tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale e un tributo interno:

la prima colpisce esclusivamente il prodotto importato in quanto tale;

il secondo grava ad un tempo sulle merci importate e su quelle nazionali.


Il divieto di restrizioni quantitative e misure d'effetto equivalente



Per quanto riguarda le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente, il Trattato ha previsto due distinte disposizioni:


I. vieta le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente all'importazione;

II. contiene un divieto formulato in termini assolutamente identici per quanto riguarda l'esportazione

Non è difficile definire cosa sia una restrizione quantitativa; la Corte ritiene che rientrano nella nozione di restrizione quantitativa:

  1. i provvedimenti di uno Stato membro che vietano del tutto l'importazione o l'esportazione di una certa merce;
  2. i provvedimenti che vietano l'importazione o l'esportazione di una merce oltre un certo quantitativo massimo

Più problematica è stata invece la definizione di ciò che deve intendersi per misura d'effetto equivalente:

MISURA: Copre qualsiasi atto o comportamento che sia riferibile ai pubblici poteri e dunque non a semplici privati.

EFFETTO EQUIVALENTE: Sono tutti quei provvedimenti di uno Stato membro che, indipendentemente dal tipo o dalla denominazione, producono lo stesso risultato.



LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

Art. 39 : definisce la libera circolazione delle persone:

viene assicurato ai lavoratori il diritto di svolgere un'attività di lavoro in uno qualsiasi degli Stati membri;

viene prevista l'abolizione di qualsiasi discriminazione a danno di tali lavoratori rispetto ai lavoratori "nazionali" dello Stato membro d'occupazione.

Art. 42: prevede quella che si può definire la libera circolazione delle prestazioni sociali: che comprende:

la possibilità per il lavoratore di ottenere il pagamento delle prestazioni sociali cui ha diritto in qualunque Stato membro,

il diritto ad ottenere il cumulo dei periodi assicurativi maturati nei diversi Stati membri in cui il lavoratore è stato occupato.

Quanto al principio del cumulo dei periodi assicurativi: in particolare, in merito alle prestazioni di vecchiaia o morte (pensioni), si introduce la proratizzazione: se, per assicurare ad un lavoratore il diritto ad una pensione è stato necessario ricorrere al cumulo (totalizzazione dei periodi assicurativi), la prestazione dovuta sarà costituita da una frazione della prestazione che sarebbe spettata al lavoratore se avesse maturato tutti i periodi assicurativi nello Stato dove ha sede l'istituzione debitrice calcolata in proporzione del periodo assicurativo effettivamente maturato nello Stato in questione.


I beneficiari della libera circolazione

I soggetti che possono usufruire della libera circolazione sono

i lavoratori subordinati: è necessario che essi possano essere considerati come migranti, nel senso che stiano esercitando i diritti compresi nella libera circolazione;

la libera circolazione può essere invocata anche da un ex lavoratore;

coloro che intraprendono gli studi universitari in un Stato membro diverso dal suo, dopo avervi svolto un 'attività lavorativa, esigendosi soltanto un qualche legale tra tale attività e gli studi.

In situazioni in cui il cittadino di uno Stato membro si rechi a lavorare in uno Stato membro diverso, le norme sulla libera circolazione possono talvolta essere invocate nei confronti del proprio Stato nazionale.

Ciò avviene quando il lavoratore, benché cittadino dello Stato membro nel cui territorio intende esercitare i diritti di libera circolazione, si ponga, rispetto a tale Stato in situazione corrispondente a quella di un lavoratore migrante, nel senso che abbia avuto esperienze lavorative o di formazione in un altro  Stato membro.


Il contenuto della libera circolazione dei lavoratori

La libertà di circolazione dei lavoratori ha un duplice contenuto:

al lavoratore sono attribuiti il diritto di accedere ad un'attività lavorativa subordinata in qualsiasi Stato membro diverso dal proprio, diritto cui si aggiungono una serie di diritti strumentali e complementari;

è previsto che il lavoratore non possa subire alcuna discriminazione rispetto ai lavoratori nazionali.

Diritti che spettano al lavoratore

a)   di rispondere ad offerte di lavoro effettive;

b)   di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

c)   di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;

d)   di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo avervi occupato un impiego;

e)   diritto di circolare liberamente sul territorio degli altri Stati membri e di prendervi dimora al fine di cercarvi un lavoro. La legislazione di ciascun Stato membro può soltanto fissare un periodo massimo di durata ragionevole, decorso il quale può essere imposto all' interessato di lasciare il territorio nazionale;

f) diritti sindacali e di partecipazione agli organi di rappresentanza dei lavoratori;

g)   diritto di alloggio;

h)   diritti riconosciuti a familiari del lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato in un altro Stato della comunità: trattasi, però,di diritti derivati,nel senso che ne è titolare il lavoratore. Tali diritti sorgono solo a condizione che il lavoratore eserciti la libera circolazione.

Art. 10 prevede diritto di ricongiungimento familiare: i familiari del lavoratore possono stabilirsi presso il loro congiunto qualunque sia la loro cittadinanza, si richiede però che il lavoratore disponga per la propria famiglia di un alloggio considerato normale nella regione in cui è occupato. Tale diritto spetta soltanto ai seguenti soggetti:

il coniuge(non include il partner dello stesso sesso,nemmeno qualora si tratti di unioni registrate)

i discendenti minori di anni 21 o a carico

gli ascendenti del lavoratore o del coniuge che siano a carico.


Il coniuge e i figli minori o a carico godono inoltre del diritto di accesso alle attività subordinate in condizioni a parità di rispetto ai cittadini nazionali, come ad es. studi

Il diritto a soggiornare nello Stato d'occupazione è comprovato da una carta di soggiorno di uno Stato membro della CEE  rilasciata per una durata di 5 anni(con possibilità di rinnovo),dietro esibizione di una dichiarazione di assunzione o attestato di lavoro. Essa non può essere ritirata per il solo fatto che il lavoratore è disoccupato quando ciò dipenda da incapacità temporanea al lavoro o infortunio o comunque trattasi di disoccupazione involontaria. In quest' ultimo caso la il rinnovo della carta di soggiorno può essere limitato a soli 12 mesi. In generale, ciascuno Stato membro conserva il diritto di adottare misure necessarie per essere informato della presenza sul proprio territorio di cittadini di altri Stati membri purchè si tratti di misure ragionevoli.



Le deroghe alla libera circolazione dei lavoratori

I diritti riguardanti il diritto all' ingresso e al soggiorno nello Stato d'occupazione, sono soggetti alle limitazioni giustificate da motivi:

ordine pubblico,

pubblica sicurezza;

sanità pubblica.

Nella misura in cui i datori di lavoro privati sono tenuti a rispettare la libera circolazione dei lavoratori, gli stessi possono anche invocare i motivi di deroga attinenti all' ordine pubblico,pubblica amministrazione e alla sanità pubblica. Quanto ai provvedimenti basati su motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza, essi devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo e non possono fondarsi né sulla solo esistenza di condanne penali né sulla scadenza del documento d'identità che ha permesso l'ingresso nel Paese ospitante e il rilascio del permesso di soggiorno. per poter invocare la clausola dell'ordine pubblico in relazione alla condanna penale, occorre l'esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave degli interessi della collettività. In particolare, il comportamento di uno straniero deve essere considerato nello stesso modo del comportamento di un cittadino dello Stato in questione.


Libera circolazione delle merci e monopoli pubblici


Al fine di liberalizzare la circolazione delle merci è stata istituita l'unione doganale, un accordo in base al quale alcuni Stati si impegnano a sopprimere reciprocamente qualsiasi barriera doganale e ad adottare, nei confronti dei paesi terzi, una tariffa doganale comune. Come conseguenza dell'unione doganale si è avuto la costituzione di un unico territorio doganale ai confini degli Stati membri e l'unificazione dei dazi doganali.

Con la completa realizzazione del mercato interno, l'attraversamento di una frontiera di uno Stato membro non è più un evento che dà necessariamente luogo ad un controllo delle merci in transito: ciò non significa che i controlli sono soppressi, ma che ora avvengono in modo non più sistematico. È stato uniformato anche il regime esistente per le merci destinate o importate da paesi terzi.

Per quanto riguarda le esportazioni, le formalità possono essere espletate in un ufficio doganale all'interno della comunità o direttamente alla frontiera, ricevendo una bolletta che consente l'uscita delle merci dal territorio comunitario.

Relativamente alle importazioni, sarà possibile pagare presso la dogana interna sia i dazi doganali che le imposte interne esistenti nel luogo di destinazione finale delle merci.

La libera circolazione delle merci ha introdotto il principio della non discriminazione fiscale, che vieta di variare la tassazione in base alla nazionalità di provenienza delle merci.


IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI.


Il Trattato pone agli artt. Da 43 a 48, per lo stabilimento e agli artt. Da 49 a 55, per i servizi, i principi di base dei due istituti:

il diritto di ogni cittadino di uno Stato membro di esercitare, sotto forma di stabilimento o prestazione di servizi, un' attività autonoma nel territorio di un altro Stato membro;

il principio del trattamento nazionale. Lo stesso Trattato prevede per i servizi, due categorie di possibili deroghe ai principi di base.

Art. 43 si limita a vietare le restrizioni alla libertà di stabilimento.

Art. 49 fa altrettanto per quanto riguarda le restrizioni alla libera prestazione di servizi.

Entrambi gli articoli sono dotati di efficacia diretta. In realtà la capacità di produrre effetti diretti era stata riconosciuta alla norme in esame gia nella loro versione originale.

È evidente che l'esercizio effettivo in settori del genere del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi richiede un certo coordinamento delle discipline nazionali in materia.

La distinzione tra stabilimento e prestazione di servizi.


diritto di stabilimento :il TCE prende in considerazione il caso del soggetto che intende stabilirsi, cioè esercitare stabilmente un'attività autonoma in un Stato membro in cui non era stabilito precedentemente.

libera prestazione di servizi : il TCE si riferisce alla possibilità che il soggetto presti la propria attività in un altro Stato diverso da quello in cui è stabilito, senza stabilirsi nello Stato della prestazione. Con lo sviluppo delle moderne tecnologie di comunicazione e di trasporto,la prestazione di attività non salariate può sempre più spesso essere effettuata senza la necessità che il prestatore si stabilisca nello Stato ove la prestazione avviene.

I beneficiari

Perché un soggetto possa beneficiare del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi non è necessario che egli abbia una cittadinanza diversa da quella dello Stato ove intende stabilirsi o eseguire la propria prestazione. È stato ritenuto che il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi vanno estesi ai cittadini di un determinato Stato membro" qualora questi, per il fatto di aver risieduto regolarmente nel territorio di un altro Stato membro e di avervi acquistato una qualificazione professionale.si trovino rispetto al loro Stato d'origine,in una situazione analoga ai soggetti che fruiscono dei diritti e delle libertà garantite dal diritto comunitario"

tra i beneficiari degli istituti in esame rientrano tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche e, in particolare, le società. Esse godono del diritto di stabilimento secondario, potendo esse aprire filiali o succursali in uno Stato diverso da quello della sede, ma non possono trasferire la propria sede legale.

In merito ai soggetti che possono beneficiare della libera prestazione, occorre accennare anche la categoria dei destinatari dei servizi che permette loro di recarsi in un altro stato membro per fruire di un servizio, senza essere impediti da restrizioni,anche in materia di pagamenti.


Il diritto di stabilimento

Sono 2 forme di stabilimento:

a)    il diritto di stabilimento vero e proprio, che si realizza quando un soggetto stabilisce in uno Stato membro diverso dal proprio, il suo unico centro d'attività (stabilimento primario);

b)    il diritto di aprire agenzie, succursali o filiali, che si realizza quando un soggetto, che ha già esercitato il diritto di stabilimento primario in un altro Stato membro, crea un ulteriore centro d'attività in un altro Stato membro (stabilimento secondario).

Stabilimento primario: La norma ha un doppio contenuto:

In primo luogo, essa conferisce ai cittadini di uno Stato membro il diritto di accesso alle attività non salariate nel territorio di un altro Stato membro,contemplando anche la possibilità che ciò avvenga attraverso la costituzione e la gestione di imprese o società di cui il soggetto interessato detenga il controllo; sotto tale profilo, l'art. 43 vieta qualsiasi normativa che impedisca ai cittadini di altri Stati membri di svolgere determinate attività non salariate ovvero le riservi a cittadini nazionali(clausole di nazionalità);

In secondo luogo, la norma definisce le condizioni d'esercizio che lo Stato membro dello stabilimento può imporre ai cittadini di altri Stati che intendono stabilirsi nel proprio territorio. Sotto tale profilo (condizioni d'esercizio del diritto di stabilimenti) l'art. 43 prescrive che cittadini di altro Stati possono svolgere un'attività non salariata con il rispetto delle stesse disposizioni normative applicabili ai cittadini dello Stato dello stabilimento. In questo modo viene consacrato il principio del trattamento nazionale con il conseguente divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità. Vi è violazione del principio del trattamento nazionale in presenza di disposizioni che assoggetto i cittadini di altri Stati a condizioni diverse o meno conveniente dei cittadini nazionali(discriminazione diretta o palese).

Il principio del trattamento nazionale è violato anche qualora la normativa di uno Stato membro,discrimini i cittadini di altri Stati,in quanto per questi risulta più difficile soddisfare i criteri d'applicazione della norma che non per i cittadini nazionali(discriminazione indiretta o occulta).

Il principio del trattamento nazionale può essere violato anche in presenza di norma applicabile tanto ai cittadini nazionali quanto a quelli di altri Stati membri, proprio perché trattati alla stessa stregua dei primi, siano di fatto sfavoriti(discriminazione materiale).

Stabilimento secondario: si può parlare ancora di doppio contenuto.

In primo luogo, l'art. 43 garantisce ai soggetti già stabiliti in uno Stato membro ove esercitano una determinata attività non salariata, il diritto di aprire,in un altro Stato membro, un'agenzia, una succursale, una filiale,ecc..(diritto di apertura);

In secondo luogo,l'art. 43, determina le relative condizioni di esercizio imponendo, come per il diritto di stabilimento primario, il principio del trattamento nazionale.


La libera prestazione di servizi

Artt. 48 e 50: anche in questo caso si trova un duplice contenuto.

da un lato, essa attribuisce al prestatore stabilito in uno Stato membro il diritto di esercizio temporaneo della propria attività nello Stato dove la prestazione è fornita, qualora i due Stati non coincidano; Sotto il primo profilo( diritto di esercizio temporaneo), gli articoli citati comportano non solo il divieto non soltanto delle clausole di nazionalità, ma soprattutto di quelle disposizioni presenti nelle legislazioni nazionali, le quali riservano l'esercizio di una determinata attività ai soggetti residenti o stabiliti sul territorio dello Stato in questione e, per converso, escludono dalla stessa attività i soggetto stabiliti all' estero( c.d. clausole di residenza o di stabilimento) come ad esempio l'obbligo  per i soggetti liberi prestatori d'iscrizione ad un albo professionale.

d' altro lato si definiscono le condizioni alle quali lo Stato della prestazione può subordinare l'esercizio di tale diritto facendo riferimento al principio del trattamento nazionale.

Sotto il secondo profilo (trattamento nazionale), occorre ricordare che gli artt.49 e 50 non impediscono ad uno stato membro di disciplinare l'esercizio nel proprio territorio di un' attività indipendente,sottoponendolo a determinate condizioni e restrizioni,quali, ad esempio, il possesso da parte del prestatore di una particolare qualifica professionale. La seconda parte dell'art. 50 stabilisce le condizioni d'esercizio applicabili in uno Stato diverso da quello della prestazione devono essere le stesse di quelle applicabili nei confronti dei cittadini di quest'ultimo Stato.

Nel campo dei servizi l'applicazione del principio del trattamento nazionale e del divieto di discriminazione sulla base della nazionalità ha dato vita a notevoli difficoltà interpretative ( discriminazione diretta o indiretta).


Normative nazionali indistintamente applicabili e ostacoli alla libera circolazione di beni e servizi. 


La libera circolazione delle persone e dei servizi garantita dagli artt. 39,43 e 49 non si esaurisce nel semplice divieto di discriminazione, ma comporta il divieto di applicare ai beneficiari di tale libertà normative che, benché indistintamente applicabili,abbiano l'effetto di ostacolare l'esercizio dei diritti compresi nella libera circolazione.

La corte ha pertanto scelto un approccio globale per individuare la presenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, tanto salariati quanto autonomi, o alla libera prestazione di servizi.

La corte considera che una normativa applicabile tanto ai prestatori stabiliti quanto a quelli agenti in regime di libera prestazione, può comportare una restrizione alla libera prestazione dei servizi vietata dall' art. 49. Si tratta delle norme che nello Stato della prestazione disciplinano l'esercizio di una certa attività professionale(c.d. normative professionali). Tali norme trovano applicazione tanto ai soggetti stabiliti quanto a quelli privi di stabilimento.

Occorre inoltre dimostrare che:

a)che le condizioni d'esercizio cui il prestatore è soggetto nel proprio Stato di stabilimento sono insufficienti a tutelare l'interesse pubblico in questione;

b) che le condizioni d' esercizio imposte dallo Stato della prestazione al prestatore non stabilito non eccedono quanto è necessario per garantire la protezione dell'interesse pubblico in causa


Le deroghe al diritto di stabilimento e alla libera prestazione di servizi

Non tutte le attività suscettibili di rientrare nella nozione di servizi possono essere oggetto di diritto di stabilimento o di libera prestazione di servizi. Il Trattato prevede infatti alcune eccezioni.

art. 45 giustifica l'esclusione dei cittadini di altri Stati membri da determinate professioni che costituiscono una partecipazione diretta e specifica all' esercizio dei pubblici poteri.

art. 46 si riferisce a provvedimenti restrittivi relativi a persone il cui accesso o soggiorno sul territorio nazionale costituirebbe un pericolo per l'ordine pubblico,la pubblica sicurezza e la sanità pubblica. Inoltre, nell'ambito dell'art. 46 non possono essere invocate considerazioni di ordine economico, ne possono scegliersi mezzi sproporzionati agli scopi perseguiti o inutilmente discriminatori.


Il riconoscimento dei diplomi

essenziale che i titoli di studio e i titoli professionali posseduti da un soggetto possano valere in tutti gli Stati membri.

Gli Stati membri erano tenuti a concedere ai cittadini di altri Stati,che intendessero esercitare il diritto di stabilimento, il riconoscimento dei diplomi acquisiti in altri Stati membri, tutte le volte che ciò risulti possibile in applicazione di norme nazionali; quest'ultime devono essere applicate dalle autorità nazionali in conformità agli obiettivi del TCE.

L' obbligo di prendere in considerazione i titoli e diplomi,nonché l'esperienza professionale acquisita, vale anche per le professioni non regolamentate, cioè per le professioni il cui accesso ed esercizio non sia disciplinato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che li riservino alle persone rispondenti a determinati requisiti. Può infatti accadere che la riserva di certi impieghi non sia prevista da disposizioni di legge, ma operi in base alle clausole di un contratto collettivo di lavoro.

Nel corso degli anni il Consiglio ha emanato per alcune professioni( medici, infermieri, dentisti, veterinari,ecc..)direttive per agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento(c.d. direttive settoriali).

Il processo d'armonizzazione resta largamente incompleto, visto che x numerose professioni non è intervenuta alcuna direttiva. Dinanzi a queste difficoltà si è deciso di mutare strategia  e puntare su strumenti di carattere generale.

La direttiva si fonda sulla presunzione che il livello e la durata della formazione alla quale è subordinato l'accesso alle professioni siano sostanzialmente equivalenti nei vari stati membri:gli studi post-secondari devono avere una durata di minimo 3 anni compiuti in università o istituti equivalenti.

Occorre, però, richiamare la particolare disciplina degli avvocati. Il riconoscimento del titolo professionale in uno Stato membro diverso dal suo può esserci ma solo temporaneamente, per una durata massima di 5 anni. Dopo un periodo di 3 anni, in cui darà prova di aver esercitato la professione, il soggetto acquisisce il diritto ad esercitare nello Stato membro ospitante in modo definitivo, senza bisogno di superare la prova attitudinale.

LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI E DEI PAGAMENTI

Con decorrenza dal 1° gennaio 1994, data di avvio della seconda fase dell'Unione economica e monetaria , gli articoli da 56 a 60 del trattato CE hanno introdotto un nuovo regime relativo ai movimenti di capitali:

  • articolo 56 , direttamente applicabile, introduce il principio della piena libertà dei movimenti di capitali e dei pagamenti, tanto fra gli Stati membri quanto fra gli Stati membri e i paesi terzi;
  • articolo 57 prospetta la possibilità di mantenere talune restrizioni già vigenti al 31 dicembre 1993 in virtù del diritto nazionale o del diritto comunitario nei riguardi dei paesi terzi;
  • articolo 58 stabilisce gli ambiti in cui i paesi membri possono continuare ad applicare disposizioni in materia di informazione e di vigilanza e in materia tributaria senza pregiudicare i movimenti di capitali;
  • articolo 59 prevede la possibilità di adottare misure di salvaguardia qualora i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti ostacolino il funzionamento dell'Unione economica e monetaria;
  • articolo 60 autorizza la Comunità o un paese membro ad adottare provvedimenti in materia di movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, per motivi di sicurezza o di politica estera.

La libera circolazione dei capitali permane necessaria per usufruire pienamente dei vantaggi del mercato unico






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