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Data la estrema importanza sia teorica che pratica del tema vi sono stati numerosi tentativi di codificazione a riguardo.
Sullo spunto dell'opera del giurista cubano Francisco Garcia Amador, e per l'impulso della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha avuto inizio nel 1963, e non si è ancora conclusa, la redazione di un progetto da parte della Commissione del diritto internazionale.
Il piano di lavoro predisposto dalla commissione si articola in tre parti:
1. nella prima si tratta della origine della responsabilità internazionale per stabilire su quali basi e in quali circostanze uno stato può avere commesso un fatto illecito internazionale causa di responsabilità internazionale;
2. nella seconda si tratta del contenuto, delle forme e dei gradi della responsabilità internazionale, ossia delle conseguenze che comporta un fatto illecito internazionale;
3. nella terza si affronta la messa in opera della responsabilità internazionale e la soluzione delle controversie.
L'opera di codificazione si limita alla responsabilità derivante dagli illeciti internazionali, senza trattare congiuntamente la responsabilità derivante da fatti non vietati dal diritto internazionale.
Ancora essa si limità alla responsabilità degli stati, escludendo quella di tutti gli altri soggetti internazionali.
Il presupposto della responsabilità internazionale si può ritenere previsto in una regola generale che è stata espressa nel progetto della Commissione, la quale dispone che:
ogni fatto internazionalmente illecito dà luogo alla sua responsabilità internazionale.
Si ha fatto internazionalmente illecito quando ricorrono i suoi due elementi costitutivi:
un comportamento consistente in una azione o una omissione può essere attribuito allo stato alla stregua del diritto internazionale;
tale comportamento costituisce una violazione di un obbligo internazionale dello stato.
Non occorre invece ai fini del realizzarsi della fattispecie che si sia verificato anche un danno patrimoniale o meno ad altro stato. Esistono infatti regole di diritto internazionale la cui violazione non causa alcun tipo di pregiudizio ad altri stati. Ad es. la violazione da parte di uno stato dei diritti fondamentali dell'uomo dei propri cittadini.
E' invece controverso se, per integrare la responsabilità internazionale, sia necessario valutare anche l'elemento soggettivo del fatto illecito, ossia se è necessario che vi sia stata colpa in senso lato (includente il dolo) oppure se è sufficiente la colpa in senso stretto (omissione non diligente delle misure idonee a evitare l'evento). Gli autori propendono per la irrilevanza dell'elemento soggettivo anche se pratica e dottrina non sono omogenei.
Anche la Commissione ha preso questo indirizzo nel progetto, pur prendendo in considerazione l'elemento soggettivo indirettamente laddove considera liberatorio il fatto che l'illecito sia accaduto per caso fortuito, laddove valuta la posizione dello stato che presta aiuto o assistenza alla perpetrazione di un illecito da parte di altro stato, infine laddove le regole violate richiedessero prorpio un comportamento diligente.
Autore del comportamento che, importando la violazione di una norma internazionale, è fonte di responsabilità internazionale, può essere solo ed esclusivamente lo stato e non altri (semplici individui e gruppi di privati che abbiano agito come tali).
Tuttavia siccome il termine stato non è riducibile ad altro se non ad un ordinamento giuridico bisogna individuare concretamente le persone od organi od enti i cui comportamenti, a determinate condizioni, vanno imputati allo stato, con conseguente responsabilità.
Si possono dare vari casi:
il comportamento positivo illecito è posto in essere da privati ma lo stato viene a rispondere per il proprio comportamento omissivo di un obbligo di vigilanza, di prevenzione o di protezione (Es. riprovazione della Corte internazionale di Giustizia nei confronti dell'Iran in occasione della occupazione della ambasciata nel 1980);
è imputabile allo stato il comportamento di qualsiasi organo dello stato che abbia tale qualità alla stregua del diritto interno di detto stato, purché esso abbia agito in tale qualità nel caso in questione. Bisogna in tal caso leggere il termine organo in senso ampio, relativo a qualsiasi funzione dello stato, e non soltanto con riferimento a quegli organi che hanno la rappresentanza internazionale con potere di manifestare la volontà dello stato stesso (diplomatici e plenipotenziari).
Anzi la responsabilità di estende anche agli agenti subordinati. Come sottolineato dal ministro italiano Mancini, la responsabilità internazionale opera anche per gli atti di autorità inferiori, della scelta dei quali risponde lo stato.
Ancora lo stato risponde per atti di altri enti facenti capo alla sua organizzazione nel senso lato, come gli stati federali membri e le regioni.
Caso interessante è poi quello della responsabilità internazionale dello stato per i fatti dei cosiddetti agenti di fatto, che al di fuori della previsione del diritto interno, agiscono per conto del 646b14g lo stato o esercitano funzioni pubbliche in assenza delle autorità ufficiali (come nel caso visto della occupazione della ambasciata americana la approvazione dello stato ai militanti li ha trasformati in agenti di fatto).
Così la responsabilità internazionale è dello stato anche per comportamenti di organi che abbiano ecceduto la loro competenza contro le attribuzioni del diritto interno, agendo apparentemente come funzionari o organi competenti, o ancora facenti abuso dei poteri della loro qualità ufficiale (come nel caso dell'agente americano che in una prima occasione malmenò un console messicano, e in un'altra lo arrestò senza altro motivo che suoi rancori personali, determinando nel secondo caso la responsabilità internazionale dello stato);
Da notare che ai sensi del progetto della commissione il fatto di un movimento insurrezionale che diviene il nuovo governo di uno stato è attribuito a questo stato. Ancora il fatto di un movimento insurrezionale, la cui azione porta alla crezione di un nuovo stato su di una parte del territorio di uno stato preesistente, è attribuito a questo nuovo stato. Nel caso invece che il movimento insurrezionale sia ancora in corso o non abbia avuto successo le sue violazioni del diritto internazionale non sono imputabili allo stato (e quindi non vi è illecito internazionale);
Caso importantissimo (da inquadrarsi nello sviluppo progressivo più che in norme generali) è poi quello della attribuzione ad uno stato del comportamento di organi altrui, in specie il comportamento di persone o gruppi aventi qualità di organi nel quadro dell'ordinamento giuridico di un altro stato o di una organizzazione internazionale. La responsabilità sussiste alla condizione che essi abbiano agito dipendendo, tramite il proprio stato, dallo stato imputabile agendo in conformità alle istruzioni da lui impartite.
Viene dunque immediatamente in considerazione come l'aiuto o l'assistenza di uno stato ad un altro stato per compiere un fatto internazionalmente illecito commesso dal secondo, costituiscano anch'essi illecito internazionale, anche se separatamento considerati tale aiuto o assistenza non sarebbero configurabili come tali. In pratica il caso della complicità nell'illecito internazionale (ad es. lo stato che mette a disposizione ad un altro stato il suo territorio che permettere una aggressione armata ad uno stato terzo). Anche qui siamo nell'ambito dello sviluppo progressivo.
Al di fuori del caso di complicità troviamo la possiiblità di responsabilità indiretta di uno stato per gli atti materialmente compiuti da un altro stato che però, in realtà, è sottoposto al primo per:
- rapporto coloniale;
- occupazione bellica;
- costrizione non resistibile.
La dottrina è comunque divisa sul fatto che si tratti davvero di responsabilità indiretta. Secondo alcuni sarebbe in ogni caso diretta. Non può infatti chiamarsi stato quello che è completamente sottoposto ad un altro e che quindi è privo di sovranità.
Così la commissione non ha accolto la terminologia di responsabilità indiretta e ha lasciato integra la responsabilità dello stato autore materiale del fatto illecito internazionale.
Si distinguono nella categoria dei fatti illeciti internazionali, alcune più specifiche sottocategorie:
fatti illeciti omissivi e fatti illeciti commissivi;
fatti illeciti di condotta (ad es. l'obbligo di quelle convenzioni internazionali che impongono l'adozione di una normativa uniforme su determinate materie, come le convenzioni dell'Aja sulla vendita internazionale) e fatti illeciti di risultato (come quelli derivanti dalle direttive CEE, in cui forma e mezzi per raggiungere i risultati sono lasciati alla competenza degli organi nazionali).
Si noti che perchè si abbia fatto illecito di risultato è necessario, ai sensi del progetto della commissione, che lo stato non abbia assicurato il risultato neppure con gli altri suoi comportamenti successivi. Ad es. nella violazione dei diritti dell'uomo o al trattamento degli stranieri la fattispecie di illecito non è integrata fino a che il soggetto non abbia inutilmente fatto ricorso avverso il provvedimento dell'organo statale fino ad esaurire le possibilità di ricorso medesimo, ossia fino ad ultima istanza o previo esaurimento dei ricorsi interni (ciò è previsto anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo del '50 e dalla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del '82).
una particolare categoria di illeciti internazionali è costituita dagli illeciti di evento, collegati ad una norma internazionale che richiede la prevenzione, con opportuni mezzi liberamente scelti, il verificarsi di un determinato evento:
Infine si distinguono gli illeciti semplici dagli illeciti complessi, i quali ultimi sono integrati da una successione di azioni od omissioni dello stesso o di differenti organi dello stato rispetto al medesimo caso (ad esempio la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni può determinare la fattispecie). La distinzione fra i due tipi di illeciti ha rilevanza ai fini della determinazione del tempus commissi delicti. Nel progetto della Commissione la violazione si produce al momento del verificarsi dell'ultimo elemento costitutivo dell'illecito complesso, ma la sua durata si estende dal comportamento inniziale a quello finale.
Si tratta di una distinzione basata sulla struttura del fatto illecito.
Il progetto della commissione propone una distinzione imperniata aulla importanza per la comunità internazionale dell'obbligo violato.
Delitto internazionale: è definito per esclusione come la forma ordinaria di illecito internazionale, come ogni illecito che non costituisca un crimine;
Crimine internazionale: si tratta del fatto internazionalmente illecito che risulta dalla violazione da parte di uno stato di un obbligo internazionale così essenziale per la salvaguardia di interessi fondamentali della comunità internazionale, che la sua violazione è riconosciuta come un crimine da detta comunità nel suo insieme.
Ci si accorge immediatamente che trattasi di una definizione circolare o tautologica, cui in seguito rimedia un'altra disposizione del progetto esemplificativa:
un crimine internazionale può tra l'altro risultare:
1. da una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza fondamentale per il mantenimento della pace e della sicurezza, come quello che vieta la aggressione;
2. da una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia del diritto di autodeterminazione dei popoli, come quello che vieta la istituzione o il matenimento con la forza di un dominio coloniale;
3. una violazione grave e su larga scala di un obbligo internazionale per la salvaguardia dell'essere umano, come quelli che vietano la schiavitù, il genocidio, lìapartheid;
4. una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia e la preservazione dell'ambient umano, come quelli che vietano l'inquinamento massiccio della atmosfera e dei mari.
Si è evidentemente aperta la discussione in dottrina se ogni violazione di norme impertive, ovvero di jus cogens, importi un crimine internazionale. Non si può rispondere univocamente ma è certo che in genere gli esempi di crimine internazionale riguardano proprio la grave violazione di tali regole.
Si noti ancora che la introduzione della categoria del crimine internazionale ha aperto anche alcuni dubbi sulla sua convenienza visto che potrebbe portare uno stato o grupppi di stati a comportarsi da giustizieri procedendo unilateralmente alla esecuzione di sanzioni, potendo a loro volta andare contro la norma fondamentale del divieto dell'uso della forza e al principio generale nullum crimen sine legem. E' allora necesario, e la commissione lo sta facendo, determinare con certezza le conseguenze dei crimini e delitti internazionali. Forse è questo uno degli indizi che immettono tali disposizioni sui crimini e delitti internazionali nell'ambito dello sviluppo progressivo e non nella codificazione di regole generali già vigenti (se è sicuramente regola generale il divieto dell'uso della forza, non lo è certo ancora la determinazione della conseguenza o sanzione della sua violazione).
Vi sono alcune circostanze il cui verificarsi esclude la illiceità internazionale di un fatto che di per sé sarebbe idoneo a determinarla:
il consenso dello stato leso: Ad es. il consenso prestato anteriormente o contemporaneamente per lo stanziamento sul proprio territorio di forze armate di un altro stato. Se il consenso però è esercitato posteriormente assume solo valore di rinuncia dello stato leso al diritto di riparazione. Si noti che la commissione ha escluso la possibilità di assenso, preventivo o successivo, da parte dello stato leso, per una violazione del diritto internazionale imperativo (jus cogens). Inoltre il consenso non pregiudica il diritto all'eventuale risarcimento del danno causato dal comportamento in questione.
Ad es. un intervento di teste di cuoio tedesche nel '77 per liberare ostaggi di un aereo a Mogadiscio, non illecito per il preventivo assenso del governo somalo, ancora l'assenso a posteriori del governo dell'Afghanistan a giutificazione della invasione sovietica, tuttavia se non il Consiglio di sicurezza, la Assemblea delle Nazioni unite ha deplorato l'intervento.
la rappresaglia o contromisura[1]: una regola generale consuetudinaria comporta la possibilità che lo stato leso infligga a sua volta una lesione ad un diritto soggettivo dello stato autore dell'illecito a titolo di rappresaglia, o come si preferisce ormai dire, come contromisura. Si tratta di una regola assunta dal progetto della commissione coerente con il carattere della società internazionale, priva di una struttura istitutuzionale che possa infliggere sanzioni ai soggetti che hanno violato le regole. E' così ammessa una sorta di autotutela (carattere primitivo del diritto internazionale) soggetta tuttavia ad alcuni limiti:
1. l'azione o la omissione in cui essa si concreta deve essere proporzionata alla offesa ricevuta. Ciò non significa che l'atto di rappresaglia debba consistere nella violazione delle stesse norme di diritto internazionale violate dal primo stato. Inoltre, a partire dalla seconda guerra mondiale è da sottolineare una tendenza di sviluppo progressivo che esclude la liceità di qualsiasi rappresaglia, in tempo di pace, che comporti la minaccia o l'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi stato, essendo l'uso della forza consentito per il solo caso di legittima difesa ex. art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. (Ad es. considerati illeciti sono i bombardamenti da parte delgi israeliani su territorio tunisino per distruggere basi dell'OLP. Accade così che talvolta si tenti di mascherare in legittima difesa ciò che in realtà è rappresaglia armata (bombardamento di Tripoli e Bengasi da parte degli USA nel 1986.
2. l'azione o la omissione in cui si concreta la rappresaglia deve rispettare i principi fondamentali posti a tutela dell'individuo;
3. è illecita la rappresaglia che consista nella violazione una norma imperativa di diritto generale (jus cogens).
La forza maggiore, l'estremo pericolo e il caso fortuito: rientrano in una serie di situazioni di necessità (in senso lato per distinguere lo stato di necessità in senso stretto, pure esso circostanza che esclude il fatto illecito) la cui valenza a fare si che un atto che si per sé sarebbe considerato illecito non lo sia è assai controversa.
Forza maggiore si ha quando il comportamento contrario ad un obbligo internazionale è giustificato dal fatto che esso è dovuto a una forza irresistibile che ha reso materialmente impossibile per lo stato agire in conformità con quell'obbligo, l'autore non era materialmente in grado di evitare l'atto pur sapendolo in sé e per sé illecito. (Ad es. nave da guerra di uno stato ferma e stazionante in mare territoriale altrui per avaria causata da tempesta). L'esclusione della illiceità non opera se il prodursi della causa cogente dipende da un precedente volontario o indiligente atto dello stato che poi vorrebbe vantare la scusante in questione;
L'estremo pericolo è l'atto compiuto dallo stato in formale violazione del diritto internazionale che però non può considerarsi illecito poiché era l'unico mezzo per salvare la propria vita o quella di persone affidate alle sue cure. (Ad es. i pompieri che salvano il personale di una sede di missione diplomatica estera entrandovi senza autorizzazione). Non è necessaria la minaccia alla salvezza della vita umana, è sufficiente quella al diritto alla integrità fisica della persona umana. Ancora tale causa di esclusione della illiceità non può essere vantata se il pericolo era stato causato dalla parte interveniente stessa o il suo intervento ha comportato altro pari pericolo.
Il caso fortuito si ha quando il fatto in formale violazione, ma non valutabile tale, è stato dovuto ad un avvenimento imprevedibile e inevitabile o fuori dal suo controllo da parte dello stato che ha reso a lui materialmente impossibile accorgersi che il suo comportamento non era conforme al suo obbligo. Mancanza di colpa dunque. Gli esempi riportati si rifanno quasi tutti ad incidenti aerei in cui per es. un aereo civile coreano veniva abbattuto dai sovietici perché sorvolante il suo territorio, un aereo iraniano di linea abbatuto dal sistema elettronico di difesa di nave da guerra americana nel golfo, una nave americana colpita da aereo iracheno. Tutte le conseguenti prese di posizione concordano che se si fosse trattato di caso fortuito non vi sarebbe stato illecito (la controversia su tali casi stava proprio nell'accusa di dolo fatta da cisacuna parte all'altra).
E' molto importante sottolineare che, come anche dal progetto della commissione risulta, l'esclusione della illiceità di un fatto per forza maggiore, estremo pericolo o caso fortuito non pregiudica ogni questione che possa sorgere circa il risarcimento del danno causato da quel fatto.
Lo stato di necessità: esso si distingue dall'estremo pericolo perché in questo caso l'eigenza che viene in rilievo npn è di salvare vite umane, bensì un interesse essenziale dello stato.
Poiché la dottrina è divisa su tale fattispecie la Commissione del diritto internazionale è nel suo progetto particolarmente prudente, dandone una definizione in via negativa: lo stato di necessità non può essere invocato da uno stato per escludere la illiceità di un fatto da essa compiuto a meno che:
il fatto fosse il solo mezzo per salvaguardare un interesse essenziale dello stato di fronte ad un pericolo grave e imminente;
il fatto non compromettesse in modo serio un interesse essenziale dello stato rispetto al quale sussisteva un obbligo.
Nonostante i dubbi in dottrina in nella pratica internazionale tale causa di esclusione di illiceità è confermata.
Ad es. un operazione militare britannica del 1837 su territorio degli Stati Uniti per impedire il rifornimento ad insorti in Canada. Ancora la distruzione di una petroliera battente bandiera straniera, sempre da parte degli inglesi, la quale era incagliata al di fuori dalle acque territoriali inglesi, ma minacciava di inquinare gravemente il mare per il suo carico. Intervento la cui liceità è confermata dalla norma che giustifica l'intervento su navi straniere fuori dalla propria giurisdizione, in caso di incidenti e al fine di protezione dall'inquinamento, disposta dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del '82. Infine lo stato di necessità potrebbe essere invocato da diversi paesi in via di sviluppo per il rimborso dei prestiti contratti con paesi sviluppati o con enti finanziari stranieri.
Limiti che determinano i casi in cui lo s.di n. non può essere invocato:
se il fatto compiuto dallo stato viola una norma imperativa internazionale (jus cogens), e dunque non può mai essere addotto per giustificare una aggressione armata;
se il fatto compiuto dallo stato viola un obbligo sancito da un trattato che esclude la possibilità di invocare lo stato di necessità per quell'obbligo;
se lo stato in questione ha contribuito a creare lo stato di necessità.
Anche lo stato di necessità non pregiudica ogni questione che possa sorgere circa il risarcimento del danno causato dallo stato agente.
la legittima difesa: un comportamento di per sé illecito implicante l'uso della forza armata, può essere invece lecito laddove sia realizzato per legittima difesa, ossia in funzione dello scopo con cui è eseguito:
- evitare il compimento di un fatto illecito nei propri confronti;
- impedire che un illecito già in atto venga portato ad ulteriori conseguenze.
Importante notare che la legittima difesa può essere collettiva quando uno stato agisca in difesa di un altro stato che sia oggetto di un attacco armato da parte di uno stato terzo.
Fondamentale in tale senso la disposizione dello art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite che consacra come diritto naturale quello della legittima difesa individuale o collettiva, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
Tali misure devono però essere e risultare efficaci per neutralizzare l'attacco e le sue conseguenze affinché possano fare cessare il diritto all'autodifesa.
Problema dibattuto è quello della ammissibilità della legittima difesa preventiva: ossia del la difesa dia possibile solo in caso di risposta ad attacco in atto, od anche per prevenire un attacco solo minacciato. Il progetto della commissione del diritto internazionale ha evitato di prendere posizione su tale problema, limitandosi addirittura a non richiamare l'art. 51, ma in generale rinviando alla Carta delle Nazioni Unite lasciando aperta ogni possibilità.
Tale commissione ha ancora sottolineato i caratteri che la legittima difesa deve possedere essenzialmente: necessità, immediatezza, proporzionalità.
Nella pratica internazionale si ricorre ad un concetto assai ampio di diritto alla autodifesa (anche preventivo[2]), il che non è significativo nella individuazione del vero contenuto cogente della norma internazionale perché troppo spesso della legittima difesa si abusa per giustificare illecite aggressioni armate.
Es. di abuso, secondo il Consiglio di sicurezza fu la distruzione da parte di Israele di una centrale nucleare irachena del 1981 (nella quale tuttavia il Consiglio evitò di prendere posizione in merito alla legittima difesa preventiva presupponendo la natura pacifica dell'impianto nucleare iracheno.
Ancora la legittima difesa fu sostenuta dagli Usa per l'intervento a Panama del '89.
Ancora la possibilità di richiamarsi alla legittima difesa è discussa in caso di raid in territorio straniero tesi a salvare persone (in genere ostaggi) che vi si trovano (Israele '76 in Uganda senza consenso allo stato interessato, ritenuto anzi connivente con i dirottatori).
Si rammenti la analisi minuziosa fatta della fattispecie di legittima difesa dalla Corte internazionale di Giustizia nel 1986 in merito al caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua. Nel caso gli USA dovevano giustificare il loro appoggio ai contras contro il governo ufficiale. Ciò fecero ricorrendo con difficoltà alla difesa collettiva di Honduras, El Salvador e Costa Rica. La Corte respinse la giustificazione statunitense, in quanto sarebbe stato necessario che uno di questi stati si dichiarasse vittima di un attacco armato.
A seguito di una violazione, attribuibile ad uno stato, di una qualsiasi regola del diritto internazionale (detta regola primaria) discendono, in capo allo stato autore della violazione, le conseguenze previste dalle regole di diritto internazionale in tema di responsabilità (dette regole secondarie).
La seconda parte del progetto della Commissione del Diritto Internazionale sulla responsabilità internazionale intende enunciare una serie di conseguenze tipiche dell'illecito internazionale.
Ovviamente riguarda i fatti illeciti che si estendono nel tempo.
Molto importante notare che non si tratta di una forma di riparazione, ma solo un modo di adempimento tardivo e parziale[3] dell'obbligo sin dall'inizio imposto dalla norma primaria violata. L'obbligo di cessazione sussiste pertanto anche se lo stato leso non ha rivolto alcuna richiesta in tale senso.
Ad es. la liberazione di persone private della libertà, la restituzione di una cosa, l'evacuazione da un territorio occupato o, nel caso di illecito omissivo continuo, il compimento dell'atto richiesto dalla regola internazionale.
Le altre conseguenze di un illecito internazionale sono da considerarsi come riparazione da parte dello stato responsabile nei confronti di quello reso. Vedremo ora dunque le varie forme di riparazione:
La restituzione in forma specifica o ristabilimento dello status quo ante o restitutio in integrum o reintegrazione nella situazione preesistente, è la prima forma di riparazione che consiste nel ristabilimento della situazione che si sarebbe avuta se il fatto illecito non fosse stato compiuto.
Essa è disposta nel progetto della Commissione tranne nei casi in cui:
essa sia materialmente impossibile;
comporti la violazione di un obbligo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale;
sia eccessivamente onerosa per lo stato che ha compiuto l'illecito internazionale.
Diversamente lo stato leso può richiedere in modo tempestivo che il risarcimento del danno sostituisca in tutto od in parte la restituzione specifica, purché ciò non comporti un ingiusto vantaggio a scapito del responsabile o la violazione di una norma di jus cogens.
Esempi di restituzione in forma specifica: l'abrogazione di una legge emanata in violazione di una regola del diritto internazionale, l'evacuazione di un territorio illecitamente occupato, la revoca di un provvedimento amministrativo o giudiziario illecitamente adottato contro la persona o i beni di uno straniero, la ripresa, da parte di uno stato dal quale provenivano, di rifiuti pericolosi clandestinamente esportati verso un altro stato.
Esso ricorre qualora:
la restituzione in forma specifica non sia possibile;
nelle situazioni appena viste in cui è esclusa (anche per domanda dello stato leso).
La riparazione per equivalente assume quasi sempre la forma del pagamento di una somma di denaro, corrispondente al valore della restituzione specifica.
Se solitamente il risarcimento monetario avviene in conseguenza di violazione delle regole relative alla protezione della persona e dei beni degli stranieri, si deve sottolienare che in ogni caso il diritto al risarcimento spetta solo all'altro stato.
Ancora è richiesto che il danno risarcibile sia collegato da un nesso di causalità ininterrotto con il fatto illecito, e che il risarcimento comprenda:
- il danno emergente (quantum mhi abest);
- il lucro cessante (quantum lucrari potui).
Se il danno è dovuto alche al concorso di cause diverse o dello stesso stato leso il risarcimento è ridotto in proporzione.
La soddisfazione, al contrario del risarcimento monetario che è diretto a riparare il danno materiale, ha come scopo quello di riparare il pregiudizio morale che consegue ad un fatto illecito, vale a dire la lesione dell'onore, della dignità e del prestigio di questo stato.
Essa può assumere varie forme come gli onori alla bandiera, la presentazione solenne di scuse, il versamento di una somma di denaro simbolica, il disconoscimento ufficiale di un fatto compiuto da un organo dello stato, ed altre prestazioni di corrispondente contenuto.
Può avere tale funzione anche la constatazione della violazione fatta da un'istanza giudiziaria internazionale o dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Talvolta lo stato leso a tale scopo chiede la punizione delle persone che hanno materialmente compiuto il fatto illecito, come nel caso della Rainbow Warrior ('86).
Infine hanno natura di soddisfazione anche le garanzie che il fatto illecito non venga ripetuto.
Controversa invece la ammissibilità di una ulteriore forma di punizione: il cosiddetto danno punitivo, che mira ad infliggere una sanzione e a dissuadere il compimento di atti simili. Tuttavia esso è difficilmente compatibile con la attuale struttura della società internazionale, dove non esiste un legislatore che possa preventivamente stabilire conseguenze di tipo penale derivanti dal compimento di un fatto illecito. La funzione punitiva e dissuasiva appare tuttora affidiata, nella società internazionale, al ricorso a contromisure, nei limiti in cui esse siano ammissibili.[4]
Tuttavia quella del danno punitivo non può ancora considerarsi regola generale.
Si rammenti ancora che in ogni caso non può mai essere chiesta una soddisfazione di carattere umiliante per lo stato che ha compiuto il fatto illecito, mentre invece nella determinazione della soddisfazione ha peso la condizione soggettiva in cui è stato commesso l'illecito (viene in rilievo la colpa in senso lato).
Un problema di soddisfazione è ancora quello della seconda decisione di un tribunale arbitrale in merito sempre al caso Rainbow Warrier. La decisione della precedente sentenza aveva ingiunto che i due responsabili materiali trascorressero in isolamento 3 anni (su di un isola specifica). Tale obbligo non fu rispettato. Con il pretesto legittimo, per uno solo degli esiliati, dello stato di salute aveva rimpatriato uno dei responsabili ma, dopo le cure, non aveva continuato la sanzione, il tutto senza interpellare la Nuova Zelanda.
La nova Zelanda chiese che i due fossero riportati ad Hao, richiesta interpretata dal tribunale come di cessazione di un'omissione illecita, e quindi respinta in quanto la scadenza del periodo di soggiorno stabilita dalla prima sentenza era già trascorsa.
In questo caso sarebbe stato possibile chiedere una soddisfazione tramite la concessione di danni punitivi, ma la Nuova Zelanda non lo richiese.
Da un lato la rappresaglia o contromisura è una circostanza la quale esclude la illiceità di un fatto che in sé e per sé sarebbe tale;
Dall'altro è anche una delle possibili conseguenze di un fatto illecito internazionale.
E' chiaro che la ammissibilità della rappresaglia viene meno se lo stato leso abbia già ottenuto un'adeguata riparazione per il torto subito. Invece il ricorso alla rappresaglia non preclude allo stato leso anche la richiesta della riparazione.
Ancora l'ammissibilità della rappresaglia è esclusa se esiste un meccanismo giudiziario od arbitrale che possa risolvere la controversia insorta tra lo stato leso e lo stato sutore dell'illecito e se tale meccanismo si svolge in un quadro istituzionale che dia una garanzia di esecuzione degli obblighi che da esso possano derivare. Se invece la questione non è stata ancora portata di fronte all'organo giudiziario, soprattutto se ciò richiede un accordo delle parti, è sempre ammissibile il ricorso alla contromisura.
Nel progetto di articoli presentato nel '85 dal relatore speciale Riphagen alla Commissione del diritto internazionale si precisa che nessuna contromisura può essere presa dallo stato leso, fintanto che esso non abbia esaurito le procedure internazionali per la soluzione pacifica della controversia a lui disponibili. Fanno eccezione alla regola le misure provvisorie di protezione attuate dallo stato leso e quelle a tal fine ordinate dal tribunale stesso.
Un problema aperto e difficile è quello relativo alle conseguenze del compimento di un crimine internazionale. Quale altro obbligo si aggiunge a tutti quelli già visti come conseguenza degli illeciti internazionali ?
La dottrina che sostiene la esistenza di tali gravi illeciti denominati crimini internazionali non vi ricollega alcuna conseguenza particolare diversa, e neppure si individua una pratica vigente aggravata al proposito.
Dunque con grande prudenza è stata proposta dal relatore speciale alla Commissione una norma in merito. Essa dispone che in aggiunta a tutte le conseguenze comuni ad ogni illecito internazionale trovano applicazione quei diritt ed obblighi che sono stati stabiliti dalle regole applicate nella comunità internazionale nel suo insieme. Si tratterebbe di obblighi di solidarietà internazionale per tutti gli altri stati che:
dovrebbero non riconoscere come giuridica la situazione creata da tale fatto;
non prestare aiuto o assistenza allo stato che ha commesso tale crimine al fine di mantenere la situazione creata dal crimine;
unirsi agli altri stati nel darsi mutua assistenza nell'adempiere gli obblighi ora visti.
Il tutto nel quadro sempre delle procedure previste dalla Carta delle Nazioni Unite rispetto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
Perplessità provoca la previsione di quello che potrbbe sembrare un super crimine internazionale. Si dispone nella proposta alla commissione che in caso di aggressione alle conseguenze giuridiche del crimine internazionale si aggiungono le misure per gli interventi previste dalla Carta delle Nazioni Unite (cfr. II capitolo).
Il problema più complesso di tutta la materia della responsabilità internazionale è costituito dalla determinazione concreta dello stato leso, lo stato il cui diritto soggettivo è stato violato dal comportamento contrario ad un obbligo internazionale tenuto dallo stato autore dell'illecito.
Fondamentale in questo senso
l'art. 5 della parte II del progetto della Commissione:
...In particolare stato leso significa:
1. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da un trattato bilaterale, l'altro stato parte del trattato;
2. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da una sentenza o da un altra decisione vincolante di una corte o tribunale internazionale che risolve una controversia, l'altro stato o gli altri stati parti della controversia e aventi diritto a beneficiare di quel diritto;
3. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da una decisione vincolante di un organo internazionale diverso da una corte o tribunale internazionale, lo stato e gli stati che, secondo lo strumento costitutivo della organizzazione internazionale in questione hanno diritto a beneficiare di quel diritto;
4. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da una disposizione di un trattato a favore di uno stato terzo, quello stato terzo;
5. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da un trattato multilaterale o da una regola del diritto internazionale consuetudinario, ogni altro stato parte del trattato multilaterale o vincolato dalla regola rilevante di diritto internazionale consuetudinario nel caso che il diritto sia stato creato in suo favore, oppure nel caso che il fatto pregiudichi il godimento dei diritti o l'adempimento degli obblighi da parte degli altri stati parti o vincolati alla norma, ancora nel caso che il diritto violato riguardi la protezione dei diritti dell'uomo o delle libertà fondamentali;
6. se il diritto violato da un fatto di uno stato deriva da un trattato multilaterale, ogni altro stato parte del trattato, quando stabilito che il diritto è stato posto per la protezione degli interessi collettivi degli stati che ne sono parti.
In tale visione le norme consuetudinarie e le norme dei trattati multilaterali sono viste come un fascio di rapporti bilaterali. Ciò ben si comprende valutando l'esempio della regola generale che vieta la penetrazione degli agenti di uno stato all'interno di una sede diplomatica straniera. La regola vincola in astratto tutti gli stati, ma in caso di violazione sorge in concreto un rapporto bilaterale fra lo stato autore dell'illecito e lo stato della sede diplomatica. Ancora l'esempio della convenzione multilaterale che vieti la sottoposizione di dazi che colpiscano i prodotti degli stati parte. La regola vale per tutti ma se lo stato A sottopone a dazio i prodotti del solo stato B, solo questo è lo stato leso.
Sembra evidente e facilissimo.
Tuttavia i problemi sorgono in tema di individuazione del contenuto e dell'esatta formulazione della regola primaria che pone l'obbligo violato.
Ad esempio si pensi alla norma consuetudinaria che permette ad ogni stato di estendere il proprio mare territoriale fino a 12 miglia dalla costa. Nel caso che invece uno stato estenda il mare territoriale fino a 200 miglia dalla costa, secondo un primo punto di vista ciò costituisce una violazione del diritto di un altro stato che voleva compiere delle esercitazioni militari in quel tratto di mare. Secondo un altro punto di vista gli stati lesi sono tutti gli stati, perchè il contenuto della norma generale sarebbe di escludere in ogni caso, a garanzia dell libertà di tutti gli stati, la possibilità di estendere oltre le 12 miglia il mare territoriale.
Vi sono poi dei casi in cui la parte lesa è necessariamente identificata in tutta la società internazionale (violazione erga omnes), poiché non è possibile individuare un stato leso (violazione dei diritti dell'uomo dei propri cittadini, violazione consistente nella concessione di aiuti finanziari a determinate categorie di imprese sempre all'interno dello stato. Inoltre lo sviluppo progressivo ha portato a considerare la commissione di un crimine internazionale come lesiva non solo, per es. dello stato aggredito, ma anche di tutti gli altri stati, come infrazione ad uninteresse fondamentale a tutta la comunità internazionale.
L'effetto erga omnes delle violazioni di alcune disposizioni è poi esplicitamente affermato da alcune convenzioni internazionali rispetto al proprio contenuto (convenzione sul genocidio, organizzazione internazionale del lavoro, convenzione europea dei diritti dell'uomo). Ciò non esclude però che nei casi visti l'effetto erga omnes vi sia ugialmente anche senza esplicita previsione come conseguenza di norma generale.
Il diritto internazionale ammette che in talune ipotesi attività stati che non costituiscono violazione di un obbligo internazionale possano, quando abbiano provocato un danno, far sorgere un obbligo al risarcimento.
Alcuni casi si sono già visti :
la convenzione di Ginevra sul diritto del mare del '58, confermata dall convenzione delle Nazioni Unite del '82, dispone la possibilità da parte delle navi da guerra di ogni paese di procedere a ispezione a bordo di navi straniere in alto mare, se hanno seri motivi per ritenere che esse si dedichino alla pirateria, alla tratta degli schiavi, o che in realtà abbiano la stessa nazionalità della nave da guerra in questione. Tuttavia se la ispezione risulta infondata sorge l'obbligo di compensare la nave straniera per qualsiasi danno o perdita abbia subito;
il dovere di risarcire il danno sussite anche quando siano ricorse quelle circostanze che eslcludono la illiceità di comportamenti che si per sé sarebbero internazionalmente illeciti (consenso dello stato leso, forza maggiore, caso fortuito, estremo pericolo o lo stato di necessità).
Ma grande interesse hanno quelle attività tipiche della società tecnologica moderna che possono portare danni anche a terzi, in relazione al loro grado di pericolosità intrinseco : attività nucleari e spaziali, di trasporto di idrocarburi tramite superpetroliere.
Non si tratta del divieto dell'inquinamento transfrontaliero già visto, il quale presuppone un illecito internazionale con la colpa, ossia la mancanza di diligenza necessaria consistente nella presa di tutte le misure ragionevolmente ritenute adeguate al tipo di attività secondo le tecnologie disponibili. Stesso presupposto ha la appliacazione della regola adottata dalla conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente, secondo la quale tutti gli stati hanno il dovere di fare in modo che le attività condotte nell'ambito della loro giurisdizione o sotto il loro controllo non causino danni all'ambiente di altri stati o si zone al di fuori della loro giurisdizione nazionale.
Rimarrebbero esclusi i casi di mancanza di colpa nel senso ora visto e anche i danni cosiddetti globali, contro l'intero pianeta e realizzati da tutti gli individui, non tanto e solo gli stati (riscaldamento atmosferico e ozono).
Per questo si è sentita la esigenza di un sistema di norme che copra la cosiddetta responsabilità per attività lecite: regole di prevenzione e di cooperazione fra stati che accompagnano attività utili ma pericolose, con obbligo del risarcimento dei danni causato da tali attività.
Nel '72 troviamo una convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali (con responsabilità senza onere della prova);
Varie convenzioni che impongono a livello del diritto interno particolari regimi di responsabilità oggettiva (in specie per attività nucleari e il trasporto marittimo di idrocarburi).
Ancora in tale senso va muovendosi la codificazione intrapresa dalla Commissione del diritto internazionale iniziata nel '78 nel settore della responsabilità internazionale per le c
onseguenze dannose derivanti da atti non vietati dal diritto internazionale.
In materia di responsabilità da atti leciti la riparazione sarebbe oggetto di un obbligo primario e non sarebbe prevista, come avviene nella responsabilità internazionale da fatti illeciti, dalla norma secondaria sulla responsabilità. La responsabilità sorgerebbe solo in seguito al mancato adempimento dell'obbligo primario di riparare (tutto ciò discende automaticamente dalla liceità dell'atto causalmente origine dei danni).
Si noti che alcuni stati sono invece contrari ad ammettere una responsabilità dello stato per i danni causati da operatori privati, se non in via sussidiaria, nei limiti cioè in cui non sia possibile ottenere dall'operatore privato la riparazione totale di un danno transfrontaliero.
[1]Diversa dalla rappresaglia è la ritorsione, nella quale la reazione di uno stato a un comportamento illecito o semplicemente non amichevole di un altro stato lede semplici interessi di quest'ultimo stato e non invece diritti soggettivi risultanti da regole del diritto internazionale. Nella pratica è però spesso difficile distinguere.
[2]A carattere preventivo la legittima difesa sostenuta dalla Francia per le penetrazioni in Tunisia e Marocco durante la guerra in Algeria; ancora USA e Cambogia nel '70 e Regno Unito per le isole Falkland/Malvinas del '82.
[3]L'obbligo di fermare la commissione di un fatto illecito fa già parte dell'obbligo stabilito dalla stessa norma che sancisce il divieto dell'obbligo medesimo.
[4]Nello stabilire il risarcimento monetario per il caso Rainbow warrier non è chiaro se il Segretario delle Nazioni Unite abbia tenuto conto dei danni punitivi domandati dalla Nuova Zelanda, ambiguità non casuale (La Nuova Zelanda aveva chiesto 9 milioni di dollari, la Francia offerto 4, il Segretario, senza apiegare con che criterio, stabiliti 7).
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