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DIRITTO COSTITUZIONALE - Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, Magistratura

diritto







DIRITTO COSTITUZIONALE


Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, Magistratura

 
























INDICE SISTEMATICO:


PARLAMENTO

1.1 LA STRUTTURA DEL PARLAMENTO

1.2 IL REGOLAMENTO PARLAMENTARE

1.3 IL PRESIDENTE E L'UFFICIO DI PRESIDENZA

1.4 I GRUPPI PARLAMENTARI

1.5 LE COMMISSIONI PARLAMENTARI

1.6 LE GIUNTE PARLAMENTARI

1.7 DURATA IN CARICA DEL PARLAMENTO

1.8 COME LAVORA IL PARLAMENTO

1.9 LE PREROGATIVE PARLAMENTARI

LA FUNZIONE LEGISLATIVA

LA FUNZIONE DI CONTROLLO

ATTI PARLAMENTARI DI INDIRIZZO

LE INCHIESTE PARLAMENTARI


GOVERNO

2.1 DEFINIZIONE

2.2 LE REGOLE GIURIDICHE SUL GOVERNO

2.3 LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

2.4 CONSULTAZIONI E INCARICO PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

2.5 LA LISTA DEI MINSITRI, LA NOMINA ED IL GIURAMENTO

2.6 UNITA' ED OMOGENEITA' DEL GOVERNO

LA LEGGE 400/88

2.8 LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

2.9 GLI ORGANI GOVERNATIVI NON NECESSARI

IL GOVERNO E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULL'AMMINISTRAZIONE

LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI FIDUCIA E LA MAGG. POLITICA

BREVE STORIA DELLE CRISI DI GOVERNO

2.14 LA SFIDUCIA INDIVIDUALE


PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

3.1 CAPO DELLO STATO E FORMA DI GOVERNO

3.2 ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

3.3 LA CONTROFIRMA MINISTERIALE

3.4 L'IRRESPONSABILITA' PRESIDENZIALE

3.5 ATTI COMPLESSI: LO SCIOGLIMENTO ANTICIPATO DELLE CAMERE

3.6 ATTI FORMALMENTE E SOSTANZIALMENTE PRESIDENZIALI

3.7 ATTI FORM. PRESIDENZIALI E SOST. GOVERNATIVI

3.8 ATTI COMPIUTI IN QUALITA' DI PCSD E PCSM

3.9 LA SUPPLENZA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


MAGISTRATURA

4.1 GIUDICI ORDINARI E GIUDICI SPECIALI

4.2 PRINCIPI COSTITUZIONALI IN TEMA DI GIURISDIZIONE

4.3 LO STATUS GIURIDICO DEI MAGISTRATI ORDINARI

4.4 IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

4.5 IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

1. IL PARLAMENTO ITALIANO


1.1 LA STRUTTURA DEL PARLAMENTO


Il parlamento italiano si compone di due camere: la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica. La Costituzione Italiana ha optato per il cosiddetto bicameralismo perfetto o paritario e cioè che le due camere hanno i medesimi poteri e le medesime funzioni, con delle minime differenze strutturali ed elettive. La scelta del bicameralismo perfetta è avvenuta come compromesso tra la volontà del partito cattolico, che optava per un mocameralismo che assicurava una rappresentazione unitaria della volontà popolare, e la volontà del partito liberale, che optava per un bicameralismo imperfetto che dava una maggior importanza ad una delle due camere affinché si instaurasse il regionalismo.

Le differenze tra le due camere sono di tipo numerico: i deputati sono 630 mentre i senatori elettivi sono 315; per la Camere del Senato sono previsti dei componenti non elettivi che sono o gli ex presidenti della Repubblica o persone nominate dal Presidente della Repubblica (massimo 5 per ogni presidente) che abbiano particolari meriti scientifici, culturali o sociali; infine si differenziano per l'elettorato attivo e passivo possono essere eletti deputati coloro che abbiano compiuto 25 anni e concorrono alla loro scelta tutti gli aventi diritto al voto, mentre possono essere eletti senatori solo coloro che hanno compiuto 40 anni e concorrono alla loro elezioni solo gli aventi diritto al voto che abbiano compiuto 25 anni.

Entrambi i rami del parlamento durano in carica il medesimo periodo 5 anni, la legislatura, e la conseguenza principale di questo bicameralismo è essenzialmente un appesantimento del processo decisionale parlamentare.

La Costituzione prevede che in particolari casi previsti espressamente dalla Costituzione stessa (numero chiuso o collegio imperfetto in quanto non è padrone del proprio ordine del giorno) il parlamento si riunisca in seduta comune presieduto dal presidente della Camera dei Deputati e si utilizzi il regolamento della camere dei deputati; i casi espressi sono:


  • elezione del Presidente della Repubblica, cui partecipano anche i delegati regionali (art. 83 comma 1 Cost.);
  • elezione di 5 giudici della Corte costituzionale (art. 135 comma 1 Cost.);
  • votazione dell'elenco dei cittadini dal quale si sorteggiano i membri aggiuntivi alla corte costituzionale (art. 135 comma 7);
  • elezione di un terzo dei componenti (i membri laici) del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 comma 2 Cost.);
  • la messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica (art. 90 comma 1).

1.2 IL REGOLAMENTO PARLAMENTARE


Il regolamento parlamentare è l'atto con cui l'art. 64 Cost. riserva la disciplina dell'organizzazione e del funzionamento di ciascuna Camera, con particolare riferimento al procedimento legislativo. Esso è approvato a maggioranza assoluta dalla Camera e pubblicato per disposizione del regolamento stesso, in Gazzetta Ufficiale. Nonostante la terminologia regolamento che essi portano per tradizione, i regolamenti parlamentari sono fonti primarie, inferiori soltanto alla Costituzione e dotate di un ambito di competenza riservato: attraverso essi si manifestano sia l'autonomia che caratterizza le Camere, in quanto organi costituzionali, sia la loro indipendenza. L'indipendenza che ha ciascuna camera deve essere assicurata rispetto agli altri poteri dello Stato, ed anche all'altra Camera, questo comporta che la riserva di regolamento rappresenti anzitutto un limite alla sfera d'applicazione delle leggi e delle altre fonti dell'ordinamento giuridico.

I regolamenti sono una sorta d'unicum, in quanto sono fonti supreme nel loro ambito d'applicazione ed in quanto la corte costituzionale non può giudicare sulla loro legittimità costituzionale in base al suddetto principio d'indipendenza (Sent. 154/1985). In precedenza questa mancanza di potere era assoluta basandosi sull'interna corporis secondo cui tutto quello che succedeva all'interno delle camere era insindacabile. In seguito a partire dalla sentenza num. 59/1999 venne stabilito che in materia di procedimento di formazione della legge la Corte Costituzionale può intervenire e sindacare sulla legittimità costituzionale dello stesso basandosi però solo sulla violazione dei principi fondamentale del nostro ordinamento giuridico.


1.3 PRESIDENTI ED UFFICIO DI PRESIDENZA


I due presidenti dell'assemblea hanno il compito di rappresentare rispettivamente le due camere, ma hanno anche il compito di regolare l'attività di tutti gli organi facendo rispettare in maniera maniacale il loro regolamento interno; inoltre dirigono la discussione in aula mantenendo l'ordine, sovrintendono all'organizzazione interna, alle funzioni dei Questori e assicurano il buon andamento della struttura organizzativa ed inoltre nominano le cosiddette Autority le autorità amministrative indipendenti come il CdA della RAI o i componenti del consiglio della Corte dei Conti. Essi hanno dei particolari compiti suppletivi in quanto il Presidente della Camere dei deputati presiede il parlamento in seduta comune, quello del Senato supplisce il Capo dello Stato nelle ipotesi di impedimento previste dall'art. 86 della Costituzione, entrambi devono essere sentiti dal P.d.R in caso di scioglimento anticipato delle camere.

Il procedimento d'elezione del presidente è stabilito nel regolamento interno e prevede; per la camera dei Deputati l'elezione avviene con scrutinio segreto e con un quorum che è inizialmente di due terzi, dopo la terza votazione diventa maggioranza assoluta; per il Senato invece, per i primi due scrutini ci sarà maggioranza assoluta, successivamente maggioranza semplice e dopo tre scrutini a questa maggioranza non vi è esito scatta il ballottaggio tra i due senatori con il maggior numero di voti nell'ultimo scrutinio.

Fino al 1994 in base al principio che il presidente dovesse ricoprire un ruolo imparziale era prassi che il Presidente del Senato fosse un elemento dell'opposizione, ma da quel governo di Berlusconi in poi come legittimazione della vittoria entrambi i presidenti appartengono alla maggioranza e talvolta il ruolo di presidente viene utilizzato per accontentare i partiti della coalizione maggiormente esigenti (come nel nostro caso attuale con Bertinotti presidente del Senato).

Successivamente all'elezione del presidente vengono eletti il vicepresidente, i questori ed i segretari che costituiscono l'Ufficio di presidenza che coadiuva le funzioni del presidente e deve essere composto di un elemento per ogni gruppo parlamentare.


1.4 GRUPPI PARLAMENTARI


I gruppi parlamentari sono individuati come i membri eletti in una camera appartenenti al medesimo partito o movimento politico. La Costituzione vi fa riferimento solo indicando che le commissioni parlamentari e quelle d'inchiesta devono essere costituite in proporzione alla Costituzione dei gruppi parlamentari. Ogni parlamentare subito dopo l'elezione deve dichiarare a quale gruppo vuole appartenere ed in caso di non scelta viene di diritto inserito nel gruppo misto. Ogni gruppo parlamentare eleggerà il proprio Presidente del gruppo i quali riuniti in collegio hanno i seguenti compiti:


  • danno vita alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari con poteri determinanti sull'organizzazione dei lavori come l'approvazione del programma ed il relativo calendario dell'aula;
  • alla Camera i presidenti hanno una serie di poteri procedurali come la presentazione di emendamenti o mozioni;
  • sono sentiti dal P.d.R in casi di crisi governative;
  • il gruppo infine nomina i membri che faranno parte delle commissioni parlamentari;

1.5 COMMISSIONI PARLAMENTARI


La commissioni parlamentari sono organi collegiali che svolgono primariamente funzione consultiva, in molti casi previsti espressamente dalla Costituzione, in relazione alla loro formazione possono essere temporanee o permanenti ed in relazione alla loro struttura possono essere monocamerali o bicamerali, ma in ogni caso esse devono essere formate proporzionalmente ai vari gruppi parlamentari.

Le commissioni parlamentari temporanee assolvono com 525b18f piti specifici e durano in carica per un tempo prestabilito, quelle permanenti sono invece organi stabili e necessari titolari importanti poteri nell'ambito del procedimento legislativo (referente, deliberante, redigente) e svolgono inoltre importanti funzioni di controllo.

Le commissioni monocamerali sono quelle commissioni che per la medesima materia esistono in entrambe le camere (vi sono particolari commissioni monocamerali non riconducibili ad un materia esclusiva come ad esempio la commissione di bilancio, la commissione tesoro e programmazione).

Le commissioni bicamerali sono formate in parti uguali da rappresentanti delle due camere, per lo svolgimento delle operazioni il regolamento della camera in cui la commissione ha sede. La Costituzione prevede espressamente una sola commissione bicamerale: quella per le questioni regionali, ce ne sono altre istituite con poteri di controllo come: il Comitato per i servizi di sicurezza, e la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.


1.6 GIUNTE PARLAMENTARI


Esse sono degli organi collegiali previsti dal regolamento parlamentare per i seguenti compiti:


  • esercizio di compiti di garanzia, corretta osservanza del regolamento e corretta elaborazione delle proposte della modifica dello stesso,
  • al Senato è presente inoltre la Giunta per gli affari delle Comunità europee con poteri consultivi.

1.7 DURATA IN CARICA DEL PARLAMENTO


Attualmente le due camere del parlamento durano in carica 5 anni, periodo chiamato legislatura, e le elezioni avvengono nel medesimo momento. In passato le due camere avevano durata differente, 5 anni la camera dei deputati e 6 anni il senato della repubblica, ma visto che in molte occasioni il Presidente della Repubblica scioglieva anticipatamente il Senato per permettere l'elezione contemporanea si è decisi di passare alla situazione attuale, in forza anche del bicameralismo perfetto. Ci sono due modi affinché il parlamento possa durare in carica oltre il proprio periodo della legislatura, la proroga e la prorogatio. Il primo caso è quello previsto dall'art. 60 comma 2 della Costituzione che prevede in caso di guerra che il parlamento mantenga i propri poteri oltre il termine della legislatura; nel secondo caso invece, la Costituzione stabilisce che le Camere rimangano in carica fino alla prima riunione del nuovo parlamento anche se i neoeletti acquistano lo status di parlamentare al momento dell'elezione.

Per quanto concerne la validità della seduta la Costituzione prevede un quorum strutturale o costitutivo valutato nella presenza della maggioranza dei componenti della camera, esso si presuppone esistente fino a che non viene chiesta la verifica da parte di alcuni parlamentari o dal Presidente della Camera. Per quanto riguarda la validità delle deliberazioni vi è un quorum funzionale o deliberativo che a meno di maggioranza diverse previste dalla Costituzione, si valuta come la maggioranza dei presenti. Per quanto riguarda gli astenuti essi si devono comportare diversamente nelle due camere: nella camera dei Deputati essi vengono conteggiati come assenti ma non hanno alcun obbligo, mente nel Senato essi si devono allontanare fisicamente dall'aula ottenendo quindi il medesimo risultato della Camera; questo diverso regime ha suscitato alcuni dubbi di legittimità costituzionale ma la Corte ha dichiarato il dubbio infondato, sulla base dell'autonomia conferita a ciascuna camera (sentenza 78/1984).

Per quanto riguarda le modalità di voto è normalmente palese con l'eccezione che talvolta può essere segreto, per quanto riguarda invece la modalità di espressione può avvenire per alzata di mano, per appello uninominale, mediante procedimento elettronico o per scheda cartacea.


1.8 COME LAVORA IL PARLAMENTO


I regolamenti parlamentati approvati nel 1971, ormai in gran parte modificati, puntavano sull'intesa tra la maggioranza e l'opposizione secondo il principio di unanimità che caratterizzava in precedenza la programmazione parlamentare. Con le modifiche apportate ai regolamenti tra il 1997 ed il 1999 si è passati ad un metodo di lavoro basato sull'esigenza di assicurare tempi certi all'esami dei progetti inseriti nella programmazione e poi per quanto riguardo il calendario deve essere stabilito preventivamente il tempo disponibile per la discussione, in modo tale che il governo possa fare affidamento su tempi predeterminati per l'esame dei disegni di legge sui quali intende attuare il suo indirizzo. Per alcune materie come la manovra di bilancio e la legge comunitaria è prevista però una corsia preferenziale.

L'attuale metodo della programmazione si basa sulla predisposizione del programma, del calendario e dell'ordine del giorno. Il programma contiene l'elenco degli argomenti che la Camera intende esaminare sulla base delle indicazioni del Governo e dei relativi gruppi; il calendario specifica quali materie saranno trattate in ogni singola seduta parlamentare mentre l'ordine del giorno organizza i lavori di ogni singola seduta.

Sia il programma che il calendario sono approvati alla Camera con il consenso dei tre quarti dei Presidenti dei gruppi parlamentari ed in mancanza di questa maggioranza sono stabiliti dal Presidente per un periodo di una settimana, per quanto riguarda il Senato devono essere approvati all'unanimità dalla conferenza dei Presidenti dei gruppi, se non vengono approvati Il Presidente predispone uno schema che presenta all'assemblea la quale ha la possibilità di sollevare proposte di modifica.

Per quanto riguarda la discussione degli argomenti stabiliti nel calendario è la Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari a stabilire quanto tempo viene messo a disposizione di ciascun gruppo, questo tempo è composta da una base unica per tutti i gruppi ed un tempo aggiuntivo in base alla consistenza del gruppo, la Conferenza ha però il compito di attribuire sempre un tempo maggiore ai gruppi delle opposizioni rispetto a quelli della maggioranza.


1.9 PREROGATIVE PARLAMENTARI


Quando si parla di prerogative parlamentari si intendono quegli istituti che in deroga ai diritti comuni prevedono dei privilegi a favore di quelle persona che ricoprono una determinata carica: lo status parlamentare. Esse dunque sono da ricondurre alla carica e non alla persona specifica se no si avrebbe una specifica lesione del principio di uguaglianza sancito nella nostra Costituzione. Esse si prefiggono l'obiettivo di tutelare la libertà d'opinione ed evitare eventuali azioni penali al solo fine di condizionare l'attività del parlamentare e sono citati nell'art. 68 della nostra Costituzione.

Si dividono in:


  • insindacabilità in qualsiasi sede (penale, civile, disciplinare e per questo garanzia di tipo assoluto) per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari (art. 68 comma 1 Cost.) ed ha un'efficacia eterna cioè anche dopo che sia venuto meno il mandato;
  • immunità penale, per cui il parlamentare non può essere sottoposto a misure restrittive della libertà personale o domiciliare o a limitazione delle libertà di corrispondenza e comunicazione senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza (art. 68 commi 2 e 3 Cost.) ed ha efficacia limitata al solo periodo del mandato.

Per quanto riguarda l'insindacabilità con sentenza n. 265/1997 la Corte Costituzionale, ha stabilito che l'autorità giudiziaria non è carente di giurisdizione, il giudice se ritiene che un parlamentare ha commesso un atto illecito potrà sollevare il conflitto d'attribuzione, finché non via espressa dichiarazione della Camera d'appartenenza del parlamentare che con atto scritto dichiari che il comportamento in questione è stato tenuto nell'esercizio delle funzioni parlamentari e dunque insindacabile; ma data la difficoltà nella maggior parte dei casi di ricondurre il comportamento al nesso funzionale sopra citato (comportamento nell'esercizio delle funzioni parlamentari) col passare la giurisprudenza cominciò ad orientarsi verso la teoria che nell'insindacabilità non potesse essere ricondotta a tutta l'attività politica svolta dal parlamentare fino a quando con legge n. 140/2003 si è stabilito che nel caso in cui il giudice sollevi il conflitto d'attribuzione ma la Camera giudichi insindacabile quel comportamento, il giudizio rimane temporaneamente sospeso ma il giudice potrà sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale e se questa si trova d'accordo con il giudice il procedimento a carico del parlamentare verrà immediatamente ripreso. Questa legge fu inoltre approvata dal legislatore per dare un'interpretazione estensiva dell'espressione "nell'esercizio delle sue funzioni" prevedendo casi di insindacabilità non previsti dalla giurisprudenza costituzionale.

Riassumendo la garanzia dell'insindacabilità opera nei limiti del nesso funzionale e attraverso lo studio delle sentenze si può dedurre quale siano i suo limiti. In merito, sono fondamentali le sentenze 10,11/2000 che indicano che al di fuori della camera di appartenenza il parlamentare ha l'obbligo di limitarsi a ripetere ciò che ha detto precedentemente in aula, deve esservi identità di contenuto.

Per quanto riguardava l'immunità penale prima della legge costituzionale 3/1993 per esercitare l'azione penale era necessaria l'autorizzazione a procedere per qualsiasi reato penale, dopo quella sentenza essa era indispensabile solo per i reati riguardanti le misure restrittive della libertà personale e le limitazioni alla corrispondenza e comunicazione.

Con l'ultima legge n. 140/2003 si è stabilito quali siano i casi espressamente previsti per cui è richiesta l'autorizzazione a procedere mentre nel caso in cui il parlamentare sia colto in fragranza nel commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto immediato o in caso di sentenza irrevocabile di condanna il giudizio di sindacabilità della camera non è previsto ma si procede immediatamente. Anche nel caso dell'immunità penale se la camera non da l'autorizzazione a procedere il giudice può presentare il conflitto di attribuzione dinanzi alla corte Costituzionale sperando così di poter procedere in caso di esito concordante.

Per quanto riguarda il giudizio di sindacabilità e l'autorizzazione a procedere essi sono decisi dall'apposita giunta e cui seguirà la deliberazione della Camera di appartenenza.


LA FUNZIONE LEGISLATIVA


Come afferma l'art. 70 Cost. la funzione legislativa spetta collettivamente alle camere e nei successivi articoli la nostra Costituzione descrive le modalità di realizzazione di questa funzione.

Il procedimento di formazione di una legge statale è stato precedentemente fatto nell'ambito delle fonti del diritto, qui si aggiunga che il Governo può porre la cosiddetta questione di fiducia tutte le volte in cui le Camere discutono di questioni di fondamentale importanza per il proseguimento del programma governativo; se la Camera dovesse esprimersi contrariamente, il Governo avendo messo in gioca la permanenza del rapporto di fiducia è costretto a dimettersi. Non si può porre questione di fiducia su quanto attiene al funzionamento delle due camere. In sintesi la questione di fiducia più che essere uno strumento per rinsaldare la maggioranza non sarà nient'altro che uno strumento di pressione per rendere più veloce il procedimento parlamentare.


LA FUNZIONE PARLAMENTARE DI CONTROLLO


La funzione parlamentare di controllo si concretizza in singoli istituti che hanno il compito di far valere la responsabilità politica del governo nei confronti del parlamento.

Gli istituti di cui ci stiamo occupando sono due le interrogazioni e le interpellanze.

L'interrogazione è una domanda che un parlamentare rivolge per iscritto al Governo avente per oggetto la veridicità o meno di un determinato fatto.

I regolamenti parlamentari prevedono che il Governo possa decidere di non rispondere ad un'interrogazione indicandone i motivi o di differire questa risposta ad una data in cui si obbligherà a rispondere. Lo svolgimento delle interrogazioni può avvenire in aula o in commissione e l'interrogante può fare specifica richiesta che la risposta avvenga per iscritto.

A partire dal 1983 nella Camera e dal 1988 al Senato sono state introdotte le cosiddette interrogazioni a risposta immediata che consistono in una sola domanda su un argomento di rilevanza generale con caratteristica di urgenza e attualità che si svolgono secondo un preciso contraddittorio e a cui viene riservato un certo spazio temporale (ad esempio alla Camere avvengono tutti i mercoledì pomeriggio in diretta televisiva).

L'interpellanza invece, è una richiesta che viene fatta al Governo per capire quale sia l'intenzione governativa in riferimento ad un atto o a una determinata situazione date per scontate.

I regolamenti della Camera e del Senato prevedono anche le interpellanze urgenti che sono delle interpellanze con un procedimento abbreviato che possono essere richieste o dal un Presidente di un gruppo o da un minimo di trenta parlamentari; gli stessi regolamenti parlamentari fissano un limite per lo svolgimento delle suddette interpellanze.


ATTI PARLAMENTARI DI INDIRIZZO


I regolamenti prevedono particolari atti che hanno il compito di indirizzare l'attività del governo, parliamo di mozione e risoluzione.

La mozione può essere presentata da un Capogruppo parlamentare, da 10 parlamentari della Camera o da 8 Senatori. Il fine della mozione è quella di aprire un dibattito con l'obiettivo di deliberare su questioni che incidono sull'attività di governo: quest'ultimo può porre la questione di fiducia.

Al contrario della mozione, la risoluzione può essere proposta anche in commissione ed il suo fine è quello di manifestare un orientamento o un indirizzo: la sua proponibilità in commissione consente di accentuare il ruolo di controllo e di indirizzo delle commissioni nelle materia di competenza: la risoluzione al pari della mozione condiziona l'indirizzo del Governo.


LE INCHIESTE PARLAMENTARI


La Costituzione all'art. 82 attribuisce a ciascuna camere la facoltà di istituire commissione d'inchiesta su materia di pubblico interesse con poteri e limiti dell'autorità giudiziaria. Si tratta quindi di un potere attribuito a ciascuna camere ma talvolta, con legge, il Parlamento istituisce Commissioni bicamerali.

Visto che l'oggetto deve essere d'interesse generale viene facile escludere che questa formula escluda inchiesta su singole persone ma talvolta le camere annettono ragionevolmente un rilievo politico o istituzionale a fattispecie singolari.

Molta importanza hanno le commissione parlamentari che vengono istituite parallelamente ad indagini giudiziarie,la differenza sta nel fine, mentre le attività giudiziarie mirano ad accertare le responsabilità giuridiche e penali la commissione parlamentare vuole accertare eventuali responsabilità politiche. Le commissioni parlamentari sono dotate dei medesimi poteri tipici dell'autorità giudiziaria, cioè poteri di indagine e di ricerca delle prove come definiti dal codice di procedure penale. Nello stesso tempo la commissione in quanto organo parlamentare, gode di ampia libertà nella sua attività dunque le commissioni sono libere di scegliere i propri modi di azione esenti da formalismo giuridici, più duttili dei poteri coercitivi che sono stabiliti nel secondo comma dell'art. 82.


Articolo 82

Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.
A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi.
La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni della Autorità giudiziaria.


Vista l'importanza delle fattispecie in cui sono implicate la commissione ha il potere di opporre il segreto sulle risultanze acquisite nel corso delle indagini, potendovi derogare solo per venire incontro a richieste dell'attività giudiziaria, dunque compare così nella giurisprudenza costituzionale il segreto funzionale, espressione dell'autonomia delle Camere.

Dal punto di vista strutturale, la commissione d'inchiesta è formata in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari, questo ovviamente può portare ad un numero molto elevato di componenti e per questo diventa sempre più complesso mantenere il segreto che pure in astratto viene posto in atti e documenti.



2. IL GOVERNO ITALIANO


2.1 DEFINIZIONE


Il Governo è un organo costituzionale complesso formato dal Presidente del Consiglio e dall'insieme dei ministri che appunto formano il Consiglio dei Ministri.

Il Governo è l'organo fondamentale per quanto riguarda l'indirizzo politico del paese ma svolge anche un importante fetta della funzione normativa: la dimensione effettiva del suo potere politico dipende dagli equilibri della complessiva forma di governo e dal grado di attuazione del decentramento politico e dall'economia di mercato.


2.2 LE REGOLE GIURIDICHE SUL GOVERNO


Il diverso ruolo del Governo e delle sue modalità di formazione e di funzionamento sono permesse grazie all'elasticità della disciplina costituzionale, la quale si limita solo a prevedere poche regole e principi di natura strutturale e di funzionamento, rinviando alla prassi, alle convenzioni, alla legge ordinaria ed agli atti di autorganizzazione dello stesso Governo.

Per quanto riguarda il procedimento di formazione esso è contenuto negli articoli 92 comma 2, 93 e 94 comma 3 e consacrano le seguenti norme: il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio; i ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, i membri del Governo prima di assumere le proprie funzioni devono giurare nella mani del Presidente della Repubblica; entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo deve presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia, la fiducia viene accordata o revocata mediante mozione motivata votata per appello nominale (il principio fondamentale delle fiducia parlamentare comporta che l'intero procedimento di formazione del governo abbia come obiettivo quello di ottenere la fiducia del parlamento)

Per quello che riguarda invece la struttura del Governo la nostra Costituzione si limita nell'art. 92 comma 1 a citare gli organi governativi necessari e cioè quelli citati prima, il Presidente del Consiglio, i ministri che collegialmente formano il Consiglio dei Ministri. La stessa Costituzione però non vieta alla legge ordinaria di prevedere ulteriori organi purchè vengano rispettate le competenze di quelli necessari stabiliti dalla Costituzione. Nel corso dell'esperienza repubblicana dunque sono nati altri organi governativi non necessari come il vice-presidente del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i sottosegretari di stato, i comitati interministeriale ed il Consiglio di Gabinetto.

Per quanto concerne infine il funzionamento l'art. 95 della Costituzione lo rinvia completamente alle legge sull'ordinamento della Presidenza del consiglio dei Ministri approvata solo nel 1988 (legge 400/1988), in attuazione della stessa inoltre sono stati adottati il regolamento interno del Consiglio dei Ministri (con decreto del Presidente del Consiglio nel 1993) e numerosi ordini di servizio di organizzazione della strutture della Presidenza del Consiglio.


2.3 LA FORMAZIONE DEL GOVERNO


Le modalità di formazione del governo italiano sono descritte dagli art. 92, 93, 94 comma 1 della nostra Costituzione. Parlando in generale nelle democrazie pluraliste vi sono due metodologie di formazione del Governo: democrazia mediata e democrazia immediata.

Nella democrazia mediata, che è stata la metodologia del nostro paese fino al 1993, sono i partiti che dopo le elezioni detengono il potere di formazione della struttura e del programma del governo, invece nella democrazia immediata, metodologia attuale nel nostro paese vi è una sostanziale investitura popolare del capo del Governo (addirittura nelle elezioni del 2001 vi è stato un riconoscimento formale su questa scelta introducendolo nella scheda elettorale).

L'investitura può essere solo sostanziale in quanto come sappiamo la nostra forma di governo non prevede l'elezione popolare del Presidente del Consiglio, ma la nostra disciplina costituzionale prevede sia delle caratteristiche della democrazia mediata che la suddetta investitura sostanziale del presidente del Consiglio.

La disciplina Costituzionale si limita solo a prevedere che debba essere il Capo dello Stato a nominare il Presidente del Consiglio, e su proposta di quest'ultimo i Ministri. Questa soluzione in cui la lista dei Ministri sia frutto della decisione del futuro Presidente darebbe grande autorevolezza a questa figura ma la realtà non è così in quanto la lista è semplicemente frutto di un lungo lavoro di mediazione tra i vari partiti della coalizione in modo da mantenere stabili gli equilibri all'interno di essa, limitando fortemente il potere del Presidente della Repubblica


2.4 CONSULTAZIONI E INCARICO PER LA FORMAZIONE DEL GOVERNO


In caso di crisi di governo o in conseguenza di nuove elezioni, si apre il vero e proprio procedimento di formazione del Governo. In primo luogo il Presidente della Repubblica procederà con le consultazioni, fase non prevista dal testo costituzionale ma affermatasi nella prassi, in cui il Capo dello Stato fissa degli incontri con: i Presidenti dei gruppi parlamentari con gli esponenti più significativi dei partiti; i segretari dei partiti politici; e per una ragione più di rispetto formale che di utilità incontra anche: i Presidente delle Camere, gli ex Presidenti della repubblica, talvolta anche i sindacati e inoltre chiunque ritenga utile sentire per venire a conoscenza delle negoziazioni che si stanno svolgendo tra i partiti ai fini della formazione del governo. Fino al 1993 quando la formazione di Governo era di tipo mediata, in questa fase il Presidente della Repubblica non faceva altro che apprezzare i contenuto del lungo processo di contrattazione svolto dai partiti che sfociava negli accordi di coalizione, al fine di scegliere un soggetto ritenuto idoneo per divenire Presidente del Consiglio.

L'incarico viene conferito oralmente dal Presidente della Repubblica (fino al 1958 questo incarico veniva conferito per iscritto) e di regola viene accettato con riserva, che viene sciolta solo dopo che l'incaricato abbia svolta le sue funzione preliminari. Queste sono riconducibili all'individuazione della lista dei ministri da proporre al capo dello Stato per la nomina ed al programma di governo che deve avere il consenso della coalizione e successivamente obbligatoriamente la fiducia del parlamento.


2.5 LA LISTA DEI MINISTRI, LA NOMINA ED IL GIURAMENTO


Fino a quando il procedimento della formazione del governo era basato su una democrazia mediata, l'attività dell'incaricato  (il PdR) era essenzialmente di mediazione mentre il potere sostanziale della scelta dei ministri era frutto dell'accordo dei partiti stessi. Dunque il potere previsto dall'art. 92 della Costituzione era sostanzialmente svuotato di contenuto ed i partiti erano i reali formatori del Governo.

Esaurita l'attività dell'incaricato e formata la lista dei ministri, il Presidente della Repubblica attraverso due decreti distinti nomina il Presidente del Consiglio e su proposta di quest'ultimo, i ministri. Dopo la nomina entro un periodo inferiore alle 24 ore il Presidente del Consiglio ed i ministri giurano nelle mani del Presidente della Repubblica, e con il giuramento il Governo è immesso nelle sue funzioni. Il primo atto formale del Presidente del Consiglio sarà quello di contro firmare gi decreti di nomina di se stesso dei Ministri (potrebbe risultare ingiusto che sia lui stesso a firmare il proprio atto di nomina ma in questo modo si voleva evitare che il vecchio presidente del consiglio facesse ostruzionismo). A questo punto termina il procedimento di formazione del governo e si apre la seconda delicata fase che dovrà culminare con l'accordo della fiducia da parte del Parlamento.

Entro dieci giorni dal giuramento, il Governo dovrà presentarsi alle camere ove il presidente del Consiglio esporrà il programma di governo precedentemente approvato dal Consiglio dei Ministri. In ciascuna delle due camere i parlamentari della maggioranza presentano una mozione di fiducia (elemento di razionalizzazione della nostra forma di governo) che deve essere motivata, in modo da poter incidere sullo stesso programma di governo, che dovrà essere per appello nominale con voto palese.

La fiducia si intenderà accordata se sarà approvata con maggioranza relativa in entrambe le camere, nella storia repubblicana ci sono stati 4 casi di mancata fiducia iniziale.


2.6 UNITA' ED OMOGENEITA' DEL GOVERNO


Il problema dell'unità e dell'omogeneità del Governo è un problema pratico e consiste nell'assicurare che il Governo si comporti effettivamente in modo politicamente unitario e dunque che i propri componenti agiscano secondo il medesimo indirizzo politico. E' evidente che nel caso di Governi di coalizione essendo i membri espressione di partiti diversi si pone il problema di ricondurli entro uno stesso indirizzo politico.

L'esperienza storica e comparata dimostra che per perseguire l'obiettivo dell'unificazione e dell'omogeneità del Governo si può far leva o sul ruolo unificante del Consiglio dei ministri o sulla prevalenza del Primo ministro, il quale sarà dotato degli strumenti giuridici per far prevalere un indirizzo politico unitario e per bloccare le eventuali iniziative dei ministri divergenti.

Tuttavia, gli ostacoli che si frapponevano all'affermazione di una democrazia maggioritaria nei primi di esperienza repubblicana, le incertezze sui futuri equilibri del sistema politico e, più in generale, la diffidenza determinata dall'esperienza fascista, i costituenti miravano ad un governo "forte" ed impedirono che la Costituzione accogliesse simili soluzioni.

Per cui l'art. 95 della Costituzione ha previsto:


Articolo 95

"Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene la unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei Ministri.

I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei Ministeri".


Per cui l'art. 95 ha formalmente consacrato tre diversi principi di organizzazione del Governo, che si sono affermati in fasi diverse della storia politico costituzionale italiana e precisamente:


  • il principio della responsabilità politica di ciascun ministro, che per il nesso esistente tra responsabilità e potere comporta il riconoscimento dell'autonomia di ciascun ministro nella direzione del suo ministero;
  • il principio di responsabilità politica collegiale, incentrato sul consiglio dei ministri;
  • il principio della direzione politica monocratica, basata cioè sui poteri del Presidente del consiglio.

Tutto ciò comporta che il concreto equilibrio tra i menzionati principi organizzativi non sia stabilito una volta per tutte dal documento costituzionale, ma sia di volta in volta realizzato in maniera diversa, a seconda degli equilibri complessivi del sistema politico, dal grado di compattezza della coalizione e della maggioranza, dal prestigio del Primo ministro.





LA LEGGE 400/88


Solamente nel 1988 è stata approvata la legge che ha razionalizzato gli strumenti di garanzia di unità politica e amministrative del governo, ed in particolare:


Per quanto riguarda il Consiglio dei Ministri:


1. Il Consiglio dei ministri determina la politica generale del Governo e, ai fini dell'attuazione di essa, l'indirizzo generale dell'azione amministrativa; delibera altresì su ogni questione relativa all'indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere. Dirime i conflitti di attribuzione tra i ministri.


2. Il Consiglio dei ministri esprime l'assenso alla iniziativa del Presidente del Consiglio dei ministri di porre la questione di fiducia dinanzi alle Camere.


3. Sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei ministri:

a) le dichiarazioni relative all'indirizzo politico, agli impegni programmatici ed alle questioni su cui il Governo chiede la fiducia del Parlamento;

b) i disegni di legge e le proposte di ritiro dei disegni di legge già presentati al Parlamento;

c) i decreti aventi valore o forma di legge e i regolamenti da emanare con decreto del Presidente della Repubblica;

d) gli atti di indirizzo e di coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni e, nel rispetto delle disposizioni statutarie, delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano; gli atti di sua competenza previsti dall'articolo 127 della Costituzione e dagli statuti regionali speciali in ordine alle leggi regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano, salvo quanto stabilito dagli statuti speciali per la regione siciliana e per la regione Valle d'Aosta;

e) le direttive da impartire tramite il commissario del Governo per l'esercizio delle funzioni amministrative delegate alle regioni che sono tenute ad osservarle;

f) le proposte che il ministro competente formula per disporre il compimento degli atti in sostituzione dell'amministrazione regionale, in caso di persistente inattivita' degli organi nell'esercizio delle funzioni delegate, qualora tali attivita' comportino adempimenti da svolgersi entro i termini perentori previsti della legge o risultanti dalla natura degli interventi;

g) le proposte di sollevare conflitti di attribuzione o di resistere nei confronti degli altri poteri dello Stato, delle regioni e delle province autonome;

h) le linee di indirizzo in tema di politica internazionale e comunitaria e i progetti dei trattati e degli accordi internazionali, comunque denominati, di natura politica o militare;

i) gli atti concernenti i rapporti tra li Stato e la Chiesa cattolica di cui all'articolo 7 della Costituzione;

l) gli atti concernenti i rapporti previsti dall'articolo 8 della Costituzione;

m) i provvedimenti da emanare con decreto del Presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato, se il ministro competente non intende conformarsi a tale parere;

n) la richiesta motivata di registrazione della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 25 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214;

o) le proposte motivate per lo scioglimento dei consigli regionali;

p) le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario a tutela dell'unita' dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle regioni delle provincie autonome, anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali;

q) gli altri provvedimenti per i quali sia prescritta o il Presidente del Consiglio dei ministri ritenga opportuna la deliberazione consiliare.


Per quanto riguarda invece il Presidente del Consiglio:


1. Il Presidente del Consiglio dei ministri a nome del Governo:

a) comunica alle Camere la composizione del Governo e ogni mutamento in essa intervenuto;

b) chiede la fiducia sulle dichiarazioni di cui alla lettera a) del comma 3 dell'articolo 2 e pone, direttamente o a mezzo di un ministro espressamente delegato, la questione di fiducia;

c) sottopone al Presidente della Repubblica le leggi per la promulgazione; in seguito alla deliberazione del Consiglio dei ministri, i disegni di legge per la presentazione alla Camere e, per l'emanazione, i testi dei decreti aventi valore o forza di legge, dei regolamenti govenativi e degli altri atti indicati dalle leggi;

d) controfirma gli atti di promulgazione delle leggi nonche' ogni atto per il quale e' intervenuta deliberazione del Consiglio dei ministri, gli atti che hanno valore o forza di legge e, insieme con il ministro proponente, gli altri atti indicati dalla legge;

e) presenta alle Camere i disegni di legge di iniziativa governativa e, anche attraverso il ministro espressamente delegato, esercita le facolta' del Governo di cui all'articolo 72 della Costituzione;

f) esercita le attribuzioni di cui alla legge 11 marzo 1953, n. 87, e promuovere gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle decisioni della Corte costituzionale. Riferisce inoltre periodicamente al Consiglio dei ministri, e ne da' comunicazione alle Camere, sullo stato del contenzioso costituzionale, illustrando le linee seguite nelle determinazioni relative agli interventi nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale. Segnala altresi', anche su proposta dei ministri competenti, i settori della legislazione nei quali, in relazione alle questioni di legittimita' costituzionale pendenti, sia utile valutare l'opportunita' di iniziative legislative del Governo.


2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 95, primo comma, della Costituzione:

a) indirizza ai ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri nonche' quelle connesse alla propria responsabilita' di direzione della politica generale del Governo;

b) coordina e promuove l'attivita' dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del Governo;

c) puo' sospendere l'adozione di atti da parte dei ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative, sottoponendoli al Consiglio dei ministri nella riunione immediatamente successiva;

d) concorda con i ministri interessati le pubbliche dichiarazioni che essi intendano rendere ogni qualvolta eccedendo la normale responsabilita' ministeriale, possano impegnare la politica generale del Governo;

e) adotta le direttive per assicurare l'imparzialita', il buon andamento e l'efficienza degli uffici pubblici e promuove le verifiche necessarie; in casi di particolare rilevanza puo' richiedere al ministro competente relazioni e verifiche amministrative;

f) promuove l'azione dei ministri per assicurare che le aziende e gli enti pubblici svolgano la loro attivita' secondo gli obiettivi indicati dalle leggi che ne definiscono l'autonomia e in coerenza con i conseguenti indirizzi politici e amministrativi del Governo;

g) esercita le attribuzioni conferitegli dalla legge in materia di servizi di sicurezza e di segreto di Stato;

h) puo' disporre, con proprio decreto, l'istituzione di particolari Comitati di ministri, con il compito di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell'attivita' del Governo e su problemi di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio dei ministri, eventualmente anche di esperti non appartenenti alla pubblica amministrazione;

i) puo' disporre la Costituzione di gruppi di studio e di lavoro composti in modo da assicurare la presenza di tutte le competenze dicasteriali interessate ed eventualemente di esperti anche non appartenenti alla pubblica amministrazione.


3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, direttamente o conferendone delega ad un ministro:

a) promuove e coordina l'azione del Governo relativa alle politiche comunitarie e assicura la coerenza e la tempestivita' dell'azione di Governo e della pubblica amministrazione nell'attuazione delle politiche comunitarie, riferendone periodicamente alle Camere;

promuovere gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte di giustizia delle Comunita' europee; cura la tempestiva comunicazione alle Camere dei procedimenti normativi in corso nelle Comunita' europee, informando il Parlamento delle iniziative e posizioni assunte dal Governo nelle specifiche materie;

b) promuovere e coordina l'azione del Governo per quanto attiene ai rapporti con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sovraintende all'attivita' dei commissari del Governo.


4. Il Presidente del Consiglio dei ministri esercita le altre attribuzioni conferitegli dalla legge (convocazione del Consiglio dei ministri, e ordine del giorno di ogni seduta).


2.8 LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI


Per poter esercitare i compiti sopra citati il Presidente del Consiglio dispone di una struttura amministrativa di supporto, prevista dalla legge 400/88 e poi modificata con d.lgs 303/1999, che si compone nel Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, cui è proposto un segretario generale con decreto del PCM.


2.9 GLI ORGANI GOVERNATIVI NON NECESSARI


Sempre la legge 400/88 ha stabilito la presenza di una serie di organi governativi non necessari costituzionalmente ma che nella prassi giornaliera sono fondamentali per permetto uno svolgimento regolare del programma governativo.


Il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, di solito nominato fra i Ministri ed ha il principale compito di supplire il Presidente in caso di impedimento temporaneo. In realtà questa figura ha come obiettivo quello di dare risalto nella coalizione ad un partito diverso da quello del Presidente.

Il Consiglio di Gabinetto, maggiormente utilizzato in passato era un organo consultativo in cui il Presidente riuniva i ministri delle diverse componenti politiche della coalizione.

I Comitati interministeriali, sono organi collegiali formati da più ministri e possono essere di due tipi, quelli istituiti per legge che hanno anche competenza a deliberare su determinati oggetti previsti, e quelli istituiti con DPCM, nominati spesso comitati di ministri che invece hanno compiti provvisori.

I Ministri senza portafoglio, sono i ministri non preposto ad un ministero ma che svolgono funzione delegate dal PdC sentito il Consiglio dei Ministri (con relativo provvedimento pubblicato sulla GU) su materie particolarmente tecniche. Queste figure sono previste da norme legislative, che ne individuano le funzione, lasciando però al PDC la possibilità di delegarle o meno.

I Sottosegretari di Stato,  che svolgono il compito di coadiuvare i Ministri o il PDC. Non fanno parte del Consiglio dei Ministri ma possono su delega dello stesso sostituire il proprio ministri anche in collegio attenendosi però alle direttive dategli dal Ministro. La loro nomina avviene con DPDR su proposta del Presidente del Consiglio in concerto con il Ministro in questione, sentito il Consiglio dei Ministri. Un particolare ruolo viene svolto dal sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio che svolge la funzione si segretario generale del CDM.

I Viceministri, sono i sottosegretari, numero massimo dieci, alle quali vengono conferite deroghe riguardanti un'intera area di competenza, possono essere invitati alle sedute del consiglio senza avere diritto di voto ma con il compito di riferire in merito alla propria area tecnica. I viceministri sono una figura a metà tra il ministro ed il sottosegretario, non hanno una propria fisionomia.

I commissari straordinari del Governo, nominati nella maggioranza dei casi per particolari esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali. Sono nominati con DPDR su proposta del PDC previa autorizzazione del CDM.


IL GOVERNO E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


Ciascun ministro è preposto a capo di uno dei grandi rami dell'amministrazione statale, il ministero. Perciò possiamo dire che il Ministro ha una doppia veste istituzionale: da un parte partecipa all'indirizzo politico come membro del CDM e dall'altra costituisce il vertice amministrativo di un ministero, chiamato a realizzare quell'indirizzo.

L'organizzazione dei ministeri attualmente si basa sul principio della separazione tra politica e amministrazione: agli organi di governo spetta l'esercizio della funzione di indirizzo politico e amministrativa; ai dirigenti amministrativi spetta invece l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, ma anche quello che riguarda la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa.

Riguardo alla seconda funzione in particolare il Ministro deve periodicamente, e obbligatoriamente entro dieci giorni dall'approvazione della legge di bilancio definire obiettivi, priorità piani e programmazione attraverso le direttive generali cui dovranno obbligatoriamente uniformarsi i dirigenti, i quali sono responsabili in caso di gestione negativa o nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi a loro affidati e dunque l'incarico può in ogni momento essere revocato (responsabilità dirigenziale).

In passato in ministeri sono sempre stati un numero elevato, una ventina circa, e ciò comportava un limatura nell'efficienza del governo oltre alla frammentazione delle competenze riguardanti la stessa materia. Dunque il d.lgs 300/1999 ha drasticamente ridotto il numero dei ministeri, ma al fine di mantenere gli equilibri governativi tra le diverse forze della coalizione i ministeri hanno ricominciato ad aumentare prima nel 2001 e ancora di più nel 2006 quando prima ancora di ottenere la fiducia il PDC Prodi ha adottato un decreto legge in deroga al d.lgs sopra citato stabilendo che nell'attuale governo ci sono 18 ministri con portafoglio e 8 ministri senza portafoglio.

Secondo la legge 300/1999 accanto ai ministeri lavorano le Agenzie che sono delle strutture amministrative che hanno funzione a carattere tecnico-operativo.


2.11 I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULL'AMMINISTRAZIONI




I principi costituzionali sull'amministrazione sono i seguenti:


La legalità della pubblica amministrazione e la riserva di legge in materia di organizzazione. Il primo principio non è direttamente scritto in Costituzione, ma si ricava dal principio generale della divisione dei poteri. Il principio di legalità può definirsi come la sottoposizione dell'amministrazione alla legge, nel senso che l'amministrazione può fare solo ciò che è previsto dalla legge e nel modo da essa indicato.

Per quanto concerne, poi, l'organizzazione degli uffici pubblici, la Costituzione (art. 97/1) pone una riserva di legge relativa. La tendenza recente è quella di ridurre il campo di intervento legislativo nella materia dell'organizzazione amministrativa, riducendosi alla fissazione dei principi generali rinviando le scelte più puntuali a regolamenti di organizzazione, in modo da assicurare la flessibilità della strutture ed il loro rapido adeguamento al progresso del tempo.

L'imparzialità della pubblica amministrazione. L'art. 97 della Costituzione vieta di effettuare discriminazioni tra soggetti non sorrette da alcun fondamento e quindi in modo arbitrario.

Il buon andamento della pubblica amministrazione. Sempre l'art. 97 richiede che l'attività amministrativa sia efficiente, cioè in grado di realizzare il miglior rapporto tra mezzi impiegati e risultati ottenuti, e efficacia cioè capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Il principio del concorso pubblico. Questo principio impone che per l'accesso al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, per cui, salvo casi stabiliti dalla legge, agli impieghi con le amministrazioni pubbliche si accede mediante concorso.

Il dovere di fedeltà. Sancito in termini generali per tutti i cittadini all'art. 54 delle Costituzione, in questo si specifica nel dovere di adempiere le pubbliche funzioni con disciplina e onore e prestando giuramento nei casi previsti dalla legge (art. 54 Cost.).

Il principio di separazione tra politica e amministrazione. Questo principio prevede che gli organi di governo determinano obiettivi e programmi e gli organi burocratici hanno la titolarità dei poteri di gestione amministrativa, in modo tale da evitare ingerenze della politica e nelle puntuali e specifiche scelte amministrative.

Le responsabilità personale dei pubblici dipendenti. In questo caso viene esclusa ogni forma di immunità per gli atti da essi compiuti in violazione dei diritti. Si tratta di una responsabilità diretta che il dipendente ha solidamente con lo Stato o con l'ente pubblico da cui dipende.

Il principio di sussidiarietà. Dopo la riforma del titolo V impone che la pubblica amministrazione sia in linea tendenziale un'amministrazione locale.


LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI FIDUCIA E LA MAGG. POLITICA


Quando si parla di stabilità del governo rientra in maniera principale lo studio del rapporto di fiducia tra il Governo stesso ed il Parlamento; dunque data la sua importanza sono stati posti dei vincoli affinché sia difficoltosa e ponderata la scelta di togliere la fiducia al governo.

Il primo istituto con il quale può essere interrotta la fiducia è la mozione di sfiducia, che è un atto motivato promosso dal Parlamento, firmato da almeno un decimo dei componenti che non può essere discusso prima di 3 giorni dalla sua presentazione (periodo necessario di riflessione vista la sua importanza) e viene votato per appello uninominale e palese in modo da far assumere la responsabilità ai parlamentari ed evitare i cosiddetti franchi tiratori (colore che minano la maggioranza in segreto). La mozione di sfiducia a legislatura in corso è stata qualche volta presentata ma mai portata avanti.

Maggiore utilizzo ha avuto invece la mozione di fiducia che è una atto disposto dal governo entro dieci giorni dal suo giuramento volto all'accordo della fiducia iniziale da parte del Parlamento. Nel corso della storia repubblicana 4 volte non è stata accordata la fiducia iniziale al Governo. La funzione principale della fiducia è quella di dimostrare che in Parlamento vi è una maggioranza politica che sostenga il programma del Governo e che gli permetterà di realizzarlo. Vista la situazione bipolare che attualmente è presente nel nostro parlamento si può dire che la mozione di fiducia si rivolge alla maggioranza e dunque sancisce il rapporto tra governo e maggioranza.

Diverso invece è il caso della questione di fiducia, che è un atto con il quale il Governo richiede l'approvazione parlamentare su una sua iniziativa. Trattandosi di atti necessari ai fini del compimento del proprio indirizzo politico, il Governo riterrà in caso di mancato esito favorevole venuta meno la fiducia e dunque rassegnerà le dimissioni. Alla questione di fiducia si applicano regole analoghe a quelle previste per la mozione di fiducia dunque la discussione viene aggiornata, avviene per appello nominale e per di più viene bloccata la votazione per emendamenti.

A differenze di quello che sarebbe la sua funzione originaria in realtà la questione di fiducia rappresenta solo una atto di pressione da parte del governo nei confronti della maggioranza affinché resti compatta e coerente con la scelta fatta in precedenza riguarda la fiducia accordata al Governo (la finanziaria è una classica materia in cui il Governo pone la questione di fiducia).



BREVE STORIA DELLE CRISI DI GOVERNO


La crisi di Governo consiste essenzialmente nella presentazione delle dimissioni del governo stesso e possono dipendere da una rottura insanabile dei rapporti tra i partiti della coalizione, oppure possono essere causate dalla rottura del suddetto rapporto di fiducia. Le crisi di governo possono essere divise in crisi autentiche, parlamentari ed extraparlamentari.

Le crisi di governo autentiche sono quelle derivanti dalla morte, da un impedimento permanente o dalle dimissioni del Presidente del Consiglio.

Le crisi parlamentari sono quelle determinate da una mancata approvazione della mozione di sfiducia, dalla mancata approvazione della fiducia iniziale e dal voto contrario alla questione di fiducia posta dal Governo. In questi casi il governo è giuridicamente obbligato a porre le proprie dimissioni. Nella storia repubblicana non ci sono mai state crisi parlamentari dovute all'approvazione di una mozione di sfiducia e soltanto in quattro casi si ha avuto una mancata fiducia iniziale, mentre una sola volta si ha avuto crisi di governo dovuta al voto contrario su una questione di fiducia posta dal governo (crisi del Governo Prodi nel 1998).

Le più importanti e più frequenti sono invece le crisi extraparlamentari sono quelle determinate da una rottura insanabile dei rapporti tra i partiti della coalizione. La frequenza di queste crisi ha posto il problema di come far conoscere ai cittadini le motivazioni delle crisi stesse affinché essi possano rendersi conto di eventuali responsabilità governative. Al fine di risolvere questo problema si è tentata la cosiddetta parlamentarizzazione delle crisi nate fuori dal parlamento. Essa consiste nell'invito rivolto dal Presidente della Repubblica al Governo dimissionario di presentarsi in Parlamento ed aprire un dibattito sulla crisi, non tanto per tentare di risolverla, quanto per cercare di capirne le motivazioni.

Addirittura nel 1990 la camera ha approvato una mozione con la quale obbligava il Governo dimissionario a dare previa comunicazione motivata alle Camere: all'inizio questa mozione fu disattesa ma poi successivamente i governi dimissionari cominciarono a rispettarla.

Nel corso ad esempio della XII legislatura di Berlusconi e nella XIII di Prodi si sono verificati dei casi, detti ribaltoni, in cui a seguito di una crisi annunciata si sono riformati dei governi dello stesso indirizzo politico, ma con una maggioranza diversa rispetto a quella precedente ed un presidente del Consiglio diverso da quello presentato agli elettori come candidato.

Mancando prassi e convenzioni che assicurino un certo grado di durata delle coalizione diventa anche difficile mantenere una certa stabilità governativa, in quanto il potere dei partiti di recedere dalla maggioranza governativa ha determinato un'incredibile instabilità che porta i governi italiani ad avere una media di vita intorno all'anno circa. E noi sappiamo benissimo che senza stabilità non si può pretendere che vengono efficacemente affrontati i problemi strutturali di uno Stato.


LA SFIDUCIA INDIVIDUALE


L'art. 94 della Costituzione prende in considerazione solo il caso della sfiducia governativa per quel che riguarda l'intero Governo. Attraverso un'interpretazione estensiva di questo articolo la Corte costituzionale ha previsto la sfiducia nei confronti anche di un solo ministro. Il caso eclatante che ha sollevato la decisione della Corte costituzionale fu la mozione di sfiducia votata dal Senato nei confronti dell'allora Ministro di Grazia e Giustizia Filippo Mancuso con la conseguenza della sostituzione da parte del Presidente della Repubblica che attribuì il compito ad interim all'allora PDC Dini. La storica sentenza è la n. 7/1996 e fu determinata da Mancuso che sollevò un conflitto di attribuzione nei confronti del Senato che secondo lui avrebbe potuto votare la sfiducia solo all'intero Governo ed anche al Presidente della Repubblica che disattese la suddetta cosa ed affidò, come detto, il compito ad interim all'allora PDC Dini. Viste le motivazione la Corte rigettò la richiesta di Mancuso, di fatto permettendo la sfiducia individuale.

Fino a quel momento la mozione di sfiducia individuale era una atto con la finalità di aumentare la critica nei confronti del governo, ma il Ministro veniva sempre difeso riconducendo il suo operato al fine dell'indirizzo politico del Governo stesso. La mozione di sfiducia nei confronti di un Ministro che porterebbe all'inevitabile rottura degli accordi di coalizione creerebbe dunque una crisi governativa dunque il PDC non ha motivo di sfiduciare.

Nel caso Mancuso la situazione era particolare in quanto il governo Dini era un governo tecnico salito tramite ribaltone, e senza una precisa fisionomia politica ma nato con partiti rappresentanti le diverse idee politiche, e dato che il caso Mancuso rappresentava perfettamente la vistosa contrapposizione sull'argomento all'interno del Governo stesso, quest'ultimo deciso di rimettere la decisione sulla sfiducia nelle mani del parlamento senza coprire il Ministro.


3. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


3.1 CAPO DELLO STATO E FORMA DI GOVERNO


Nel nostro sistema parlamentare l'organo del Capo dello stato, non può essere univocamente identificato: egli può infatti assumere sia ruolo di garante costituzionale che organo governante. Nel primo caso il Presidente della Repubblica si limita a rappresentare il paese e a garantire il corretto funzionamento del sistema costituzionale ma deve rimanere totalmente estraneo all'indirizzo politico del paese, nel secondo caso, invece, egli interviene quando vi sono crisi tra gli organi titolari della funzione governativa al fine di stabilizzare la situazione nel paese.

La nostra Costituzione, in materia di Presidente della repubblica, non ne regola espressamente il ruolo, ma semplicemente si limita a:


fissare l'ampia rappresentatività determinato dall'elezione sganciata dalla maggioranza e con il parlamento in seduta comune con l'aggiunta dei rappresentanti regionali;

gli attribuisce alcuni poteri, tra cui conosciamo la nomina del Presidente del Consiglio, il potere di sciogliere anticipatamente il Parlamento, rinviare le leggi, nominare alcune particolari cariche ecc.;

pone alcuni limiti nel suo esercizio come ad esempio l'obbligo della controfirma ministeriale, o l'obbligo della fiducia parlamentare dopo che lui nomina il Governo per vietare Governi presidenziale nominati dal Capo dello Stato contro il volere del parlamento;

sancisce la sua irresponsabilità politica (art. 89 Cost.).


Dunque come detto nemmeno il testo della Costituzione ci aiuta a definire quali siano i compiti precisi del Presidente della repubblica che dipendono dai mutamenti del sistema politico di governo infatti: nel caso in cui ci sia forte rischio di crisi allora il ruolo del presidente della Repubblica si espande e a lui spettano alcune decisioni molto importanti, tra quelli di sciogliere o meno le Camere, mentre nel caso in cui la situazione sia stabile politicamente come detto in precedenza si limiterà ad operarsi in modo che vengano garantiti alcuni valori costituzionali o al massimo cercherà di favorire la conclusione degli accordi tra le forze politiche. Questo tipo di potere che varia a seconda della situazione politica si definisce a fisarmonica, in quanto si espande e si restringe a seconda delle fasi politiche. Bisogna però soffermarsi sul fatto che l'intervento nella vita politica del PDR non dipende esclusivamente dalla situazione politica ma anche ovviamente dalla loro personalità interventista o meno; in Italia infatti abbiamo avuto sia PDR imparziali come Einaudi, ma anche PDR molto interventisti come Scalfaro.


3.2 ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Il Presidente della Repubblica Italiana viene eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali (3 per ogni regioni tranne 1 per la Valle d'Aosta) in modo da caratterizzare il Presidente della Repubblica di organo eletto dall'unità nazionale.

I requisiti per diventare presidente della Repubblica sono: l'aver compiuto i 50 anni di età, il pieno godimento dei diritti civili e politici ed inoltre non deve essere titolare di qualsiasi altra carica. A trenta giorni dalla fine del mandato il Presidente della Camera convoca il Parlamento in seduta comune e i delegati regionali per l'elezione del nuovo presidente. In caso di impedimento, morte o dimissione analoga procedura ma entro 15 giorni. Nel caso in cui le camere siano sciolte o manchino meno di 3 mesi dalla fine della legislatura, si attenderà l'elezione delle nuove camere per procedere all'elezione del nuove Presidente ed il vecchio prorogherà i propri poteri fino al momento della nuova elezione.

L'elezione avviene a scrutinio segreto con la maggioranza dei 2/3, dopo il terzo scrutinio è comunque sempre richiesta la maggioranza assoluta in quanto organo imparziale non deve essere riconducibile alla sola maggioranza.

Il mandato presidenziale italiano è di 7 anni e nessuna norma vieta la rielezione (ma per prassi non si rielegge lo stesso PdR al fine di evitare un'eccessiva personalizzazione della carica), durante il mandato, che decorre dalla data del giuramento,  il PdR dispone di un assegno mensile e di una dotazione, oltre ad una struttura amministrativa a lui sottostante chiamata Segretariato generale della Presidenza della Repubblica.

La cessazione della carica può avvenire per: morte, impedimento permanente, dimissioni, decadenze per perdita di uno dei requisiti di eleggibilità, destituzione per sentenza della Corte Costituzionale in seguito alla messa in stato d'accusa per i reati di alto tradimento o attentato alla Costituzione. Nel caso di scadenza naturale, dimissioni o impedimento, salvo rinuncia, il Presidente della Repubblica diventa senatore a vita (art. 59 comma 1 Cost.).


3.3 LA CONTROFIRMA MINISTERIALE


Ogni qualvolta il PdR adotti o sottoscriva un atto, il Ministro competente nella materia presente nell'atto ha l'obbligo della controfirma ministeriale (art. 89 Cost.). Essa ha un duplice effetto oltre a rendere l'atto valido trasferisce la responsabilità dell'atto stesso dal PdR al Governo. Dunque l'istituto della controfirma è fondamentale nella nostra forma di Governo. La controfirma riguarda tutti gli atti del PdR a meno che non si tratti degli atti cosiddetti personalissimi come le proprie dimissioni, o quando adotta atti in qualità di presidente di un collegio ad esempio quando è a capo del CSM.

Gli atti del PdR in base a chi sostanzialmente ne decida il contenuto e dunque in base all'effetto che ha la controfirma ministeriale si dividono in 3 tipi: atti formalmente e sostanzialmente presidenziale, atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi e atti complessi eguali o duumvirali.

Gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali sono quelli in cui le decisioni adottate provengono direttamente dal PdR. Per questi atti provvede alla controfirma il ministro competente per materia. In questo caso la controfirma oltre che svuotare il PdR dalla responsabilità evita che il Presidente stesso cerchi di imporre un proprio indirizzo politico. Sono atti di questo tipo ad esempio la nomina dei 5 giudici della Corte costituzionale.

Gli atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi sono quelli che derivano da una proposta ministeriale ed il capo dello stato ha il solo compito di controllo costituzionale e di emanazione, in questo caso parlando di atti di derivazione governativa nel contenuto, la controfirma si limita solo a svuotare della responsabilità il PdR.

Infine gli atti complessi eguali o duumvirali sono quelli in cui nella determinazione della sostanza vi è un confronto tra il PdR ed il Governo, ad esempio lo scioglimento anticipato della Camere, e di regola sono controfirmati dallo stesso Presidente del Consiglio.


3.4 L'IRRESPONSABILITA' PRESIDENZIALE


Come detto più volte la Costituzione ha fissato il principio dell'irresponsabilità del PdR, attraverso l'istituzione della controfirma, ovviamente per quanto riguarda la responsabilità politica.

Per quanto riguarda la responsabilità giuridica come nel caso dei parlamentari dovremo parlare di una responsabilità funzionale, cioè nell'esercizio delle sue funzioni, e responsabilità non funzionale cioè gli atti posti in essere come un normale cittadino.

Nell'ambito della responsabilità funzionale il PdR è responsabile solo per i reati di altro tradimento e attentato alla Costituzione (ad esempio se rifiuta per due volte di promulgare un atto normativo), ed in questo caso si aprirà un conflitto che verrà risolto dalla Corte Costituzionale in collegio allargato (cioè coi giudici aggregati) che se lo riterrà colpevole lo condannerà alla destituzione dalla carica di Presidente della Repubblica.

Quando si tratta invece di responsabilità non funzionale bisogna distinguere in capo penale ed in campo civile. Salvo ovviamente la possibilità di dimissione a seguito di qualsiasi atto, in campo penale il processo sarà congelato fino al termine del mandato mentre in ambito civile egli è responsabile al pari di ogni altro cittadino.


3.5 ATTI COMPLESSI: LO SCIOGLIMENTO ANTICIPATO DELLE CAMERE


Per quanto riguardo le disposizioni costituzionali in materia di scioglimento anticipato delle camere nell'art. 88 è previsto che:


"Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura."


Risulta difficile capire dalla mera lettura di questo articolo a chi realmente spetti la sostanziale scelta: il fatto che non sia possibile sciogliere anticipatamente le camere nell'ultimo periodo in modo da evitare che il Presidente sciolga le camere nella speranza che quelle nuove siano favorevoli alla sua rielezione, ci fa pensare che si tratta di un potere presidenziale. D'altro canto l'obbligo della controfirma e quindi il fatto che il Presidente non possa scegliere da solo ci potrebbe far pensare che l'atto sia sostanzialmente governativo con il successivo atto di promulgazione del PdR come atto meramente formale, oppure semplicemente un atto complesso alla cui formazione partecipano entrambi gli organi. In generale tutte e tre le ipotesi sono plausibili dunque a fare la differenza nella scelta sarà la forma di governo a cui ci riferiamo. Nel parlamentarismo maggioritario di fatto il potere si è spostato di fatto nelle mani del governo e dunque è configurabile come un atto sostanzialmente governativo.

Il fatto che la forma di governo italiana abbia per lungo tempo operato mediante moduli diversi da quello del parlamentarismo maggioritario, spiega perché lo scioglimento è stato considerato un atto complesso o duumvirale. Infatti in presenza di coalizioni post-elettorali con frequenti crisi di governo e formazioni di nuovi Governi e talora di nuove coalizioni politiche, il PdR svolgeva la menzionata funzione di intermediazione politica, se ogni tentativo di coagulare una coalizione falliva l'unica via che gli restava era quella dello scioglimento anticipato delle camere. Lo scioglimento anticipato è sempre stato configurato come una sorta di estrema ratio: solo se il Parlamento non è in grado di esprimere una maggioranza e nessun Governo si procede allo scioglimento. Lo scioglimento dovuto a tale causa è stato chiamato scioglimento funzionale. In questa ipotesi il decreto presidenziale di scioglimento nella sostanza certifica la volontà delle forze politiche di porre anticipatamente fine alla legislatura. Poiché in ultima istanza la decisione è riconducibile alle forze politiche. Si deve parlare di una sorta di autoscioglimento.

Se si escludono gli scioglimenti tecnici che erano finalizzati a far svolgere contemporaneamente  le elezioni delle due camere, gli scioglimenti anticipati fino al 1992 furono tutti dovuti a gravi difficoltà politiche che impedivano di formare una maggioranza politica.

Un discorso parzialmente diverso bisogna farlo per lo scioglimento dal 1994, disposto dal presidente Scalfaro in funzione del referendum elettorale del 1993 il quale nonostante il Governo non fosse in crisi e non avesse perso la fiducia parlamentare motivò la sua scelta dicendo che attraverso il referendum gli italiani non avevano espresso solo la scelta di un nuovo sistema elettorale ma anche di un nuovo parlamento eletto appunto col nuovo sistema elettorale. Perciò emerge il ruolo del capo dello Stato a cui si imputa la decisione di sciogliere anticipatamente le camere. Il capo dello Stato scioglie però in accordo con il Governo, della cui controfirma ha bisogno. La Costituzione prevedendo l'obbligo della controfirma ha escluso la possibilità di scioglimento unilateralmente deciso dal PdR anche contro la maggioranza ed il suo Governo. Quest'ultimo anche nelle fasi di massima espansione del ruolo presidenziale deve acconsentire alla scelta del Presidente di sciogliere anticipatamente le camere.

L'individuazione dello scioglimento anticipato delle camere come atto complesso o duumvirale presupponevano un certo assetto di governo imperniato su un sistema elettorale proporzionale. Ma se gli assetti cambiano anche per l'effetto di un sistema elettorale anche solo in parte maggioritario, si affermano un sistema politico bipolare e la convenzione che rimette alla scelta popolare l'individuazione della maggioranza e l'indicazione del PdC si pongono le premesse per una diversa configurazione dello scioglimento anticipato. Dunque se in parlamento la coalizione scelta dal corpo elettorale entra in crisi non si può escludere che il governo proponga il decreto di scioglimento delle camere ed il capo dello Stato lo firmi. Si tratta di un'ipotesi diversa dalle precedenti perché dettata da una diversa forma di governo in cui si inserisce, e che ci indica come con l'attuale forma di governo l'atto di scioglimento anticipato delle camere sia sostanzialmente governativo.


3.6 ATTI FORMALMENTE E SOSTANZIALMENTE PRESIDENZIALI


Gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali sono:


gli atti di nomina: i 5 giudici della Corte costituzionale (art. 135 comma 1 Cost.), i 5 senatori a vita (art. 59 comma 2 Cost.);

il rinvio delle leggi. Il Presidente della repubblica può con messaggio motivato rinviare una volta la legge per una nuova deliberazione;

i messaggi presidenziali: la Costituzione non ne disciplina il contenuto egli può stimolare o orientare l'attività parlamentare sui problemi da lui ritenuti cruciali (art. 87 Cost.);

esternazioni atipiche: sono tutte le manifestazioni del pensiero presidenziale i cui destinatari sono la pubblica amministrazione o il popolo;

convocazione straordinaria delle camere: diretta a garantire il funzionamento delle istituzioni costituzionali contro eventuali prevaricazioni della maggioranza (art. 62 Cost.)


3.7 ATTI FORM. PRESIDENZIALI  E SOST. GOVERNATIVI


Gli atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi sono:


emanazione degli atti governativi aventi forza di legge;

adozione con la forma di dPR dei più importanti atti governativi come la nomina dei funzionari dello stato (art. 87 Cost.);



promulgazione della legge (art. 73 Cost.);

ratifica dei trattati internazionali, accreditamento dei rappresentanti diplomatici esteri, dichiarazione dello stato di guerra, comando delle forza armate e presidenza del Consiglio superiore della Magistratura (art. 87 Cost.);

commutazione delle pene (art. 87 Cost.);

autorizzazione della presentazione alle camere dei ddl governativi (art. 87 Cost.);

indire le elezioni delle nuove camere e fissarne la prima seduta (art. 87 Cost.);

indire il referendum popolare (art. 87 Cost.);

conferire le onorificenze della repubblica (art. 87 Cost.);

emana il decreto di scioglimento dei consigli regionali  e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di leggi (art. 126 Cost.).


Per quanto riguarda la concessione della grazia (art. 87 Cost.) la Corte costituzionale l'ha configurata come una atto sostanzialmente presidenziale (sent. 200/2006) in quanto la controfirma del ministro di grazie e giustizia ha il compito di attestare la completezza e la regolarità dell'atto.


3.8 ATTI COMPIUTI IN QUALITA' DI PCSD E PCSM


In alcuni casi il PdR opera come presidente di un collegio e dunque gli atti facendo capo al collegio stesso non necessitano della controfirma.

Al capo dello stato è attribuita la presidenza del Consiglio supremo di difesa, composto da lui, il Presidente del Consiglio dei ministri, in qualità di vicepresidente, alcuni Ministri ed il Capo di stato maggiore. Degli atti derivanti dal consiglio supremo di difesa è responsabile il Governo dinanzi al Parlamento. All'interno del consiglio supremo di difesa vi sono degli atti che spettano al Presidente della Repubblica come disposto dal regolamento di attuazione della legge 624/1950 che ha stabilito la nascita del Consiglio supremo di difesa: spetta a lui il potere di convocazione, di formazione dell'ordine del giorno e di nomina e revoca del segretario del Consiglio

Per quanto riguarda l'attività del CSM di cui il PdR è il presidente, tutti gli atti derivanti dall'appartenere a questo organo sono atti dell'organo stesso dunque non necessitano della controfirma tuttavia per quanto concerne i provvedimenti che attengono allo status giuridico dei magistrati ordinari essi assumono la forma di decreti del Presidente della Repubblica controfirmati dal ministro della giustizio adottatati conformemente a quanto deliberato dal CSM.


3.9 LA SUPPLENZA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Tutte le volte in cui il PdR non può adempiere ai propri compiti si inserisce l'istituto della supplenza. Sarà supplente il Presidente della Camera del Senato in modo da consentire la continuità delle funzioni presidenziali (art. 86 Cost.).

Gli impedimenti che non permettono al PdR di svolgere le proprie funzioni si dividono in impedimenti temporanei o permanenti. In caso di impedimento temporaneo, il Presidente del Senato assume le funzioni presidenziali e nel momento in cui cessa l'impedimento il Presidente della Repubblica riprende piano possesso delle sue funzioni. L'accertamento dell'impedimento temporaneo avviene ad opera del PdR stesso e in Presidente del Senato non deve prestare giuramento.

Più complicato è il caso dell'impedimento permanente. L'iter è simile a quello della morte o delle dimissioni, il Presidente del Senato prende possesso delle funzioni ma contemporaneamente il presidente della Camere avvia il procedimento di nuova elezione. Nel caso di impedimento permanente diventa più complesso l'accertamento, nell'unico caso verificatosi nella storia repubblicana (impedimento permanente presidente Segni nel 1964) l'accertamento avvenne ad opera dei medici di fiducia dell'allora PdR, ma questo metodo non è di norma ma si tratta come detto in precedenza dell'unico precedente.

4. LA MAGISTRATURA


4.1 GIUDICI ORDINARI E GIUDICI SPECIALI


Il sistema giudiziario italiano si caratterizza per la presenza di più giurisdizioni che si differenziano le una delle altre o sul piano della materia o sul piano della posizione del soggetto giuridico interessato nel procedimento e sono: i giudici ordinari, i giudici amministrativi, i giudici contabili, i giudici tributari e i giudici militari.

Per quanto riguarda i giudici ordinari amministrano la giustizia civile attraverso organo giudicanti ed organi requirenti. In merito a questo, al fine di evitare una sorta di confusione ultimamente è stato deciso che ci debba essere un certo grado di separazione tra i magistrati giudicanti ed i magistrati requirenti, infatti i candidati iscritti al concorso di magistrato devono prematuramente indicare se intendono svolgere la funzione requirente o giudicante e poi ad esempio nel caso che un magistrato nel corso della sua carriera voglia passare da un tipo all'altro potrà farlo ma solo cambiando distretto e portando a termine un corso specifico. Gli organi giudicanti civili si dividono in organi di primo grado (giudice di pace e tribunale ordinario) e organi di secondo grado (la corte d'appello). Questo due gradi rappresentano i gradi di merito cioè coloro che possono sviluppare la fase istruttoria del procedimento. Il terzo grado, la corte cassazione, è invece solo giudice di legittimità in quanto non potrà entrare nel merito della sentenza ma verificare che il giudice sia arrivata ad esso applicando nella maniera giusta le norme corrispondenti. Anche per quanto riguarda gli organi giudicanti penali vi sono organo di primo grado (il giudice di pace, il tribunale. La corte d'assise), organi di secondo grado (la corte d'appello, la corte d'assise d'appello, il tribunale della libertà) ed un terzo grado, la corte di cassazione.

Gli organi requirenti sopra citati sono i Pubblici ministeri che esercitano l'azione penale e civile nel processo al fine di curare gli interessi pubblici. Se nel processo civile l'azione del PM è interamente rimesso alla legge in quanto opera solo nei casi da essa prevista, nel campo penale vi è l'obbligo costituzionale per il PM di esercitare l'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione.


Articolo 112

"Il Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale".


Questo vuol dire che il PM non può discrezionalmente scegliere se esercitare l'azione penale (a meno che non si tratti di reati procedibili solo per querela di parte) ma è sempre obbligato ad intraprendere la sua azione in caso di notizia criminis fondata. Questo perché ovviamente la Costituzione voleva evitare che la giurisdizionale potesse essere influenzata a favore di qualcuno rispetto che ad un altro. Questo spiega anche perché il Pubblico ministero sia indipendente (art. 108/2 Cost.) e gode delle garanzia riguardanti l'ordinamento giudiziario (art. 107/4 Cost.)

Per quanto riguarda i giudici amministrativi sono rappresentati dai tribunali amministrativi regionale, istituito uno in ciascuna regione ed il Consiglio di Stato (che in Sicilia opera attraverso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia). La differenza tra tribunale ordinario ed amministrativo è che nel primo sono tutelati i diritti soggettivi (art. 24 Cost.) mentre nel secondo sono tutelati gli interessi legittimi (art. 113 Cost.):


Articolo 24

"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari".


Articolo 113

"Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa".


Vi sono però delle eccezioni infatti già da tempo il campo delle sanzioni amministrative pecuniarie sono affidate alla giurisdizione civile, mentre altre materie che pur comprendono diritti soggettivi sono di materia esclusiva della giurisdizione amministrativa (giurisdizione esclusiva). L'organo d'appello del tribunale amministrativo regionale è il Consiglio di Stato che oltre a questo svolge anche funzione consultivo del Governo.

Altri tribunali speciali sono la Corte dei Conti, che esercita la giurisdizione nel caso di danno economico ad privato da parte dei soggetti pubblici, i giudici tributari, che esercitano la giurisdizione tra privati cittadini e l'amministrazione finanziaria dello stato, ed infine i giudici militari che in tempo di guerra eserciterebbe la giurisdizione secondo quanto detto dalla legge ed in tempo di pace giudicano i soli atti commessi dagli appartenenti delle forza armate.


4.2 PRINCIPI COSTITUZIONALI IN TEMA DI GIURISDIZIONE


In materia di giurisdizione la nostra Costituzione stabilisce una serie di principi fondamentali. Il più importante è sicuramente il principio del giudice naturale stabilito dall'art. 25 Cost. comma 1: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge". Questo è un principio di garanzia fondamentale per il cittadino in quanto sancisce che il giudice debba essere costituito precedentemente al fatto compiuto e non successivamente se no saremmo in presenza di giudici straordinari, che sono assolutamente vietati insieme ai giudici speciali  a meno che non si trattino di quelle precedentemente descritti. La legge deve fissare dei criteri astratti attraverso i quali il giudice predeterminato dovrà giudicare la fattispecie concreta.

Altri fondamentali principi sono sanciti negli articoli 101, 102 e 108:


Articolo 101

"La giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge".


Articolo 102

"La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.


Articolo 108

Le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del Pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia".


Come accennato in precedenza La Corte di Cassazione si configura come giudice di legittimità, ma oltre a questo risolve i conflitti di competenza tra giudici ordinari e giudici speciali, in questo senso la Corte di cassazione è l'organo di chiusura del sistema a lei l'ordinamento giudiziario la funzione di nomofilachia è cioè la soluzione delle questioni interpretative più controverse, al fine di indirizzare l'attività giuridica agli organi giudicanti o requirenti.

La Costituzione inoltre sancisce altri due diritti fondamentali che sono il diritto alla difesa ed il giusto processo, rispettivamente agli articoli 24, 113 comma 1 e all'articolo 111.


Articolo 24

"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari".


Articolo 113

"Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.


Articolo 111

"La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel piu' breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei Tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione".


L'art. 111 della nostra Costituzione è sicuramente tra i più lunghi e complicati ma in materia processuale stabilisce quattro principi fondamentali:


diritto al contraddittorio: in qualsiasi fase del processo deve essere data la possibilità a ciascuno di far valere la propria posizione partendo da un posizione di formale parità;

imparzialità e terzeità del giudice: in quanto la sentenza deve venire da un soggetto che sia estraneo alle parti e dunque di conseguenza imparziale: a garanzia di questi due principi abbiamo gli istituti dell'astensione e ricusazione; il primo deve avvenire da parte del giudice quando una delle parti sia suo parente fino al 4° grado, mentre il secondo è da parte delle parti del giudizio in casi previsti dalla legge;

infine il principio della ragionevole durata del processo: e questo stabilisce che qualsiasi parte del processo debba rispettare i tempi evitando sperperi di tempo (anche perché la lunghezza eccessiva dei processi è costato all'Italia una serie di innumerevoli multe dalla comunità europea).


4.3 LO STATUS GIURIDICO DEI MAGISTRATI ORDINARI


La Costituzione stabilisce che l'accesso alla magistratura possa avvenire solo mediante concorso pubblico. Un volta superato si consegue la nomina di uditore giudiziario. L'avanzamento di carriera dei magistrati si svolge automaticamente per anzianità di servizio dunque, secondo la legge, dopo 28 anni di carriera un magistrato può ambire ai più alti gradi della magistratura ordinaria. Secondo l'art. 107 comma 3 della Costituzione infatti i giudici si distinguono solo per diversità di funzioni, e tra loro è ancora possibile il passaggio nel corso della propria carriera da giudice giudicante a requirente e viceversa.

Dopo aver analizzato il metodo di accesso alla magistratura ci soffermiamo sui principi che la caratterizzano in generale. L'art. 104 comma 1 stabilisce che la Magistratura è un organo indipendente da tutti gli altri poteri. Il motivo è di natura storica ed è perché si voleva evitare che l'esecutivo e la magistratura fossero concentrati nello stesso organo e dunque questo condizionava notevolmente il lavoro della magistratura stessa.

I due principi fondamentali della magistratura sono l'autonomia e l'indipendenza. Col primo appunto si sancisce che il magistrato deve svolgere il suo compito senza condizionamenti dagli altri magistrati dell'ordinamento, il secondo si riferisce invece alla magistratura in generali che come detto prima non deve ricevere condizionamenti dagli altri organi statali.

L'art. 107 comma 1 sancisce inoltre che i magistrati sono inamovibili e cioè non possono essere sollevati dalla loro funzioni o trasferiti se non con provvedimento del Consiglio superiore della Magistratura che deve essere accettato dal Magistrato oppure deve riguardare una sanzione o necessità cioè se viene riscontrato che non è in grado in quella sede di svolgere le proprie funzioni.


4.4 IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA


A garanzia dell'autonomia e dell' indipendenza della Magistratura la Costituzione stabilisce che qualsiasi atto riguardante questo organo debba essere adottato da un organo totalmente indipendente dal Governo: il Consiglio Superiore della Magistratura. La presenza di questo organo è fondamentale perché se non ci fosse ed il Governo potesse operare sulla carriera dei magistrati potrebbe tranquillamente condizionarne l'operato.

Il CSM si compone di 3 parti:


tre membri di diritto: il Presidente della Repubblica che lo presiede, il primo presidente della Cassazione, il procuratore generale della corte di Cassazione;

i membri togati: due terzi del collegio eletti direttamente dai magistrati;

i membri laici: un terzo del collegio che sono eletti dal parlamento in seduta comune tra professori ordinari all'università in materie giuridiche o avvocati che esercitano al professione da almeno 15 anni.


E' fondamentale captare che la Costituzione non stabilisce il numero esatto dei membri del CSM ma solo la proporzione tra i membri togati ed i membri laici. Nel corso della storia repubblicana ci sono state 6 leggi che hanno cambiato questo numero. Attualmente i membri sono 27: 3 di diritto, 16 togati e 8 laici.

Come descritto nell'art. 105 il CSM si occupa di tutti i lati della vita professionale dei magistrati ordinari:


Articolo 105

"Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati".


Le decisioni riguardanti l'avvio di un procedimento nei confronti di un magistrato spettano all'apposita sezione disciplinare che proporrà poi la decisione all'intero collegio. La responsabilità disciplinare opera in caso di violazione dei doveri connessi al corretto esercizio della funzione giurisdizionale e precisamente i magistrati ordinari rispondono di ogni comportamento, assunto in ufficio o fuori in violazione dei propri doveri.  Siccome il capo di illecito disciplinare è decisamente ampio è stato recentemente avviato un tentativo di una nuova legge con cui si è chiesto al Governo di tipizzare i comportamenti in violazione della responsabilità disciplinare.

I magistrati ordinari oltre alla responsabilità disciplinare sono soggetti anche a quella civile e penale. La responsabilità civile ha un regime particolare in quanto il privato danneggiato può chiedere il risarcimento allo Stato il quale potrà rivalersi sul Magistrato nella misura massima di un terzo dello stipendio annuale. In caso di responsabilità penale opera solo nei casi di reati commessi nell'esercizio delle funzioni.

Gli atti del CSM assumono la veste di decreti del presidente della repubblica e sono sottoposti al sindacato del giudice amministrativo quando vengono impugnati con apposito ricorso giurisdizionale. Il giudice competente è il TAR del Lazio e in appello il consiglio di Stato. Per quanto riguarda i provvedimenti disciplinari sono impugnabili davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione.

Le nomine delle più alte cariche dirigenziali del CSM sono avvengono in concerto tra il CSM. stesso ed il Ministro di Giustizia. In caso non si giunga ad un accordo prevale la volontà del CSM


4.5 IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA


Prima della Costituzione del 1948 il Ministro di Grazie Giustizia era dotato di ampissimi poteri che limitavano l'autonomia e l'indipendenza del CSM, ma con la nostra Costituzione questi poteri sono stati molto limitati e riconducibili a:


curare il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia;

promuovere eventualmente l'azione disciplinare dinanzi all'apposita sezione del CSM;

partecipare al conferimento degli uffici direttivi;

esercitare poteri di sorveglianza ed eventuali attività ispettive nei confronti degli atti giudiziari;















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