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AUTONOMIA LOCALE

diritto



AUTONOMIA LOCALE


Quando si parla di autonomia, si intende la capacità di un ente, diverso dallo stato di compiere delle scelte di carattere politico, anche se parzialmente difformi da quelle dello stato stesso, e in particolar modo si parla di autonomia normativa . La stessa parola autonomia sottolinea la capacità di un ente di darsi leggi da se auto-nomos che significa proprio legge. Nella nostra Costituzione il principio di autonomia trova la sua attuazione fra i principi fondamentali , ci riferiamo all'articolo 5 della Costituzione.Questo articolo rimane il punto fondamentale dell'affermazione del diritto autonomistico ,garantendo un'ampia libertà conferita alle diverse collettività territoriali nel perseguimento e nella gestione di interessi locali, mediante il riconoscimento di una posizione di autonomia in favore dei rispettivi enti esponenziali.Emerge inoltre in questo principio la differenza tra autonomia e decentramento. Quest'ultimo indica le funzioni dello stato centrale che vengono trasmessi a livelli più prossimi agli amministrati; quindi decentramento dello Stato verso la periferia del governo da parte dello Stato stesso.In questo modo viene riconosciuta alla periferia la possibilità di far fronte ai propri bisogni autonomamente.










LEGGE 8/6/1990, n. 142

ORDINAMENTO DELLE AUTONOMIE LOCALI




Gli enti locali del territorio nazionale italiano sono rimasti soggetti, fino alla emanazione della legge n. 142 del 1990, alla fondamentale legge comunale e provinciale il cui impianto è risalente al 1915.
La legislazione sugli enti locali, rimasta immutata per oltre mezzo secolo, ha avuto, quindi, grazie alla legge 142 del 1990 una positiva accelerata ed il processo di riforma ha assegnato agli organi di governo i poteri di indirizzo e controllo, mentre all'apparato burocratico ha riservato l'attività' gestionale



POTESTA' STATUTARIA RICONOSCIUTA A PROVINCE E COMUNI



Tra i punti che possono essere ritenuti fondamentali della nuova disciplina contenuta nella legge 142/1990 va, per primo, individuato quello relativo alla introduzione dello statuto, o meglio dalla potestà statutaria riconosciuta a province e comuni.
Questa potestà statutaria era stata già riconosciuta ed attribuita alle province regionali dalla L.R. n. 9 del 1986; ma è da tener presente che essa era scomparsa dall'ordinamento giuridico italiano con il sorgere delle grandi monarchie nazionali, caratterizzate da un forte accentramento del potere negli organi centrali di governo.
L'assolutizzazione della forma politica dello stato moderno con la correlata concezione di un potere unico aveva quindi condotto alla sminuizione del ruolo dei poteri locali e, come conseguenza, rendeva inconcepibile una sia pur limitata autonomia degli stessi, reputata capace di intaccare la sovranità statale e di creare conflitti all'interno del processo di unificazione delle strutture statali.
A questa rigida concezione si era riferito il legislatore italiano del 1865, quello -per intenderci- che aveva dato vita alle leggi sulla unificazione amministrativa del neo nato stato.
È con la costituzione repubblicana del 1948 che, sotto la concorrente spinta proveniente dalle maggiori componenti l'assemblea costituente dei principi politici del pluralismo e delle esigenze autonomistiche delle comunità locali rispetto al potere statale centrale, riaffiora nell'ordinamento giuridico il riconoscimento e la tutela delle autonomie locali (art. 5 Cost.) e la articolazione della Repubblica, oltre che nella forma organizzativa statale, in enti autonomi denominati regioni, province e comuni (art. 128 Cost.).
Si arriva, cioè, a configurare al di fuori dell'ente stato la autonoma esistenza, con proprie prerogative e proprie funzioni, di enti territoriali minori, rappresentativi delle collettività locali e portatori di interessi diversi e, a volte, anche confliggenti con gli interessi del potere politico centrale di cui è titolare lo stato.
È, però, vicenda nota la ritardata e travagliata attuazione del principio costituzionale per le remore frapposte dal potere centrale alla perdita di prerogative e attribuzioni e, soprattutto, di controllo della attività degli enti locali.
Non è un caso, probabilmente, che la emanazione della legge sulle autonomie locali con la attribuzione della potestà statutaria a comuni e province sia venuta a coincidere -siamo nel 1990- con la omogeneizzazione del quadro politico nazionale e la perdita della guida delle grandi città da parte delle forze di opposizione in sede nazionale.

LA POTESTA' STATUTARIA:LO STATUTO CARTA FONDAMENTALE DELLA COMUNITA' LOCALE



La potestà statutaria è il punto centrale della riforma autonomistica o, meglio, della attuazione del principio costituzionale di riconoscimento, tutela e promozione delle autonomie locali.
Riguardo a questa "novità" rappresentata dalla restituzione della potestà statutaria ai comuni, vorrei particolarmente soffermarmi su di un profilo che potrebbe rappresentare la chiave di volta di una reale effettiva instaurazione di un sistema delle autonomie locali e per far questo mi rifaccio ad una esemplificazione.
Si afferma in genere, con una formula che riecheggia anche nel testo normativo (art. 4 L. n. 142/1990), che lo statuto costituisce la carta fondamentale del comune, o della provincia, così come si afferma generalmente che la costituzione rappresenta la carta fondamentale della repubblica; è un parallelismo questo che, a mio avviso, non è privo di implicazioni.
Quando, infatti, nel campo della dottrina costituzionalistica si parla di repubblica si intende riferire il termine non già e non solamente all'ente statuale (lo stato), ma all'intera comunità nazionale; si parla in tal caso di stato-comunità per differenziarlo dallo stato-ente o stato-governo, ossia per fissare una distinzione tra la collettività nazionale, con le sue molteplici articolazioni, e il complesso dei poteri statali che astrattamente considerati come unica entità danno vita allo stato.
Allo stesso modo mi pare si debba affermare che lo statuto costituisce o debba costituire la carta fondamentale delle comunità locali e non solo de 535j93f ll'ente comune o dell'ente provincia.
Basti considerare al riguardo che l'art. 5 della costituzione, ricompreso tra i principi fondamentali della carta costituzionale, è norma di riconoscimento e di garanzia delle autonomie locali e non solo o non soltanto di quegli enti locali autonomi che l'art. 128 della Costituzione individua nelle province e nei comuni.
Orbene, sia la legge nazionale che quella regionale nell'introdurre la potestà statutaria di comuni e province fanno riferimento ad una disciplina che concerne l'ordinamento delle autonomie locali e non ad una disciplina che concerne soltanto gli enti comunali e/o gli enti provinciali.
Anzi, al legislatore nazionale è ben chiara la distinzione, tanto che delinea all'art. 2 un rapporto tra l'ente locale e la comunità locale, proprio a significarne la diversità e, al tempo stesso, la strumentalità del primo rispetto alla seconda ("Il comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo"; idem per la provincia "ente intermedio tra comune e regione" che "cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale").
Lo statuto, quindi, deve essere la carta fondamentale della comunità locale.
Peraltro, è da rilevare che anche il legislatore regionale sia stato ben attento a cogliere questa istanza di partecipazione della intera comunità locale alla redazione dello statuto nel momento in cui, con una significativa innovazione rispetto al "collega" nazionale, ha previsto la partecipazione dei cittadini singoli o associati alla definitiva adozione dello statuto mediante la presentazione di osservazioni e proposte sullo schema di statuto predisposto dalla giunta e debitamente pubblicizzato.
Si apre, pertanto, quella che si può ben definire una vera e propria "fase costituente" all'interno delle comunità locali; ed è una carta di valore che non dovrebbe essere assolutamente sprecata.
Attraverso questo fondamentale strumento istituzionale si introduce nell'ordinamento la possibilità, ed è una possibilità unica e propria delle comunità locali, di passare gradualmente da una forma di democrazia rappresentativa -quale quella che sinora si è sperimentata mediante gli strumenti partitici- ad una forma di democrazia partecipativa, nella quale i portatori delle diverse istanze sociali, culturali, economiche presenti in un determinato territorio possono (anzi, direi, "dovrebbero") direttamente intervenire, attraverso le diverse forme che lo statuto avrà individuato, nei processi decisionali e dovranno essere chiamati ad introdurre valutazioni ed interessi all'interno dei procedimenti amministrativi, obbligando l'amministrazione pubblica a rendere ragione, piena e compiuta, delle scelte operate ed esercitando -sempre nelle forme che lo statuto dovrà prevedere- incisivi controlli sull'azione amministrativa.
Sono indicative della tendenza ora delineata le norme che prevedono come contenuto obbligatorio dello Statuto:

la partecipazione popolare alla attività del comune attraverso l'esercizio del diritto di udienza

l'espletamento di referendum consultivi su richiesta di un determinato numero di cittadini

la consultazione dei rappresentanti degli interessi diffusi in seno alle commissioni consiliari

la elezione quale assessori di cittadini che non facciano parte dei rispettivi consigli, ma dotati di requisiti di competenza indicati dallo statuto stesso

la istituzione del difensore civico, quale garante della imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.

Si tratta come si vede di norme ed istituti finalizzati a realizzare una osmosi tra la cd. "società civile" e la pubblica amministrazione, meglio la pubblica amministrazione più immediatamente a contatto con i concreti interessi e le quotidiane esigenze di vita della gente. Si usa, quindi, con tale connotazione il termine "partecipazione".

LA POTESTA' STATUTARIA: LA SUA EFFETTIVA ATTUAZIONE




L''autonomia statutaria attribuita ai comuni rappresenta il perno ed il cuore della riforma dell'ordinamento degli enti locali _; "Il conferimento della potestà statutaria costituisce l'espressione più qualificata dell'autonomia dei comuni e delle province"_; consentire a ciascun ente la deliberazione del proprio statuto significa consacrare il principio secondo cui non è lo stato che regola autoritativamente ed uniformemente la vita delle amministrazioni elettive ma sono queste che, nell'ambito loro riconosciuto si dotano di strumenti di autogoverno, adattando la propria struttura organizzativa alle peculiarità della realtà sociale che sono chiamate ad interpretare_; la introduzione dell'autonomia statutaria costituisce una risposta coraggiosa ai problemi degli enti locali ed apre una prospettiva affascinante per la loro organizzazione.
Sono tutte espressioni verbali che, come prudentemente riconosciuto da taluno degli Autori citati, possono -con la loro paludata esaltazione dello strumento statutario- essere destinate a far da schermo ad una realtà nella quale l'ente locale finisce con l'essere sempre collocato in una posizione di subordinazione, titolare di poteri quasi sempre dipendenti dallo stato e della regione, sottoposto a penetranti controlli, privo di risorse finanziarie proprie e per questo relegato al ruolo di "sportello di erogazione", o -aggiungerei- di polo di attrazione di responsabilità e inadempienze.
E per cogliere la portata effettiva dello strumento normativo statuto vorrei muovere dal dato normativo letterale offerto dal comma II dell'art. 4 della L. n. 142 del 1990: "Lo statuto, nell'ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali per l'organizzazione dell'ente ed in particolare determina le attribuzioni degli organi, l'ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme della collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi".
Si tratta di una formulazione oltremodo chiara e concisa, nonché puntuale nelle definizioni del contenuto dello statuto e dei limiti che esso incontra, che si situa perfettamente in linea con il disegno costituzionale di riconoscimento delle autonomie locali (art. 5 Costituzione) e di qualificazione delle province e dei comuni quali enti autonomi (art. 128 Cost.).
La costituzione, invero, come già detto, modificando radicalmente la precedente concezione centralista e monolitica dello Stato, unico interprete dei bisogni e aspettative sociali, ha introdotto il principio pluralistico che comporta l'esistenza di una pluralità di punti di incontro tra stato e società.
In tal modo le espressioni istituzionali che rappresentano le comunità territoriali di base hanno avuto riconosciuta una loro propria naturale autonomia che ha eliminato il rapporto di dipendenza organica dallo stato e le ha collocate in una posizione di parità con gli altri soggetti istituzionali che concorrono alla determinazione dell'indirizzo politico fino a far qualificare l'ordinamento repubblicano come ordinamento delle autonomie.
Il rapporto tra amministrazioni locali e poteri centrali viene, quindi, informato al principio comunitario_, secondo cui la organizzazione del governo locale si propone la realizzazione non solo delle istanze politico-economiche ma anche di quelle socio-culturali delle comunità dei cittadini che rappresentano, ed al principio di sussidiarietà_ che comporta solo un ruolo integrativo e di supporto dei governi di ambito territoriale maggiore rispetto a quelli di ambito minore.
L'ordinamento dello stato non è più accentramento nello stato ente di tutte le funzioni politiche ma coordinamento nella repubblica delle varie istanze della collettività come organizzate ai vari livelli territoriali con una scelta evidente per il policentrismo istituzionale e le autonomie, con la evidente finalità di allargare il più possibile il raccordo tra cittadini ed istituzioni, tra partecipazione popolare e democrazia politica.
In tal senso va letto l'art. 5 della Costituzione che, riconoscendo il valore originario delle autonomie locali e la loro natura ordinamentale (compresa la potestà normativa e di autorganizzazione e, quindi, statutaria), impone all'ordinamento nazionale di adeguare i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
L'art. 128 della Costituzione, poi, che dell'art. 5 Cost. costituisce esplicazione, nell'attribuire autonomia, ovverosia capacità di darsi propria normazione, a comuni e province, fissa il limite di espansione della autonomia medesima e, quindi, lo spazio delle sue espressioni "nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica".
La potestà statutaria che, finalmente, la legge n. 142 del 1990 riconosce ai comuni, a distanza di oltre 40 anni dalla IX disposizione transitoria e finale della carta costituzionale che imponeva alla Repubblica "entro tre anni dall'entrata in vigore della Costituzione" di adeguare "le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali", si colloca in uno spazio che è sì delimitato, ma anche riservato.
Lo stesso, richiamato, art. 128 della costituzione, invero, pur sancendo il rispetto da parte degli enti autonomi (comuni e province) dei principi fissati con leggi generali della repubblica, indica -altresì- un limite a tali leggi, statuendo che i principi cui i comuni devono conformarsi sono quelli che discendono dalle leggi generali della repubblica che ne determinano le funzioni.
Lo statuto comunale, nell'ambito del sistema delle fonti normative, si colloca -pertanto- in posizione che per le materie ad esso "riservate" è paritaria, se non addirittura sovraordinata rispetto alla legge ordinaria statale ed ancor più rispetto alle leggi regionali, nel senso che le leggi statali o regionali non possono intervenire a modificare, integrare od abrogare norme statutarie.
Più correttamente, è stato osservato, che in questo caso non ci si trova in presenza di rapporti di gerarchia tra fonti, quanto in presenza di un criterio di ripartizione di attribuzioni tra soggetti dell'ordinamento che si fonda sulla competenza riconosciuta all'uno od all'altro_ e che conduce ad ambiti normativi distinti i quali si raccordano unitariamente non più secondo una connessione gerarchica, bensì secondo un coordinamento funzionale.
La sottrazione alla disciplina legislativa dello spazio normativo riservato allo statuto_ rende effettiva l'autonomia dell'ente locale e consente la adozione di risposte differenziate ai problemi del governo locale.
Gli statuti sono, quindi, fonti di diritto locale che contribuiscono a formare l'ordinamento universale della repubblica e che -nell'ambito delle materie attribuite dall'art. 4, comma II, L. n. 142 del 1990- sono fonti primarie, ossia atti normativi di primaria importanza rivolti ad uno scopo determinato che riguarda la organizzazione degli enti locali con il connesso ordinamento degli uffici e dei servizi, la collaborazione fra comuni e province, la partecipazione popolare, con il decentramento, gli istituti di accesso alle informazioni e dell'intervento nei procedimenti amministrativi.
In queste materie gli statuti non solo dettano le norme fondamentali dell'ordinamento locale ma stabiliscono la disciplina esclusiva dell'ordinamento repubblicano, lasciando fuori da essa sia la legge (statale e regionale) sia i regolamenti.
A questi ultimi, peraltro, rispetto agli statuti è riservata dall'art. 5 della legge n. 142 del 1990 la disciplina degli aspetti organizzativo-funzionali della vita delle istituzioni e degli organismi di partecipazione nonché degli organi e degli uffici comunali.












LEGGE 15/3/1997, n.59

LA C.D. RIFORMA BASSANINI


I CONTENUTI DELLA RIFORMA BASSANINI - LA SUSSIDIARIETA'


Le leggi Bassanini individuano le materie e i compiti riservati alla competenza dell'amministrazione dello Stato e delle altre amministrazioni nazionali o locali operanti in regime di autonomia funzionale, o in altre situazioni specificatamente previste della legge di delega. In particolare,stabiliscono che ogni altra funzione amministrativa e ogni altro compito non esplicitamente mantenuto in capo allo Stato devono obbligatoriamente essere attribuiti alle competenze delle Regioni o degli enti locali minori.

Le Bessanini hnno introdotto un massiccio e rilevantissimo trasferimento di funzioni amministrative,e dei connessi beni e risorse,dell'amministrazione statale verso le amministrazioni regionali e locali; inoltre hanno introdotto, per la prima volta in modo esplicito nell'ordinamento italiano, il principio di sussidiarietà, già presente nella normativa europea .


Capo I della L.59/1997:

-art 1: delega del Governo per l'emanazione di uno o pià decreti legislativi volti a conferire alle Regioni e agli enti locali, ai sensi degli art. 5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e compiti amministrativi;

-comma 2: sono conferite alle regioni e agli enti locali, nell'osservanza del principio i sussidiarietà(previsto dall'art. 4, comma 3, lettera a) "tutti i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo comunità, nonché tutte le funzionie i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori.esercitate da qualunque organo o amministrazione dello stato,centrali o periferici,ovvero tramite enti o altri soggettipubblici";

-comma 3 e 4: elenco delle materie e dei compiti esclusi dal conferimento secondo cui comma e per i quali le competenze amministrative restano comunque allo Stato;

-art. 4: vincoli e criteri che il legislatore delegato(il Governo) doveva seguire nell'attuazione del trasferimento e del conferimenti(che doveva avvenire entro il periodo massimo di tre anni) delle funzioni amministrative delle Regioni e agli enti locali. In particolare:

-obbligo di definire tassativamente le funzioni e i compiti da mantenere in capo alle amministrazioni statali(art. 3,comma 1, lettera a);

-obbligo di indicare, nell'ambito di ciascuna materia, le funzioni e i compiti da conferire alle Regioni anche ai fini di cui all'art. 3 della legge 142/1990(legge di riforma dei comuni e delle province) e osservando il principio di sussidiarietà, o da conferire agli enti locali territoriali o funzionali ai sensi degli artt. 118 e 128 della Costituzione;

-obbligo di indicare i criteri dell'attribuzione e ripartizione,tra le Regioni e tra queste e gli enti locali, dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative(art 3, comma1, lettera b).


Oltre alla sussidiarietà, il legislatore delegato deve rispettar iseguenti principi:

Competletezza

Efficienza ed economicità;

Cooperazione;

Responsabilitàe unicità dell'amministrazione;

Omogeneità;

Adeguatezza;

Differenziazione nell'allocazione delle funzioni;

Copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l'esercizio delle funzioni amministrative;

Autonomia organizzativa e regolamentare, nonché responsabilità degli enti locali nell'esercizio di funzioni e compiti amministrativi ad essi conferiti.


Sussidiarietà verticale

Sussidiarietà orizzontale

Assegnazione delle funzioni ai diversi livelli territoriali di governo


la norma attribuisce alle regioni solo le funzioni non compatibili con le dimensioni territoriali, associative e organizzative proprie dei Comuni, delle Province e delle Comunità montane.


La generalità dei compuiti e delle funzioni amministrative è attribuita ai Comuni, alle Province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali e organizzative


Le competenze amministrative dello Stato e delle amministrazioni centrali sono limitate alle materie e ai compiti elencati dalla legge di delega stessa


Assegnazione delle funzioni ai diversi ambiti amministrativi pubblici ed eventuali soggetti privati comunque configurati


La norma esclude che ai privati spettino tutte le funzioni e i compiti che essi possono svolgere in modo più efficiente rispetto ai soggetti pubblici (come era invece affermato nel teso inizialmente presentato dal Governo)


Nall'applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale si deve quindi operare "al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità"

LEGGE 3/8/1999,n.265

LA RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI: LE NOVITÀ SULL'AUTONOMIA E L'ORDINAMENTO


A quasi dieci anni di distanza dall'emanazione delle norme della Legge 8 giugno 1990, n. 142, l'ordinamento amministrativo delle autonomie locali è stato profondamente riveduto dal legislatore nazionale attraverso l'emanazione della Legge 3 agosto 1999, n. 265. Dopo gli interventi settoriali in materia di Enti locali, il Parlamento nazionale ha intrapreso una nuova e decisiva fase di rinnovamento per la P.A. ridefinendo l'assetto di alcuni istituti fondamentali, dallo status degli amministratori locali alla strutturazione di molteplici attribuzioni e competenze delle autonomie territoriali.

Va, comunque, puntualizzato che le norme in esame non hanno modificato soltanto la L. n. 142/90, sulle autonomie locali, ma hanno rivisitato altresì molteplici disposizioni del più ampio corpus normativo in materia di enti territoriali. Il legislatore, tuttavia, ha preso consapevolezza della necessità di adottare un testo unico in materia di autonomie, al fine di eliminare la miriade di leggi frastagliate e distribuite in settori normativi disomogenei e variegati, e, a tal proposito, ha delegato il Governo ad emanare, entro il mese di agosto del 2000, un "testo unico nel quale sono riunite e coordinate le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento dei comuni e delle province e delle loro forme associative" (art. 31).

L'art. 28, comma 7, della l. 265, dichiarando testualmente che "le disposizioni contenute nella presente legge si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle norme di attuazione", non consente certamente un'immediata cogenza (nelle regioni a Statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano), posto che la legge in questione non classifica i principi in essa contenuti quali "norme fondamentali di riforma economico-sociale", ancorché una lettura complessiva del dato legislativo consentirebbe di ritenere tali talune disposizioni normative.


IL CONSOLIDAMENTO DELLE AUTONOMIE DEGLI ENTI LOCALI




La potestà statutaria di comuni e province è strettamente collegata alle disposizioni di legge che regolano l'attività degli enti territoriali, in conformità al principio di gerarchia delle fonti del diritto. Tutta la legislazione concernente le autonomie locali deve, infatti, contenere i principi "che costituiscono limite inderogabile" per la normativa statutaria e regolamentare dell'ente.

Con la nuova disciplina contenuta nella Legge n. 265/99, la conformità alle disposizioni di legge della c.d. "normazione secondaria" (statuti e regolamenti degli enti locali) non inerisce più alle singole -e specifiche- prescrizioni normative bensì ai principi generali indicati nel dato normativo, di modo che la potestà statutaria e regolamentare, sciolta ormai dalla caratteristica specificità delle norme poiché legata soltanto alla generalità dei principi, appare connotata da maggiore indipendenza e, certamente, risulta essere più consolidata.

Sarebbe stato auspicabile che il legislatore avesse fatto riferimento non ai principi espressamente indicati dalla legge quanto a quelli "desumibili" dalla medesima: ciò avrebbe consentito una maggiore autonomia alla normazione secondaria, anche in ossequio all'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, la quale, seppur con riferimento ai principi costituenti norme fondamentali di riforma economico-sociale per le regioni a Statuto speciale, ha ritenuto prevalente l'individuazione "per astratto" dei principi de quibus piuttosto che una specifica individuazione letterale dei medesimi.

La legge introduce, inoltre, una modifica nelle modalità e nei tempi di entrata in vigore degli statuti comunali e provinciali. Mentre nella vecchia formulazione dell'art. 4 della Legge n. 142/90, lo statuto entrava in vigore trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione -pubblicazione che avveniva dopo il riscontro tutorio da parte del Co.Re.Co.-, in forza della nuova disciplina, la "legge fondamentale dell'ente locale" entra in vigore decorsi trenta giorni dalla sua affissione all'albo pretorio, ferma restando la disciplina relativa al controllo preventivo di legittimità dello stesso.

A seguito della "rivoluzione copernicana" nell'ambito della P.A. italiana, introdotta, a Costituzione invariata, dalla Legge n. 59/97 (c.d. "Bassanini 1") e dal Decr. Lgs. n. 112/98, con le quali si è assistito ad un vero e proprio decentramento di funzioni dell'apparato centrale dello stato a favore delle autonomie regionali e locali, il legislatore ha formalmente introdotto il criterio della "sussidiarietà", parametro divenuto fondamentale nell'attribuzione di nuove competenze agli enti locali: sicché, secondo tale indicazione di principio, sia lo stato centrale sia le regioni devono procedere al trasferimento di funzioni e competenze ogni qual volta ciò risulti necessario in relazione alle esigenze locali: il decentramento, pertanto, risulta essere legittimo soltanto nell'ipotesi in cui i bisogni locali richiedano un intervento, a livello locale, da parte degli organi di governo più vicini alla collettività amministrata.

Scompare del tutto la "delega" delle funzioni, prevista dalla Legge n. 142/90, che, però, continua a rimanere in vita nella Regione Siciliana, ove una gran quantità di atti e un elevato numero di procedure, posti in essere dagli enti locali territoriali minori, sono frutto proprio di "potestà" delegate da parte della Regione.



RIFORMA COSTITUZIONALE 8/11/2001,n.3

RIFORMA DEL TITOLO V



 La riforma del Titolo V della Costituzione è entrata in vigore l'8 novembre 2001 dopo un lungo iter normativo: il Senato, con deliberazione adottata l'8 Marzo 2001, ha approvato la Legge Costituzionale n. 3/2001 (riforma Titolo V della Costituzione [artt. 114-132 Cost.] disciplina delle autonomie locali) con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo tale legge è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001, il quale si è concluso con esito favorevole all'approvazione della legge (il 64% dei votanti si è espresso per il sì) che è poi entrata in vigore il mese successivo.

Si può affermare che la legge ha operato una "costituzionalizzazione" di quel "decentramento amministrativo a Costituzione invariata" introdotto in virtù della produzione legislativa del Ministro della Funzione pubblica On. Bassanini. Grazie alle leggi del 1997 nn. 59 e 127 è stato finalmente introdotto nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà (principio di derivazione comunitaria che ha trovato affermazione grazie al Trattato di Maastricht il quale ha dato vita alla Unione Europea realizzando la fusione e il superamento delle Comunità Europee).

ARTICOLO 114


Analizzando nel dettaglio, vediamo come l'art. 1 della legge in esame modifica l'art. 114 Cost.: la prima novità è quella di riconoscere la distinzione tra Repubblica e Stato, ponendo quest'ultimo sullo stesso piano, dal punto di vista istituzionale, di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni (nel testo previgente si limitava a prevedere la ripartizione dello Stato - Repubblica in Regioni, Province e Comuni). La riformulazione del 1° comma, inverte il precedente ordine degli enti territoriali indicati ed evidenzia il rilevante ruolo riconosciuto al Comune inteso quale ente di base, il più vicino ai cittadini, chiamato in via primaria a soddisfare i loro interessi, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Rilevante è la espressa previsione costituzionale delle Città metropolitane, introdotte dalla L. 142/90 e ora riconfermate e regolamentate dal Testo Unico degli Enti Locali enti che fino ad oggi non hanno trovato concreta realizzazione in quanto il legislatore si è limitato ad individuare la porzione di territorio sul quale detti enti andranno ad insistere, ovvero le aree metropolitane. Maggior significato sostanziale ha il 2° comma in quanto sancisce l'autonomia statutaria di tutti gli enti sopra indicati; tale autonomia, infatti, se per le Regioni era già costituzionalizzata dall'art. 123 Cost., per Comuni, Province ed altri enti locali, era stabilita soltanto a livello di legislazione ordinaria Di pari rilievo è il riconoscimento che gli statuti, i poteri e le funzioni delle autonomie locali sono assoggettati ai princìpi fissati dalla Costituzione: tale affermazione sembra voler elevare gli statuti locali al rango di fonti primarie, non più soggetti ai princìpi stabiliti dalle leggi dello Stato, ma solo a quelli costituzionali. Tuttavia, se tale natura risulta indiscussa riferendoci agli statuti regionali, approvati con legge regionale ex art. 123 Cost., più ardua appare la qualificazione in questi termini degli statuti degli altri enti locali che, a norma del citato art. 6 TUEL, sono adottati con deliberazione consiliare e soggiacciono ai princìpi dello stesso Testo Unico, in quanto qualificati dalla prevalente dottrina quali fonti sub-primarie. La nuova formulazione dell'art. 114 ha determinato la abrogazione degli artt. 115 e 128 Cost. le cui disposizioni sono state trasposte in quelle sopra richiamate

ARTICOLO 116


L'art. 2 legge costituzionale n. 3/2001, introduce il terzo comma dell'art. 116 Cost., prevedendo la possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario, attraverso la legge dello Stato, quelle forme e condizioni particolari di autonomia, proprie delle Regioni a statuto speciale in virtù delle previsioni del 1° comma dello stesso articolo. Tale disposizione si riferisce alle materie espressamente individuate ai commi 2 e 3 dell'art. 117 (ovvero quelle di competenza esclusiva dello Stato e di competenza concorrente Stato-Regioni) e probabilmente sostanzia un'attribuzione di potestà legislativa esclusiva alle Regioni a statuto ordinario che si va ad aggiungere a quelle individuate dal 4° comma dell'art. 117 (parliamo infatti di regionalismo differenziato).


ARTICOLO 117

Intervento significativo della riforma è rappresentato dalla nuova formulazione dell'art. 117 Cost., il quale disciplina la distinzione tra potestà legislativa dello Stato e potestà legislativa delle Regioni (ordinarie). La nuova formulazione ribalta completamente l'impostazione precedente dove erano indicate tassativamente le materie nelle quali le Regioni potevano legiferare (in concorrenza con lo Stato) mentre in tutte le altre vi era potestà legislativa esclusiva dello Stato; ora invece sono elencate tassativamente le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato (comma 2°) e alla legislazione concorrente Stato - Regioni (comma 3°), mentre si afferma che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata in base ai commi precedenti (comma 4°). Abbiamo così una competenza legislativa regionale residuale che rispecchia la residualità delle funzioni amministrative regionali disciplinata dall'art. 1 della L. n. 59 del 1997 (Bassanini 1) e riconfermata dal D.lgs. 112/98 che ha dato attuazione alla legge stessa. Il principio di residualità ci porta a sostenere che, laddove non sia espressamente indicato altrimenti, una materia deve ritenersi oggetto di potestà legislativa da parte delle regioni; per quanto riguarda la potestà regolamentare il 6° comma dispone che lo Stato la mantiene soltanto nelle materie in cui ha potestà legislativa esclusiva, mentre spetta alle Regioni la possibilità di intervenire con regolamento nelle materie concorrenti ed in quelle esclusivamente riconosciute di competenza regionale. Nella potestà legislativa concorrente troviamo sempre la norma dello Stato che detta i principi generali e la norma regionale che dà attuazione agli stessi.

Sono attribuite esclusivamente allo Stato tutte quelle funzioni che non possono trovare disciplina se non a livello statale, in quanto attinenti a rapporti internazionali (politica estera, diritto d'asilo e diritti di cittadini extracomunitari, dogane), riguardanti diritti fondamentali delle persone (ordinamento civile e penale, norme processuali, cittadinanza, difesa e ordine pubblico, previdenza sociale, tutela dell'ambiente), inerenti l'organizzazione dello Stato (legislazione elettorale, ordinamento degli enti pubblici nazionali), o infine, perché necessitano di una regolamentazione a livello unitario su tutto il territorio della Repubblica (moneta, sistema valutario e tributario, perequazione delle risorse finanziarie).Rilevante è il riconoscimento alle Regioni della possibilità di entrare a diretto contatto con altri Stati o enti di altri Stati: il 9° comma del nuovo art. 117, prevede che nell'ambito delle loro competenze, le Regioni possono concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato nel rispetto della procedura fissata con legge dello Stato. Questa possibilità di porsi direttamente in rapporto con altri enti stranieri rappresenta un rilevante passo verso una piena autonomia delle Regioni.



ARTICOLO 118


Parimenti innovato rispetto alla vecchia formulazione risulta l'art. 118, in tema di funzioni amministrative. Mentre il testo precedente le attribuiva alle Regioni o allo Stato secondo il cd. principio del parallelismo, in base al quale tali funzioni erano riconosciute nelle stesse materie in cui gli stessi avevano l'esercizio della potestà legislativa, la nuova disposizione le conferisce di norma ai Comuni, salva l'attribuzione a Province, Regioni o Stato, qualora necessitino di un esercizio unitario ovvero riguardino interessi che trascendano la realtà comunale. In sostanza la norma in esame non fa altro che recepire a livello costituzionale il principio di sussidiarietà, sopra richiamato, espressamente richiamato insieme a quelli di differenziazione ed adeguatezza. Quest'ultimo riguarda la verifica dell'idoneità organizzativa dell'amministrazione rispetto al corretto esercizio delle funzioni ad essa attribuite; la differenziazione, invece, ci porta a considerare le diverse caratteristiche (strutturali, territoriali e anche demografiche) degli enti cui si vogliano conferire poteri amministrativi al fine di rendere effettivo ed efficace il decentramento, in modo che le funzioni siano trasferite ad organi in grado di svolgerle correttamente, senza legittimare poi interventi sostitutivi di enti superiori. Il 4° comma del nuovo art. 118 applica il principio di sussidiarietà anche ai rapporti tra enti locali e cittadini: sono infatti favorite le iniziative per lo svolgimento di attività di interesse generale (è quello che la dottrina chiama principio di sussidiarietà orizzontale).


ARTICOLO 119


Venendo all'art. 119 Cost. sull'autonomia finanziaria notiamo come il decentramento giuridico è strettamente legato a quest'ultima, in quanto risulterebbe svuotato di ogni rilievo se non fosse accompagnato dalla concessione di adeguati mezzi economici per la sua attuazione. Prima novità rispetto al testo precedente è l'affermazione dell'autonomia finanziaria non soltanto per le Regioni, ma anche per i Comuni, le Province e le Città Metropolitane. Tale autonomia è stata resa più incisiva stabilendo prima di tutto che si tratta di autonomia di entrata e di spesa (1° comma) e riconoscendo la possibilità per gli enti locali di stabilire propri tributi ed entrate (2° comma). E' bene ricordare che in precedenza avevamo un sistema in cui detti enti erano destinatari dei finanziamenti da parte dello Stato: avevamo infatti per le autonomie locali un'autonomia finanziaria indiretta. Al fine di evitare che tra le Regioni si creino disparità determinate dalla differente ricchezza economica delle stesse, il 3° comma prevede l'istituzione con legge dello Stato di un fondo perequativo a favore delle zone più svantaggiate. Ciò in rispondenza con quanto stabilito dalla lettera e) del 2° comma dell'art. 117, dove è disposta la competenza esclusiva dello Stato sulla materia della perequazione delle risorse finanziarie. Il 5° comma dell'art. 119 prevede la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali a favore di determinati enti locali. L'articolo si chiude con una regola volta a prevenire gli sprechi e a contenere la spesa delle autonomie locali: gli enti locali non possono indebitarsi se non per finanziare investimenti. In ogni caso è esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti dagli stessi enti locali (comma 6°): la finalità della norma è quella di evitare che il nuovo sistema finanziario comporti comunque oneri aggiuntivi per il bilancio statale, senza che peraltro il Governo centrale abbia su tali spese poteri di controllo. Si è provveduto così a responsabilizzare gli amministratori locali, i quali dovranno gestire efficientemente le risorse a loro disposizione, senza poter contare su aiuti provenienti da entità superiori



ARTICOLO 120


L'art. 120 Cost. al primo comma ribadisce quanto già stabilito nei tre commi del testo precedente, ovvero il divieto per le Regioni di introdurre dazi nei confronti delle altre Regioni o comunque adottare misure che in qualsiasi modo ostacolino la libera circolazione delle persone o delle cose o, ancora, limitare l'esercizio del diritto di lavoro. Il 2° comma affida al Governo un potere di intervento sostitutivo nei confronti delle Regioni e degli altri enti locali, qualora essi si rendano inadempienti di fronte alle norme internazionali o comunitarie, oppure in caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Al forte decentramento si affianca così la funzione dello Stato volta al mantenimento dell'unitarietà ed uniformità dell'ordinamento (individuiamo qui un potere di intervento dello Stato che si pone quale competenza trasversale rivolta al recupero di materie non più esclusivamente statali). Le norme internazionali e comunitarie devono trovare una uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale, mentre si deve evitare che le diverse condizioni economiche presenti nelle varie zone del territorio italiano si traducano in una disparità di trattamento dei cittadini. Tuttavia, al fine di prevenire ogni abuso degli indicati poteri sostitutivi, l'ultima parte del comma in esame stabilisce che detti interventi siano disciplinati dalla legge ed esercitati nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione (torna a farsi presente quell'interesse nazionale che caratterizzava il precedente ordinamento delle autonomie locali e che è stato cancellato "formalmente" dalla legge costituzionale n. 3/2001).


ARTICOLO 124


In rispondenza alla maggiore autonomia degli enti territoriali rilevante è la quasi totale scomparsa dei controlli statali sugli enti stessi. L'art. 9 della legge costituzionale n. 3/2001 ha infatti abrogato l'art. 124 Cost. dove era previsto il Commissario di Governo ovvero l'organo decentrato dello Stato che aveva il compito di coordinare le funzioni amministrative centrali con quelle della Regione. Un simile compito non è più in linea con il nuovo sistema di ripartizione delle competenze e con la scelta di operare il coordinamento secondo il principio di leale collaborazione cui è improntata l'intera attività della Conferenza permanente Stato - Regioni. Considerando il Commissario di Governo quale figura non più necessaria, si è provveduto a trasferire le funzioni residuali al Prefetto posto a capo del nuovo Ufficio Territoriale di Governo.



ARTICOLO 125

L'articolo 9 ha disposto anche l'abrogazione del primo comma dell'art. 125 Cost., norma base per la legittimazione dei controlli statali sugli atti amministrativi regionali: prevedeva infatti i controlli di legittimità e autorizzava (ma in via facoltativa) quelli di merito. E' importante sottolineare che il sistema dei controlli era già stato profondamente modificato dalla legge n. 127/1997 (Bassanini-bis): questa aveva di fatto provveduto ad eliminare i controlli di merito e a ridurre quelli di legittimità solo a pochi atti specificamente e tassativamente indicati.





ARTICOLO 127

L'art. 127 Cost. (art. 8 della legge costituzionale n. 3/2001) regolava il controllo del Governo sulle leggi regionali: detto controllo era esercitato in via preventiva tramite un visto che il Commissario di Governo doveva apporre su ogni legge approvata dal Consiglio regionale; il visto poteva essere rifiutato nel caso in cui il Governo ritenesse che la legge controllata eccedesse la competenza della Regione o si ponesse in contrasto con gli interessi nazionali o con quelli di altre regioni. In quest'ultimo caso il Consiglio regionale poteva comunque approvare la legge con maggioranza assoluta dei suoi componenti; al Governo restava la possibilità di adìre la Corte Costituzionale (per motivi di legittimità, conflitto di competenza), o le Camere (per motivi di merito, contrasto con gli interessi nazionali), entro 15 giorni dalla comunicazione della delibera del Consiglio. Tale disposizione è stata totalmente riscritta dalla legge di riforma, in coerenza con la maggiore autonomia riconosciuta alle Regioni: il Governo può intervenire solo nel caso che la legge ecceda la competenza regionale, e non più quindi per i motivi di merito individuati nel contrasto con gli interessi nazionali o di altre regioni; il controllo non è più preventivo, ma successivo (sessanta giorni dalla pubblicazione della legge), di modo che la legge deliberata dal Consiglio sarà immediatamente efficace ed esecutiva, salvo una sua abrogazione da parte della Corte Costituzionale. Non si dovrebbe più parlare di controllo in senso tecnico, poiché il Governo si limita a sollevare un conflitto di competenza dinanzi alla Corte Costituzionale attivando il giudizio di legittimità costituzionale in via diretta. Nella stessa linea si pone il secondo comma dell'art. 127 Cost. che prevede per la Regione il potere di impugnare direttamente innanzi alla Corte Costituzionale le leggi statali che invadano la loro sfera di attribuzioni.




ARTICOLO 130

Ma l'abrogazione più importante è quella dell'art. 130 Cost. che si occupava dei controlli operati dalla Ragione: la norma prevedeva infatti la presenza del CO.RE.CO., organo regionale di controllo cui dovevano essere inviati tutti atti degli enti locali minori. Acceso dibattito è quello che si è aperto in merito alla permanenza di detto organo e al suo ruolo nel nuovo assetto ordinamentale dopo l'abrogazione dell'art. 130: molti sostengono che non è più necessario prevedere la sua presenza, altri ne affermano una diminuzione di poteri riconoscendo una residua competenza consultiva dell'organo stesso, altri, infine, ritengono che il venir meno delle previsione costituzionale non necessariamente debba determinare la scomparsa dell'organo di controllo. Sta di fatto che in molte Regioni non è più presente tale organo, nemmeno con poteri consultivi, mentre alcuni atti che in precedenza venivano sottoposti al suo controllo (parliamo di atti concernenti i bilanci degli enti locali) sono oggi inviati al Prefetto in quanto questo rappresenta l'unico mezzo per determinare un possibile intervento sostitutivo da parte dello Stato in caso di dissesto.


ARTICOLO 132-133

Infine l'art. 132 e l'art. 133 disciplinano le modalità di creazione di nuove Regioni, Province e Comuni: la distinzione sta nella natura della legge che dispone la istituzione del nuovo ente ovvero legge costituzionale per la Regione, legge ordinaria per la Provincia e legge regionale per il Comune.



LA POTESTA' STATUTARIA DOPO LA RIFORMA DEL 2001


IL NUOVO PROCEDIMENTO DI APPROVAZIONE DELLO STATUTO


Il nuovo art.123 ridisegna modalità di approvazione, contenuto e collocazione nel sistema delle fonti dello Statuto delle quindici Regioni ordinarie.

Per quanto riguarda il procedimento di approvazione viene esclusa l'approvazione parlamentare e viene invece costruito un procedimento regionale rinforzato.L'art 123 prevede, modellando la procedura su quella di formazione delle leggi costituzionali, una approvazione duplice a maggioranza assoluta da parte del Consiglio, con un intervallo, tra la prima e la seconda deliberazione,non inferiore ai due mesi. Il testo viene pubblicato a fini notiziali, entro tre mesi dalla pubblicazione può essere sottoposto a referendum , se lo chiede un cinquantesimo degli elettori della Regione, ovvero un quinto dei Consiglieri Regionali;nel referendum non vi è un quorum strutturale ed è necessaria l'approvazione e successiva promulgazione dello Statuto la maggioranza dei voti validi

Lo Statuto non è sottoposto ad approvazione parlamentare, né all'apposizione del visto da parte del Commissario di Governo.Il Governo può tuttavia promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli Statuti regionali dinanzi alla Corte Costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.


LA STRUTTURA DEL DIRITTO STATUTARIO REGIONALE


L'art 123 prevedendo che la Regione possa approvare e modificare lo statuto regionale con una determinata procedura, diversa da quella di approvazione della legge regionale,ammette sicuramente Statuto e leggi statutarie per la modifica successiva dello Statuto.

Oggi il diritto statutario regionale è composto da tre fonti : lo Statuto vero e proprio; la legislazione statale di eventuale integrazione: le disposizioni transitorie della legge cost. n1 del 1999, una Regione ben potrebbe decidere- pur scontando qualche difficoltà di funzionamento- di restare ferma a quel diritto statutario vigente, composto così come visto sopra ; ovvero di introdurre solo qualche piccola modificazione.

In ogni caso, poiché l'art 123 fa riferimento esplicito alla possibilità di modificare lo Statuto, non avrebbe nemmeno senso dire che l'esercizio una tantum della potestà statutario congela il testo.




I CONTENUTI DELLO STATUTO: "in armonia con la Costituzione"


Sotto il profilo del contenuto, il nuovo articolo 123 individua alcuni ambiti necessari del nuovo Statuto, che devono essere disciplinati " in armonia con la Costituzione.A fronte delle posizioni divaricate che hanno interpretato la formula "in armonia" come se volessero dire rispetto di ogni singola disposizione della Costituzione o ancor più consonanza con essa, ovvero, sul versante opposto, volesse indicare il limite dei soli principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, pare condivisibile la proposta, recentemente avanzata, di ricercare una posizione intermedia, per cui l' "armonia" sarebbe una formula a doppio effetto, che richiede una particolare "sintonia" nei confronti di alcuni principi costituzionali, apparendo meno vincolante sotto il profilo organizzativo.

La legge costituzionale 32001 ha introdotto nel testo costituzionale alcune disposizioni che permettono di chiarire quali siano i principi costituzionali con i quali il legislatore statutario deve operare "in armonia" o in "sintonia".Saremmo così di fronte ad alcuni principi che vengono a svolgere una funzione di "valvola di armonizzazione" tra la Costituzione e gli Statuti regionali.E , in particolare, assumono questa funzione:

-il principio generale di unità e indivisibilità della Repubblica (art 5), collegato alla unitarietà della "politica estera" (art 117) e alla tutela dell'unità giuridica ed economica (art 120), nei suoi riferimenti ad altre norme costituzionali (art 87) e agli strumenti sanzionatori;

-il principio di tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali (art 2);

-il principio di solidarietà sociale (art 119), come espressione dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art 2) e del compito di rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale (art 3), collegato con la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (artt 117 e 120);

-i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione (art 118) e del rispetto dell'autonomia costituzionale di Comuni, Province e Città Metropolitane ( artt 114 e 117), nel loro svilupparsi alla luce del principio di leale collaborazione (art 120);

-il principio di tutela delle autonomie locali (art 5);

-i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ( artt 117 e 120);

-in generale, tutti i compiti e i doveri imposti dalla Costituzione alla Repubblica, riverberandosi essi anche alle Regioni, quali componenti (art 114) della Repubblica.





IL CONTENUTO DEGLI STATUTI:GLI AMBITI NECESSARI E LE DISPOSIZIONI DI PRINCIPIO


Ai sensi del nuovo art.123, lo statuto deve disciplinare necessariamente 6 ambiti differenti :forma di governo;principi fondamentali di organizzazione e funzionamento;diritto di iniziativa;referendum ;pubblicazione delle leggi e dei regolamenti;costituzione e organizzazione del consiglio regionale delle autonomie locali.

In primo luogo va sottolineato che dopo la riforma del titolo V lo statuto costituisce il testo che offre un quadro di riferimento unitario agli interventi regionale sulle amplissime materie ormai affidate alla potestà legislativa regionale.

Un ruolo di principio lo statuto lo gioca poi in tema di ordinamenti e organizzazione regionale,essendo questa materia suddivisa tra statuto e potestà legislativa regionale esclusiva.

Gli statuti regionali sono poi spinti a svolgere un ruolo di definizione di principi dalla necessità di disciplinare alcuni aspetti introdotti dal nuovo testo costituzionale .  





IL CONTENUTO DEGLI STATUTI:LA FORMA DI GOVERNO E L'ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO REGIONALI


L'aspetto peculiare dei nuovi statuti è che essi possono determinare la forma di governo regionale.

La forma di governo va adottata nel suo tradizionale significato di definizione dell'assetto dei rapporti fra gli organi titolari della funzione di governo di indirizzo politico . In ogni caso,la scelta tra le forme di governo non và intesa in senso assoluto bensì solo all'interno di quelle forme di governo adottate negli stati democratici e sociali contemporanei,caratterizzati almeno dalla separazione dei poteri,dal suffragio universale,dall'estensione e generalizzazione dei diritti civili politici e sociali .Quindi nemmeno in astratto lo statuto potrà scegliere tra tutte le forme di governo,ma solo tra quelle tipiche della forma di stato della democrazia sociale e liberale contemporanea.

In concreto la libertà di scelta è limitata da quelle disposizioni costituzionali che disciplinano direttamente organi e funzioni della regione in particolare si impongono al legislatore statutario gli artt.121 122 (comma 3),123(ultimo comma)126(secondo comma).Ne derivano alcune conseguenze significative:

-Organi necessari della Regione sono il Consiglio regionale ,la Giunta e il Presidente della Giunta;

-Il Consiglio regionale deve avere un Presidente e un Ufficio di presidenza;

-Al Consiglio regionale spetta l'esercizio della funzione legislativa;

-Alcune incompatibilità relative allo status dei consiglieri potranno essere disciplinate dalla legge regionale ;

-Sembra esclusa la forma di governo semipresidenziale ,con la sua tipica presenza Capo dello Stato ,Premier,e ciò in ragione del fatto che l'art.121,ultima comma,dispone che "Il Presidente della giunta rappresenta la Regione",escludendo così un Presidente della Regione distinto dal Presidente della Giunta;

-L'art. 121 non esclude di per sé la forma presidenziale classica;

-Sembra in fine esclusa la forma di governo direttoriale giacche il presidente della giunta dirige la politica della giunta e ne è responsabile.

Lo statuto così nel determinare la forma di governo potrebbe scegliere tra le forme di governo parlamentare o neo parlamentare,basate sull'esistenza del rapporto di fiducia .

IL SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO NEGLI STATUTI REGIONALI


La riforma del Titolo V a introdotto una novità che appare di grandissimo significato.Questa novità consiste nel fatto che da oggi in poi ,rispetto al modello precedente,esisterà nell'ordinamento italiano un vero e proprio settore di fonti del diritto di natura regionale .Ci si avvia con l'approvazione degli statuti e con le modulazioni delle fonti che essi potranno dare, a riprodursi a livello regionale una struttura gerarchica del sistema delle fonti simile a quella del livello statale .

Non vi è più nessun dubbio ,dopo la legge cost.n.1 del 1999,sul fatto che lo statuto sia sicuramente una fonte regionale diversa dall'ordinaria legge regionale,sia per il procedimento di approvazione,sia per la particolarissima forza di questa speciale legge regionale.

Lo statuto è altresì destinato ad assumere una collocazione sovraordinata la legge regionale anche sotto un altro profilo infatti lo statuto è destinato ad incidere sui meccanismi di decisione dei sistemi politici regionali lo statuto infatti è destinato ad essere il primo tema istituzionale su cui maggioranza e opposizione dovranno confrontarsi, con la consapevolezza che costruiranno lo strumento di  governo delle regioni dei prossimi anni.

























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