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IL TESTO CRUDELE di Franca Franchi

letteratura francese



IL TESTO CRUDELE di Franca Franchi


interrogare non tanto la crudeltà come tema, quanto le ragioni della crudeltà assunta come condizione della comunicazione artistica


affermarsi di una particolare e contraddittoria diffusione della crudeltà

sia in ambito figurativo

che poetico e romanzesco

nonché in una prospettiva medico-psicologica



e in ambito filosofico



da una parte ci si interroga sulle ragioni della crudeltà come malattia

dall'altra la letteratura, le arti e la filosofia rivendicano un atteggiamento crudele come antidoto privilegiato al sentimentalismo e all'ottimismo borghese dominanti


nelle opere di questo periodo non ci sono più soltanto personaggi variamente inquietanti, crudele diventa il testo stesso


la cultura del nuovo secolo fa proprio questo percorso estendendolo al teatro, al cinema e alla fotografia e coinvolgendo anche le avanguardie


I.    Gautier et le déclin de la sympathie esthétique.


in Mademoiselle de Maupin d'Albert, il protagonista, mette in scena nel suo teatro interiore degli spettacoli crudeli, sanguinanti ed estremi, che si oppongono alla sua esistenza piatta e senza storia


vi è l'immagine in cui appaiono gli imperatori romani della decadenza


a questi eroi del male, d'Albert si identifica; afferma di condividere la loro malattia, che è la malattia "dell'impossibile", e che cade sull'uomo che ha provato tutto o presso cui la sazietà precede la soddisfazione, ribaltamento sorprendente, di cui d'Albert è la vittima


egli cerca dei piaceri inauditi, mentre i più semplici gli sono sfuggiti


si sente come un vecchio spossato dal vizio, mentre ha 20 anni e poco vissuto


i suoi appetiti si rivolgono allora verso l'eccezionale, l'eccentrico e l'enorme


l'elogio degli imperatori un tempo condannati dalla storia prende il suo senso in questa dimensione di eccesso: poiché non è più possibile essere ingenuo, è necessario essere perversi


nell'estremo del desiderio, noi riscopriamo la crudeltà


essa spunta alla frontiera in una soggettività che si allarga e un'oggettività che fa da ostacolo, essa si manifesta là dove il libero sboccio nella soddisfazione incontra il contrario che determina i desideri degli altri


la crudeltà è un desiderio che avanza sempre, che non soffre alcuna limitazione imposta dall'uomo, determinata dall'esistenza stessa del prossimo


desiderio eccessivo spinto al fanatismo dal suo proprio fallimento interiore


il soggetto di questa immaginazione crudele è confrontato agli ultimi limiti dell'umano, sa bene che la posta ultima della sfida non è solamente il piacere, ma il suo statuto in quanto soggetto


d'Albert esprime questa coscienza con un'interrogazione che merita di essere citata: "perché dunque non sono Dio, perché non posso essere uomo??"

la difficoltà di essere come la natura l'ha concepito dà a d'Albert una sorta di incertezza dolorosa, e lo spinge verso dei sogni di inumanità: si compara sia al molto alto sia al molto basso, sospettoso della divinità


d'Albert si contempla nello specchio di un'antichità lucida, nella quale il cristianesimo non aveva ancora introdotto l'ipocrisia spiritualista né condannato la carne


i personaggi che incarnano l'onnipotenza del dispotismo e della ricchezza rappresentano sempre presso Gautier lo sfoggio di una personalità che non soffre di limitazioni


Cleopatra è l'esempio da studiare per comprendere ciò che può produrre lo spirito umano in una condizione ideale di libertà; essa fornisce lo spettacolo che la società moderna non può più osservare


si tratta di rappresentazione: è necessario che ciascuno trovi in un'immagine il suo desiderio più segreto, per contemplarlo e comprenderlo


nell'Antichità, la potenza politica offriva questa rappresentazione; nel mondo moderno, è necessario che la letteratura prenda il suo posto


Fortunio, un conte, mostra un personaggio dotato di una fortuna così vasta che può realizzare tutte le sue fantasie; costruisce un microuniverso dove tutto gli è sottomesso, dove ogni cosa e ogni uomo non sono che gli strumenti del suo piacere


piccolo teatro dell'io trionfante


pensare all'egoismo assoluto come ad una felicità senza riserve, dove il desiderio si placa in una realizzazione utopica


d'Albert si stupisce di avere dei sogni tanto violenti, tanto feroci


"ho perduto completamente la scienza del bene e del male, e, a forza della depravazione, sono ritornato quasi all'ignoranza del saggio e del bambino; niente mi pare ammirevole o disonorevole, e le più strane azioni non mi stupiscono che poco"


d'Albert scopre alternativamente

un'ignoranza felice, quella che precede il peccato originale

o una condizione d'indifferenza morale che degenera nel sadismo


tra amoralità e immoralità, l'equilibrio è instabile, la frontiera non è ben tracciata è per questo che l'indifferenza non può restare a lungo neutra, e si scopre perfida


il desiderio di rivincita, di vendetta, caratterizza il rapporto con il mondo di d'Albert


tutto questo resta nei suoi sogni


egli spiega tutto questo in lunghe lettere che costituiscono la sua auto-analisi


fa lui stesso la diagnosi del suo male, stabilendo un rapporto decisivo tra

la sua demoralizzazione

e il suo amore della bellezza


"tu sai con quale ardore ho ricercato la bellezza fisica: ciò dev'essere, sono troppo corrotto e troppo disincantato per credere alla bellezza morale, e perseguirla con qualche seguito"


è l'amore della bellezza artistica, che ha trascinato d'Albert verso una situazione psicologica caratterizzata dall'assenza di compassione, di simpatia per il suo prossimo


la solitudine

l'isolamento nel quale egli si trova

l'impossibilità di "uscire da sé"

sono i sintomi della sua malattia


d'Albert non soffre più con gli altri, ma unicamente in lui stesso, non prova più il timore e la pietà, questi sentimenti che purificano l'animo


è chiuso nel soggettivismo, che gli impedisce di condividere le sue emozioni e gli dà dei dubbi sulla sua propria umanità: si sente bestia o dio, ma non uomo, giustamente perché non vive con gli altri un'esperienza comune


l'arte, la poesia, hanno insinuato nel suo essere il veleno:

  1. hanno cominciato per produrre un'orribile delusione obbligandolo a comparare la realtà, con le sue forme difettose, alla bellezza ideale, con la sua perfezione disperata

poi hanno determinato la sua preferenza per l'impossibile

e da là la sua pretesa ad ottenere ciò che non ottiene che al prezzo di una degenerazione morale

  1. al punto che finalmente la bellezza ha coinciso con il male, e che in tutti i suoi sogni d'Albert ha incontrato l'orribile là dove prima vi era il bello:


per quale paradosso infernale un simile capovolgimento di valori ha potuto prodursi??


è necessario situare questo capovolgimento in una prospettiva più ampia, ben al di là dell'opera di Gautier, in una problematica che tocca l'idea stessa di esperienza estetica


questione della divisione di questa esperienza


presso Gautier, la simpatia estetica [sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un'opera d'arte] sembra sempre minacciata, forse irrimediabilmente perduta


i suoi personaggi invocano una bellezza ideale; tutta la loro storia è quella di un doloroso ravvicinamento e di una deludente approssimazione


ma la bellezza ideale, ispirata dall'arte, è presso di loro strettamente soggettiva, individuale, essa è un sogno egoista

E

proclamare il proprio ideale, considerarlo come l'oggetto di un possesso, è sottarlo alla dimensione universale che ogni ideale dovrebbe avere


l'ideale della bellezza non è che la sua capacità di rivelarsi a tutti gli uomini

E

presso Gautier, non ritroviamo

né il principio di una dimensione universale dell'arte

né la solidarietà umana nell'esperienza della bellezza


abbiamo perso di vista

la dimensione umanista dell'arte

la fede nel suo carattere civilizzatore, nella sua efficienza morale


sono delle convinzioni che il 700 ha avuto, e di cui si trova l'espressione più finita, più teoricamente sottile, nell'opera di Kant


idea di una separazione dell'arte


Kant è stato confrontato ad un dilemma, che ha percorso tutto il suo secolo contraddizione tra

la soggettività

e l'universalità

del giudizio di gusto



i difensori del soggettivismo estetico avevano associato il gusto al sentimento o alla sensazione; questo soggettivismo poteva condurre alla dispersione

E

era necessario dunque credere ad un denominatore comune dei giudizi di gusto, almeno ad una uniformità che si poteva constatare, e che permetteva di pensare questo giudizio nella sua globalità, di modo che il "non so che" del gusto non sbocci sull'indicibile


Kant ha dovuto assumere la soggettività estetica, e l'ha pensata come riflessività del giudizio, attribuendole una dimensione teleologica nel momento stesso in cui le toglieva tutto il contenuto di verità oggettiva


per lui, il bello

non è nell'oggetto

ma non può più ridursi alla pura sensazione piacevole del soggetto che ne fa l'esperienza


è necessario che nel momento estetico siano paradossalmente messe in gioco le facoltà che presiedono alla conoscenza e alla morale


il giudizio del gusto deve ritrovare la sua universalità, senza poter fondarla

né sul suo oggetto

né sulla sensazione


è necessario che la cerchi allora nella riflessività


è necessario dapprima passare dalla separazione del giudizio estetico dagli altri tipi di giudizio


è il disinteresse che caratterizza il giudizio di gusto, e che lo separa dall'intelletto e dalla morale


autonomia dell'arte


questo disinteresse, che separa il bello dall'utile, introduce una rottura pericolosa, che Kant doveva finalmente riparare mettendo in gioco la libertà umana, la sua finalità, nell'idea di una comunità estetica, fondata sulla divisione spontanea, sul fatto che il giudizio estetico esige necessariamente un consenso, anche se non lo si può postulare


se troviamo presso Gautier le tracce evidenti della rottura che produce l'autonomia dell'arte, non troviamo più le tracce della riconciliazione finale


per lui, l'autonomia dell'arte non si risolve nell'umanità di un'esperienza condivisa

E

al contrario, essa priva l'uomo del sentimento di una vita comune, di una condizione umana preliminare alla sua esistenza individuale


l'arte e il bello allontanano l'uomo dalla comunità


Kant pensa che il punto di partenza minimo della comunità estetica è il momento in cui noi compariamo le nostre sensazioni


l'accordo della nostra sensibilità con quella altrui è ciò che ci fa uscire dal soggettivismo, o dalla prigione sensualistica

E

questo momento di comparazione è assente nell'universo di Gautier


d'Albert si chiude nella sua contemplazione della bellezza; presso di lui, l'estetica è egoista


altra differenza notevole tra l'attitudine di Gautier e quella che di Kant:

secondo Kant il disinteresse ha fatto sì che il soggetto estetico sia indifferente all'esistenza dell'oggetto

questa indifferenza non è più adatta a Gautier, in un mondo in cui la bellezza dev'essere posseduta


d'Albert è il simbolo di un desiderio che non è indifferente alla sua soddisfazione; egli esige la realizzazione materiale del suo ideale, e vuole impossessarsi di questo corpo disceso dal cielo con tanto di desiderio materialista che di elevazione idealista


dal momento in cui la bellezza non è più qualcosa che si offre liberamente, è indispensabile amarla da egoista, per possederla esclusivamente


così si allontana la prospettiva di un'arte che accorda la bellezza a tutti gli uomini e permette loro di riconoscere la loro umanità in questa divisione


così noi perdiamo di vista la nozione stessa di gusto


questa parola non appartiene al vocabolario di Gautier; questa nozione non ha più alcun ruolo in un universo dominato dalla nozione di bellezza


concetto conquistatore e distruttore, che assoggetta tutto al suo impero, esattamente come l'uomo vuole sottomettere tutto all'arbitrio del suo desiderio


l'entusiamo per la bellezza non coincide con la gentilezza, la cortesia, le buone maniere attraverso le quali si comunica

E

ormai, la bellezza fa scandalo, rompe i legami, oppone gli esseri, semina zizzania


le condizioni del suo concorso al perfezionamento sociale sono scomparse, perché si è entrati nell'era della sua pluralità, della scoperta di altre forme d'arte che quelle dell'Occidente, l'era della discordia estetica


l'arte allora

fa nascere la barbarie

diviene scandalo contro la civilizzazione

si lega alla nevrosi, all'odio verso l'uomo, alla separazione

rivela i conflitti nascosti, li nutre anziché risolverli


non appena l'ipotesi di una comunità estetica fa difetto, si perde la prospettiva di una riconciliazione finalista, e la violenza appare


è ciò la crudeltà, a mio avviso; essa non si misura con il sangue versato nelle pagine di un romanzo, essa si riconosce nello scarto tra l'esperienza dell'arte e l'umanesimo


è l'arte che si erige allora come testimone del declino di questa garanzia, che svela la sua impotenza e la rende manifesta


l'arte si identifica con la presa di coscienza del naufragio della solidarietà, ormai svuotata, degli apparati ideologici che la sostenevano


è solamente così che la crudeltà letteraria può apparire come la rivelazione di una verità, rivelazione che non si limita né alla difesa né alla denuncia, ma che produce un sovrappiù di coscienza


II.  Baudelaire, "cruel avec infiniment de sensibilité".


"Baudelaire è, nella sua poesia, crudele con infinita sensibilità; le sofferenze che scherza, che presenta con questa impassibilità, si sente che le ha sentite veramente"


Proust è tutto occupato a confutare Sainte-Beuve, che confondeva

il poeta

e "l'uomo della vita"


Proust teme che sovrappongano le 2 crudeltà

si dedica a mostrare che

da una parte la crudeltà di Baudelaire è il fatto di un essere che ha lui stesso provato "le sofferenze che scherza"

dall'altra il fatto dell'arte, l'effetto dell'arte, che sottomette "la sensibilità alla verità"


egli vuole mostrare che la crudeltà è il fatto dell'interpretazione, di un'interpretazione intenzionale del poema di Baudelaire, e non il fatto del poeta


una contraddizione rimane tuttavia, nella sua argomentazione, ma è senza dubbio la contraddizione che vuole mantenere vi sono 2 possibili letture diverse delle opere di Baudelaire:

la lettura che accede alla sensibilità dell'uomo

e quella che concepisce l'insensibilità dell'artista


il baudelairismo ben compreso vorrebbe che la seconda lettura trionfi, che l'arte trasformi "l'orribile" in "bellezza"


Proust non vuol vedere il "sadismo" del poeta e sostituisce un paradosso redentore, che assorbe la crudeltà nella bontà, all'ossimoro (2 parole contrarie) della crudeltà e della voluttà che Baudelaire enuncia


l'identità sensibile della "crudeltà" e della "voluttà" è tuttavia una delle chiavi di Baudelaire


Proust pensa alla risoluzione del male nel bene, mentre Baudelaire pensa "all'immortale peccato", al male incrostato nel cuore dell'uomo


Proust desidera senza dubbio questa "impassibilità" nell'arte, che ama presso il poeta che ama; ma non arriva a rinunciare alla morale nell'arte; resta un sentimentale; in ciò, non è baudelairiano


se si getta un colpo d'occhio rapido sul motivo della crudeltà ne Les Fleurs du mal, è dapprima il tema della bellezza crudele e fredda che attira l'attenzione: la "Bellezza" è pietrificata nell'insensibilità, forma compiuta della crudeltà


cruelle fa rima con belle


relazione che egli sottolinea tra femminilità e crudeltà


la crudeltà si ricollega allo sguardo


le 2 autorità della crudeltà

la donna

e il cielo


ma Baudelaire conduce la crudeltà in altre 2 direzioni:

ne fa la provocatrice di un ruolo attivo del male

la utilizza come argomento estetico: sotto la matita, sotto la tavolozza di qualche artista, il disegno è crudele, il colore è crudele


3 poemi in prosa in L'Artiste in ognuno di questi 3 racconti, la crudeltà si sostituisce ad un buon sentimento

alla mansuetudine in Une mort héroïque

alla carità in La Fausse Mannaie [moneta]

all'amore materno in La Corde


in ciascuno dei 3 racconti la crudeltà è l'effetto di uno stratagemma, di un'invenzione che organizza questa sostituzione


come il Principe in Une mort héroïque, il suo genio è una forma d'intelligenza del male, il suo genio, che procede dalla sua "eccessiva sensibilità": "un'eccessiva sensibilità rendeva il Principe, in molti casi, più crudele e più despota che tutti i suoi simili; era veramente insaziabile di voluttà; non conosceva nemici pericolosi se non la Noia"

"l'eccessiva sensibilità", ispiratrice della crudeltà, è la caratteristica di questi garanti del poeta destinati al vizio che domina tutti gli altri, la "noia", questa stessa noia che rende l'anima "crudele"


i protagonisti della crudeltà nelle opere di Baudelaire imitano il poeta che spiega sotto i nostri occhi lo spettacolo eterno della crudeltà


i contemporanei di Baudelaire avevano rilevato questa tendenza della sua poesia, parlando di "brutalità": il ruolo del poeta è di forzare lo sguardo di un lettore che tira dalla noia mostrandogli ciò che non vuol vedere


così il mondo è un teatro della crudeltà che il poeta mette in scena


Baudelaire ha lasciato qualche progetto drammatico, ma se c'è della crudeltà in queste opere, essa è come in disparte in rapporto a queste piccole scenografie della crudeltà ordinaria dove eccelle, fino in questi stravolgimenti che hanno contribuito alla sua prima gloria


in questo arsenale di storie maledette, l'occhio, lo sguardo, la luce, hanno sempre un ruolo, che lo si ritrova nella pittura


il disegno può essere "crudele"


come la donna crudele e fredda, il disegno è crudele quando toglie, priva, sottrae, domina, quando marca il tratto


la caricatura appare dunque come un prolungamento naturale del disegno nell'arte della crudeltà: essa dona un senso crudele ad una forma che lo è in potenza


ma non è solo il disegno, nell'arte, a spiegare la crudeltà

E

Baudelaire lega colore e crudeltà


una suggestione etimologica penetra tra 2 parole, original, originel   "l'originalità crudele" del colore è la sua qualità originale il colore è naturalmente, originalmente crudele


il colore è crudele perché forza lo sguardo


(pittori orientalisti)


crudité, cruauté altra suggestione etimologica


III.    Diabolus in musica. Strumenti musicali e sacrificio nella poesia del secondo 800 francese.


"che cos'è un poeta?? un uomo infelice che nasconde profonde sofferenze nel cuore, ma le cui labbra sono fatte in modo che suonano come una bella musica"


"dovunque la lingua vien meno", si incontrerà la musica


lo statuto della musica è radicalmente mutato con l'avvento del cristianesimo: la musica viene a rappresentare lo stadio erotico-sensuale immediatamente espresso, senza l'intermediazione del pensiero


tale stadio è la manifestazione viva e antagonistica della colpa; "il demoniaco"


il pensiero metafisico si allontana dal corpo sofferente o lo riduce "a semplice strumento"


viene assegnata allo strumento musicale, paragonato al corpo, una funzione subordinata e servile; esso occupa il gradino più basso



segue il canto, che è mediazione tra il corpo e lo spirito (musica humana)

e la musica mundana, o musica delle sfere, che è la manifestazione stessa del divino orchestratore dell'universo


quando il corpo vile non potrà essere addomesticato e innalzato attraverso il canto, sarà rifugio della colpa e del peccato


in quanto di per sé diabolica, la musica strumentale verrà infatti perseguitata dalle autorità ecclesiastiche nel medioevo: i musici saranno considerati ministri di Satana e rova presso i pittori orientalisti, presso Louis Lottier per esempio, e attraverso la scieni loro strumenti strumenti della dannazione


mentre la parola parlata e cantata, come strumento del concetto, si fa sostegno privilegiato dello spirito (poesia e filosofia)

la sensualità negata si rifugia nella musica profana e popolare


quest'ultima in particolare, raduna, sotto la sua protezione, tutte le manifestazioni ripudiate e sovversive della corporeità di cui la donna, madre dalla generazione, diviene l'oggetto strumentale ed emissario


di qui l'antitesi, imperante in Occidente, tra

la maschia filosofia

e l'effeminata musica


se la musica è, come il corpo, elementare, ma, come il divino indeterminata, in che modo potrà rappresentare una corporeità eccedente, ripudiata o sottomessa al discorso come produttore di concetti??


essa necessita di una "figuralità" strumentale e accidentale che

possa predicarla

e, al tempo stesso, riscattarla dalla medialità riduttiva cui è stata condannata


tale figuralità è, appunto, quella dello strumento musicale, che diviene, nell'immaginario poetico, il correlativo iconico del corpo sofferente


esso è l'oggetto cerimoniale che racchiude un mistero "poetico": quello dell'unità profonda

tra corpo e senso

tra immagine visiva e verità acustica


lo strumento musicale è simbolico in praesentia (per il momento) del corpo autoriale (dell'autore)


esso viene a tradurre l'indeterminazione di quel dolore "infinitamente profondo"


la poesia del secondo 800 presenta dunque non a caso (e non solo per la spinta musicale del secolo, che ha comunque una ragione intrinseca al mutamento in atto) una massiccia presenza tematica dello strumento musicale


quest'ultimo assume nell'immaginario poetico una funzione rituale e sacrificale, non dissimile da quella che viene riconosciuta agli oggetti sonori primitivi


di contro alla tradizione lirica e logocentrica imperante nel resto d'Europa (che trattava lo strumento musicale alla stregua di ogni utensile e di ogni macchina) la Germania riscattava la musica strumentale, considerata da molti superiore (in ragione della sua indeterminazione) a quella vocale


il primato dello strumento sulla voce in epoca romantica (800) segna una prima rottura con la tradizione classica, che attribuiva una superiorità idealistica al linguaggio e al concetto


il definitivo rovesciamento si compie nel secondo 800, quando il corpo, e lo strumento musicale, tornano a rivendicare la loro rappresentatività autonoma e concreta



quando il modello logogenico (verbale) fa del corpo uno strumento voco-verbale di trasmissione di concetti

il modello patogenico (gestuale e orchestrico), proprio delle danze rituali primitive, o delle danze iniziatiche, si ripropone come modello di un'eccedenza ideomimetica (che rappresenta l'idea) (rituale e cerimoniale) della parola


sui presupposti delle danze rituali, in cui gli strumenti costituiscono i predicati materiali del corpo e della voce, il soggetto si autorappresenta, e la sua ideomimesi diviene il teatro del segno (sema) in cui il corpo (sôma) è inscritto


tale modello diviene istanza sovversiva nel medioevo cristiano, che abolisce, accanto agli strumenti stessi, le maschere


nelle danze popolari e rituali si ravvisava infatti il demonio


la femminilità danzante, insieme mutevole e plurivoca, diviene strumento di Satana, poiché la sua forma è eccedente rispetto alla funzione mediale cui essa è vocata identificata come colpevole


lo strumento musicale, infatti, non è tanto un oggetto tematico (referenziale) quanto una fantasmagoria autorappresentativa del soggetto


esso è artificio corporale destinato alla "scomparsa vibratoria", tale che il soggetto scrivente diverrà "nozione pura", ovvero sostanza intellettuale senza delimitazioni


l'instabilità dell'oggetto strumentale inizia infatti il soggetto ad una "poetica nuova"


tripartizione degli strumenti musicali formulata dagli etnologi:

aerofoni(strumento il cui corpo vibrante è costituito da una colonna d'aria, come nella tromba, nel flauto)-testa-cielo

cordofoni(strumento il cui corpo vibrante è costituito da corde)-busto-mesocosmo

membranofoni(strumento musicale il cui suono è dato dalla percussione di una membrana)-piedi-inferi



il modello aerofono, o pneumatico (che si gonfia), costituisce un simbolico in praesentia della voce; offerta sonora della canna vuota (calamus: canna, lingua, e penna)


essa è simbolica di un soffio


secondo molte tradizioni primitive, il suono primordiale sarebbe scaturito da una viduità originaria (grotta, origine, orecchio, bocca): il soffio caldo e umido che, generando dapprima una nebbia primordiale, si sarebbe prosciugato in nitide forme


tale nebbia è spesso rappresentata dai poeti: effetto stesso del loro soffio generatore


tale nebbia è aura che aleggia sulla parola


quest'ultima, infatti, come lo strumento musicale, non è né caos sonoro forma silente bensì "un'architettura mobile musicale"


la grotta generatrice del suono, che è la bocca del dio, non può perpetuare l'offerta sonora che ha creato il mondo se non è incessantemente riempita dagli uomini con un'offerta analoga; perpetuamente affamato, il dio è un ventre insaziabile di inni


di qui i culti espiatori primitivi, atti a mantenere un contatto cerimoniale tra l'umano e il divino mediante sacrifici di sangue


gli inni sono scoccati verso il cielo come una freccia


quest'ultima, nello stabilire il contatto sonoro, esprime e annulla la distanza


da cui la centralità simbolica dell'arco sacro nelle tradizioni primitive, prima che la lira di Apollo, sua derivazione esemplare, lo sostituisca come immagine sonora del culto


l'inno è, come in molte tradizioni primitive, il bene conforme di uno scambio cerimoniale


parola-carne consumata dal dio-rapace esultante


dopo secoli di decoro classicistico alimentato dal progetto di edificazione del cattolicesimo, è tale istanza sacrificale della Parola come carne che si riaffaccia in poesia


ma con Baudelaire il contatto sonoro si spezza; il divino e l'umano, parimenti nascosti dietro una maschera e colpevoli di tradimento, si ritirano, mentre l'inno di carne ricade sul soggetto emittente


pensiamo al dio inutile evocato da Baudelaire


il divino dal ventre insaziabile e insaziato assume i connotati di Satana


ricaduta dell'inno di carne sul soggetto che l'ha pronunciato e offerto, a smascherare il "sacro" religioso


di tale smascheramento la musica costituisce ancora una volta lo "strumento diretto dell'Idea"; essa infatti simula una manifestazione del divino sostitutiva


se la scrittura rappresenta, come lo strumento musicale, una corporeità compensatoria necessaria a predicare l'identità indicibile, essa costituisce

tanto il teatro di un'autorappresentazione di sé del soggetto

quanto di una cattura del corpo sonoro e sacrificale nello spazio testuale


il modello cui la poesia si richiama più frequentemente ad evocare tale ripossessione dell'identità autoriale è quello della caccia rituale, di cui gli strumenti musicali vengono a costituire gli "utensili"


nel Faune mallarmeano, il flauto come canna vuota si eleva a correlativo strumentale e rituale della penna


definiremo tale modello predazione (prendere con violenza) linguistica analogia tra caccia e scrittura


la conquista dell'animale sacro equivale alla caduta del corpo (e del suono) nel segno


la cattura del sôma (corpo vivo) nel sema (che è segno e tomba) è a più riprese evocata da Mallarmé attraverso le fantasmagorie metascritturali dell'inchiostro: corpo scuro schiacciato sul foglio, terra incolta


è senz'altro il corno da caccia che si innalza a simbolo di tale rappresentazione


il suo timbro, sordo, inquieto e ad emissione ritardata, ha un riscontro nella forma ricurva, che "traduce" una reversibilità sacra

mentre l'effetto percepito, ritardato rispetto alla fonte di emissione, significa e misura, come una freccia, la distanza "metaforica" tra i 2 termini della sacra relazione, destinati alla riunificazione


così, "l'appel" (richiamo) diviene l'immagine sonora di un "appeu" (richiamo di caccia), il quale giunge da una causa nascosta e introvabile


il divino si ritira dalla sua opera (Dio nascosto) mentre gli strumenti che lo rappresentano sono attributi del sacerdote e sottratti alla vista dei non iniziati


il corno è lo strumento rituale del ricordare: il suono che è freccia segna, come la memoria, la distanza psicologica (nello spazio) e il ritardo (nel tempo) dall'azione in praesentia che è, appunto, la caduta del corpo nel segno


il corno diviene, come l'arco sacro, l'immagine stessa della musica, che non è morte ma immagine della morte; non è sacrificio in praesentia, bensì la sua metafora e la sua "immagine", mentre il suono significa la distanza e il legame: metafora


assimilazione del corno al "ricordo": esso conduce il pensiero dalla vita alla morte


molti strumenti dovevano essere ricavati da parti anatomiche di animali o nemici uccisi


"se si usano parti di animali nella costruzione, lo strumento rappresenta la sostanza musicale della vittima sacrificata"


accanto ad una modalità aerofona, che è simbolica della voce (rappresentandola per affinità) si ha una modalità cordofona


quest'ultima, che evoca la voce in absentia e per sostituzione ne costituisce, propriamente, la metafora


la lira viene a rappresentare il canto poetico


per essere suonato con le mani, il cordofono è infatti l'attributo della creazione divina (costruire)


tale modello sacrificale viene rivisitato dall'800 che fa

dell'uomo uno strumento vibrante nelle mani di Dio

e della donna uno strumento emissario nelle mani dell'uomo


la donna torturata diviene infatti una figuralità strumentale e purificatrice del sacrificio che l'uomo stesso subisce da Dio


il principio fondante il modello cordofono è la vibrazione, che assimila nervi e corde


la sollecitazione e la tensione, che è anche alterazione dell'armonia e irruzione di un principio dinamico nell'ordine delle cose è, infatti, un fenomeno cui è maggiormente esposto il poeta


sarà dunque, piuttosto che una forza artistica creatrice, orchestratrice e ordinante, una forza che si riceve (il sacrificio subito)


dove di per sé la vibrazione della corda indica, come nel "richiamo" del corno, l'identità e la differenza, il Dio e il vicino al Dio, il modello strumentale di ogni cordofono è l'arco sacro, la cui freccia offre una rappresentazione immediata dell'inno scoccato al dio


ci sono infine i membranofoni, suonati con i piedi e appartenenti al regno infero


legati alla Terra-Madre e ai riti di fecondità, essi sono spesso interrati in una fossa-matrice, poi ricoperta e percossa dai piedi dei danzatori


così, infatti, si celebra il mistero sonoro dell'origine, mentre la divinità che ad esso presiede è, al tempo stesso, una profondità infera ed intima


in alcuni casi i tamburi, attributo degli iniziati e degli sciamani, sono nascosti nei templi mentre la loro vista è vietata alle donne


essi rappresentano infatti il mistero che la femminilità stessa, come la musica, incarna ma non conosce e che il poeta-sciamano cerca di penetrare e possedere attraverso il suono



a ciascuna delle 3 categorie strumentali corrisponde un sacrificio proprio, che è legato alle caratteristiche dei relativi strumenti




agli aerofoni corrisponde, in poesia, l'immaginario frenologico, ossia l'inspirazione-espirazione: perdita e assimilazione dell'identità


a tale immaginario pneumatico si attribuirà lo svuotamento e il riempimento del corpo


lo svuotamento avviene

sia mediante "vaporizzazione" degli umori

sia mediante la perdita delle viscere


sacrificio fondatore, quest'ultimo, dei principali riti iniziatici che la poesia rivisita e che ha nella perforazione della canna, legno della vita, un modello strumentale


tale sacrificio è significato a più riprese da Baudelaire:

talvolta avviene mediante fori operati nel rivestimento epidermico della vittima dal becco del rapace

talaltra attraverso il modello cristico: la carne, forata dai chiodi, diviene nutrimento degli uomini


molteplici sono, altresì, i morsi praticati dal poeta sul corpo emissario della donna, che è strumento di Satana


al fenomeno "dell'inspirazione" si attribuirà il rigonfiamento per insufflazione (introduzione di aria in una cavità organica)


ai cordofoni è invece associato il mimetismo fricativo (sfregamento): il sacrificio che corrisponde loro è lo sfregamento (a mezzo dell'archetto) o lo scorticamento (cui si riferisce il pizzicato dell'unghia sulla corda)


un modello dello sfregamento, a più riprese rivisitato dai poeti, è quello del sacrificio di Marsia ad opera di Apollo che segna, in ambito occidentale, il primato culturale del cordofono rispetto all'aerofono (d'ora in poi ripudiato dalla civiltà e relegato, malgrado il suo simbolismo celeste, a strumento della musica orgiastica)


avendo osato sfidare, in una gara musicale, la lira di Apollo con il suo aulo ed essendone uscito perdente, Marsia è legato al palo sacrificale, mentre Apollo lo scortica vivo con una bacchetta


lo scorticamento provoca l'asportazione del rivestimento che è barriera, quindi lo svuotamento del corpo, che diviene puro suono


ai membranofoni si assimila la percussione del corpo con mani nude, piedi, o con bastoni o bacchette


il corpo scrivente, punitore di se stesso, si sdoppia infatti in un'entità bisessuata, cosicché la componente femminile (il corpo gonfio e risuonante) è percossa da un bastone, oggetto fallico ed espiatorio


tale percussione farà scaturire gli umori, dei quali si nutrirà, omofagicamente, il soggetto



è senz'altro l'aerofono che conosce, nell'ottica organicistica del secondo 800, sia il più elevato numero di occorrimenti, sia la più marcata descrizione


una coppia oppositiva fortemente rappresentativa dell'immaginario poetico è quella corno-tromba


mentre infatti

il corno è il medio della caccia rituale che ha luogo nel bosco sacro

la tromba come indicazione riconduce a tutte le istanze positive della morale sociale e del discorso come costruzione il suono che "chiama" è obbedienza

E

il poeta produce, invece, una "resistenza" psicologica al richiamo che si traduce in incapacità di parlare o zoppicamento

la tromba è l'equivalente di un calamo (cannuccia usata anticamente per scrivere) "senza virtù"


la ricezione differita diviene, come nel caso del corno, la rappresentazione di una distanza


tale distanza, tanto temporale quanto spaziale, dal luogo in cui si "produce" il senso, è quella che separa il bosco sacro, luogo simbolico della poesia, dallo spazio civile


la tromba rinvia, così, ai riti solari del tramonto cui veniva associata


il sole, infatti, è il grande cacciatore e il suo raggio una freccia che uccide


la tromba si fa metafora parodica della penna come bacchetta impotente: lo strumento scrittorio è, appunto, una "tromba senza virtù", mentre il suo timbro si schiaccia sulla pagina marcando la cattura del suono nel segno


il flauto è lo strumento della diversità etico-estetica: gettato da Pallade Atena poiché le deformava le guance facendola apparire una prostituta, esso fu raccolto da Marsia


correlativo strumentale del poeta-capro, esso riconduce l'origine della musica che, secondo la tradizione, sarebbe nata non dal canto degli uccelli, ma dalla canna spezzata


caccia rituale del poeta-fauno


il flauto, che è correlativo fallico della penna, è infatti preposto alla cattura e alla caduta del corpo duplice e molteplice, nel segno


essendo l'origine del flauto, l'aulo, o oboe doppio, della tradizione greca, rinvia alla duplicità


tale duplicità è rappresentata dalle 2 ninfe, delle quali il fauno imita l'identità


si tratta di un universale rituale che ha riscontro nelle tradizioni primitive: lo strumento imita la sostanza visiva ed acustica dell'oggetto da conquistare


tra gli aerofoni, menzioneremo, infine, l'organo: modello di ogni strumento, esso è anche l'unico che, per essere costituito da molteplici canne e registri, è preposto a rappresentare le infinite forme e infinite voci di Dio nell'ambito della religione cattolica


in quanto rappresentazione "teatrale" di un rito consumato nello spazio chiuso della cattedrale esso diviene, nell'immaginario poetico, l'oggetto simbolo attraverso cui si autorappresenta la sostanza collettiva dei fedeli


tale è la voce punitiva del mare vagabondo; la natura è, infatti, un Tempio


la voce principale del mare è figurata da un ausiliario strumentale: il "vento che rimprovera" è, infatti, la voce dell'organo che accompagna e determina moralmente e spiritualmente il "richiamo" della natura


l'organo, venendo ad attribuire una determinazione simbolica al mistero pneumatico della voce divina, ne smaschera la finzione: l'organo è l'espressione stessa del culto religioso che, come quello musicale, è immagine di una presenza


così, l'organo non è che la rappresentazione di un'autopresentatività della voce poetica in uno spazio conchiuso, che è quello del corpo scrivente e scritto


l'organo diviene l'oggetto simbolico di una critica del culto, che viene trasferita, parodicamente, alla scrittura


la voce strumentale del ministro di Dio diviene l'icona stessa di una parodia autopresentativa del sacro in poesia

una variante per riduzione dell'organo è l'organetto di Barberia: strumento portativo del girovago cittadino, esso favorisce tutte le istanze marginali e ripudiate del discorso come costruzione


il gesto meccanico che l'organetto richiede all'esecutore smaschera la strumentalità materiale del corpo, condannato a farsi macchina; ovvero, "utensile" di un pensiero che lo supera


l'esecutore è prigioniero degli ingranaggi che esso stesso mette in movimento


venendo ai cordofoni, potendo essere suonati con le mani, essi svolgono propriamente una funzione strumentale, servile, in rapporto al canto, che è espressione voco-verbale del concetto


mentre la sua origine, presto dimenticata, è l'arco sacro (da cui discendono 2 varianti complementari: l'arco da caccia e l'arco musicale), il modello che ne trionfa è, appunto, la lira di Apollo o la cetra del Dio orchestratore del mondo


la costruzione dell'arco da caccia, così come dell'arco musicale, implica l'incurvamento del legno vivo ed elastico in conseguenza alla tensione di una corda


da cui tutte le figurazioni peggiorative del legno vivo e vibrante: esso è "colonna vivente" come il palo sacrificale o la croce cristiana


la corda ha, da parte sua, correlativi organici nei crini o nei visceri umani ed animali da cui si ricavava


"accordo" primitivo tra nervi e corde


la musica ascoltata è "ricordo" di un sacrificio


i nervi tesi sono sollecitati, per "simpatia", dalle note acute del violino


il gatto, corpo sonoro e parte per il tutto del violino stesso (poiché la sua corda più acuta si ricavava dal budello felino), ne costituisce il correlativo organico e sacrificale


un'ulteriore figurazione del cordofono è quella della corda spezzata per eccesso di tensione (assimilandosi isteria del poeta e isteresi elastica (sua deformazione non permanente) del materiale sonoro)


tema che evoca la malinconia improduttiva dell'artista


la corda spezzata, che viene a rappresentare in sé l'irreligiosità del poeta, ha una significativa tematizzazione nel serpente appeso al bastone


il bastone fallico ha la funzione simbolica di "governare" il passo poetico mediante i suoi colpi ritmici


la corda-serpente, figurazione organica della colpa, diviene indice di una resistenza psicologica del corpo scrivente alla conclusione del passo (incapacità di parlare)


la corda spezzata, segno della colpa, trasforma il testo, corpo scritto, in uno scandalo; ossia, etimologicamente, in un inciampo e in un conseguente "zoppicamento"


talvolta, la corda assume una funzione autopunitiva e autoespiatoria, analoga a quella del bastone; essa diviene la frusta che punisce e stimola il poeta malinconico affinché la "confessione", che è esibizione del corpo orrido, sia controllata dall'Arte


Verlaine preferisce al violino la "chitarra"o il "mandolino" italo-spagnoli, i quali proiettano le istanze sacrificali dello strumento in un "lontano" spazio-temporale


il giovane Mallarmé privilegerà i cordofoni culti e sublimi come la viola o la mandola


questi ultimi vengono a figurare quello spazio intermedio (mesocosmo) tra la simbolica terrestre e celeste che consente, appunto, il "passaggio"


attraverso lo strumento musicale si compirà infatti, nel poeta maturo, la "scomparsa vibratoria" di ogni "oggetto" (o predicato) materiale della soggettività scrivente


i tamburi in quanto figurazioni strumentali dell'immaginario infero sono presenti quasi esclusivamente in Baudelaire


correlativo del corpo scrivente come chiusura infera e risuonante


è noto che l'iniziazione avveniva, in molte culture primitive, oltre che mediante scorticamento (muta della pelle), mediante segregazione della vittima in uno spazio chiuso e abbandonato; fossa matrice da cui l'iniziato rinasceva a nuova vita

E

similmente, lo spazio del tamburo era considerato uno spazio sacro e segreto, abitato da spiriti: di quella presenza, sottratta alla vita, non si percepiva che l'effetto acustico


il tamburo viene a costituire nel suo immaginario il correlativo iconico del corpo sepolto vivo


il rivestimento epidermico costituisce una barriera psicologica, oltre che fisica, tra "l'interiore" del soggetto e lo spazio sociale


se infatti la natura è un Tempio, il luogo della poesia è analogo all'interno del tamburo: uno spazio chiuso e risuonante di cui non si coglie che un effetto ritardato


il tamburo è la figurazione strumentale di una mea culpa: parola percussiva e chiusa accompagnata dall'autoespiazione a mezzo della quale Baudelaire allontana segretamente l'arte come dannazione


talvolta Baudelaire proietta la colpa e la punizione sulla figura femminile


un'istanza fallica e creativa, il bastone, gonfia e poi percuote un oggetto femminile e passivo, proprio come si gonfiavano e si percuotevano, alla maniera dei tamburi, i corpi dei nemici


così la poesia ripara l'empietà della sua colpevole "ispirazione" e riafferma la propria autorità simbolica sulla femminilità musicale


un corrispettivo immaginale del tamburo è, in Baudelaire, "l'orologio" il quale, da simbolo del meccanicismo razionale qual era, diviene un oggetto animato dagli aspetti zoomorfi


Baudelaire fa dello strumento un oggetto di tortura iniziatica


esso incarna la dività assetata di tempo, mentre i colpi ritmici delle sue lancette sono assimilati ad una pluralità di frecce


da cui la ridondanza punitiva che assume, in Baudelaire, il ritmo: attraverso il "passo" che esso scandisce è indicata una conclusione sacrificale che segna il destino imminente del corpo: la sua caduta nel segno-"tomba"


tra i membranofoni il giovane Mallarmé predilige, ancora una volta, una variante: il tamburello basco, che si lega allo spazio medio o mesocosmo e che, definito come attributo di una femminilità sensuale ma debitamente sottomessa ed elevata, ben esemplifica lo statuto ludico e sottomesso della musica popolare, detentrice di una sacralità epurata e domesticata



vi è, infine, una quarta categoria di strumenti che, pur rientrando marginalmente nella tripartizione codificata dalla nostra tradizione musicale (fiati, archi, percussioni), gode di un primato simbolico presso molte culture primitive così come nell'immaginario poetico: quella degli autofoni, o idiofoni (strumento musicale il cui corpo vibrante coincide con il corpo dello strumento stesso)


oggetti che hanno caratteristiche sonore proprie, le quali vengono attualizzate mediante concussione (urto): tra di essi, la campana e i cimbali


la simbolica della campana, la cui funzione civile, unente ed edificante è analoga a quella della tromba, è rovesciata


in quanto strumento della dannazione, essa figura e amplifica il sacrificio di lode cui è condannato il poeta


ricordo del sacrificio


l'indicazione della campana si carica dunque a posteriori di caratteristiche peggiorative che la riconducono, come era il caso della tromba, alla sua primitiva funzione espiatoria; essa, suonata "a squarciagola" aveva la funzione di scacciare i demoni da uno spazio sacro


la distanza tra la campana ed il campanaro che la corda rappresenta, è abolita da un intento suicida che, maturato attraverso un sacrificio segreto perpetuato in vita ricongiunge, nell'impiccagione, i 2 termini della relazione


tale riconversione del duale nell'Uno è similmente evocata attraverso la figurazione dei "cimbali"


l'idiofono (spesso rappresentato mediante vari correlativi corporali duali: le mani o i seni) segna, con la sua "consussione" (che è "castigo"), la riaffermazione del simbolo, che è sintesi



molte anticipazioni si colgono, nel secondo 800, di quella stretta unione tra nevrosi della modernità (o disagio della civiltà) e rituali primitivi


dove la "civilizzazione" significa adeguamento di ogni forma alla sua funzione


Mallarmé

Baudelaire

Hugo

Valéry

Lamartine

Vigny

Verlaine


IV.    Maupassant e il "mistérieux fabricant" del male.


tema della crudeltà divina in Maupassant


qui verrà privilegiato un solo racconto, Moiron, pubblicato circa 3 anni prima della tragedia della malattia e della follia che hanno colpito lo scrittore, rapportandolo all'opera di Maupassant


storia di un maestro educato e cresciuto nel totale rispetto delle leggi umane e divine, timorato di Dio e degli uomini, che ha visto morire uno dopo l'altro i 3 figli adorati


a questo punto Moiron in piena lucidità prende la decisione di uccidere a sua volta i suoi allievi; viene aperta un'inchiesta, è giudicato colpevole e condannato a morte, ma viene graziato all'ultimo momento dall'Imperatore con commutazione della pena su intervento del magistrato inquirente, convinto dal padre confessore di Moiron


è solo in punto di morte che Moiron chiede di confidare i propri crimini non al prete, che pur si trova al suo capezzale, bensì al magistrato


duplice trasformazione di Moiron nell'esperienza del dolore

come persona rinnega la sua etica passata, "ero un uomo onesto, molto puro"

come credente rinnega lo stesso Dio nel quale fino a quel momento aveva profondamente creduto e confidato


da questo punto di vista Moiron non è il solo personaggio di Maupassant ad avere un'evoluzione analoga, che risulta, anzi, indicativa dell'impossibilità per l'uomo maupassiano di un rapporto positivo con la divinità


personaggi che fino a quel momento avevano tranquillamente convissuto con un credo superficiale, si ritrovano di colpo ad implorare Dio

cresciuti ed educati nel rispetto convenzionale della religione, rivede il loro antico credo, maledicendo Dio


Moiron rappresenta un esito singolare del passaggio da una concezione neutra o addirittura in positivo della divinità, ad una del tutto negativa


diversamente dagli altri personaggi, nella sua evoluzione egli supera lo stadio puramente emotivo, e comunque sempre legato a fatti casuali, per razionalizzarlo e giustificarlo a partire dal ribaltamento dell'immagine più convenzionale del Dio cristiano, provvidenziale, buono e giusto


Moiron rinnega con forza l'idea di un Dio caritatevole e generoso; non regge neppure il mito di un dio consolatorio e salvifico (le promesse di vita eterna che danno un senso alle sofferenze terrene e le riscattano)


"Maupassant riconosce Dio, ma in una suprema derisione, gli attribuisce gli attributi contrari a quelli che gli sono di solito dati"


si è molto parlato di Maupassant come "dell'uomo senza Dio", o comunque di un uomo il cui dio è "un'invenzione" strumentale per giustificare i mali del mondo

E

sarebbe più opportuno parlare invece di un uomo ossessionato dalla presenza di Dio, che c'è, anche quando non è nominato in maniera esplicita


il primissimo attributo del dio di Moiron è che Dio è malvagio


secondo questo personaggio è alla cattiveria divina che va imputata la creazione di un mondo che, inadatto all'uomo, è stato concepito, anzi, contro l'uomo, al fine di causarne l'infelicità


come se non bastasse, questo stesso dio "si diverte" a privare l'uomo di ogni gioia, persino di quella più naturale dell'amore


con Moiron questa cattiveria però si esaspera in vera e propria crudeltà perché si specifica addirittura nel gusto del massacro, un massacro talmente universale da coinvolgere qualsiasi creatura vivente, dall'uomo agli insetti


crudeltà di un dio assetato di sangue e di morte, e quindi fondamentalmente distruttore


la distruzione diviene il senso stesso e il fine della creazione divina


su questo scambio di funzione tra creazione e distruzione si articola tutto l'odio di Moiron per il suo dio, sostanzialmente ispirato all'orrore legato al fatto che ogni nascita costituisce in realtà un atto di morte, tragicamente dimostrato dall'intreccio quotidiano e inestricabile di vita e morte nell'esistenza di ognuno


ma la vera crudeltà del suo dio cattivo si specifica ulteriormente nel momento in cui il gusto divino del massacro si sdoppia in versione umana


esemplare è la situazione descritta ne L'aveugle (Il cieco), dove un'intera comunità solidarizza nella violenza contro un povero cieco fino a farlo morire di sofferenze e di fame


questo racconto mostra come la violenza, che è l'espressione per antonomasia della crudeltà, si generi immancabilmente da situazioni di squilibrio e disparità di forze, in cui cioè si trovino a confronto un dominato e un dominante, confronto che è assolutamente speculare alla relazione disparitaria tra l'uomo e la divinità


ogni essere vivente è al tempo stesso dominato e dominante, vittima del suo superiore, ma carnefice del suo inferiore


che in questa spirale di violenza universale entri anche una componente spiccatamente sadica che si articola sul piacere divino della sofferenza altrui, condiviso anche dall'uomo, e di cui né la divinità né l'uomo, suo imitatore, sembrano esserne mai paghi, lo dimostra l'insistenza sul ruolo primario dello sguardo


segno di una posizione di forza, e quindi di superiorità, legato al piacere


uso ricorrente di verbi come guardare


rispetto alla compattezza di un universo, dominato da un dio crudele e sadico, e di un uomo che lo è altrettanto, perché è stato volutamente ideato e costruito a sua immagine e somiglianza, Moiron si colloca su un piano diverso

E

lo dimostrano la consapevolezza e la lucidità con la quale egli

analizza la sua condizione di uomo

prende coscienza della sua situazione di inferiorità

e ne trae le conseguenze

attuando contro i suoi simili, in prima persona e con piena coscienza, lui un tempo mite e benpensante, la violenza del suo dio


è questa la risposta mancante al giudice istruttore, che nella prima fase delle indagini è incapace di credere alla colpevolezza di Moiron ("perché quest'uomo buono, semplice, religioso, avrebbe ucciso dei bambini??")


alla violenza e alla crudeltà che il suo dio infligge agli uomini Moiron risponde con pari violenza e crudeltà, anche lui uccide 7 bambini, 7 vittime innocenti e indifese


non si tratta più di esercitare con mimetismo servile o addirittura inconsapevole la violenza che Dio ha trasmesso all'uomo, bensì un atto di ribellione, e di vendetta, atto che Moiron esercita contro un dio cattivo e ingiusto, sanguinario e distruttore, che gli ha fatto morire i figli

E

ma la vendetta rappresenta nel contempo per Moiron anche un riscatto dell'inferiorità connaturata alla sua condizione di uomo, riscatto il cui senso è di conquistare una condizione di parità


proprio per questo egli si sostituisce a Dio nell'opera di distruzione


convinzione di fondo: non è la vita, cioè la creazione, di cui sono emblematici il parto e l'amplesso, ad avere valore, bensì la morte, vale a dire la distruzione, che è la vera legge divina


il rapporto dell'uomo con Dio cambia perché viene portato su un piano assolutamente personale


oltre a concepire Dio come nemico del genere umano, Moiron lo concepisce infatti soprattutto come suo avversario personale


una simile personalizzazione del rapporto sfocia in una forma di antagonismo che annulla sì la gerarchia tra dominante e dominato, ma che non può risolversi che in termini di vittoria o sconfitta


parlando della sua condanna a morte, prima della grazia, Moiron la vive come una sconfitta perché interrompe la catena di omicidii, quindi di distruzione, che ha inaugurato


prima dell'esecuzione capitale, Moiron fa chiamare il confessore e gli giura la sua innocenza

conclusione che Moiron tace: il "farsi beffa" è la sola via per illudere momentaneamente l'uomo sulla sua vittoria e mascherarne invece la perenne sconfitta, sulla quale nel profondo Maupassant non può far altro che convenire tacitamente, e che Moiron risolve con il disprezzo ("non ho paura di lui, lo disprezzo troppo")


dal narratore della vicenda, che poi è il giudice istruttore, Moiron viene descritto come "uno spaventoso essere", come un pazzo


situazione relativamente frequente nell'universo di Maupassant in cui la follia sembra essere presente per dare una voce a quanto in genere non può essere detto


nel caso di Moiron ciò che non può essere né detto né sostenuto neppure da uno scrittore cinico e disincantato come Maupassant è la visione che il folle Moiron ha della violenza universale


gli stessi uomini sono le prime vittime di un dio crudele che si serve di loro per il proprio piacere, che gode del massacro che essi mettono in atto con lo stesso piacere e la stessa crudeltà


anche evitando una lettura autobiografica, particolarmente inopportuna nel caso di un autore discretissimo come Maupassant, è difficile negare la possibilità di interferenze di fondo tra biografia e opera quando

da un lato l'opera racconta l'esperienza personale del dolore

dall'altro le espressioni autobiografiche dell'ultimo Maupassant si presentano comunque in forma di testo


una frase pronunciata da Maupassant, ormai alla fine del suo calvario, come "io sono più forte di Dio" recupera, risolvendola, la sconfitta dello stesso Moiron morente che, alludendo al suo dio, confessa "non posso più sfuggirgli"


un'altra frase, pronunciata dall'eroica Irma, protagonista de Le Lit 29, riecheggia stranamente il fatto che la divinità stessa può subire per contrappasso


V.  La scrittura della crudeltà nel romanzo africano francofono.


dagli studi francofoni risulta che:

la più spietata violenza è uno dei temi privilegiati delle letterature dell'Africa francofona

anche la struttura del testo, come la sua scrittura si impongono nella forma della più atroce crudeltà


tentativo di gettare in faccia al mondo (ma in modo da riuscire a colpirlo davvero, a coinvolgerlo davvero) la realtà feroce in cui il continente era (ed è ancora) orrendamente sprofondato


sfida letteraria ai grandi di questo mondo, ai resposabili delle violenze politiche


"il lettore non è solamente messo davanti alle sue responsabilità di fronte alla barbarie degli episodi a cui assiste; vi è implicato; subisce a sua volta la violenza, attraverso il mezzo della scrittura"


la crudezza e la violenza del linguaggio, il piacere intenzionale marcato da alcuni scrittori contemporanei per il macabro e lo spregevole, spesso associati al sangue e al sesso, costituiscono il segno più vistoso di una scelta fondamentale operata dal romanzo africano: l'accanimento a dire ciò che non può essere detto, e dunque una violazione del silenzio che sia il potere, sia i divieti sociali o le regole della decenza impongono


alle sue origini (anni 20 del 900) e poi per alcuni decenni, il romanzo, genere del tutto nuovo nel quadro delle letterature tradizionali dell'Africa, aveva necessariamente adottato (pur costituendo spesso lo strumento per la denuncia di un universo referenziale crudelmente e crudamente violento) le forme sagge e ben confezionate che la letteratura francese aveva saputo imporre, e si è sottolineato come il romanzo fosse restato molto vicino a dei modelli francesi, e dei modelli più classici, magari studiati a scuola, Balzac, Zola, Maupassant

E

ma poi, con l'avvento delle indipendenze e con la delusione amarissima che, con il loro spaventevole fallimento, esse hanno impresso nelle popolazioni africane e soprattutto negli intellettuali e negli artisti, anche la produzione letteraria ha subito un'autentica rivoluzione e ha compiuto un balzo straordinario nella modernità estrema e in un'autonomia consapevole e trionfante, capace di coinvolgere ogni aspetto della struttura e della scrittura romanzesca


2 grandi romanzi (entrambi del 1968) hanno segnato l'avvio di questa considerevole trasformazione ed entrambi hanno suscitato (prima di essere accettatti come capolavori) le proteste più accese della critica (specialmente francese)


Les Soleils des Indépendances di Kourouma (ivoriano)

Le Devoir de violence di Ouologuem (maliano)



Les Soleils des Indépendances: sistematica distorsione della lingua francese; per primo, Kourouma "non si limita ad ereditare la lingua francese dal colonizzatore, ma la fa sua, la interiorizza e la adegua, africanizzandola, alle esigenze estetiche ed espressive dell'opera"

Le Devoir de violence: suscitò grande sconcerto nella critica africana per la distruzione del mondo mitico nato dagli ideali della Negritudine; e sollevò poi il rancore della critica francese che aveva incautamente salutato l'opera come eccellente manifestazione di africanità, di istintività, di potenza elementare, quando si scoprì che in realtà il romanzo era un abile insieme di plagi (o quantomeno di imitazioni che come plagi furono denunciati) di celebri romanzi occidentali


il romanzo altro non è che una raffinatissima costruzione in cui l'autore copiava in effetti intere pagine da celebri opere della letteratura mondiale, ma rovesciandone inesorabilmente il senso, secondo una visione del mondo assolutamente negativa, priva di ogni deformazione consolatoria: mai testo fu, nella sua costruzione, più crudele di questo


da allora il romanzo africano non ha più smesso di esercitarsi negli sconvolgimenti e nelle invenzioni anche più estreme, cercando e trovando forme nuove per dire l'orrore e il caos del continente, che sono poi il simbolo severo dell'orrore e del caos del mondo


2 romanzi recenti (entrambi del 2000) che costituiscono 2 esempi impressionanti di scrittura della crudeltà:

L'Aîné des orphelins (Il Primogenito degli orfani) di Monénembo (guineano)

Allah n'est pas obligé, ultima opera, prima della sua morte, di Kourouma (ivoriano)


L'Aîné des orphelins evoca il genocidio del Rwanda, occorso nel 1994


il romanzo è collocato intenzionalmente nel dopo genocidio, sul quale non si ritorna che attraverso qualche analessi (in un testo narrativo, inserimento di fatti, eventi precedenti al tempo della narrazione)


il narratore-protagonista sostiene che quando pensa al passato, è sempre contro la sua volontà


il romanzo comincia dunque dalla fine, nel momento in cui Faustin (che ha solo 15 anni e si trova da 3 anni nella prigione di Kigali, condannato a morte per omicidio e in attesa di esecuzione) ripensa quasi involontariamente al suo passato; e si susseguono nella sua mente e nel testo brevi scene, senza alcuna successione temporale coerente, come veloci flash caotici


il cugino Thaddée che lo ha supplicato di rimandare la partenza per andare insieme in Tanzania dallo zio, partenza che così non potrà mai avvenire e che invece avrebbe salvato il piccolo Faustin

l'incontro con una colonna di fuggiaschi che tentano di raggiungere quello che allora si chiamava Zaire e con lo stregone del suo villaggio che insiste inutilmente per portarlo con sé e salvarlo dai "creatori di guerra"

le partite di calcio con la squadra cui era così orgoglioso di appartenere

la vita tranquilla e lieta al villaggio, con gli amatissimi genitori e i fratellini

poi le disavventure (tremende) della sua vita errante e la sua condizione di "bambino di strada", una volta giunto in città alla fine della guerra


tutti questi ricordi si alternano con la rappresentazione del tempo presente, la vita in carcere di Faustin il quale, poiché è allo stesso tempo protagonista e narratore, offre solo il proprio punto di vista, scolvongente per 2 ragioni:


la prima dipende dalla visione del mondo di Faustin: trasformato dal genocidio in un piccolo sbandato, poi in delinquente, poi in assassino, egli regola la sua narrazione su un tono freddo e cinico, un tono provocatorio di sfida


di Claudine Karemera, una giovane donna bella e ricca, che cerca di aiutare i bambini travolti dal genocidio, egli dice: "è il genere di persona che è meglio dimenticare; le portate più rancore che riconoscenza; ho sempre trovato sospette le persone che mi vogliono bene; attenzione, signora, non sono più quello che voi credete!"


al bell'orfanotrofio, Faustin preferisce la fuga per tornare al suo amato Quartier Generale, vasto spazio incolto con un edificio in costruzione abbandonato, quartier generale dei bambini di strada


Faustin si adatta con piacere alle esigenze mediatiche dell'operatore televisivo Rodney, incontrato per caso; costui gli espone con un'indifferenza vergognosa il suo modo di intendere il mondo e il suo mestiere: "c'è sempre qualcosa da vedere; al bisogno, si inventa; adesso il luogo del genocidio; i morti sono dei grandi divi"


Rodney propone a Faustin di fargli da guida sui luoghi del genocidio; il ragazzo, attirato dai dollari sonanti dell'operatore, accetta e finisce col diventare, alla loro prima uscita, il protagonista delle interviste di un'équipe televisiva in un villaggio che non ha mai visto, ma che finge di riconoscere come il proprio villaggio, inventando quel che è accaduto al momento della strage


con la complicità di Rodney, ripete la sua storia immaginaria in diversi villaggi, per tutte le televisioni occidentali


il cinismo di queste rappresentazioni accresce lo smarrimento del lettore, che sino a quel momento aveva pensato che Faustin (cicatrici a riprova) fosse una vittima del genocidio, ma questo parrebbe inconciliabile con le vergognose messinscene; tanto più che gli eventi che hanno provocato l'erranza di Faustin non sono mai stati raccontati; anzi, egli sostiene spesso che i suoi genitori sono vivi e vegeti e che finirà per ritrovarli


sta in questa situazione narrativa la seconda ragione del disagio del lettore, nei vuoti di memoria di Faustin che scandiscono le pagine del libro


in prigione attende l'esecuzione per aver ammazzato il suo più caro amico, scoperto mentre fa sesso con la sua sorellina, ritrovata per caso


mai si parla del genocidio (ad eccezione delle sconvolgenti finzioni di cui dicevamo): tra la vita al villaggio e l'avventuroso vagabondaggio si spalanca un buco nero, che rende il testo inquietante e insignificante insieme, fino alla fine


anche dopo la sentenza che lo condanna a morte, Faustin sostiene spavaldamente: "15 anni sulla terra e, alla fine dei conti, niente da rimpiangere"


tuttavia, subito dopo i ricordi del genocidio esplodono nella memoria infine sbloccata di Faustin, grazie ad un ritorno del rimosso che illumina a posteriori, di una luce fissa e immutabile, cupa e tragica, tutta la narrazione precedente


scena finale: "una vecchia donna stava sotto di me; essa ebbe la forza di sorridermi in mezzo a nuvole minacciose di mosche e mucchi di cadaveri in putrefazione; tu non sei un uomo come gli altri; sei nato 2 volte per così dire: la prima volta, tu hai poppato il suo latte e la seconda il suo sangue; c'è sempre della vita che resta, anche quando il diavolo è passato"


così si chiude questo romanzo a rovescio, che finisce con il principio, così come era cominciato dalla fine: perché la sua struttura rispetta e segue quella della mente umana, incapace di conservare alla coscienza eventi così terrificanti come quelli che hanno travolto il piccolo Faustin


il solo strumento per continuare a vivere è quello della rimozione, che però sconnette la personalità, introducendole il virus dell'aggressività cinica e insensibile


la scelta di ambientare la storia nel dopo-genocidio potrebbe essere vista come una sorta di strategia di evitamento della parte di un autore confrontato con l'indicibile del genocidio


le ultime parole della vecchia che ha salvato Faustin sono luminose parole di speranza

E

ma il lettore che sa il destino amaro del bambino traumatizzato è costretto a leggere in quelle parole la crudele ironia sull'eterna illusione di un'umana felicità



anche il protagonista di Allah n'est pas obligé è un bambino, anche lui assume la funzione di narratore per raccontare la sua terribile odissea di bambino-soldato, coinvolto negli orrori della guerra civile in Sierra Leone e in Liberia


Kourouma, che resta uno dei più grandi autori delle letterature africane, ha dovuto porsi lo stesso problema di Monénembo: com'è possibile fare letteratura con l'inesprimibile, dicendo ciò che sta al di qua dell'umano, al di qua della parola??


ma il romanziere aveva promesso a dei bambini-soldato di raccontare al mondo la loro vita e doveva dunque trovare il modo di dire l'indicibile, inventando una struttura capace di esprimere la follia delle guerre africane di oggi


svolge tutta la narrazione in analessi (in un testo narrativo, inserimento di fatti, eventi precedenti al tempo della narrazione): gli eventi, pur traumatizzanti sino all'insopportabile, appartengono al passato, e questo accorda al piccolo narratore (ormai in una situazione protetta e sicura) la distanziazione necessaria per dire ciò che ha visto e ciò che ha vissuto


e poi Birahima è rimasto davvero bambino: benchè abbia sperimentato sulla sua pelle momenti sconvolgenti e ripugnanti, non ha perso la freschezza, la franchezza, il punto di vista ingenuo e birichino dell'infanzia


alla fine delle sue sofferenze, Birahima è stato trovato da un membro della sua famiglia, il dottor Mamadou, che gli vuole bene e si occuperà di lui


per cominciare gli chiede di raccontare tutta la sua storia; preghiera che ha l'evidente intenzione di aiutare il bambino a superare, parlandone, i traumi subiti


così (ma lo si scopre solo alla fine) il romanzo è la storia raccontata a (o scritta per) qualcuno che lo ascolta (lo legge) con affettuosa e rassicurante attenzione


ma anche per Birahima è difficile trovare le parole per dire le atrocità della follia collettiva di cui è stato partecipe


d'intelligenza acuta e vivace, il bambino trova un delizioso escamotage, mettendo a profitto l'eredità ricevuta da un interprete, morto nel suo stesso campo di rifugiati: 4 dizionari:

il Larousse e il Petit Robert per il francese

l'Inventario delle particolarità lessicali del francese in Africa nera

il Harrap's per il pidgin (lingua fortemente semplificata nella struttura e nel vocabolario, che deriva dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali)


grazie all'attrazione per i suoi dizionari, il bambino riesce a mettere insieme la sua testimonianza, lasciandosi trasportare dall'entusiasmo per il gioco metalinguistica

alcuni critici hanno trovato irritante questa scrittura

E

Birahima, nel maneggiare i dizionari che danno l'impressione di rinchiudere il mondo in una spiegazione razionale e rassicurante, trova la forza di trasformare in parola la sua intollerabile esperienza e di consegnare ai suoi ascoltatori (ai suoi lettori) la sua visione del mondo tanto negativa da sfiorare la rassegnazione disperata


a cominciare dal titolo scelto per la sua storia, che egli completa già nella prima pagina ("Allah non è obbligato ad essere giusto in tutte le sue cose su questa terra") e che poi approfondisce con il progredire della narrazione ("Allah fa quello che vuole; non è obbligato ad acconsentire a tutte le preghiere dei poveri umani")


la storia di Birahima sembra la prova del silenzio di Dio; il bambino ha visto, sperimentato, praticato tutti gli orrori


sua presentazione: "sono un piccolo negro perché parlo male il francese; non sono che un bambino; ma da molto tempo non mi interesso delle usanze del villaggio; sono inseguito dai gnamas di numerose persone (gnama è l'ombra che segue l'autore di colui che ha ucciso una persona innocente); ho ucciso molti innocenti; tutto si guasta in me e con me"


Birahima, che, rimasto orfano, avrebbe dovuto trovare in Liberia la zia che si sarebbe presa cura di lui, parte accompagnato da Yacouba, simpatico imbroglione che si era arricchito, ma che, ricercato dalla polizia, aveva accettato l'incarico di accompagnare il bambino dalla zia, avendo egli stesso deciso di rifarsi una fortuna in Liberia


Yacouba, diventato un grigriman (uomo che fabbrica amuleti africani contro il malocchio) molto apprezzato, sarà il fedele compagno del bambino, affrontando insieme a lui, per più di 3 anni, le più spaventose disavventure, ma riuscendo sempre a colorirle di un'involontaria nota di allegra comicità


tutto comincia nel momento in cui il camion, sul quale Birahima e Yacouba stavano viaggiando con molti altri passeggeri verso la Liberia, viene attaccato alla frontiera dai bambini-soldato del colonnello Papa le bon (un pazzo, ex seminarista, appartenente ad una delle fazioni che si spartiscono il Paese facendosi la guerra)


con costui, Yacouba e Birahima sono costretti a cominciare la loro lunga carriera

l'uno di grigriman dei combattenti

l'altro di bambino-soldato

passando (a seconda dell'andamento della guerriglia) da una fazione all'altra, da un generale all'altro, da un bandito all'altro (e tutti sono personaggi reali, ancora operanti quando non sono morti) finchè vengono salvati dal cugino Mamadou che li riporta in Costa d'Avorio (allora, negli anni 1993-97, epoca in cui si svolgono gli eventi narrati, questo Paese non era ancora colpito dalla guerra civile che ora lo sta dilaniando)


Birahima e Yacouba sono insieme testimoni e protagonisti degli orrori


il bambino descrive tutti i campi militari in cui è finito e ricorda ogni volta che "il campo era delimitato da crani umani innalzati su pali", e questa frase, molte volte ripetuta, si completa regolarmente con "questo, è la guerra tribale che vuole questo", sorta di ritornello che ritorna ossessivamente, come a sottolineare la fatalità inevitabile contro la quale nessuno può nulla


è sempre a causa della "guerra tribale", ad esempio, che le bambine sono violentate e assassinate


ovunque i bambini (maschi e femmine) sono inesorabilmente accerchiati da violenze inaudite e dallo spettacolo martellante della morte


si può comprendere come un bambino, continuamente confrontato a realtà di questo genere, finisca con l'indurirsi sino a diventare davvero assolutamente insensibile, cercando così di proteggersi contro quel che non può in nessun modo evitare, trovando normale, alla fine, di diventare un bambino-soldato, mettendosi con quelli che uccidono (e che danno da mangiare) anziché restando con quelli che subiscono la fame e la morte


"come ha potuto in questo grande e brutto mondo diventare un bambino-soldato: quando non si ha più nessuno sulla terra, e quando si è piccolo, che si fa?? certamente si diventa un bambino-soldato"


corrotti e anestetizzati da tante atrocità, i bambini diventano a loro volta assassini spietati e indifferenti, fonti di orrori e vittime di orrori


i bambini-soldato sono incaricati di amputare le mani alla gente, per impedire che vada a votare


"i bambini-soldato uccidevano i loro genitori prima di essere accettati; e dimostravano attraverso questo parricidio che avevano abbandonato tutto, che non avevano altri legami sulla terra, altro focolare che il gruppo di Johnny Koroma"


il romanzo nel suo insieme è di una crudeltà quasi intollerabile

E

ma la scelta di raccontare tutto delle realtà vissute dai bambini-soldato non è mai un'esibizione ambigua e gratuita di atrocità: Kourouma vuole forzare il lettore a prendere coscienza dello scandalo di cui tutti (anche coloro che preferirebbero non sapere) sono in certo modo responsabili


il romanzo è anche un lucidissimo corso di storia dell'Africa, che mette in luce spietatamente tutte le accuse


potremmo chiederci se un bambino di 12 anni poco istruito come Birahima sia in grado davvero di raccontare con tanta precisione e senso critico la storia dei 2 Paesi in guerra e di tutta l'Africa occidentale, e dovremmo rispondere di no, naturalmente


ma intanto, approfittando

del linguaggio insolente e scorretto del ragazzino

del suo punto di vista (fintamente) ingenuo

della sua vivacità e della sua ironia corrosiva


Kourouma può esercitare

la pratica della verità senza compromessi

la denuncia spietata dei responsabili

e riflettere nello stesso tempo sulla follia degli uomini, sull'assurdità della storia, sul cinismo della politica


sottolineare almeno 2 momenti di questo discorso organico:

da un lato, il testo spiega esplicitamente come le rivalità tribali siano incoraggiate, se non inventate e imposte, dai signori della guerra e dai più diversi dittatori per coprire la loro battaglia per il potere e la ricchezza personale ("quando si dice che c'è una guerra tribale in un paese, ciò significa che dei banditi si sono divisi tutto e tutto il mondo intero li lascia fare; ognuno difende il suo guadagno e, nello stesso tempo, ognuno vuole ingrandire il suo dominio")

d'altro lato, sono duramente denunciati gli atteggiamenti e i comportamenti dei capi di stato africani, sino al terribile discorso di accusa sull'insieme della loro politica


ma potrà veramente liberarsi dai traumi subiti il piccolo Birahima??


il romanzo lascia decidere al lettore, anche se un'ombra inquietante si insinua nelle ultime pagine: giunto alla fine della sua storia, e cioè al momento in cui il dottor Mamadou gli chiede di raccontare ciò che ha vissuto, Birahima ricomincia da capo, con le stesse parole della prima pagina


questa sorta di storia nella storia è

il contrassegno della struttura circolare, così cara alla tradizione orale africana

oppure il segno dell'impossibilità di Birahima di uscire dal suo vissuto, una sorta di costrizione a ripetere cui costringe un inestingubile senso di colpa??

quando la guerra civile a forti connotazioni tribali è dilagata in Costa d'Avorio, Kourouma, come già tante volte era stato costretto a fare nel corso della sua vita, aveva lasciato il suo Paese, rifugiandosi in Francia, e subito aveva ripreso a scrivere alacremente


quando è morto, improvvisamente, ha lasciato un libro incompleto, Quand on refuse on dit non, che Seuil ha subito voluto pubblicare


penso che sarebbe stato meglio lasciare inedito questo che è solo un ruvido abbozzo, uno scheletrico insieme di appunti, privi dell'elaborazione formale e strutturale (così ricchi di significato nel lavoro di Kourouma), che nulla aggiungono ai suoi meriti di scrittore

E

ma è significativo che, di questo ultimo romanzo, sarebbe stato di nuovo protagonista lo stesso Birahima, di nuovo costretto alla fuga, di nuovo costretto ad imbracciare il suo fedele kalachnikov, di nuovo pronto ad ammazzare per non farsi ammazzare


è attorno a

quest'allerta continua

questa impossibilità di una vita tranquilla

questa normalità negata

che le nuove generazioni di scrittori africani costruiscono ormai sempre più spesso le loro opere, e non a caso spesso i protagonisti sono giovani o giovanissimi; quasi sempre, sono dei giovani cattivi, aggressivi, ostili, pericolosi; la scrittura che dà loro vita, è sempre una scrittura crudele, poiché è costretta a togliere loro l'innocenza e ad incastrarli nell'incoscienza


VI.    "Peindre les délices de la cruauté". Crudeltà e malinconia negli Chants de Maldoror.


tra il 1868, data della prima pubblicazione del primo canto di Maldoror, ed il 1885 con la riscoperta e la diffusione del libro, l'opera passa completamente inosservata se non per una brevissima recensione


questa recensione mette proprio l'accento, tra tutte le caratteristiche che potevano saltare all'occhio in un testo così insolito e per molti versi inabbordabile, proprio quella che interessa qui oggi


"Maldoror è colpito da questo male [si tratta del "male del secolo"] scettico, diventa malvagio, e rivolge verso la crudeltà tutte le forze del suo genio"


"c'è chi scrive per ricercare gli applausi umani, per mezzo delle nobili qualità di cuore che l'immaginazione inventa o che essi possono avere; io, faccio servire il mio genio a dipingere le delizie della crudeltà"


il termine "genio" segnerà singolarmente la fortuna di quest'opera e del suo autore Lautréamont: genio o malattia mentale??


doppio atteggiamento dei lettori di fronte ad un testo inquietante e irriducibile, effettivamente, ad una di queste 2 rassicuranti categorie:

da una parte lo sfruttamento della categoria della follia alla quale si ricorre per prendere le distanze dagli Chants senza tuttavia negarne l'irresistibile fascino

dall'altra la cieca e acritica venerazione dei surrealisti per un genio (nell'accezione del termine di uomo miracolosamente dotato, in largo anticipo sul proprio tempo, vittima di pregiudizi di ogni sorta e quindi costretto all'isolamento dal contesto sociale) che Breton aveva fortunosamente riscoperto e immediatamente piazzato tra i "fari" del movimento


la parola "genio" compare varie volte negli Chants, ma in un'accezione particolare per l'epoca, quella di disposizione, talento, ingegno, priva della sottintesa sregolatezza di cui l'aveva caricata la tradizione romantica


il fatto è che gli Chants de Maldoror sono un testo tutt'altro che improvvisato, o dettato da più o meno violenti sussulti di un animo inquieto o tanto meno ispirato dall'alto

E

si tratta di una vera e propria macchina, di un dispositivo attentamente progettato e per di più racchiuso in una carrozzeria trasparente che lascia vedere, e a tratti esibisce ostentatamente, i suoi ingranaggi, quelle che Ducasse chiama le sue "astuzie"


il testo, fin dal titolo, anzi dal nome dell'autore, fa emergere una delle sue particolarità: la molteplicità, che spesso è stata presa per confusione, dell'enunciatore, letteralmente di colui che parla, o canta


parlano in prima persona

tanto Maldoror

quanto un io indefinito che identifichiamo con Lautréamont (a sua volta pseudonimo dell'autore)

E

ma si parla in terza persona tanto di Maldoror che di un "poeta", presentato come l'autore del testo che si sta leggendo


l'uso di una persona, di un nome o di un pronome non è affatto, come può, o forse deve sembrare, casuale, ma risponde ad una vera e propria scala di deresponsabilizzazione


i pensieri e gli atti più violenti, crudeli, scandalosi o riprovevoli sono attribuiti a Maldoror e in terza persona, via via fino ad una sorta di io poetico, fino all'assunzione in prima persona del solo discorso poetico da parte del personaggio-autore Lautréamont


Ducasse ha intuito quella coincidenza tra l'atto di scrivere e "l'atto di messa a morte"


si è cercato di capire cosa volesse dire per Ducasse la parola "crudeltà"


Ducasse era, come del resto è facile immaginare accada a chiunque debbba esprimersi in una lingua non nativa, un grande consultatore di dizionari ed enciclopedie che, com'è noto, sono abbondantemente citati e plagiati nei suoi testi


"crudeltà" è dunque una parola forte, per Ducasse almeno, se non per i suoi contemporanei


negli Chants la crudeltà assume l'originario significato di disumanità o meglio, e ancora prima non-umanità


è infatti la crudeltà l'attributo principale di Dio e di tutte le sue molteplici incarnazioni in animali repellenti e/o feroci


quanto a Maldoror o al poeta, la sua appartenenza al genere umano non è in discussione

E

ciò che il testo porta letteralmente alla luce è la sua separazione dall'umanità, la sua solitudine profonda che si traduce nel doloroso e violento isolamento di chi ha una missione da compiere


"la mia poesia consisterà nell'attaccare, con tutti i mezzi, l'uomo, questa bestia feroce, e il Creatore"


"la poesia deve avere per obiettivo la verità pratica; la missione della poesia è difficile"


segue un lungo elenco di attività umane di cui la poesia, in quanto umane, appunto, non si occupa


si propongono i veri modelli: non più Omero o Virgilio ma Confucio, Buddah, Gesù Cristo, cioè i rivelatori della verità


esseri umani eccezionali, cioè separati dall'umanità, venuti al mondo con il compito di rivelare la verità



la verità ultima è l'essenza crudele e feroce del creatore


il nostro poeta-personaggio Lautréamont-Maldoror è un essere solitario; fin dal primo canto, è continuamente alla ricerca di qualcuno che gli somigli


pur di interrompere la sua drammatica solitudine, arriva ad usare su di sé una violenza sanguinaria per somigliare lui a loro: "ho voluto ridere come gli altri; ma ciò era impossibile; vidi bene che il mio riso non assomigliava a quello degli umani, cioè io non ridevo"



il personaggio è caratterizzato da quell'ambigua condizione "moderna" che definiamo malinconia o, con Baudelaire, spleen (malessere)


ambigua perché è intrinseca in essa la duplice istanza di separazione

di allontanamento dall'altro, da una parte

e di sofferta solitudine, di emarginazione, dall'altra


in quanto poeta il soggetto si addossa la missione di rivelare la verità e lo fa esibendo strumenti e materiali come e di che cosa è fatto questo testo crudele??


la critica ducassiana ha lavorato a lungo sulle innumerevoli fonti, che da un certo punto in poi hanno cominciato a chiamarsi "intertesti", degli Chants


anche da un'occhiata sommaria a questa bibliografia risultano evidenti 2 fatti:

Ducasse era un lettore vorace e insaziabile; le sue conoscenze letterarie travalicano epoche e generi

egli aveva un'idea della letteratura che oggi è molto vecchia e forse non era tanto nuova nemmeno allora e cioè che ogni testo letterario sia fatto della letteratura che lo ha preceduto la sua originalità fuori tempo è nello scegliere intenzionalmente e programmaticamente questa modalità espressiva, mentre i sostenitori più moderni di questa idea considerano l'intertestualità un meccanismo insito nel funzionamento della letteratura, che lavora indipendentemente dalle scelte degli autori


"il plagio è necessario; il progresso lo implica; insegue la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un'idea falsa, la rimpiazza con un'idea giusta"


il gesto poetico consiste quindi in questo cancellare le idee sbagliate e sostituirle con quelle giuste


e il poeta degli Chants compie questa operazione con estrema capacità, utilizzando tutti gli artifici della retorica per piegare la parola altrui ed esprimere la sua verità: la crudeltà del creatore


ma la caratteristica forse più saliente di questo testo è che

tutti questi artifici

la tecnica compositiva

i meccanismi di quell'arma potente che è la poesia

sono continuamente messi a nudo, sezionati, spiegati


il loro funzionamento è illustrato nei minimi particolari


la poesia di Ducasse, ad una lettura più attenta, rivela il suo vero obiettivo: formare un lettore a immagine e somiglianza del suo creatore, cioè dell'autore, un lettore crudele, insomma, per il quale l'acquisita consapevolezza della crudeltà che regge il mondo riveli il profondo disagio di vivere e susciti una volontà di ribellione


in una delle lunghissime e didascaliche esposizioni del quarto canto sulla somiglianza tra i polli e gli esseri umani è come nascosta, in un contesto dissonante, una frase che per me ha sempre celato il significato più profondo dell'operazione poetica che ha prodotto gli Chants de Maldoror: "insegnate loro a leggere, ed essi si rivolteranno"


[Conte di Lautréamont, pseudonimo di Isidore Lucien Ducasse; nato in Uruguay]





VII.    La sublimazione crudele.


la sublimazione crudele è un ossimoro (accostamento di 2 parole di senso contrario); una creatura linguistica, ancora prima che tematica, perennemente divisa nell'ambiguità


sublimare appare come un termine univoco, perfettamente compreso nel gioco di associazioni tra il suo senso figurato di elevare, innalzare moralmente e l'immagine letterale dell'atto del porre, attaccare qualche cosa in alto, lontano dal suolo

crudele, ancora prima che atroce, efferato, sembra essere ciò che contiene all'interno di sé la radice cruda e senza forma di una materia non manipolabile, il nucleo vivo di un'immagine mai addomesticata dalla violenza della legge umana



costringere ad una gemellarità forzata

il volo della sublimazione, la spinta, il continuo slancio di un corpo dal suolo

e l'affermazione irriducibile invece di questo stesso suolo, di una terra crudamente presente nella violenza e nel peso della propria massa pulsionale

non può che produrre un mostro



un doppio gioco di lame, perenne lotta tra

contenimento e fuoriuscita

controllo e abbandono


  1. Il corpo indicibile di Louis Lambert.

Balzac, Histoire intellectuelle de Louis Lambert trama purificata da ogni possibile incrostazione materica, idea di un uomo costantemente attratto dal genio nostalgico della sublimazione filosofica


Louis Lambert è segnato dai segni della lotta di questi 2 grandi principi: lo Spiritualismo e il Materialismo


il suo è il progetto di una possibile riduzione ad uno di questi stessi, l'ipotesi di un massimo principio capace di unificarne la struttura e regolarne al contempo le difficoltà


idea di un universo interamente dominato, anche nei suoi aspetti più brutalmente fenomenici, dalla componente di un pensiero capace di comprenderlo in ogni suo luogo nascosto

E

ma il suo Traité de la Volonté andrà presto perduto, strappato o venduto forse, mentre i contorni di Louis Lambert sembrano mostrare quasi da subito i sintomi di un evidente malessere


tutto il testo del resto, ben prima ancora del suo epilogo drammatico, porta tra le pagine i segni di una rottura


i luoghi stessi del racconto appaiono come sospesi in un continuo riandare lungo le estremità opposte di una costruzione bifida, ambigua


il collegio di Vendôme, istituzione per metà militare e per metà religiosa in cui Balzac-Lambert bambino sperimenta le potenzialità non comuni del proprio giudizio è innanzitutto un luogo doppio


un mondo divisibile, ordinabile nelle sue funzioni primarie (nutritiva, educativa, repressiva) secondo un criterio logico praticamente perfetto


una sorta di contenitore educativo del tutto autosufficiente, rigido come una struttura ossea, quasi un guscio chiuso su se stesso a contenere una materia molle e infantile fatta di cervelli crudi perché ancora incolti, ancora non formati, appunto, alla conoscenza

E

un "universo di gabbie" sorretto però, alimentato nel suo meccanismo brutale di repressione e controllo, da una sorta di polmone opaco, da un organo indicibile, eppure scandalosamente evidente, nel respiro osceno della propria fisicità


"il nostro locale restava sempre sporco; l'aria vi era incessantemente viziata; vi era un insopportabile fetore"


all'interno delle classi, nel cuore della grande macchina sublimatoria della conoscenza, sembra pulsare una realtà fatta di asciugamani bagnati, piccioni morti, fango


un impasto senza forma, violento quasi nell'indeterminatezza primordiale della sua spinta vitale e, proprio per questo, massimamente pericoloso per una lastra sensoriale così sottile e facilmente impressionabile come quella di Louis Lambert


in Balzac del resto, il tema di un ordine sublimante del sapere, di una perfetta padronanza formale della scrittura, sembra coesistere da sempre con il progetto utopico di una possibile sublimazione della pura pulsionalità fisica


redige un'intera lista di consigli per un sicuro addomesticamento del corpo e per una buona riuscita letteraria ("vivere nella castità più assoluta; secondo lui la castità reale sviluppava al più alto grado le potenze dello spirito, e donava a coloro che la praticano delle facoltà sconosciute")


la continua revisione del testo, tentativo di controllo dei confini della scrittura

e al contempo la "non dipersione del seme", estremo controllo dei confini della materia carnale

sembrano giocare come elementi tensivi nell'utopia di un corpo-testo interamente dominabile razionalmente


il problema dell'intelligenza di Louis Lambert, di una visione tutta mentale della realtà, è rapportabile all'attrito, impossibile a sopportarsi, dell'incontro di questa stessa intelligenza con la multiformità violenta della pulsione


Lambert impazzisce il giorno prima delle nozze: poco prima di sposarsi, di fronte alla massa informe (irrappresentabile proprio come gli avanzi di cibo, il sudore, il piccione morto) della propria sessualità, ecco che la sua personale gabbia sublimatoria, la sfida di un pensiero senza limiti, improvvisamente sembra non tenere più, implodendo, costringendo il proprio eroe all'interno di un corpo folle, senza più mani, bocca, occhi


un corpo letteralmente morto-in-vita, morto alla propria stessa parola, ad una parola tanto sistematica prima, quanto invece adesso sgretolata, dispersa nella polvere di un discorso senza più apparente articolazione


perduto il suo Traité de la volonté, di Louis Lambert non sembra rimanere altro lascito che un insieme di frase sconnesse; parole estreme sorde a qualsiasi ordinamento formale


a presenziare nella loro inquietante difformità il fallimento sostanziale del progetto della propria stessa scrittura



  1. La gabbia ottica di Alissa.

in uno dei racconti più crudeli di Gide, La porte étroite (La porta stretta), il gioco, lo spazio di movimento tra la gabbia e la massa che preme al suo interno appare ancora più stretto


la storia d'amore tra Alissa e Jérôme gode inizialmente della gratuità poetica e sentimentale dell'infanzia; perfettamente comprese, desiderate quasi dalla ragione sociale del mondo degli adulti

E

il meccanismo di allontanamento di Alissa da Jérôme, il suo tentativo di disamore è infatti un meccanismo del tutto autoindotto; non ci sono cause esterne


non esistono restrizioni o divieti alla sua passione se non un unico imperativo privato, l'intima necessità di un assoluto controllo


gli occhi di Alissa sembrano non poter sopportare l'incontro con la reciprocità, l'agguato mortale della perdita dei propri confini nello sguardo dell'altro


la morte come fuoriuscita da sé nella pura dispersione fusionale, viene evitata attraverso un desiderio costantemente mediato, attraverso uno sguardo malato, continuamente deviato dal proprio bersaglio


Alissa non guarda mai in viso il suo innamorato; l'incrociarsi dei loro sguardi non è mai frontale, diretto, ma è un gioco sempre impedito (da una siepe, da un muro, da un cancello)


in tutte le scene di incontro, Jérôme la trova sempre di spalle, voltata contro ogni finestra, ogni porta, contro ogni spiraglio aperto come a non poter guardare, ad evitare i pericoli dell'occhio, la prova del faccia a faccia, l'incrocio di sguardi, la reciprocità inevitabile di vedere e dell'essere visto


di fronte al proprio desiderio, figura del caos, del ritorno all'informe, all'indistinto, volto stesso della morte, di questa morte che non ha volto, i suoi occhi sembrano farsi ciechi, senza orbita, segnati da una sorta di imperfezione costitutiva


un'imperfezione, una stravaganza ottica condivisa da tutti gli sguardi del racconto


la casa di campagna a Fongueusemare appare come una struttura archiettonica con un palese difetto visivo


i vetri delle sue finestre presentano delle bolle d'aria così marcate da impedire a chi guarda di vedere al di fuori senza che il paesaggio si spezzi, si liberi della giusta proporzione delle sue immagini per farsi improvvisamente storto, stravagante


finestre malate dunque; vetri difettosi che sembrano piegare alle proprie logiche asimmetriche non soltanto la natura, il paesaggio, ma un'intera esistenza costringendo a valutare il passato di tutta una vita nei termini di un vuoto senza possibilità di rimedio


oltre Jérôme infatti, al di là del muretto con le braccia aperte, oltre i suoi occhi, oltre lo sguardo frontale del desiderio, c'è la vertigine, la vertigine fascinatoria e al contempo terrificante dell'abisso


la vertigine della sublimazione


il sentimento del sublime affonda le sue radici nella contemplazione del vuoto

E

ma l'abisso, in questo caso, è un baratro del tutto interno


la fascinazione del vuoto che coglie Alissa sembra essere la fascinazione per il proprio stesso svuotarsi, per una lenta e determinata fuoriuscita delle proprie passioni (la lettura, la musica, l'arte) da sé


che cosa resta dunque di Alissa, del suo desiderio, se si ammette che la violenza della sua spinta possa cambiare fonte, oggetto, fine ultimo??


la rinuncia all'amore di Jérôme per attingere a qualcosa di più alto, per arrivare all'amore per Dio potrebbe suonare apparentemente come un rilancio di una scommessa contratta nei termini metafisici di un desiderio assoluto

E

una scommessa però, un azzardo dalle dinamiche di gioco smaccatamente truccate


l'operazione di amore in Dio di Alissa è infatti certamente una sfida, ma è una sfida interamente razionale


il suo desiderio si muove lungo un percorso di dominio e non di abbandono, attraverso un continuo addestramento di un corpo interamente mentale, immaginato, svuotato dei propri istinti e poi costretto a forza dentro le vesti opache della volontà


seguendo le prospettive illusionistiche di una pulsione interamente subordinata alle regole ferree della razionalità, Alissa sceglie di morire al mondo, morendo in primis a se stessa


come Louis Lambert, Alissa scompare lasciandosi dietro il vuoto di una voce senza più corde, di una scrittura prosciugata, ridotta al silenzio

E

una scrittura però, ancora una volta, depositaria all'interno della propria fine di un testo-altro, di una parola sopravvissuta, diario postumo nelle mani di Jérôme, al naufragio della sua stessa narrazione


al di là della morte, annullamento materiale della natura fisica della pulsione, il corpo di Alissa si rinnova così in una sorta di nuova manifestazione della parola


una parola desiderante, questa volta


costringendo i giorni, le settimane, a ripetere se stessi nel segno totalmente invertito di una sofferenza atroce, di una ribellione estrema alla legge sublimatoria della volontà, la sua voce sembra ritornare infatti, oltre le pagine conclusive, a rinnovare i termini di una passione senza alcuna possibilità di ordine, di guarigione


il suo diario privato, lettura al contrario degli avvenimenti del romanzo, si trova così a costituire un evidente stacco con il resto del racconto presentandosi come un vero e proprio scarto, come una sorta di nucleo pulsionale (misterioso, irrinunciabile) all'interno di un testo evidentemente non riducibile alle sue sole meccaniche di controllo e di addomesticamento della scrittura


uno scarto questo, inaspettatamente presente a ribadire, a mostrare con la propria sofferenza, il sangue versato dalla piaga di un linguaggio dolorosamente perso nel tentativo di includere all'interno di sé, nella gabbia del significante, la pulsionalità di un oggetto irriducibile invece, impossibile a dirsi se non diventando a sua volta parola e quindi morendo a se stesso


uno scarto, una ferita del testo dalla cui forma sembrerà prendere vita buona parte del pensiero crudele della modernità


VIII.  Claude Cahun, tra l'una e l'altra.


fotografia

scrittura

testi di teoria poetica

manifesti politici

collages

oggetti surrealisti


un'opera composita rimasta a lungo sconosciuta, creata per la quasi totalità da Claude Cahun e per il resto in collaborazione con Marcel Moore, con cui ha condiviso quasi tutta la sua vita


le ragioni sono numerose, non ultimo tutto ciò che Claude Cahun ha fatto per appartarsi:

poche pubblicazioni

vita ritirata

partecipazione al Surrealismo a fasi intermittenti

il rifiuto di entrare nella troupe di Georges e Ludmilla Pitoeff adducendo una fragilità psichica

il declinare ogni invito alla vita pubblica

l'uso dello pseudonimo

non hanno di certo giovato alla sua fama, della quale peraltro non si curava affatto

non dimentichiamo la distruzione di gran parte del suo archivio ad opera dei nazisti nel 1944


Claude Cahun uomo o donna?? nessuno dei 2, o tutti e 2 in una fluttuazione dell'identità sessuale che l'autore stesso si compiace di intrattenere ("confondere le carte; maschile?? femminile?? ciò dipende dai casi; neutro è il solo genere che mi è opportuno sempre; se esisteva nella nostra lingua non si osservava questa incertezza del mio pensiero")

la ragione di questa ambiguità costantemente nutrita

dai tratti fisici

dall'abbigliamento

e dalla scelta di pseudonimi

nasce nella biografia


tutta l'opera di Claude Cahun è un lavoro di tessitura sul nucleo fondativo della sua vita


si rende necessaria un'introduzione biografica


Claude nasce Lucy Schwob nel 1894 in una famiglia benestante di Nantes, radicata nell'ambiente intellettuale


il padre, proprietario di una rivista, diffida della letteratura, all'opposto del

fratello (zio), che è invece scrittore finissimo, noto per la sua cultura e il rigore intellettuale (Marcel Schwob)


lui e la moglie Marguerite Moreno, attrice tra le più acclamate degli anni 30, avranno grande influenza sulle scelte della giovane donna:

temi e trattamenti stilistici risentono della penna dello zio

la scelta di essere attrice è, probabilmente, influenzata dalla fama di Marguerite Moreno



il nonno paterno era tra i parnassiani

il prozio è Léon Cahun, conservatore capo della biblioteca Mazarine, orientalista e scrittore di fama


tanto basta per indirizzare la giovane Lucy Schwob verso la scrittura con un bagaglio tanto ricco quanto pesante


D da parte femminile, invece, il rovescio dello specchio:

la zia, sorella del padre, ha esuberanze incontrollate che terrorizzano Lucy Schwob

la madre Antoinette Courbebaisse è fortemente debilitata a causa di un'esasperata sensibilità, spezzata dal dovere famigliare; la figlia Lucy la ricorda in un continuo via vai tra un ospedale e una clinica, tra una casa e l'altra; soffriva di obesità, era di una spensieratezza di bambina e attrice di spettacolari crisi d'ansia che spingevano la figlia a nascondersi per giornate intere sotto il tavolo della cucina; finirà internata in un ospedale psichiatrico per uscire poco prima della morte

la nonna sembra essere stata più stravagante della madre; solo il senso delle opportunità sociali, l'adesione alle forme del vivere civile le imponevano un certo controllo

la nonna paterna è il solo approdo in un luogo affettivo relativamente più stabile


terribile nei giudizi, ma affettuosa con la nipote, accoglierà l'adolescente abbandonata, allontanata dagli ospedali dove è ricoverata la madre e terrorizzata dall'ambiente scolastico, nel quale, in pieno periodo antidreyfusardo, una ragazzina ebrea ha diritto più alle botte e allo scherno che all'educazione


fino al secondo matrimonio del padre, la sua vita è scandita da passaggi da una scuola all'altra, da una casa all'altra, tra una madre assente e terrifica e una nonna, amata ma non meno impressionante


terrore e timidezza portano al silenzio del corpo e della parola:

afasica (perdita parziale o totale della capacità di parlare)

anoressica

asessuata (che non presenta caratteri sessuali netti e distintivi)


un'eredità complessa nella quale Lucy Schwob - Claude Cahun non smetterà di frugare alla ricerca di un senso, difficile se non impossibile da elaborare


e così, tra

la parte Schwob, glaciale e inafferrabile

e la parte Courbebaisse, follemente irresponsabile


la giovane Lucy sceglie una terza strada, inventando una serie di pseudonimi come ripari simbolici di fronte alla violenza alla quale la posizione famigliare, sociale e razziale la sottopongono senza via d'uscita


situazione nella quale sarebbe difficile per chiunque trovare una soluzione


recupera il nome Lucie alla francese, eliminando la Y, variante voluta dalla madre e ferocemente odiata

i primissimi testi (1913) sono successivamente firmati S.M.

poi Daniel Douglas con evidente riferimento a Oscar Wilde

per arrivare a Courlis, nome corrente della beccaccia di mare, mutuando forse il cognome materno Courbebaisse dal significante decisamente pesante e terreno, in un significante più fluido, con un rimando analogico del becco curvo e lungo dell'animale al naso visibilmente adunco che la contraddistingue

Claude Courlis firma dunque la prima pubblicazione per una rivista nel 1914

per fermarsi definitivamente a Claude Cahun, nel 1919, poco prima delle seconde nozze del padre


Cahun sembra dunque essere il patronimo più adatto in questa ricerca di annullamento di origine ("nome che consideravo illustre, ma sapevo sconosciuto a tutti coloro che potrei mai sperare di avere per amici o lettori, nome che è più indiscutibilmente "ebreo", e per colmo screditato nella Bibbia")


un atto

denigratorio, della propria origine

ma anche salvifico proprio nella scelta di Cahun


Cahun non risale direttamente a Caino, come vorrebbe Claude stessa, riferendosi all'uccisione originaria di Abele (nome che affibia al fratello), ma trova origine nella patronimica ebrea nella stirpe dei Kohanim


essere un Cohen (Cahun o Kohanim) è un dato distintivo forte, legittimato solo dalla purezza genealogica su ben 3 generazioni, sottolineato dal gesto delle mani che devono essere incrociate affinché al momento della benedizione la luce divina possa trapelare dagli spazi tra le dita intrecciate


non bisognerà dimenticare questo gesto sacerdotale, carico com'è di simboli, perché Claude lo declinerà a più riprese nelle fotografie e nei fotomontaggi


Cahun:

da un lato nome illustre, regale e sacrale

dall'altro sconosciuto ai più, discreditato all'origine

presente nella discendenza maschile della famiglia materna, e tuttavia scomparso in quella femminile (la madre è Courbebaisse), dunque irrimediabilmente perduto


scegliere di essere Cahun è uno dei gesti che Claude mette in atto per costruire una zattera di salvataggio pur perpetuando l'appartenenza al gruppo famigliare e religioso, un tentativo disperato di uscire dalla gabbia di una nascita insostenibile

E

il suo sarà tuttavia un viaggio senza fine, se nel 1944, durante la resistenza, firmerà i manifesti distribuiti contro i nazisti con la firma Namenlos (senza nome)


è certamente nel magma famigliare che si consuma quel gioco crudele della non definizione che sta alla base di tutta l'opera della Cahun


le circostanze della sua vita sono tutte a favore di una ritirata dentro di sé, di un comportamento negativo, verso gli altri


esperienza radicale di

abbandono (la madre)

sofferenza (la follia femminile)

umiliazione (lo scherno e la violenza a scuola)

invisibilità (il padre non vuole vedere le capacità artistiche la relazione particolare che la figlia avrà per tutta la vita con la sorellastra: "preferiva non sapere"; esperienza radicale di non esistenza di cui cercherà di sciogliere i nodi nella scrittura e nella fotografia)



la scrittura, solitaria, soggettiva, è un terreno di lotta per conquistare lo spazio soggettivo, al di là delle limitazioni biografiche, corporali, sessuali

mentre la fotografia invece è il luogo dello svelamento: dietro la maschera del volto forse un giorno comparirà un altro sembiante, perfetto, che non abbia più nulla a che vedere con le analogie


ma più che di una rivincita, si tratta di un vero e proprio desiderio fondativo


la scelta dello pseudonimo va di pari passo con la decisione di scrivere sempre al maschile, con qualche rara intrusione del pronone femminile ("confondere le carte")


ma è il mondo intero che Cahun vorrebbe rinominare


le categorie linguistiche sono falsi protocolli pregiudiziali, la differenza di genere è una convenzione: Claude Cahun vi si sottrae con l'invenzione


la compagna diventa Pigmalione, altri sono presentati con nomi di fantasia, in un rimescolio continuo dei generi


la scrittura è criptica, la lettura difficile


il lettore deve passare dal rituale della rinominazione per finire in un labirinto di schegge narrative, alcune vaganti in un turbinio denso di significanti, in una scrittura di claustrofilia (tendenza morbosa a isolarsi dal mondo esterno, chiudendosi in se stessi) creativa


Cahun vuole costruirsi un corpo/anima diverso


da qui il genere "indeterminato"


il testo è presentato come "quasi crudele" nella sua modalità a frammento


la fotografia gioca nella sua vita un ruolo delicato e complesso, poiché si tratta di un atto propriamente teatrale


l'opera si costruisce più sulla preparazione che sulla ripresa


si attesta qui un elemento miracoloso attribuito alla pratica fotografica


la quasi totalità dell'opera fotografica è stata fatta con la partecipazione silenziosa della sorellastra, compagna, amante, Suzanne Malerbe (le ultime ricerche sui fondi inediti rivelano una presenza molto più forte di quanto non si sospettasse)


la convivenza dai toni ambigui che le 2 sorellastre hanno vissuto dai 15 anni fino alla morte incide su gran parte dell'opera visiva che sembra essere il frutto più compiuto della collaborazione tra le 2 artiste


Suzanne Malherbe, figlia della seconda moglie del padre di Lucy-Claude, divenne alla fine dell'adolescenza la compagna ufficiale di Claude Cahun assumendo lo pseudonimo di Marcel Moore


disegnatrice e illustratrice di talento ha lavorato con molti scrittori e editori, componendo con la compagna Claude il primo libro di entrambe, pubblicato nel 1914, impostato sull'inversione:

incisioni (di Suzanne)

e testi (di Claude)


che la Cahun pensasse il lavoro fotografico in termini teatrali, lo si deduce anche e soprattutto dalla ripresa, che non presenta nessuna sofisticazione di punto di vista


il ritratto è progettato come si faceva all'epoca negli studi fotografici di ritrattistica


la distanza è quella permessa dalla focale per riprendere il soggetto a piena figura o a mezzo busto, senza tagli fuorvianti dalle regole classiche della ritrattistica commerciale; la ripresa è sempre frontale e in asse con il soggetto, l'inquadratura centrale, la luce è diffusa

E

non ci sono quindi effetti di luce riprese con effetti espressionisti dall'alto, o con l'uso di luci radenti, laterali o con riprese in controluce


azzeramento di ogni effetto stilistico


questo modo di predisporre l'immagine è simile ai primi lavori fotografici del Surrealismo, nei quali ciò che fa stile non è l'estetica della ripresa, ma lo scarto nella scelta dell'oggetto ripreso


il lavoro sta a monte della ripresa, nell'accurata preparazione delle mascherate


la cifra stilistica sta nell'inarrestabile variante del soggetto, ogni volta uguale a se stesso, ogni volta difforme da sé


l'interesse della Cahun relativo alla possibilità di cogliere la propria essenza avviene

per accumulo della serie

e per sottrazione del soggetto


il soggetto infatti risulta inafferrabile


dietro le maschere rimane sempre e solo il corpo biologico, quello odiato e amato, l'unico che emerge sotto ogni sguardo


occorre mettere in atto altri trucchi, occorre aggirare il corpo con sistemi drastici


i tentativi di suicidio

un'operazione radicale di asportazione chirurgica dell'utero

che segnalano l'uscita dall'adolescenza, lasciano il posto ad una via più praticabile: un gioco di equilibrio nello stare tra l'annullamento del corpo e il necessario contenitore dell'anima: l'anoressia


la fame sarà una decisione irremovibile, di tutta la vita


la carne sarà martoriata con insistenza meticolosa ("battere questo, questa carne della mia carne, questa cosa informe, enorme, dolorosa, orribilmente voluttuosa")


si manifesta una tensione al limite della rottura verso un sembiante che sia il più possibile aderente all'interiorità, una pelleanima che possa essere per un istante infine pacificata


metafora di un sé nave, di un corpo veliero "non viaggiare che alla prua di me stessa", spinto dai venti contrari, come fa la beccaccia di mare, il Courlis


Claude Cahun, pseudonimo della doppia scrittura dell'interpretazione e della creazione

e Claude Courlis, il volatile grigio che solca il mare del nord

vanno nella stessa direzione


creare per inventare un nuovo luogo dell'essere, usare la spinta dei venti contrari per trovare una risposta alla domanda sul fondamento del proprio essere: chi sono io??


domanda variamente articolata

nella scrittura

nella fotografia

nel teatro

domanda che estende i limiti del territorio inglobando anche l'altra, la sorella compagna, l'amante e la collaboratrice, l'alter ego preferito, Susanne-Marcel che le sopravviverà per poco tempo prima di togliersi la vita


anche Susanne-Marcel ha passato la sua vita imprigionata in un gioco senza scampo, perché sembra riconoscersi a sua volta in un gioco al quale non aderiva del tutto, più succube che attrice


tuttavia la domanda di Claude è una domanda senza risposta: lei lo sa bene, ma ciò non la lascia demordere dal suo proposito, perché è nella stessa costrizione alla riformulazione esistenziale che Cahun riconosce il proprio essere, non nella risposta


per questo

l'oscillazione tra la scrittura al femminile e al maschile

così come l'oscillazione delle scelte d'amore

vanno a loro volta lette come costitutive della sua struttura e non come una ricerca d'approdo all'unicità linguistica o sessuale


l'autorappresentazione avviene solo nella serie, nell'accumularsi ossessivo delle riprese


la Cahun è perfettamente consapevole che tra il dentro e il fuori, tra l'io e il corpo non c'è distanza e non c'è differenza


anche il cibo cambia natura, non alimento del corpo, ma nutrimento dell'anima


l'operazione di manipolazione e di reinvenzione del corpo trova nell'operazione artistica un luogo di legittimazione, impedendo così lo slittamento sul pendio dell'automutilazione


la decisione di sottrarre non solo il linguaggio ma anche peso, volume e forma al corpo biologico spinge la Cahun a declinare la visione di un corpo masochisticamente svuotato e deprivato da ogni connotato di genere e di espressione


un corpo muto, vegetale


l'operazione fotografica le permette di rendere materiale per un istante quell'uscire da sé che tanto desidera pur volendo restare se stessa


da un lato è "la negativa pura", la negazione dunque

ma anche alla lettera, la negativa, una lastra trasparente sulla quale le forme sono inscritte in negativo


nell'immagine stampata, la negativa diventa una figura in positivo, un oggetto altro da sé, una variante di un essere molteplice quale pensa e percepisce di essere


ciò che rimane è la coesione di un lavoro tessuto sull'impossibile, che non ripara nulla, non ricuce nessuno strappo ma lo vela di un tessuto creativo


individualità che si costruisce e si riconosce solo nella ricerca di sé


sedotta e prigioniera tra 2 oscillazioni

la molteplicità dell'io

e l'indissolubile coppia "io/me"

la Cahun vive della ricerca di un fondamento irraggiungibile



non di certo in una posizione di rivendicazione femminista, che sarebbe risultata ai suoi occhi una riduzione dell'umanità

e nemmeno in una posizione strettamente estetica, come si connota invece il gioco dello pseudonimo in ambito surrealista


in lei, la ricerca assume le valenze della "sfocatura" del soggetto

la Cahun è comunque perfettamente consapevole dell'inutilità dello sforzo


IX.    Nella carne e sulla pelle: la scrittura della modernità.


come testimoniano alcune numerose scritture ottocentesche sulla moda, il corpo di moda quale forma senza sosta sottoposta a variazione, diviene oggetto privilegiato di indagine nell'ambito di una riflessione che porta

sullo statuto dell'opera d'arte

e sul dialogo tra arte e modernità


De la mode di Gautier agli artisti che sulla scorta della lezione antica ripropongono la figura umana nella sua nudità, Gautier risponde facendo appello ad un immaginario del corpo indissolubilmente legato all'abito


la polemica nei confronti dell'inattualità del nudo artistico si traduce cioè in una riflessione sullo statuto del corpo


facendo implicitamente riferimento a temi già trattati in passato

l'abito come tratto distintivo dell'uomo rispetto all'animale

come datore di senso del corpo

sviluppa il tema del vestito quale elemento indispensabile alla visibilità e alla rappresentabilità della figura umana


Gautier concepisce la struttura corporea come una forma ormai non più leggibile e propone l'abito come una pelle identitaria ("il vestito, all'epoca moderna, è diventato per l'uomo una sorta di pelle di cui non si separa, a tal punto che la forma reale del corpo è ai nostri giorni completamente caduta in oblio")


successivamente, questa riflessione restituirà l'idea della "pelle della moda" quale luogo dove si proietta il desiderio (e insieme il sogno) dell'interiorità


Baudelaire nel Peintre de la vie moderne a sostegno della sua riflessione teorica sul "bello moderno", finisce per attribuire un ruolo di primo piano ai corpi di moda della sua epoca, i quali rendono manifesto il loro specifico statuto di istanti, di frammenti di tempo e, contemporaneamente, di forme in fuga da loro stesse, forme passeggere, in divenire


Baudelaire, inoltre, palesa di essere attratto dall'abbigliamento proprio in virtù del suo carattere vistosamente anti-naturale e, al contempo, della sua valenza squisitamente metamorfica


la moda viene pensata anche da Baudelaire nei termini di una pelle seconda, datrice di senso, un'epidermide che sottraendo il corpo alla sua naturalità lo riveste "dell'idea che l'uomo si forma del bello"


riprendendo la dialettica interno/esterno, l'idea del bello viene proposta come una forza destinata a lavorare in prima istanza dentro e nella pelle ("l'idea che l'uomo si fa del bello si imprime in tutto il suo adattamento")


la riflessione di Gautier e Baudelaire verrà ripresa e riformulata dal 900 che la porrà al centro del dibattito artistico, utilizzando però non più il vestito come pelle, ma il corpo e la pelle stessi come vestito


si parla di

una pelle/fodera

un'epidermide rovesciata

un fuori/dentro

che dà la possibilità di uno sfioramento/penetrazione


a partire da questa concezione, secondo la quale il corpo diviene stoffa, vestito, il lavoro sul corpo si pone come oggetto di una serie di esperienze crudeli: nel diventare opera d'arte il corpo esibisce ora la sofferenza, la violenza e la profanazione come simboli del proprio statuto

racconto Nella colonia penale di Kafka il corpo si fa letteralmente testo


la macchina elaborata per infliggere le pene (morte) incide nel corpo dei condannati il comandamento trasgredito ("non è facile decifrare lo scritto con gli occhi; ma il nostro uomo lo decifra con le sue ferite")


Duchamp corpo come laboratorio di metamorfosi Etant donnés: La chute de l'eau, le gaz de l'éclairage (Essendo dati: La caduta dell'acqua, il gas dell'illuminazione)


prendendo le distanze da una tradizione artistica consolidata, che si avvale del corpo essenzialmente in una dimensione estetica, Duchamp elabora una concezione radicalmente nuova, incentrata sul corpo in frammenti


"le prime pagine (delle sue opere) si presentano allo sguardo come delle parti umane, dei frammenti del corpo, tutti composti a partire da elementi diversi e inattesi"


se questo fenomeno di restituzione del reale in termini di frantumazione affonda le sue radici nel tardo 700, la radicalità dell'intervento di Duchamp risulta decisiva nel creare un taglio netto con i suoi predecessori


illustra bene questa differenza il confronto tra L'Origine du monde di Coubert e Etant donné di Duchamp


l'immagine di Courbet vuole essere un inno alla fecondità, in perfetta sintonia con la poetica naturalistica, e focalizza il proprio sguardo per conseguire un massimo di efficacia e di rappresentatività

diversamente, nell'opera di Duchamp il corpo nudo, perfettamente depilato, e quindi totalmente percorribile dallo sguardo, cui si consegna senza riserve, è subordinato ad un'operazione tutta artificiale all'insegna dell'improduttività e dell'intransitività


peraltro nell'opera è la pelle al centro delle attenzioni di Duchamp e a divenire elemento a partire dal quale si sviluppa la creatività:

una prima pelle è costituita da un'armatura di metallo, (o, come nell'opera preparatoria, da un calco in gesso), che riproduce le fattezze del corpo femminile

una seconda, è il cuoio applicato sull'armatura (o sul calco)

la terza è la pittura, di colore rosa per l'appunto, a simulare la pelle


l'intervento di Duchamp inaugura nel 900 una serie di sperimentazioni che hanno a proprio fondamento il corpo


il corpo vestito, oggetto dell'immaginario borghese ottocentesco, è il corpo del soggetto umano, che si avvale dell'abbigliamento per proiettare nello spazio pubblico la propria identità sessuale e di classe

E

il corpo nudo "inorganico" del 900 crea invece un vestito mutante, variamente composto di carne, grasso, muscoli, ma anche di plastica, gesso, vernici, filo di ferro, cera, pellame, ..


è questo nuovo orizzonte di sperimentazioni, che privilegia la dimensione tutta privata del laboratorio rispetto alla tradizione dei "Salons", a consentire anche una radicale rivisitazione dell'immagine dell'artista


Starobinski Portrait de l'artiste en saltimbanque propone anziché l'immagine socialmente degradata del pagliaccio o del buffone, quella dell'artista vittima sacrificale, che recupera uno dei temi fondanti della cultura occidentale


la violenza e il sacro sono inseparabili


"mimetismo di appropriazione" non consiste nella "copia", ma nella volontà di far convergere il proprio interesse, o quello collettivo, su un unico "oggetto", nel nostro caso il corpo dell'artista, con l'intento di appropriarsene


è la "morte" dell'artista, il suo sacrificarsi, a costituire il fondamento esplicito-implicito della sua opera

  1. Bellmer il corpo si presenta come luogo tragico del desiderio

gli esordi lo vedono attratto, innanzitutto, dalla fascinazione per l'esteriorizzazione della visione del proprio corpo ("l'interno dell'Organismo tende a prendere il posto dell'esterno, come un guanto rivoltato")


Bousquet è amico-ispiratore di Bellmer ed è all'origine di tanta parte delle riflessioni-"perversioni" che caratterizzano i risultati degli artisti di cui ci stiamo occupando


nasce successivamente l'ossessione per il bisessuato, vale a dire la ricerca della continuità fra i 2 sessi, la fusione


anche se non ci fu collaborazione con Bataille, vi fu senz'altro un dialogo a distanza tramite l'illustrazione di alcuni suoi testi


da Bataille Bellmer ricava l'idea di dépense, di eccesso, che traduce nell'intuizione eccedente di un'anatomia perversa


di qui, nello specifico, l'ossessione "esemplare" per l'occhio, che Barthes ha magistralmente illustrato, per quanto concerne Bataille


il corpo raggiunge nell'opera di Bellmer il limite estremo delle proprie possibilità nella violenza delle sue trasformazioni, ma trova il proprio dramma nell'incapacità dell'artista di andare oltre, dato che l'esperienza creatrice si traduce in una fabbrica di desideri


è la fame insaziabile di impossibile che caratterizza Bellmer


di qui un movimento incessante di riformulazione che nasce dal desiderio di costruire una realtà molteplice


attraverso una costruzione soggettiva Bellmer inventa un corpo altro, sempre alla drammatica ricerca, tramite la propria vittima sacrificale, il suo doppio al femminile, di nuove frontiere da superare, nuove anatomie crudeli all'insegna dell'incontrollabilità e dell'eccesso


Bataille molteplici declinazioni della vittima sacrificale, sulla base di un'identità fra orrore e religione


la trasgressione dionisiaca, in cui le coniugazioni annullano e distruggono le forme singole dei corpi, si traduce paradossalmente nell'aspirazione al proprio annientamento, a perdersi nella fusione illimitata


l'assoluto dell'erotismo è per Bataille oltre la pelle, negli organi interni che essa nasconde, nella febbre che li scopre, li esplora, li mette in mostra


per Bataille le superfici dei corpi sono soltanto la parvenza, l'immagine, la maschera; egli porta così alle estreme conseguenze il movimento erotico del denudamento: portare all'esterno, aprire, scorticare e viceversa essere esposti, aperti, scorticati, significa perdersi in un abisso che spezza la quieta rotondità ingannevole dei corpi


l'esempio più terribile è il supplizio cinese del Leng-Tch'e (100 pezzi) in cui per l'appunto, si verifica l'identità tra erotismo, religione e orrore



sono questi gli elementi che presiedono a tanta parte delle esperienze contemporanee o successive, nell'intento di far sì che l'arte possa contrapporsi con la propria trasgressività alla secolarizzazione del desiderio, creando così l'artista-martire, testimone della sacralità del suo ruolo


Artaud si concepisce come vittima sacrificale e fa della sua celebre conferenza al Théâtre du Vieux-Colombier il pretesto per la sua sacralizzazione e il suo sacrificio al contempo


"il corpo è più grande e più vasto, più esteso, più a pieghe e a risvolti che l'occhio immediato non lo scopre e lo concepisce quando lo vede; non può mai aver finito di rivelare ciò che nasconde; e nasconde tutta la realtà"


nella diaspora surrealista si colloca anche l'esperienza di la sua opera.

dio, e la commemoraziittuale, foGiacometti, per affermarsi e negarsi nella sequenza delle figure filiformi


per non tradire la "sacralità" del modello la figura consegnata alla statua deve passare attraverso un percorso sacrificale, deve morire e rinascere in una sorta di forma-bara


è Giacometti che resuscita al meglio il potere di Medusa e, nello stesso colpo, ridà all'arte la potenza e la fascinazione che aveva nel frattempo perduto


in particolare, in Tête sur tige (gambo) vi è la più straordinaria maschera di Medusa dell'arte contemporanea


le orbite degli occhi profondamente scavate e la bocca spalancata su un grido interminabile gli furono suggerite da una visione massimamente perturbante, il cadavere di un parente ("come qualche cosa di vivo e morto contemporaneamente; emisi un grido di terrore come se stavo per varcare una soglia, come se entrassi in un mondo ancora mai visto")


ciò che per Giacometti fa la differenza fra un vivo e un morto è lo sguardo, di qui, ed è il marchio di un'epoca, la sua fascinazione per l'occhio, in cui si ritrovano come s'è visto Bataille, Bellmer, Bousquet, ma anche Lacan, Leiris, Griaule



è a questa imponente raccolta di esperienze, tutte consegnate in vario modo ad una dimensione sacrificale, in grado di coniugare

sublimazione e degradazione

piacere e crudeltà

santità e profanazione

che si ispireranno gran parte delle esperienze a noi più vicine, in preda ad un'incessante metamorfosi del corpo che mette in discussione ogni soglia, e in particolare l'opposizione esterno (pelle) e interno (carne), non senza recuperare in termini nuovi il discorso ottocentesco dell'abito, ma per contestarlo, alfine di giocare ancora una volta su identità molteplici e mutanti, sul travestimento e il divenire Altro


l'opera di Molinier (anni 60-70), come risulta dai disegni e dai dipinti, nonché, soprattutto, come simbolizza il lavoro relativo ai fotomontaggi fotografici, è tutta incentrata su un'incessante ridefinizione identitaria


lo illustrano in particolare le ripetute messe in scena di corpi feticcio in movimento che provengono dall'assemblaggio di elementi che si offrono esplicitamente come gli attributi stereotipati della seduzione: giarrettiere, calze a rete, tacchi a spillo, guanti, ..


corpi feticcio in movimento che intendono segnalare un processo metamorfico e che si gioca a più di un livello:

dal maschile al femminile

ma anche dall'umano all'animale, nello specifico il rimando è ovviamente al ragno

nonché dall'organico all'inorganico

la testa è quella di una bambola che ripete indefinitamente il suo sorriso


i frammenti corporei da cui prendono vita i fotomontaggi sono quelli di Molinier ai quali, per completare il procedimento di alienazione da sé, e il passaggio ad una struttura altra vanno ad aggiungersi frammenti di corpi altri nonché elementi prostatici (di protesi)


questo lavoro sebbene lontano, per modalità espressiva, dalle esperienze contemporanee della Body Art, risulta tuttavia a loro accomunabile, e ad esempio in particolare simile al noto azionismo viennese, se si considera che nell'operazione di decostruzione, rovesciamento e confusione dei modelli identitari quello che viene tagliato a pezzi, mutilato, è il corpo stesso dell'artista


ai manichini decostruiti di Bellmer, alle fotografie variamente rielaborate di Molinier, risponde la Body Art che esaspera lo sperimentalismo fino a far coincidere l'artista e la propria opera nel corpo dell'artista stesso


come illustra in particolare l'azionismo viennese, il corpo, che come già in Artaud si pone come sostitutivo della psicologia, non solo diviene testo ma esibisce la propria sofferenza nell'offrirsi come una palese materializzazione dell'idea


messa in scena del divenire, del divenire altro, l'Altro, il dissimile


l'immaginario dell'informe che domina l'arte occidentale contemporanea traduce peraltro al meglio

tanto il pensiero dell'artista come vittima sacrificale

quanto quello dell'interno come pelle


Bacon la sua pittura, che rende appieno la "passione" dell'impossibilità di esplorare l'interno dei corpi se non tramite l'esterno, affonderebbe le radici in un'esperienza visiva di sé come interno del corpo dell'altro


immagine a maggior ragione perturbante se si considera l'esplicito riferimento, da parte di Bacon, alla carne esposta nei mattatommagine a maggior ragione perturbante se si considera l'ende appieno la 'di questa messa in scena del divenire, del divei e nelle macellerie


negli anni 70 il lavoro chirurgico-sartoriale sul corpo ritorna nella scrittura incentrata sulla tematica bisessuata, in cui il recupero del mito avviene "confezionando" il corpo

ora per sottrazione-mutilazione

ora al contrario a partire da modalità prostatiche (per protesi)



Porporino ou les mystères de Naples di Fernandes tema dell'artista suppliziato


si assume il punto di vista dell'altro per rilanciare il significato della castrazione


il corpo mutilato dell'artista torna a promuovere una riflessione sull'arte come sofferenza e, soprattutto, sulla sacralità dell'artista, sulla sua "superiorità" che nel contesto trova esplicito fondamento nel costituirsi dell'artista come corpo separato


"la mia esperienza di sofferenza è assoluta, la loro esperienza di felicità sarà sempre relativa; gli sono dunque infinitamente superiore"


Moi ma sour di Bany sofferta contemplazione/identificazione di sé, da parte del protagonista, nel cadavere della sorella


la metamorfosi bisessuata muove dal riconoscimento di sé nella morte ("ora che era morta, mi assomigliava di più")


come nel Caligula di Camus, il desiderio di metamorfosi non può che trovare riscontro nel sacrificio di sé che nel contesto equivale alla messa a morte del proprio corpo per l'assunzione dell'altro, quello femminile


diventare l'Altro coincide

non solo con il trattare il proprio corpo come oggetto feticistico trasformabile

ma anche sperimentarlo come entità autonoma


cosa che, non mancando di segnalarlo come incarnazione del desiderio di divenire, lo definisce, al contempo, come sostanziale tensione della forma al cambiamento


ma nessuna riflessione artistica contemporanea ha interpretato la rivoluzione apportata a partire da Duchamp così radicalmente come quella della performer francese Orlan


la pratica artistica della Orlan se condivide con la body art l'utilizzo del corpo come linguaggio, se ne allontana decisamente

sia nel rifiuto della dimensione comunitaria e dell'ostentazione del dolore

sia nell'obiettivo da perseguire: "l'Arte Carnale è un lavoro di autoritratto nel senso classico con i mezzi tecnologici disponibili oggi"


le sue operazioni di chirurgia estetica costituiscono una delle sue modalità espressive più dissacranti


tema della pelle come dato di esperienza primario "la pelle è ingannevole; nella vita non si ha che la propria pelle; l'avere e l'essere non coincidono; c'è un equivoco nei rapporti umani perché non si è mai ciò che si ha; non ho mai la pelle di ciò che sono"


drastica riduzione dello scarto fra "immagine interna" e "immagine esterna", vissuta sulla e nella propria carne, per di più sottratta alla sofferenza "posso vedere il mio proprio corpo aperto senza soffrirne"


all'idea che il corpo debba essere un destino, che il nostro corpo sia condannato a mutare e che finisca, come ci testimonia lo specchio, per diventarci via via sempre maggiormente estraneo, Orlan oppone l'idea di un corpo anti-realista proponendo i suoi interventi chirurgici come una lotta contro l'innato, l'inesorabile, il programmato, contro la Natura insomma, non senza un piacere blasfemo


"non desidero un'identità definita e definitiva, sono per le identità nomadi, multiple, mobili"


allo specchio che non rinvia l'immagine ideale di sé, risponde facendosi forma che si istituisce solo nel passaggio, immagine in fuga che intreccia i contrari a partire dalla messa in discussione dell'opposizione tra esterno (la sua pelle) e interno (la sua carne)


di qui il carattere perturbante del corpo opera d'arte di Orlan che affermandosi unicamente come figura dell'entre-deux, si propone nella coniugazione tra sacralizzazione e profanazione


Orlan dimostra di ribaltare la condanna imposta all'artista trasformandola nella sua glorificazione


come se l'artista si fosse soddisfatto pubblicamente della mutilazione come di un trionfo sulla crudeltà del pubblico


X.  Un brelan de tortionnaires (un tris di seviziatori). Goudeau, Tailhade, Bloy.


nelle mani di alcuni scrittori, il linguaggio diviene un'arma, le parole, degli arnesi omicidi, le figure retoriche, altrettanti strumenti di tortura


questa lingua tormentata, portatrice di aggressività e di morte, compie il suo lavoro alla fine dell'800 all'interno di una cerchia di scrittori curiosamente imparentati: libellisti stilisti, innamorati della parola e della violenza, tutti ugualmente mossi dalla volontà di far del male


l'essenziale del pensiero di Bloy su questo punto sensibile sembra contenuto nel 13° capitolo dei Propos, intitolato precisamente "L'arte di dispiacere o lo scalpo critico"


questo capitolo è molto più che un libello satirico o un semplice atto di cattivo umore, questo cattivo umore innato che rende così difficile a chiunque di trovare simpatia agli occhi dell'autore


il titolo stesso annuncia una "professione di fede" costruita sul rovescio ossimorico (accostamento di parole di senso contrario) e l'associazione imprevista


arte di dispiacere fa entrare nella categoria delle belle arti (o delle belle lettere) ciò che vi è agli antipodi


preparazione alla rovescia: "formare qualche allievo nell'arte di dispiacere"

lo scalpo critico trasforma una pratica intellettuale in atto omicida


questo supplizio applicato alla testa pensante non è niente meno che una figura analoga della decollazione, di cui si sa la fortuna all'epoca


Bloy annuncia un'arte poetica rivestita da un giardino di supplizi, dove i boia come le vittime sono di ordine linguistico


questi massacri letterari sono, ai suoi occhi, la sola ragione plausibile di accettare la vita moderna


non è, malgrado le apparenze, il corpo umano, ma il corpo del testo, che è mirato, e questo, attraverso una retorica omicida


in questo libro, nessuno è massacrato, c'è tuttavia qualche morso e qualche botta; tuttavia morsi e botte appaiono benigni in confronto ai supplizi retorici immaginati da Bloy


accusa contro la mediocrità moderna


Ryner colpiva la letteratura femminile in una relazione intitolata "Il Massacro delle Amazzoni"


Barde pubblica una raccolta in cui pizzica i tipi sociali maschili e femminili, prima di affrontare un'ultima figura, quella del Poeta, bersaglio scelto di questo gioco di massacro


Bloy offendeva la mediocrità e la consacrava a tutti i tormenti

E

Barde la incoraggia al contrario, in un movimento apparentemente inverso, ma che ritorna sullo stesso


se Barde esalta ciò che Bloy spacca, è dunque per una finalità identica, la denuncia e la condanna della povertà nell'arte


ciò che Adam chiamerà da parte sua, con un'uguale intensità, il trionfo dei mediocri


questa penna venale o venduta (che viene criticata) trova il suo contrario e la sua riabilitazione, il suo riscatto e la sua vera ragion d'essere presso la critica giustiziera ("l'essenziale, è di far soffrire e, di tutti gli strumenti di tortura morale, la penna di un buon giornalista è ancora ciò che c'è di meglio")


questa crudeltà necessaria e salvatrice si realizza in una retorica concepita espressamente


Renan (titolare della cattedra di ebreo al Collegio di Francia) viene assimilato al suo orecchio sineddoche per dire lo scetticismo di Bloy nei confronti dell'opera di Renan

il Cardinale Richard viene assimilato al suo naso Tailhade mette così in ridicolo tutta la porpora cardinalizia


Tailhade e Bloy non comunicavano che in una simile violenza linguistica:

secondo Bloy, Tailhade non valeva gran cosa come poeta

Tailhade non era da meno


i 2 uomini si accordavano almeno sulla scelta di un capro espiatorio, rappresentante ideale di questa volgarità che ciascuno denunciava, e soprattutto, di questa categoria sociale detestata che costituiva il borghese


un buon esempio di crudeltà retorica può essere fornito dallo studio comparato, presso Bloy e Tailhade, della messa a morte retorica di Richepin (membro eletto all'Accademia francese)


questo personaggio colorito era una preda ambita per la satira; aveva già ispirato numerosi ritratti precedenti


l'esagerazione e l'eccesso sono la caratteristica del personaggio; si mette in piazza una poetica dell'ubriachezza e della canaglia

si prenderà, per illustrare la crudeltà del solo Tailhade, l'esempio dell'esecuzione di Coppée


come Renan era ridotto al suo orecchio, Coppée, meno nobile ancora, e più in basso, sarà ridotto alla sua fistola


relazione tra fistola e poetica ("il poeta non può dare alla luce che una poesia conforme a colui")


relazione tra fistola e devozione Tailhade schernisce la conversione di Coppée


sono le stesse armi che Tailhade lustra per giustiziare Barrès


sottolinea:

il suo carattere di "castrato" questa impotenza è prima di tutto di ordine letterario

e il motivo dei denti e della bocca mette in causa l'eloquenza barrèsiana e le sue deficienze (il suo balbettamento)


"Barrès, senza talento, senza eleganza, e che non ha cultura se non quella dei manuali poco digeriti il famoso "stomaco dispeptico" di Barrès, in cui la fisiologia rinvia ancora una volta alla psicologia



lo stile di Goudeau è un po' differente


il suo riso non si applica né agli individui né alle persone; se la prende piuttosto con le razze e le etnie (gli Ebrei, i Polacchi), in via accessoria con i generi (il poema epico)

E

il metodo resta lo stesso


il "naso adunco" (che designa l'Ebreo) addita la voracità della razza ebrea


dopo l'orecchio di Renan e la fistola di Coppée, è ora il naso dell'Ebreo che serve da argomento


ma Goudeau va più lontano: se la prende con il mito, fa violenza al mito, mito dell'Ebreo-Errante al quale la tradizione aveva apparentemente dato una forma definitiva


il protagonista del romanzo da nomade è divenuto sedentario, e ha fatto voto di domicilio alla Borsa di Parigi


l'Ebreo-Errante cavalca il Vitello d'Oro, che ha anch'esso subito per l'occasione una metamorfosi: ha "dalla testa alla coda una bardatura di asino"



la stampa diviene impotente, la penna, che la si era vista presso Bloy strumento di tortura, e qui "coltellaccio" presso Goudeau, perde ormai la sua grinta


la fonte del linguaggio è d'ora in poi asciutta, l'opera non saprebbe esistere di fronte al denaro


Goudeau redige una sorta di storia della poesia attraverso le epoche, in cui la derisione o il silenzio raggiungono ogni forma di espressione poetica


viene crudelmente dipinta la rovina della poesia


questa mediocrità moderna si incarna, per Goudeau come per Tailhade, nell'autore ed esecutore di canzoni satiriche Paulus


non è un caso se i 2 scrittori si servono della stessa parola: la rivista rinvia ad una poesia degradata di caffè-concerto o di palco di saltimbanchi, di trattoria di campagna e di marciapiede, di bar e di bettole, che nessuna crudeltà sarà mai abbastanza forte per condannare come essa lo merita



XI.    Distruggere anche le rovine. Istruzioni per l'uso.


Artaud sottolinea l'esistenza di una linea alternativa e radicale di cui Jarry era stato l'iniziatore: linea "crudele" che annullava le forme tradizionali del pensiero e della rappresentazione


benchè Artaud e Jarry siano accomunati da un'analoga volontà di distruggere le certezze consolidate, l'influenza di Jarry nell'arte del 900 è stata considerata con una certa superficialità


la causa andrà forse ricercata nelle difese e nelle deviazioni costruite da Jarry stesso per proteggere da volgarizzazioni semplificatrici il contenuto incandescente delle sue affermazioni


il Jarry buffone, alcolizzato, personaggio pittoresco della Parigi maledetta e decadente, è la maschera, consapevolmente costruita e messa in scena, di un progetto estetico e filosofico teso a distruggere l'idea stessa dei valori assoluti


tutte le opere, tutti i valori, tutti i significati sono posti sullo stesso piano con la lucida volontà di abolire gerarchie e sovrastrutture


"l'assoluto-mente"


ma non basta: bisogna distruggere anche le rovine, erutta Ubu, fattosi schiavo, grottesco angelo annunciatore di un'Apocalisse che non ristabilirà i valori, ma li cancellerà tutti


il cinismo, l'indifferenza, la crudeltà del personaggio di Ubu sono stati letti come caricature del potere, ma contengono anche altri significati


Ubu non è solo un personaggio moralmente indesiderabile, incarnazione tragicomica del male e della stupidità, ma è anche colui che cancella le distinzioni fra bene e male, alto e basso, positivo e negativo, anima e corpo mettendo tutto allo stesso livello, mostrando l'inconsistenza e l'assurdità di questi concetti se considerati come i valori assoluti e fondatori della società e della morale


all'interno della saga ubuesca, Ubu enchaîné (sottomesso) ricopre un ruolo particolare, essendo un'opera "scritta" e non solo "inventata" da Jarry


nonostante la sua fama sia soprattutto legata a Ubu roi, Jarry non è l'autore di quest'opera, da lui "non" scritta e nella quale si è limitato a riprendere la saga satirica scritta dai suoi compagni del liceo di Rennes per prendere in giro un professore di matematica

E

l'intervento di Jarry è stato tuttavia determinante perché solo lui aveva compreso la carica travolgente che quello stesso testo poteva esprimere se situato in una prospettiva diversa e visto con uno sguardo diverso


la decisione di spostare la saga liceale su una scena teatrale e di farla rappresentare da attori, ha trasformato completamente il significato dell'opera, producendo un'opera di cui Jarry può a giusto titolo considerarsi l'autore e, soprattutto, l'inventore


con questa operazione, Jarry anticipa l'uso del readymade di Duchamp: distruggere l'idea di opera d'arte come qualcosa di compiuto e di intoccabile e mostra che l'opera è solo un aggregato casuale di materiali dal senso incerto


il punto di vista dello spettatore e del lettore diventano determinanti non solo per la comprensione dell'opera, che resta sempre un momento provvisorio, ma per la sua stessa creazione


Jarry elimina la funzione dell'autore e addirittura ne cancella la presenza fisica, non più necessaria all'esistenza dell'opera stessa


Jarry si identifica consapevolmente e costantemente in Ubu


messaggio di Jarry: l'assurdo crea e regge il mondo, il tempo e lo spazio non esistono, la vita e la morte sono concetti o stati "pari"


il tema della libertà viene svolto attraverso un rovesciamento "patafisico" [parodia delle teorie scientifiche e del pensiero accademico, in base alla quale tutti i principi possono essere affermati e contraddetti in nome dell'assoluta libertà creativa dell'artista, fuori da schemi precostituiti] basato sull'identità dei contrari: solo la schiavitù permette la vera libertà


nell'opera teatrale si susseguono molte situazioni paradossali


"non avremo demolito tutto se non demoliremo anche le rovine; ora non vedo altro mezzo per costruire dei bei edifici ben ordinati"


la frase, in apparenza, è degna di un personaggio grossolano e stupido come Ubu, ma in realtà nasconde un rinvio colto e mirato, poiché "traduce" un'esclamazione di Cesare riportata da Lucano nel Bellum Civile


Cesare è di fronte alle rovine di Troia e contempla le rovine di quelle nobili mura; egli sta per calpestare quelli che sembrano sassi, ma un abitante lo avverte che sta calpestando l'altare di Giove; a quel punto, Cesare esclama: "anche le rovine sono andate distrutte e non sono riconoscibili come resti dei grandiosi monumenti del passato"


l'esclamazione di Ubu traduce la frase latina eliminando la visione malinconica della storia, del tempo e della gloria


per Ubu si tratta di non notare la scomparsa dei grandosi monumenti e delle loro rovine, ma di affermare la necessità di distruggere anche le rovine, di fare tabula rasa per allontanare la tentazione e la possibilità di ripristinare i resti del passato


a questo manifesto di distruzione radicale si collegheranno le avanguardie, basti pensare ai manifesti incendiari "contro" tutto e dalla visione della guerra come "igiene del mondo", ondata distruttiva che avrebbe dovuto cancellare tutta la vecchia tradizione


per cogliere il senso della "traduzione" compiuta da Jarry, dobbiamo analizzare da vicino un testo che Jarry stesso considera fondatore e che intitola Linteau (Les Minutes de Sable Mémorial) [Architrave (I Minuti di Sabbia Memoriale)]


contiene un messaggio di totale superamento dei parametri abituali del giudizio estetico


il tutto è affidato ad un inciso nel testo, la cui interpretazione potrebbe apparire curiosa o addirittura oscura: "è verosimile che molti non si accorgano affatto che ciò che va a seguire sia molto bello"


Jarry utilizza "très" non nel senso convenzionale di superlativo, ma secondo l'etimologia e con un senso di definizione spaziale ("trans" = al di là)


Jarry definisce la sua opera non come qualcosa che accumula valori ("molto bello"), ma come qualcosa che li supera, ponendosi al di là di essi


questa consapevolezza individua il punto da cui partire per iniziare una navigazione con strumenti e prospettive nuove


la consapevolezza di un necessario e deciso cambiamento di rotta aveva guidato il sabotaggio compiuto da Jarry nei confronti del linguaggio

E

con la stessa violenza Jarry attacca le impalcature concettuali e culturali sulle quali riposano i canoni estetici e artistici


se Artaud reclamerà di finirla con l'adorazione verso i capolavori, Jarry, attraverso l'esaltazione del mostro, aveva sovvertito le modalità del rapporto all'opera detta d'arte:


"è d'uso chiamare MOSTRO l'accordo inconsueto di elementi dissonanti; è così per chi non comprende; io chiamo mostro ogni originale inesauribile bellezza"


idea di un accordo inatteso fra elementi dissonanti


l'esperienza di una situazione al di là della bellezza, per la quale non valgono più i parametri conosciuti, cambia il rapporto ai materiali, alle modalità e al significato dell'operazione (e dell'opera) compiuta


l'opera (d'arte) non sarà più caratterizzata da una costruzione definita secondo un progetto coerente, il cui valore possa essere valutato e misurato, ma è un materiale che si pone "al di là" dell'idea conosciuta e convenzionale di bellezza e di arte


l'opera a cui pensa Jarry è un aggregato di materiali stravaganti, associati in modo dissonante, dal significato intermittente e discontinuo: materiali disparati, riciclati, deformati, assemblati, ma comunque adatti a mettere in moto un processo di immaginazione di cui la creazione di un'opera è solo una tappa nella vicenda senza fine del ciclo delle trasformazioni e delle deformazioni


"l'impressione di incompiuto esiste per il lettore le cui ginocchia non comprendono il trampolino; dare questa impressione, è d'altronde l'arte; l'impressione del salto è certamente più grande presso colui che non salta; è a questo effetto che deve tendere la letteratura"


l'opera è pronta a sparire e a rinascere sotto forme diverse grazie allo sguardo creatore dello spettatore o del lettore, che è colui che crea l'opera


Jarry produce testi e immagini a partire da testi copiati, assemblati con totale indifferenza al loro "valore estetico" e alla coerenza delle associazioni e dei significati di partenza


a proposito della traduzione, Jarry non si preoccupa dell'esattezza o della fedeltà al testo di origine, poiché "per chi sa leggere, lo stesso suono o la stessa sillaba ha sempre il medesimo significato in tutte le lingue":

la parola "industria", per esempio, in tutte le lingue è formata da "uno-due-tre"

mentre "catena" e "catin", "potion" e "poison" nascono dalla stessa radice significano la stessa cosa


anche la funzione dell'autore subisce un radicale cambiamento e diventa uno stato incerto, intermittente, addirittura involontario perché si potrà essere l'autore di un testo in modo casuale e che non si era (interamente) previsto


il processo creativo sta tutto nel suo possibile divenire: l'opera è un residuo trascurabile di questo movimento


Jarry dichiara che l'autore non è il solo detentore del significato del testo e ipotizza che l'autore potrebbe addirittura non capire quello che ha scritto, mentre un lettore potrebbe comprendere cose del tutto diverse da quelle che l'autore credeva di avere scritto sia perché più geniale dell'autore sia perché meno dotato di lui


ognuno di questi casi produce un'opera dal significato variabile


il vero genio funziona come lo stomaco dello struzzo: non c'è materiale abbastanza duro e poco commestibile che non venga trasformato e digerito da quello stomaco


"non si produce assimilazione, ma deformazione; non si produce imitazione, ma trasposizione"


Lucano lamentava la perdita delle rovine suggerendo l'idea che nulla resta della gloria e dei più grandi monumenti, Jarry rovescia il significato della frase, facendo della distruzione il solo modo possibile per raggiungere il vero equilibrio: quando tutte le componenti saranno state distrutte, queste saranno "pari" fra di loro


l'identità dei contrari apre la strada all'invenzione di un nuovo mondo


XII.    Bataille, ovvero la letteratura come "esercizio di crudeltà".


Bataille, legando

arte contemporanea ~ rappresentazione dell'orrore

rappresentazione dell'orrore ~ seduzione oscura, poco cosciente, esercitata da una distruzione che non costituisce per lo spettatore una minaccia eccessiva


formula a proposito della pittura surrealista una teoria che egli non cesserà di porre al centro della letteratura e delle proprie finzioni


la pittura contemporanea altro non fa se non prolungare la preoccupazione di tutte le religioni di aprire gli uomini, per il tramite della pratica cruenta del sacrificio, alla verità tragica e misconosciuta che li costituisce e che è la coscienza della morte


l'iscrizione del sacrificio in seno alla pittura trova la sua illustrazione più spettacolare nell'ultimo saggio di Bataille, Les Larmes d'Eros, vero e proprio teatro della crudeltà destinato a sfociare su ciò che lo scrittore chiama nel contempo "una nuova visione" e "la visione finale"


visione che salda l'immagine dell'antico sacrificio azteco a quella, moderna, di 2 sequenze fotografiche, il cui montaggio ha per scopo al tempo stesso di introdurci

all'esperienza del sacro

e all'espulsione del sacro dalla sfera cristiana



la prima sequenza riattualizza, attraverso le immagini del sacrificio vodu quale è ancora praticato nelle regioni centrali dell'America, il mondo primitivo del sacrificio religioso

l'altra, dell'inizio del 900, smantella, attraverso il supplizio dei 100 pezzi, l'immmagine del sacrificio del Cristo, per aprirci ad una coscienza più ampia della nozione di sacrificio


"il sacrificio è la risposta all'ossessione secolare di tutti i popoli del globo"


nascita della pittura ~ nascita dell'uomo


nascita che si produce nella coscienza della morte e in quella, corollaria, dell'erotismo


il momento in cui l'uomo solleva, per il tramite di una rappresentazione, di una finzione, il vietato fondamentale della morte è il momento in cui la specie umana si afferma come tale, separandosi dall'animalità


questo, stando a Bataille, il soggetto della celebre pittura parietale di Lascaux


Bataille fa della rappresentazione la sola modalità di accesso all'essere


"poiché nella morte, nello stesso momento in cui l'essere ci è dato, ci è ritirato, dobbiamo cercarlo nel sentimento della morte, in questo momento intollerabile in cui ci sembra di morire, quando la pienezza dell'orrore e quella della gioia coincidono"


nella pittura la nozione di rappresentazione si viene declinando in tutte le sue varianti, dalla letteratura, alla poesia e al teatro, veri e propri esercizi di crudeltà attraverso cui la morte, ciò che l'umanità si applica a cancellare e a rimuovere, fa nuovamente irruzione


non ci si è ancora sufficientemente interrogati sulla modalità dell'origine delle sue finzioni


esse prendono corpo attraverso il recupero della prima grande stagione letterararia francese, la produzione epica, gesto che si svolge nella messa in rovina dell'ideologia veicolata dai romanzi cavallereschi, quell'unione

della morale della passione

e della ragione moralizzante

che sarà denunciato dal Don Chisciotte di Cervantes


3 racconti giovanili segnano l'atto di nascita della scrittura di Bataille o, quanto meno, una tappa cruciale in quella vocazione alla scrittura che Bataille coltiva fin dall'adolescenza e che, legata inizialmente alla fede religiosa, sembra esserci espressa essenzialmente in componimenti poetici


Notre Dame de Rheims sua prima pubblicazione; vero e proprio inno alla cattedrale di Reims (luogo per eccellenza della cristianità)


redatti verosimilmente tra il 1920 ed il 1923, nel momento in cui si consuma il distacco di Bataille dalla religione, questi racconti inaugurali, sebbene non esenti da un certa goffaggine compositiva e stilistica, appaiono già prossimi nel loro nucleo tematico ai grandi racconti erotici


La Châtelaine Gentiane (La Castellana Genziana) primo dei 3 racconti; ambientato nel medioevo, mondo dal quale Bataille sarebbe stato catturato al punto da essere indotto ad entrare alla scuola delle carte [istituto d'insegnamento superiore di storia]


L'Ordre de Chevalerie argomento della sua tesi alla scuola delle carte: racconto di un episodio della guerra dei crociati questo breve poema incentrato sui costumi di una cavalleria ideale

non è solamente di valore in quanto dà la formula più significativa della moralità cavalleresca

ma anche per la descrizione della cerimonia dell'investitura del cavaliere


non è difficile cogliere la connessione di questo tema con le preoccupazioni iscritte nella società segreta Acéphale a cui Bataille dà vita negli anni 30; né quella del Collegio di Sociologia con L'Ordre de chevalerie e con la nozione di ordine semplicemente


se si analizza La Châtelaine Gentiane, racconto più o meno contemporaneo dell'epoca in cui Bataille redige la sua tesi alla scuola delle carte, si constata che la sintesi dello spirito cavalleresco e del cristianesimo che anima L'Ordre de Chevalerie è già rinnegata


la cavalleria, questo "uso germanico idealizzato dalla Chiesa", non appare più come un santo ordine accettato dal cavaliere e le virtù proprie del cavaliere non sono più di difendere la Chiesa, i poveri, le dame, di osservare la castità con un rigore particolare


delle 2 cause di evoluzione dell'istituzione della cavalleria messe in luce

la subordinazione della passione guerriera ad una morale razionale ad opera della chiesa

l'associazione tra passione guerriera e passione erotica ad opera della letteratura

è quest'ultima ad essere qui operante


è sotto il dominio esclusivo dell'amore-passione che vive il giovane ed elegante signore della Châtelaine Gentiane


modello perfetto, in ciò, di quella cavalleria libera, mondana, in cui l'amore, addolcendo la frenesia primitiva dei berserkir [bande religiose o società di guerrieri] germani, raggiunge il suo oggetto privilegiato, che è per l'uomo una donna o per la donna un uomo

E

e tuttavia ancora vicino al mondo delle Chansons de geste dove, legato ai valori dell'aristocrazia militare, persisteva senza imporsi esplicitamente uno spirito di passione guerriera


è in "tutta la selvatichezza delle foreste germaniche" che Gautier (da cui Bataille prende spunto), opponendo la cavalleria virile e barbara delle origini alla cavalleria di teatro, sbruffona e temeraria dei romanzi della Tavola rotonda, aveva campeggiato gli eroi (atei) delle più antiche canzoni di gesta


Bataille, in uno dei suoi primi contributi a "Documents" (la rivista che fonda legando per la prima volta pittura e letteratura), evidenzierà delle canzoni di gesta un elemento assente nel libro di Gautier, il legame tra orrore e umorismo


"è l'orrore che costituisce apparentemente l'elemento stesso delle canzoni di gesta; tuttavia questo orrore non è urlato selvaggiamente; esso è espresso con una bonarietà provocante"

le canzoni di gesta riflettono un mondo che non è più veramente solidale con le tradizioni di violenza delle tribù germaniche e mettono in scena dei cavalieri condannabili, l'uno e l'altro rivoltati, portati da uno spirito di dismisura, si mettono fuori dalla legge: ma è la legge generale della società, la legge feudale o la legge umana, alla quale questi cavalieri mancarono, non è ancora la legge della cavalleria


non è d'altronde senza dignità, né senza gentilezza che è rappresentata la dismisura di questi cavalieri: un indomabile orgoglio, uno spirito persistente di frenesia e una fatalità ostinata conducono questo cavaliere a violare la pietà religiosa, ma la simpatia è apertamente espressa per l'abominevole eroe


riaffermando l'influenza tardiva del cristianesimo e dei principi dell'amore cortese sull'educazione dei cavalieri, Bataille rammenterà che il feudalesimo non può essere separato dalla dismisura, che è il principio delle guerre e, identificando il mondo delle armi al bisogno, proprio dei guerrieri germani, di vivere sovranamente, ricondurrà la mostruosità puerile di Gilles de Rais a quella di un'intera classe, la nobiltà, nel momento in cui la centralizzazione monarchica la riduce all'insignificanza, e la cui vocazione al male prolunga il principio feudale dello spreco, alla letteratura


"la tragedia di Gilles de Rais incarna quella di un mondo al quale una figura sanguinante conviene, e che tradisce in ogni modo una crudele sciocchezza"


con la messa a fuoco della "sciocchezza" e della "bambinata" che guidano le efferate perversioni di Gilles de Rais, Bataille collega l'esistenza semplicemente estetica della nobiltà alla letteratura, all'arte nel loro sogno bruciante, puerile, irresponsabile, di accedere ad una violenza sacra incompatibile con l'organizzazione sociale e con la legge che la regola


Bataille esplicita i 2 tempi, contemplazione, lacerazione, attraverso cui il crimine sessuale di Gilles de Rais si invera in messa in spettacolo


De l'art envisagé (considerata) comme un délit: è il titolo di un libro che Bataille aveva prospettato nel dopoguerra e nel quale si può forse riconoscere il nucleo più primitivo del saggio La Littérature et le Mal


La Châtelaine Gentiane rappresenta, così come il secondo racconto, Ralph Webb, una prima figurazione di ciò che lo scrittore chiamerà "la società di consumo degli amanti" e può essere letto come l'illustrazione della formula che apre il suo saggio L'Érotisme: "dell'erotismo, è possibile dire che è l'approvazione della vita fino nella morte"


nella Châtelaine Gentiane un castello isolato nel mezzo di una campagna innevata, nei dintorni di Louvres, fa da fondale all'amore cupo della castellana e del giovane signore senza nome, in preda a sentimenti contraddittori e tuttavia destinati in un eccesso di delirio a ricongiungersi nella morte

in Ralph Webb, l'incontro notturno, appassionato di Ralph e della sua giovane amante nei pressi di un castello a Soutwhay nel Dorsetshire e il suo esito tragico figurano il movimento indicibile della passione nella sua corsa estatica verso la morte


Sade è stato forse il primo ad avanzare il paradosso del crimine come condizione del piacere

E

Bataille, commentando Sade, affermerà: "più insopportabile è il crimine, più grande è il piacere"


è la tesi centrale dell'Érotisme in cui il vizio, lo spreco rovinoso dei personaggi di Sade svelano la connessione dei proibiti inerenti alla morte e alla sessualità


Bataille scoprirà Sade solo successivamente; precedenti a questa scoperta, La Châtelaine Gentiane e Ralph Webb delineano un mondo che appare già a misura di Sade


questi 2 racconti mettono infatti in scena la fascinazione della violenza e della violazione, il desiderio di crimine e di morte di cui l'essere umano è assetato


questa "verità" si annuncia come strettamente legata a 2 nozioni centrali in Bataille:

quella di eccesso in quanto insuccesso della filosofia nella sua pretesa di dare un fondamento alla definizione di essere: "l'eccesso è ciò stesso per cui l'essere è prima, prima di tutte le cose, fuori da tutti i limiti"

quella di riso il cui enigma è al centro delle sue preoccupazioni: "il riso era rivelazione, apriva il fondo delle cose"


"ridere mi portava più lontano che il pensiero; ridere e pensare mi sembravano prima completarsi; il pensiero senza il riso mi sembrò mutilato, il riso senza il pensiero era ridotto a questa insignificanza, che gli era comunemente accordata; ridere equivaleva a Dio; avevo allora la fede cattolica, ma il mio pensiero intero si risolse in questa immensa ilarità"


luogo inaugurale di un'interrogazione intorno alla quale Bataille verrà dispiegando tutta la sua "ateologia", il riso, in quanto espressione della totalità dell'essere, si configura come strettamente legato alla dépense, allo spreco


accanto ad un riso minore, solidale con la società e i suoi valori (quello che si produce, senza grande inquietudine, dinnanzi all'insufficienza del bambino), Bataille individuerà l'esistenza di un riso maggiore inteso come negazione del fondamento stesso della composizione sociale, rottura senza ritorno, comunicazione folgorante con il nonsenso, salto verso l'impossibile e le cui forme storiche sono date nei saturnali, nella festa dei folli, nel carnevale, nella messa a morte dei re


inaccessibile ad ogni sapere filosofico, questo riso ha la sua origine nell'angoscia


è la gioia dinanzi alla morte


ma anche il riso spaventoso che, confuso al ricordo dei berserkir germani, risuona nelle pagine su Gilles de Rais


il riso può, a partire dall'erotismo, perdere il potere di liberare dalla tragedia: può portare l'orrore al suo colmo, per aprire la coscienza umana all'estremo dell'orrore


è precisamente questo riso che annuncia il fondo terrificante dell'erotismo a irrompere nella Châtelaine Gentiane: lo scoppio di riso sconveniente del giovane cavaliere è il segno con cui il mostro si annuncia nella sua grandezza sovrana rivelando, mediante l'eccesso stesso che lo domina, che il movimento dell'amore, portato all'estremo, è un movimento di morte


finzioni di Bataille ~ "il racconto di morte"


questo racconto, più esplicitamente degli altri 2, annuncia il ruolo che il dato biografico è chiamato a rivestire nelle finzioni di Bataille, sempre ossessionate nella loro ricerca dell'impossibile


questa vocazione presuppone

la violazione dei limiti implicati dalle convenzioni

e la messa in luce della "parte maledetta" dell'uomo, la cui chiave è data dal vizio, versante esistenziale della teoria politica ed economica della dépense


ciò che qui si annuncia è quel dispositivo chiamato la "funzione di dighe" di quelle parti del testo che bisogna interpretare come tentativi di intrappolare il lettore in una lettura che mira a coinvolgerlo, a corromperlo, o meglio, ad aprirlo alla coscienza della propria corruzione


se bisognerà aspettare Histoire de l'oil, perché il significato che l'autore imprime al vizio sia esplicitato, esso appare tuttavia qui già indissociabile dal bordello, questa "casa d'angoscia, d'orrore, di morte, di animalità" che sarà chiamata ad occupare nelle finzioni di Bataille lo spazio lasciato vuoto dalla Chiesa


se il passo non è ancora compiuto e l'erotismo non è ancora assunto come "asse di riferimento", esso appare tuttavia già fondato su una filosofia


significativo in tal senso è soprattutto il terzo racconto, Evariste, vera e propria camera mortuaria dove la morte inaugura, sotto l'effetto dell'irruzione del riso, l'economia che sottende tutta la produzione finzionale di Bataille: l'operazione di collegamento tra cristianità e monarchia

ambientato, come i grandi racconti erotici, nel mondo attuale, quello del capitalismo borghese di cui lo scrittore non cesserà di denunciare il principio utilitario, Evariste non sembra conservare del lontano medioevo che le nere pietre della cattedrale di Saint-Flour, sorde ad ogni richiamo religioso

E

tuttavia il ricordo dell'economia gloriosa di quel mondo continuerà ad alimentare le finzioni di Bataille


se è vero che la scrittura di Bataille prende avvio sulle rovine del medioevo bianco, luminoso, religioso e monarchico delle cattedrali gotiche e della sorda necessità ideologica che lo comanda, sarà per perpetrare un medioevo più remoto e originario: quello notturno, malvagio e feudale delle fastose fortezze di Gilles de Rais evocate da Huysmans in Là-bas, e rivitalizzato da quei veri e propri luoghi maledetti dell'immaginazione che sono i castelli del romanzo nero, genere di lì a poco chiamato da Breton a giocare un ruolo centrale nell'espressione del "contenuto latente" del mondo contemporaneo


il castello della Châtelaine Gentiane, Louvres-haut, nel cui nome echeggia quello dell'antica fortezza del Louvres, in senso etimologico "luogo infestato dai lupi", ma anche, per estesione, quello dei giovani berserkir simili nella loro rabbia estatica a lupi o quello delle maschere di velluto nero ostentate come segni di vizio dalle protagoniste dei romanzi erotici di Bataille, assidue di "lupanari" o convertite dal piacere in "lupe", si designa come il luogo inaugurale di un tema chiamato a ripetersi attraverso la serie di castelli neri che suggellano l'incontro con Sade:

dalla casa di cura di Histoire de l'oil, "falso castello di piacere" isolato sul mare, entro le cui mura si consuma il supplizio di Marcelle

alla massa scura del castello di Histoire de rats dove B. è prigioniera di un padre incestuoso

dalle rovine del torrione della Maison brûlée che si staglia sul burrone in fondo al quale viene ad infrangersi la passione criminale di Marthe

alla grande casa fatiscente di Ingerville, nei cui pressi Charlotte, in Divinus deus, si inizia all'amore saffico

per dissolversi in Ma mère, l'ultimo romanzo di Bataille, nell'ironico soprannome di "cavaliere della triste figura" che Réa applica a Pierre, "il bambino dei boschi", poco prima di cimentarsi nel suo atto di perdita della verginità


soprannome che, con lievissimo scarto della lingua, possiamo intendere anche come "il cavaliere dalla triste figura", espressione con cui a partire dal 600 si volle designare Don Chisciotte, il cavaliere errante attraverso il quale Cervantes volle condannare il meraviglioso femminile dei romanzi della Tavola Rotonda


XIII.  Leiris, "un Moloch (antica divinità, raffigurata con testa taurina, a cui venivano sacrificate vittime umane) qui se nourrit de ses propres entrailles (interiora)".


la crudeltà non è stata per Leirs come è potuta essere per Bataille e più ancora per Artaud, determinando una poetica di cui essa avrebbe comandato il gioco delle forze e delle forme

E

la crudeltà è tuttavia un tema presente, e se ciò non lo è nell'insieme dell'opera, lo è almeno nella sua prima parte in cui essa occupa un posto centrale tanto nelle forme del contenuto che in quelle dell'espressione


con prima parte dell'opera intendo il periodo che (inizio anni 20 - metà anni 30) conduce alla redazione di L'Age d'homme, espressione ultima di un rituale sacrificatorio; distinguerò così prima gli anni surrealisti in cui Leiris nota: "ognuno creerà il suo proprio Rito, per la scoperta di sé stesso; l'opera d'arte non ha altro obiettivo che l'evocazione magica dei demoni interiori"

poi l'esperienza di Documents di cui il nuovo rapporto al visuale appare inseparabile dall'entrata nella parola autobiografica

infine il tentativo di liquidazione, strappare le maschere, esporre i complessi, i fantasmi, denunciare l'intreccio (del romanzo), che rappresenta L'Age d'homme, una delle più vivificanti e contagiose operazioni di critica della letteratura degli anni 30


dal mito di Damoclès alla metafora tauromachica, l'insieme di questo periodo appare retrospettivamente collocato sotto il segno della corrida


"festa sacrificale e arte maggiore, che illustra bene il duello dell'artista contro il mondo esteriore quando, strappando la sua propria pelle e tenendosi in piedi davanti all'opera da creare in posizione di scorticato, tenta di domare la natura e prendendola dalle pieghe palpitanti di questo mantello, e, nuovo Damoclès, prova ad abolire la morte facendosi un'arma scintillante dalla minaccia che pesava da sempre su di lui"


Da Lycanthope a Damoclès Siriel.


nello studio di Masson, molto prima che si operò la fusione con i surrealisti, si riuniva un "crogiolo di amicizia" che Leiris non ha mai smesso di collocare all'origine della sua opera


"affinché giungessi a produrre qualche cosa di leggibile, è stato necessario che incontrassi il pittore A. M. e che mi fidassi, così come il piccolo numero di intimi che si riunivano nel suo studio"


evocando lo studio di Masson, vorrei ricostruire l'atmosfera "crudele" nella quale sono maturati

i testi che mi interessano qui

la confessione di Damoclès Siriel inserita nel cuore stesso di Aurora

e il breve racconto in prima persona che ne costituisce il nucleo iniziale


riprenderei i nomi di Nietzsche, Sade, Dostoïevsky, figure protettrici e grandi distruttori di orizzonti convenzionali

E

nomi ai quali bisogna aggiungere quello di Tourneur, con il suo teatro della violenza, della crudeltà, la più incisiva, e del lirismo più travolgente


negli anni 20, Leiris ricopia nel suo Journal una breve prosa (incompiuta); la intitola Le Lycanthrope e la dedica a Borel, "in meschino omaggio", precisa


è necessario interrogarci sul senso di questa dedica tanto più che Leiris farà risalire, numerosi anni più tardi, la redazione di questo testo, in qualche modo fondatore, a Schwob, manifestando la sua ammirazione per l'autore


mentre i motivi

del sangue

della crudeltà

dell'odio degli umani come di sé

del desiderio di vendetta e di distruzione assoluta

sembrano raddoppiare il racconto della vita di Tourneur


"bambino, ero già crudele; gli uomini e le donne mi sembravano delle tristi bestie solo buone ad accoppiarsi; amavo vedere scorrere il loro sangue e ne paragonavo le goccioline scintillanti raccolte nelle mie mani alle stelle che brillano nel cielo"


perché Leiris ha collocato nell'intestazione del suo testo il nome di Borel, cancellando ogni riferimento a Schwob??


gli fu allora più facile identificarsi a colui che, non esitando a collocarsi di fronte all'irrimediabile, non fu meno il boia di se stesso che quello degli altri


più che Schwob, il Licantropo Borel sembra aver riattivato il fantasma della castrazione e delle sue occorrenze che, qualche anno più tardi, si manifesterà con tutta la sua violenza nell'autobiografia fantasmatica di Damoclès Siriel collocato nel cuore stesso di Aurora, il romanzo poetico redatto alla fine degli anni 20


opera cerniera tra

la privazione lirica del primo periodo surrealista

e la redazione di l'Age d'homme


Aurora è l'ultima prova in vista della costituzione di un soggetto autobiografico

di questo testo a cui spettano a pieno diritto

l'estetica surrealista

la sua ossessione claustrofobia

il suo desiderio di rottura

e il suo gusto di meraviglioso

Leiris ha detto: "ciò che mi lega ad Aurora è la fiducia che vi è fatta all'immaginazione lasciata nel suo stato selvaggio, l'orrore che vi è annunciato allo sguardo di ogni specie di fissazione; il rifiuto che si oppone a questa condizione di uomo"


dietro lo sbrigliamento fantasmagorico apparentemente gratuito dell'immaginazione, al centro attivo delle immagini e dei simboli, lavorano già alcuni dei materiali più incandescenti di L'Age d'homme


di questo viaggio iniziatico all'interno di se stesso nel corso del quale il narratore extradiegetico [che si rivolge direttamente al pubblico e non ai personaggi del racconto] moltiplica le immagini dell'io in una serie di doppi, ricorderei la confessione testamentaria di Damoclès Siriel


"bambino, ero già crudele; odiavo gli uomini (tristi animali solo buoni ad accoppiarsi) e anche le bestie e i vegetali, non conservando amore che per ciò che è inanimato"


parole inaugurali che illustrano subito la connessione compulsiva (che costringe) dei crimini e delle profanazioni che conducono alla catastrofe finale in un rilancio inaudito di violenze e di atrocità compiute con una precisione rituale per mezzo del coltello sacrificale


"era lo strumento perfetto, aguzzo, duro e che risalta, triangolo unico che simbolizza la sola triade che degno di riconoscere: PUREZZA, FREDDEZZA E CRUDELTÀ"


molti gli episodi che riattivano la violenza originale nel tentativo di conferirle valore mitico


al termine di questo terribile racconto della castrazione e della morte, evocherò la scandalosa violazione della matrice, luogo e simbolo della riproduzione, collocata nel cuore stesso del tempio della femminilità di cui il giovane gerarca aveva sconvolto la struttura vitale per renderla più conforme alla sua divinità mortifera


ultimo gesto sacrilego legato all'eliminazione della differenza dei sessi ma che rovescia di colpo anche il rito sacrificale e trasforma il boia in vittima: "avevo contato sul timore che ispiravo e sul carattere sacro che la mia funzione conferiva alla mia persona per soffocare nel popolo ogni manifestazione di protesta, ma mi ero sbagliato nel calcolo"


incapace di sfuggire ad un destino sottomesso alla schiavitù ignobile della morte, Damoclès non ha altre soluzioni che mettere fine ai suoi giorni rivoltando contro di lui il coltello del sacrificio


del suicidio, Leiris dirà che è il solo modo di "diventare nello stesso tempo e l'altro, maschio e femmina, soggetto e oggetto, ciò che è ucciso e ciò che uccide, sola possibilità di comunione con sé stesso"


relazione speculare che, attraverso la scappatoia di un'identica ossessione della morte, unisce lo scrittore al gerarca crudele non solamente nell'inversione anagrammatica Leiris/Siriel ma ugualmente nell'identificazione a Damoclès, l'eroe mitologico condannato da un destino crudele quant'altri mai ad un'angoscia e ad un rischio infiniti


"la morte mi strapiombava come una cupa minaccia; mi sforzavo di credere che l'avrei sventata attraverso un'armatura, un nascondiglio anche contro i suoi attacchi mutevoli ma infallibili; temendo la morte, detestavo la vita (poiché la morte ne è il più sicuro coronamento)"


dell'eroe mitologico, la spada minacciosa farà, nell'estetica tauromachica che sarà allora la sua, il simbolo dello strazio del poeta, preso tra le imposizioni contradditorie

dell'ispirazione al sogno

e del consenso dato al reale


colui che "ha preso il suo destino per le corna, la sua spada a piene mani"


riconoscendo che c'è nella crudeltà che si esercita una sorta di determinismo superiore al quale il boia suppliziatore è sottomesso lui stesso, e che dev'essere all'occorrenza determinato a sopportare, Leiris tirerà allora francamente le conseguenze della definizione dell'io come alter ego, suicidando in qualche modo l'io e interpretandolo come un altro


abbandonando i prestigi idealizzanti e rassicuranti delle trasposizioni fantasmatiche, accetterà di ritrovarsi di fronte a lui stesso come il torero confrontato al toro


la sua autobiografia, come quella del gerarca di Aurora, sarà certamente una forma di messa a morte

E

ma, al termine di un processo che si vorrà liberatorio nella sua vocazione fondamentalmente tragica, essa sarà ugualmente e essenzialmente un atto di nascita: "ricerca di una pienezza vitale, che non saprebbe ottenersi prima di una catarsi, una liquidazione, di cui l'attività letteraria, e particolarmente la letteratura detta "di confessione", appare uno dei più comodi strumenti"


Un modo panico di vedere le cose.


negli anni 30, Leiris rompe con il surrealismo


prendendo le distanze dalla letteratura che aveva fino a quel momento praticato, raggiunge Bataille a Documents


Documents fu il luogo in cui lo spettacolo della differenza documentata nei suoi aspetti più stravaganti, ha permesso la presa di distanza dai pregiudizi più radicati della civilizzazione occidentale


una stupefacente messa in scena dell'altro fondata su un nuovo rapporto al visuale


Leiris si mette a formare il suo proprio pensiero nell'accompagnamento fecondo, e non nella semplice illustrazione, di una straordinaria manipolazione di immagini


è questo lavoro inseparabile dall'entrata nella parola autobiografica che vorrei illustrare evocando le immagini che la nutrono

Massacri di una proscrizione romana di Caron

Lucrezia e Giuditta di Cranach


Bataille, contro l'astrazione riduttrice di un modo di vedere competente, chiama con veemenza all'esercizio di un "modo di vedere infantile o selvaggio"


Leiris risponde pubblicando "Una pittura di Antoine Caron", articolo di un'audacia sconcertante in cui una serie di ricordi d'infanzia introduce il testo illustrato di 4 riproduzioni del quadro Massacri di una proscrizione romana


Massacri di una proscrizione romana terrificante e ammirevole scena di carneficina tinta di erotismo (fotografati per la rivista)


"Caron prese uno strano piacere (di ordine sadico o masochista) nell'esecuzione di questi folgoranti orrori; come un bambino tortura degli animali domestici e decapita delle mosche, si trappa le unghie fino al sangue o ancora gioca a farsi paura"


rigiocare i terrori e i desideri, dell'infanzia


tale era stata l'origine pulsionale del gesto pitturale che ha riattivato i propri spaventi di bambino di Leiris che gioca a sua volta a farsi paura attraverso la rievocazione delle immagini attorno alle quali gravitano alcuni tra i più lontani dei suoi ricordi, ricordi relativi a ferite subite o inflitte, che ritorneranno nella versione definitiva di L'Age d'homme

quanto al testo, si avrà compreso che non si tratta in niente dello studio di un quadro, di un discorso sulla pittura ma bene di un'illustrazione del rapporto al visuale instaurato attraverso Documents


"molto più imprecisi per me sono i ricordi che non hanno una base di crudeltà; non credo affatto che questo modo di vedere il mondo mi sia particolare, e mi sembra che al contrario si può accordargli una grande generalità"


il ricordo nasce dall'immagine che ferisce, dalla proiezione dello spettatore nel corpo straziato e che strazia dell'immagine, di cui la forza d'intensità e di presenza abolisce nello stesso tempo ogni frontiera tra il dentro e il fuori


Leiris celebra qui un modo tutto contagioso di essere raggiunto dall'immagine


delle tavole anatomiche riprodotte in un altro articolo, loderà allora la bellezza legata al fatto che il corpo umano vi si trova rivelato nel suo mistero più intimo, con i suoi luoghi segreti e le reazioni sotterranee di cui è il teatro, per farla breve accompagnato di tutto ciò che gli conferisce un valore magico di universo in riduzione


ma ancora più affascinanti e temibili e eroticamente toccanti furono, a poco tempo da là, le figure di Lucrèce e Judith che mirano definitivamente il processo autobiografico


Leiris faceva allora una psicanalisi con il dottor Borel nell'intenzione dichiarata di liberarsi di 2 sintomi ben precisi:

un atroce sentimento di impotenza, tanto genitale che intellettuale

e il timore inverosimile di un castigo


"furono ben meno le qualità "fini e leggere" della pittura che mi colpirono che l'eroismo, per me completamente straordinario, della pittura in questione"


è bene nel prolungamento dello choc provato alla vista dei 2 quadri abbinati che prese corpo il progetto di "una sorta di autobiografia che tocca l'erotismo" di cui la psicanalisi aveva probabilmente esumato gran parte dei materiali


la rapidità dell'esecuzione dà la misura dell'impatto delle figure opposte e complementari


alla fine degli anni 30, Lucrèce, Judith et Holopherne, nucleo germinale di L'Age d'homme, era finito


Lucrèce, Judith et Holopherne.


si compone di 4 capitoli, ripresi e sviluppati in L'Age d'homme che comporterà 8 capitoli


una breve introduzione situa il racconto nel campo rigoroso delimitato dall'impatto del dittico di Cranach, istante inaugurale che apre la lista di questi fatti privilegiati, esperienze cruciali o rivelazioni, di cui l'estetica tauromachica sarà, qualche anno più tardi, il motore sacro della raccolta autobiografica

E

con la sola differenza che la prospettiva erotica limita qui lo spazio dell'indagine alla sola dimensione sessuale


"il lato profondamente sadico rende questo quadro molto particolarmente eccitante; qualche ricordo della mia infanzia, unito a degli altri più recenti, vanno a sostegno di questo punto di vista"


legame esplicito con il frammento di Faust di Goethe


"quali delizie .. e quali sofferenze; non posso allontanarmi da questo sguardo"


fascinazione legata all'orrore come la vita lo è alla morte


"da molto tempo, conferisco a ciò che è antico un carattere violentemente erotico"


tuttavia, rigorosamente scandito dall'incatenamento serrato dei titoli e dei sottotitoli che si sforzano di dare ordine e senso ad un vissuto certamente più bruciante che la fredda dimostrazione che lo mette in scena, il racconto non sbocca su alcuna forma di rivelazione né di liberazione


la parola della fine non sarà pronunciata


non sarà nemmeno sviluppata l'identificazione appena abbozzata al personaggio di Holopherne tuttavia annunciato nel titolo


quando, in un violento lirismo in cui il soggetto della scrittura lascia libero corso all'espressione dei suoi fantasmi sado-masochisti, l'immagine della casta Lucrèce, svenuta o spirante, è finalmente nascosta da quella di Judith, Holoprherne decapitato sparisce dalla scena della rappresentazione


questo gesto apparterrà al narratore di L'Age d'homme per integrarlo alla sua storia


"un'amante, per me, è sempre un po' la Medusa; se il suo sguardo non mi ghiaccia il sangue, è necessario allora farvi fronte sbranandoci, in un modo meno fisico che morale, poiché si tratta di ben altra cosa che dell'erotismo e dei suoi passatempi; ma qui non posso più dire niente"


il narratore di Lucrèce, Judith et Holopherne si è momentaneamente condannato al silenzio


poiché se il rifiuto dell'esplicazione è bene il fatto di una mutilazione, questa è limitata al presente dell'enunciazione


L'ordine crudele di L'Age d'homme.


Bataille avendo dovuto rinunciare alla collezione che doveva accoglierla, Lucrèce, Judith et Holopherne non fu pubblicato; Leiris non fece apparentemente niente per trovargli un'altra destinazione; ma ne conservò tutti i materiali


nel frattempo, in relazione stretta con la sua collaborazione a Documents e in accordo con il dottor Borel, aveva maturato la decisione di partecipare alla missione etnolinguistica Dakar-Djibouti (inizialmente contrario, decise comunque di andarci)


ritornò "avendo ucciso almeno un mito: quello del viaggio in quanto mezzo di evasione"


riprende allora la cura con Borel, in seno alla quale gli è necessario riconoscere "che, anche attraverso le manifestazioni a prima vista più stravaganti, lo si ritrova sempre identico a sé stesso, che vi è un'unità in una vita e che tutto si riduce, qualunque cosa si faccia, ad una piccola costellazione di cose che si tende a riprodurre, sotto delle forme diverse, un numero illimitato di volte"


in eco al fallimento del viaggio, il nuovo sapere psicanalitico confermava l'impossibilità di rompere l'identità dell'io


era venuto il momento di comprendere di cosa era fatto questo io


cosa che significava affrontare di nuovo lo sguardo mortifero di Medusa; non più per soccombervi ma per tentare di neutralizzarlo rispecchiandolo sullo specchio di inchiostro della superficie allargata e ulteriormente levigata della scrittura


riprende Lucrèce, Judith et Holopherne, là dove l'aveva abbandonato


un lavoro difficile e doloroso che trasformerà la ferita in apertura e libererà il testo di un freudismo caricaturale: "che gli esploratori moderni dell'inconscio parlino di Edipo, di castrazione, di colpevolezza, di narcisismo, non credo che avvicini molto riguardo all'essenziale del problema (che resta secondo me apparentato al problema della morte, alla paura del nulla e rileva dunque della metafisica)"

"arrivo meglio a comprendere ciò che significa il fantasma di Judith, immagine stessa di questo castigo allo stesso tempo temuto e desiderato: la castrazione"


appena fu pronunciata, la parola dell'enigma non bastò più al narratore


arrivato ad una conclusione che avrebbe potuto essere il felice finale, "sto meglio sembra e non sono più ossessionato così continuamente dal "tragico", il racconto si privò di ogni possibilità di chiusura impegnandosi verso un "nuovo inferno"


linea di punti di sospensione sulla quale, come una ferita indefinitivamente ripetuta, fa arenare la narrazione


l'opera ha allora trovato la sua forma definitiva


realizzazione di un progetto che implicava un allargamento del punto di vista fino ad allora adottato e prima di tutto un riequilibrio, in suo favore, dell'importanza di Holopherne


il narratore si sforzò di conferirgli il carattere di necessità che ne avrebbe legittimato la messa in circolazione


ciò fu fatto quando, collegandolo a ciò che ebbe l'illusione di far passare per la sua lontana origine, lo collocò, a questo punto aveva la forza di un destino giocato da sempre, "sotto il segno degli spettacoli, opere o drammi" che, bambino giovanissimo, i suoi genitori lo portavano con sé a vedere


sostituendo alla superficie fino ad allora piatta e irrigidita del quadro di Cranach lo spazio dinamico sul quale, dall'infanzia, aveva modellato il suo proprio teatro interiore, Leiris potè certamente riavvicinarsi ulteriormente al processo primario reazionato dalle figure di Lucrèce e Judith


è allora e allora solamente che attraverso la sua messa in scena retrospettiva fu in grado di operare la messa in forma nella quale la scrittura trovò la legittimazione, il potere liberatorio del riscatto, che gli mancava


"è all'impressione che mi fecero questi spettacoli che è dovuta questa abitudine che ho sempre di procedere attraverso allusioni attraverso metafore o di comportarmi come se ero su un teatro"


nel recinto delimitato e protetto in cui, in modo inatteso, si spostò la scena della scrittura, lo scrittore-attore sdoppiato potè finalmente aprirsi allo sguardo dell'altro


è guardandosi dall'esterno, riconoscendo che questo ruolo era bene il suo, "vedevo tutto come un teatro", che Leiris si rivelò ai suoi propri occhi come lui stesso e un altro, cresciuto, trasformato in eroe in uno spazio che, tutto restando quello della vita, potè divenire quello del dramma


"L'incompiutezza obbligatoria".


l'opera non era tuttavia finita


un'ultima campagna significativa di correzioni comincia al ritorno da un breve soggiorno in Spagna, motore di una serie di riflessioni che, negli anni immediatamente a venire, faranno della tauromachia il modello e la metafora della creazione artistica


riflessioni sull'estetica della deformazione


"incorporare la morte alla vita, renderla in qualche modo piacevole (come il gesto del torero di condurre soavemente il toro nelle pieghe del suo mantello o della sua muleta (bastone)"


delle incisioni tauromachiche del suo amico Masson, Leiris aveva sottolineato che esse conducono al punto cruciale dell'arte: guerra che non si può riparare

del creatore con la sua opera

del creatore con sé stesso

e del soggetto con l'oggetto

bipartizione feconda nella quale l'individuo tutto intero è impegnato, ultima occasione per l'uomo, se acconsente a rischiarvi fino alle sue ossa, di dare un corpo ad un sacro


"sono appassionato delle corse di tori perché, più che al teatro ho l'impressione di assistere a qualche cosa di reale: una messa a morte, un sacrificio, più valevole che non importa quale sacrificio propriamente religioso perché il sacrificatore vi è costantemente minacciato dalla morte"


lotta rituale della realtà della morte

e messa in scena del corpo minacciato


la tauromachia è integrata al processo catartico di cui essa rappresenta ormai il tempo forte


"i momenti in cui il sentimento di una catastrofe perpetuamente sfiorata e raggiunta genera una vertigine in seno alla quale orrore e piacere coincidono, sono quelli in cui l'eroe viene a giocare con la morte, a sfuggirvi attraverso un miracolo, ad affascinarla; per là diviene l'Eroe, nel quale si incarna tutta la folla"


il manoscritto venne accettato, ma fu pubblicato solo successivamente


pressato dagli avvenimenti, Leiris ricorse di nuovo alla metafora tauromachica ma questa volta per zavorrare la sua scrittura di un peso di realtà che rischiava di mancargli


le sue preoccupazioni non riguardavano più l'opera come era stata costruita, i modelli che aveva o no trasgredito ma il gesto che la governava e eventualmente la motivava


è di fronte agli avvenimenti in seno ai quali essa finalmente nasceva che Leiris intendeva situare la sua impresa, questa fine del periodo fra le 2 guerre da dove gettava uno sguardo severo sulla sua generazione come su sé stesso


"l'autore riconosce senza trucco che la sua vera "età d'uomo" gli resta ancora da scrivere, quando avrà subito, sotto una forma o sotto un'altra, la stessa amara prova che avevano affrontato i suoi antenati"


la pubblicazione dell'opera, alla quale il suo oggetto rischiava di fare fallimento, è giustamente la prova dopo la quale lo scrittore sarebbe stato infine in grado di abbandonare la società delle "giovani persone" per quella dei "primogeniti" se non dei "toreros"


l'età d'uomo era "la ricerca di una pienezza vitale, che non saprebbe ottenersi prima di una catarsi, una liquidazione, di cui l'attività letteraria, e particolarmente la letteratura detta "di confessione", appare uno dei più comodi strumenti"


il processo catartico di origine esplicitamente sacrificale voleva che l'eroe-narratore si ritrovò un altro sé stesso


indirizzato non più alla comunità marginale che intendeva condurre l'arte ai confini della vita e della morte ma a coloro, più numerosi, per cui era venuto il momento di impegnarsi


"ciò che accade nella scrittura non è denudato di valore se ciò resta "estetico", inoffensivo??"


l'autobiografia, che non faceva che cominciare, andava ormai a dover applicarsi a denunciare i miti e le finzioni sulle quali essa si era costruita e continuava a costruirsi


in nome di un'altra verità, quella dell'incompiutezza obbligatoria, abisso che noi cerchiamo vanamente di colmare, della nostra modernità






XIV.  Lo spazio crudele.


Benjamin definizione dell'interno borghese come astuccio


"la forma originaria di ogni abitare è il vivere non in una casa, ma in un guscio; questo reca l'impronta di chi vi abita; l'800 è stato, come nessun'altra epoca, morbosamente legato alla casa; ha concepito la casa come custodia dell'uomo e l'ha collocato lì dentro con tutto ciò che gli appartiene"


la casa-astuccio si modella sulla personalità di chi la abita, personalità all'insegna dell'ambiguità


"Poe è il primo fisionomista dell'interno; i criminali dei primi romanzi polizieschi non sono né gentiluomini né apache, ma privati cittadini"


anche Balzac segnala questo disagio, relativo ad un restringimento degli orizzonti, ad un senso di soffocamento, e condanna la speculazione sfrenata


egli stesso tentava di sfuggire alla strettezza della propria abitazione inscrivendo sulle pareti i propri sogni


Janin giunge addirittura a teorizzare una connessione fra strettezza degli spazi del mondo borghese e vocazione al delitto


lo spazio borghese si fa erede, esasperandola, dell'ambiguità della tradizione che accoglieva sia la stanza delle pulsioni che quella delle sublimazioni, luogo malvagio e santuario al tempo stesso, dove ciascuno di noi ospita i relitti del proprio desiderio


lo spazio chiuso si propone come una sorta di estroflessione [sviluppo verso l'esterno] di uno spazio interno che consente di

dare forma al disordine

nominare l'indicibile della pulsionalità


Baudelaire teorizzerà il carattere originario di questo immaginario


"i sentimenti intimi non si raccolgono a volontà che in uno spazio molto stretto"


la stanza come spazio dichiaratamente onirico ritorna, grazie anche all'impiego dell'oppio, nella baudelairiana Chambre double, "una camera che assomiglia ad un sogno"


è in queste stanze del desiderio che avviene l'apparizione dell'idolo


ma non si entra di fatto nella stanza delle pulsioni, poiché si è già da sempre lì


nell'Invitation au voyage il viaggio verso il "paese che ti assomiglia" si traduce nell'esplorazione dell'altrove che è dentro di noi


nella camera di Une Martyre, però, non più sogno ma proiezione dei propri fantasmi, non v'è più ordine: al centro del lusso, la calma e la voluttà v'è un cadavere senza testa


se nella Chambre double il sogno era "decapitato" dall'irruzione della realtà, nella figura dell'ufficiale giudiziario, qui invece, nella stanza del desiderio, la stanza che ci rassomiglia, troviamo un cadavere femminile decapitato: lo spazio del familiare è abitato dal perturbante


per Baudelaire tutto lo spazio si fa "colpa"


se questa rappresentazione è un'allegoria della poetica baudelairiana, allora anche i Fleurs du mal sono quel corpo suppliziato e compiaciuto del proprio esibirsi, quella testa spezzata, quella stanza-sepolcro in cui si celebrano i riti della poesia sofferente


la poesia è corpo sofferente

il poeta è il celebrante di questo rito di morte, in cui "fare poesia" equivale ad eseguire il supplizio di qualcosa che si ama


"il piacere unico e supremo dell'amore sta nella certezza di fare il male; nel male si trova ogni piacere"


la decollazione non costituisce un atto di sadismo, ma è la risultante della distanza esistente fra

la passione, come vissuto del possibile

e l'immensità del desiderio che è incolmabile


sarà dunque l'immaginario del poeta a concepire l'atto dissacratorio, la trasgressione assoluta, unico gesto in grado di colmare la distanza


la scrittura, evocando la trasgressione suprema, dà voce all'eccesso, all'immensità del desiderio, e compie il rito della sua manifestazione, consistente nel proprio martirio


soffrire e far soffrire diventa lo schema stesso della complicità amorosa


creare vuol dire inscrivere la morte nel testo


l'oggetto linguistico rinuncia ad essere "veste" della passione per reinventarsi come "forma" del patire


ogni opera diventa metafora del fare artistico stesso


si delinea così un percorso della modernità incentrato sul corpo sofferente


è sullo sfondo di questa sensibilità che si può cogliere lo straordinario fascino esercitato da un'opera capitale di Rembrandt, La lezione d'anatomia del professor Tulp su visitatori quali Gautier, Fromentin, Huysmans


tutti sono sedotti dall'idea di spiare nella stanza degli orrori per assistere al singolare spettacolo di interpreti professionali assorbiti nel loro macabro ruolo di attori nel teatro anatomico


Huysmans è entusiasta, Gautier si scopre attratto dall'orrore: "niente è più semplice e impressionante allo stesso tempo; ammirevole magia dell'arte, questo soggetto orrendo, che nella realtà farebbe distogliere la vista a tutti tranne che ad un medico, vi trattiene e vi attira delle ore intere, e tuttavia niente è evitato, niente è nascosto; non si saprebbe spingere più lontano la franchezza dell'orrore"


con Maupassant lo spazio crudele assume le sembianze di un mobile antico che metonimicamente racchiude un corpo femminile, vale a dire una sua ciocca di capelli relegata in un cassetto, una sorta di "astuccio" che, a sua volta metonimicamente rimanda ad un'abitazione


la violazione del mobile è descritta come un'aggressione sessuale


aprire il mobile ed estrarre la ciocca di capelli equivale a delimitare uno spazio di passione crudele: poi, quando avevo finito di accarezzarla, quando avevo richiuso il mobile, la sentivo sempre là, come se fosse stata un essere vivente, e la desideravo ancora"


la fine è nota: il narratore viene rinchiuso nella cella spoglia e sinistra di un manicomio


parallelamente a questo percorso si sviluppa una prospettiva rovesciata, che vede il femminile come spazio crudele del maschile, schermo su cui il maschile proietta la propria pulsionalità


Madame Putiphar di Borel il protagonista, ingiustamente arrestato e imprigionato in una cella orrorifica, avendo inaspettatamente ricevuto gli indumenti della fanciulla amata, ancora impregnati del cuo corpo, in preda ad una sorta di esplosione dell'io, abbraccia le vesti e le proietta sulla superficie della prigione


è il corpo sofferente dell'uomo a divenire prigioniero degli abiti dell'amata, che delimitano le pareti; egli abita lo spazio del corpo della moglie, è quel corpo

Villiers de l'Isle-Adam il conte d'Athol ha perso la moglie Véra e, inconsolabile, rifiuta la perdita; ritornando a visitare la sua camera, elabora un suo rito per arginare l'angoscia della perdita: passa in rassegna tutti gli oggetti che avevano popolato l'ambiente in un'atmosfera sempre più carica di tensione e di magia e avverte che: "il suo fascino vi fluttuava"


il lutto denunciato dagli oggetti abbandonati rievoca l'assente


la presenza di tutto ciò che Véra amava fa sì che il suo corpo, trasmesso nella molteplicità delle suppellettili, impregnate di lei, ne imponga la presenza "essa vi era necessaria; essa doveva essere là; e, siccome mancava Véra stessa, concreta, era necessario che essa vi si trovò"


nella prima redazione il conte avverte di essere infine tutt'uno con la moglie, prigioniero del suo corpo in un'identificazione totale, derivante dall'assedio degli oggetti-corpo

nella seconda redazione il testo si conclude con l'invito a ricongiungersi con Véra nella sua tomba: da uno spazio crudele all'altro


Poe, al di là dell'innumerevole sequenza di spazi chiusi consegnati alle sofferenze più atroci, ci offre con Una discesa nel Maelstrom un altro esempio straordinario di spazio crudele al femminile, un'immensa vagina in cui il maschile viene catturato e annientato dalla Natura


il protagonista-narratore è contemporaneamente attratto e spaventato dalla propria avventura (duplice stato d'animo)


singolare coniugazione di maschile e femminile: il vortice emette una voce raccapricciante, parte strido e parte ruggito, un suono bisessuale; l'abisso è illuminato dalla luna, femminile, ma il raggio che vi penetra, attraverso le nubi-labbra, è dorato, solare, maschile


D è lo stesso abisso in cui si immerge, spinto a sua volta dalla fascinazione dell'orrore, il giovane Freud quando, in sogno si imbatte nella gola di Irma


disgusto di Freud di fronte a questo spettacolo: "tutto si mischia e si associa in questa immagine, dalla bocca all'organo sessuale femminile, e passando dal naso"


vi è qui un'orribile scoperta

quella della carne che non si vede mai

il fondo delle cose

il rovescio dell'aspetto, del volto

le secrezioni per antonomasia

la carne da cui tutto esce, nel più profondo del mistero

la carne in quanto è sofferente, informe, in quanto la sua forma è di per sé qualcosa che provoca l'angoscia


Goethe dirà di aver seguito lezioni di anatomia, e in particolare di ostetricia perché ciò: "mi insegnava a sopportare le visioni più sconvolgenti" e al tempo stesso lo abituava a "liberarsi di ogni timore nei confronti di tutto ciò che mi disgustava"


l'esplorazione dell'interno attiva un meccanismo crudele, che si ripercuote sullo spazio in cui si svolge, in un rapporto di complicità


da una parte la concezione del sapere si accompagna solitamente ad un'idea di penetrazione, chiarire implica vedere l'interno di qualche cosa, scendere in profondità

tuttavia è di fatto impossibile esplorare un interno: si è condannati alle forme dell'esteriorità, siamo prigionieri delle superfici, e a questa condanna è sottomessa anche l'esplorazione delle tracce della sofferenza, rispetto alla quale siamo sempre esterni


da quando dialogo con il corpo "mi sento, scrive Artaud, un corpo che non mi appartiene", quindi dalla nascita, non sono più il mio corpo, sono l'altro dal mio corpo, l'altro dalla mia sofferenza


non posso dunque testimoniare della mia sofferenza se non facendomi tutto corpo, recuperando il corpo prima del "sapere del corpo", facendo coincidere la totalità del mio esistere con le sensazioni del mio essere fisico


è questa la sensazione che accompagna ogni esperienza conoscitiva, laddove cioè è in gioco la necessità di penetrare in profondità, di chiarire, aprire, e la pittura si è avvalsa di simili tematiche per riflettere sul suo farsi


l'anatomia del Bue squartato di Rembrandt è lì ad evocare nello spazio buio della stanza la sofferenza stessa dell'autore, dell'operare artistico


vi si legge l'autoritratto sofferente dell'artista:

"come se il pittore abbia fatto l'immagine del bue con i brandelli strappati alla propria carne umiliata e dolente; il processo della pittura è veramente un processo di sofferta sostituzione di sé all'altro: Rembrandt non prova simpatia o pietà per l'animale squartato, ma esiste in esso, si identifica"


per ritrovare qualcosa di analogo nella cultura del 900 dobbiamo pensare alla pagina stupenda del Rilke dei Quaderni di Malte Laurids Brigge in cui descrive l'anatomia di una casa sventrata


l'osservatore contempla sgomento queste immagini dell'informe e poi corre via, non appena si riconosce in quel perturbante che gli è di fatto familiare, gli appartiene


anche Rilke si imbatte nello "spazio che ci rassomiglia"


all'origine di questo percorso vi è addirittura Tiziano, ma il suo ricorso ad uno spazio aperto, la natura nella sua totalità, propone un discorso eccessivamente devastante, proprio perché non imbrigliato


negli ultimi anni della sua vita l'artista fu particolarmente attratto dai toni lividi e da immagini tormentate fino a sfiorare l'informe Apollo e Marsia, dove un fiume di colori proveniente dal corpo scorticato di Marsia pervade l'intera natura introducendovi il caos


sofferenza di un'epoca e quella dell'artista che contempla la crudeltà del proprio operare


può apparire rappresentativo del clima che stiamo qui evocando il fatto che l'ultimo testo con cui si è confrontato Freud prima di morire sia stato La peau de chagrin (asino)


il suo corpo si sta ormai disfacendo e il romanzo di Balzac è, a suo dire, proprio ciò che gli si addice, dal momento che parla di un restringimento e della morte per digiuno: lo spazio sembra contrarsi e il corpo si richiude su se stesso


Raphael, il protagonista del romanzo balzachiano, si nega al desiderio nell'intento di tutelare uno spazio di esistenza, di cui è metafora la pelle di asino appunto, e in concreto un'abitazione divenuta ormai una tana in cui rifugiarsi disperatamente


sarà Kafka, ne La Tana, ad offrirci l'estrema e la più straziante esplorazione di questo universo concentrazionario [relativo ai campi di concentramento], fondato su una serie non gerarchica di gallerie destinate a sottrarsi all'Altro


la preoccupazione di tutelare la propria prigione fa sì che occorra porla sotto assedio, reduplicando la prigionia, dal momento che l'identificazione con la tana è totale: "è come se non stessi dinanzi alla mia casa, ma a me stesso, mentre dormo, e avessi la fortuna di dormire profondamente e al tempo stesso di vegliare attentamente su di me"


l'angosciosa tana di Kafka non designa più un qualsiasi spazio crudele all'interno del mondo borghese, ma si pone come atroce metafora esistenziale: siamo tutti, comunque nell'universo della tana


impossibile ignorare la tana, impossibile abitare la tana di cui siamo mentalmente prigionieri, come suoi creatori, incessantemente intenti come siamo a difenderla dall'esterno contro eventuali attacchi

l'attacco temuto, è anche il desiderio più vivo, perché la necessità della difesa motiverebbe la crudeltà e la penetrazione nella tana: "sarei alla fine di nuovo nella mia tana; la mia roccaforte, che non può appartenere in alcun modo a qualcun altro, è mia a tal punto che alla fin fine qui posso tranquillamente ricevere dal mio nemico anche il colpo mortale, perché il mio sangue si spargerebbe nel mio terreno e non andrebbe perduto"


tutto quello che ci è possibile fare è prendere coscienza che noi siamo prigionieri di noi stessi, che noi siamo lo spazio crudele della nostra esistenza




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