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GIACOMO LEOPARDI - VITA - SISTEMA FILOSOFICO LEOPARDIANO

letteratura



GIACOMO LEOPARDI - VITA


Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798, da genitori nobili. Il padre, il conte Monaldo, un letterato erudito, asseconda gli studi del figlio. La sua formazione avviene grazie a precettori privati e si poggia sulla ricchissima biblioteca privata del padre (quindicimila volumi). Nel 1809, all'età di undici anni, Giacomo compone versi poetici, le prime prose, traduce Odi di Orazio. Gli anni che seguono vedono crescere in progressione il numero dei componimenti in Italiano e Latino, le prime Dissertazioni filosofiche, una traduzione in ottave dell'Ars Poetica di Orazio. Tra il 1809 e il 1816 si svolgono "sette anni di studio matto e disperatissimo", anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l'aspetto fisico di Leopardi. In questi anni di studio impara da solo il greco e l'ebraico e acquisisce diffuse conoscenze nelle lingue straniere. L'avvicinamento alla poesia avviene nel 1815. L'anno seguente (1816) è l'anno della conversione letteraria (di passaggio "dall'erudizione al bello"), in cui più distintamente la vocazione alla poesia si fa sentire: compone, tra le altre, la lirica "le Rimembranze". Si va delineando la figura dell'intellettuale moderno. Nel 1817 prende avvio un diario d'eccezione, lo "Zibaldone dei miei pensieri", destinato ad accogliere appunti e riflessioni di vario genere fino al 1832. Ma in quest'anno Leopardi trova anche un grande amico in Pietro Giordani. Dalla immediata e reciproca stima nasceranno una durevole amicizia e una attivissima corrispondenza epistolare fondamentale per la formazione del poeta. Da questa amicizia scaturisce, nel 1818, anche il "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", in difesa della poesia classica. Nel 1819 è colpito da una grave malattia agli occhi, Leopardi medita più volte il suicidio e tenta una fuga da Recanati che viene  però scoperta. Dal 1820 prende avvio il disegno delle Operette morali; la filosofia leopardiana si sta determinando in chiave negativistica e pessimistica, atea e materialista, come si evince anche da alcune note sullo Zibaldone: la "conversione filosofica" si determina nel triennio 1822-1824. Nel 1822 riesce finalmente a raggiungere Roma, che si rivela però una grande delusione (mediocre livello del dibattito letterario). Torna per questo a Recanati. In questi anni compone L'infinito, La sera del dì di festa, Ultimo canto di Saffo. Negli anni seguenti è a Milano (stipendiato dall'editore Sella), poi a Pisa, poi a Firenze e di nuovo, nel 1828, a Recanati, dove compone alcuni canti, detti pisano-recanatesi (La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia). Nel 1830 è a Firenze, dove si innamora di Fanny Targioni Tozzetti, a cui dedica le poesie amorose del ciclo di Aspasia, tra cui Il pensiero dominante e A se stesso. Nel 1836, a Napoli, scrive La ginestra. Muore nel 1837.




SISTEMA FILOSOFICO LEOPARDIANO


Si è a lungo negata la sistematicità del pensiero leopardiano (a causa del persistere di tendenze filosofiche antitetiche - positiviste o idealiste), soltanto dopo la seconda guerra mondiale queste posizione furono generalmente superate. Oggi si corre il rischio diverso di definire Leopardi grande proprio perché aperto e non sistematico. Leopardi stesso definisce la sua indagine speculativa come "sistema teorico". Ciò che è aperto e non certamente rigoroso è il metodo d'analisi e di indagine: la speculazione filosofica ed esistenziale (caratteristica sua propria in quanto essere umano e sociale).

Criteri di funzionalità: rispondenza alle esigenze profonde dell'io e la rispondenza ai caratteri della condizione umana in sé considerata (vero esistenziale dell'io e vero sociale dei molti). Le leggi devono quindi essere valide tanto per il soggetto singolo quanto per la collettività.

Constatazione oggettiva: condizione artificiale dell'uomo d'oggi, meccanismi spietati della società borghese, bisogno di valori e di significato, necessità di una ricerca di nuovi rapporti tra gli uomini.

Della modernità Leopardi conserva tendenza critico-negativa. Inarrestabile forza distruttiva che smaschera i miti della civiltà moderna.

Prima riflessione filosofica (1817-1818): influenza illuministica e rousseauiana. Contrappone la natura alla società poiché ritiene che il progresso civile e scientifico, mostrando agli uomini l'arido vero della condizione sulla terra, distrugge le illusioni che, seppur destinate a non realizzarsi, sono pur sempre fonte di vita e di movimento. In questo senso il mondo classico, con la sua ingenuità, gli appare superiore a quello moderno, troppo cinico e spietato per essere vissuto con innocenza. L'infelicità che Leopardi scorge (primo pessimismo storico) non dipende dalla natura, entità positiva e benefica, produttrice di generose illusioni. L'uomo non è quindi più protetto dalle illusioni che gli facevano credere che la felicità fosse comunque raggiungibile. Il pessimismo non è costitutivo dell'uomo, ontologico ma storicamente determinato dall'avanzare della civiltà. Vi è dunque margine di miglioramento attraverso l'azione eroica e civile.

Tra il 1819 e il 1824 questo sistema "della natura e delle illusioni" crolla; Leopardi misconosce la sua fede cattolica, è deluso da Roma, è deluso dal fallimento dei moti liberali del 1821; aderisce al meccanicismo settecentesco. La causa dell'infelicità umana è indicata nel rapporto tra il bisogno dell'individuo di essere felice e le possibilità di soddisfacimento oggettivo. Teoria del piacere: l'uomo aspira naturalmente al piacere, ma il piacere desiderato è sempre superiore al piacere effettivamente conseguito e conseguibile. Il desiderio è in se stesso illimitato e perciò destinato a non essere soddisfatto. Deluso dagli insufficienti appagamenti reali, l'uomo ne cerca di illusori. Queste riflessioni comportano una ridefinizione del concetto di natura: la responsabilità dell'infelicità umana ricade per intero sulla natura, che determina la tendenza umana al piacere e infonde negli uomini l'amor proprio e il bisogno di felicità, senza poter in alcun modo soddisfare tale bisogno, e anzi facendo della vita umana un insieme di delusioni, sofferenze e noia, con l'unico scopo di procedere verso la morte. La natura è quindi "matrigna". Il pessimismo è quindi cosmico, è la vita stessa ad essere un "perpetuo circuito di produzione e distruzione".

La civiltà, sebbene abbia aiutato l'uomo a prendere coscienza della propria condizione, è tratteggiata negativamente. Ha reso l'uomo più egoista, in una guerra hobbesiana di tutti contro tutti.

A partire dal 1830, giunge ad elaborare lo sviluppo definitivo del suo impianto filosofico: torna in primo piano l'esigenza dell'impegno civile, da cui scaturisce la proposta di una nuova funzione intellettuale (valorizzazione del momento sociale dell'esperienza umana). Proprio a partire da quest'ottica Leopardi esclude come soluzione finale quella del suicidio: l'uomo, per essere tale, deve combattere il suo assurdo destino. Il dolore va vinto con la lotta interiore, con la dignità di sé. Provocherebbe quindi dolore nei superstiti, rendendo loro più insopportabile la vita. Lo sforzo degli esseri umani deve essere rivolto a soccorrersi scambievolmente (sentimento di fraternità sociale). Progetto di civiltà: consapevoli tutti della malvagità del proprio nemico comune (natura), gli uomini si devono alleare per ridurre il proprio dolore (titanismo alfieriano esteso a tutti - democraticismo leopardiano).


LA POETICA


1818: Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Intervento antiromantico: i romantici vogliono trasformare la poesia da reale a ideale, da materiale a metafisica, recidendo il legame tra natura e poesia (unica ragione d'essere della poesia medesima). Leopardi propone una poesia capace di servirsi dei sensi, l'origine di ogni emozione artistica è nel rapporto con la natura, più diretto per gli antichi, artificioso per i moderni. La poesia ha il compito di ristabilire sul piano dell'immaginazione quel rapporto primitivo e diretto (sentiment 848c28i ale) con la natura che agli antichi era aperto. Leopardi riprende la distinzione tra poesia ingenua e sentimentale (diretta e filosofica). Critica della civiltà che nega all'uomo il suo bisogno antropologico di illusione, di immaginazione, di tensione al rapporto con la natura.

Intreccio con la teoria del piacere. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l'uomo può figurarsi piaceri infiniti tramite l'immaginazione. La realtà immaginata costituisce la compensazione, l'alternativa a una realtà vissuta che non è che infelicità e noia. Ciò che stimola l'immaginazione è tutto ciò che è vago, indefinito, ignoto.

Nello Zibaldone Leopardi elenca tutti gli aspetti della realtà sensibile che possiedono questa forza suggestiva. Egli elabora una vera e propria teoria della visione: è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita la vista impedita da un ostacolo, per esempio, una siepe o un albero perché al posto della vista lavora l'immaginazione e il fantastico subentra al reale. Contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che si disperde in lontananza, lo stormire del vento tra le fronde.

Il bello poetico per Leopardi consiste nel vago e nell'indefinito, e si manifesta nelle immagini elencate e nella ricerca di una espressività indeterminata (vocaboli capaci di aprire prospettive polisemiche). Queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene quindi essenziale al sentimento poetico. Poetica dell'indefinito e poetica della rimembranza si fondono: la poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria. La poesia ha una funzione sociale: tenere desti i modi di sentire propri dell'uomo (immaginazione, virtù). Si distanzia dal liberalismo moderato e nella fiducia nell'arte al servizio del progresso propri dell'intellettuale romantico

Fino alla conversione filosofica: fiducia nella poesia come tramite per accrescere la vitalità, provocando sensazioni appassionate (dà voce alla tensione tramite il piacere).

Dal 1823, la crisi del "sistema della natura e delle illusioni" determina un nuovo orientamento di fondo: caratterizzazione negativa della natura e critica alla civiltà implicano il venir meno della fiducia nella poesia. Rifiuto della poesia e adesione a una letteratura tutta volta a distruggere le illusioni (Operette Morali).

Dal 1828 in poi, riprendendo la poesia, rimane comunque la messa in scena di memoria, passioni, desideri personali e collettivi accompagnata da un continuo controcanto riflessivo, un bisogno di ragionare, una esigenza di pensiero (illusioni e critica). Muta la funzione sociale della poesia: stabilire il vero per comunicarlo agli uomini.


NUOVO PROGETTO DI INTELLETTUALE


Egli interpreta il ruolo di scrittore in termini antitradizionali. Rifiuta la concezione dell'arte come produzione di bellezza per il godimento dei fruitori o come nobile esercizio di decoro (rifiuta concezione arcadica e la versione umanistica e conservatrice del classicismo purista); dall'altro lato rifiuta la riduzione della letteratura a un ruolo di servizio subalterno nei confronti di un progetto civile predeterminato (non può essere strumentale alla politica). Rifiuta quindi liberalismo civile romantico.

Scrivere significa esercitare intensamente le prerogative del soggetto individuale, esprimere il mondo concreto ed empirico dell'io determinato (storico, corporeo, attento a riassumere e rappresentare in sé i connotati del genere umano).

Qui emerge impegno civile, volto a demistificare, distruggere i falsi miti della società moderna. Qui sta rapporto contrastante con l'Illuminismo: ne apprezza vena critica-razionalista, ne misconosce fede cieca nel progresso.

Non è legato né alla borghesia liberale, né ad una casta umanistica; la sua è una sfida estrema, il fondamento è nel rapporto tra esistenza e mondo collettivo.

Passaggio finale della Ginestra: associare un esercizio radicale di distruzione con un progetto di rifondazione.


LE LETTERE


931 lettere, da quella scritta nel 1810, firmata "La Befana", a quella dolente indirizzata al padre da Napoli diciotto giorni prima di morire.

Numerosi i destinatari:

il padre: il reazionario Monaldo è lontano anche ideologicamente dal figlio. Incarna un punto di riferimento ambivalente, nel quale Giacomo identifica una possibilità di comprensione e di calore umano e il referente delle proprie rivendicazioni esistenziali.

il fratello Carlo: prevale una ricerca di complicità;

la sorella Paolina: è l'alter ego cui affidare le proprie speranze

dal 1817, Pietro Giordani: decisivo punto di riferimento pubblico e culturale.


LO ZIBALDONE


1817 - 1832. Sorta di diario intellettuale, in cui sono segnati episodi autobiografici e impressioni dirette, appunti da letture, discussioni di posizioni altrui, pensieri di carattere tecnico-filologico e tecnico-linguistico. Sbocco immediato dell'attività intellettuale di Leopardi; gli appunti servono per raccogliere materiali in vista di opere organiche da scrivere, per concentrarsi su una questione filosofica nel tentativo di porvi chiarezza.


LE OPERETTE MORALI

Il 1824 è l'anno delle Operette morali: scrive venti prose satiriche, fantastiche, filosofiche in cui Leopardi parla con ironia dell'infelicità e della tragedia degli uomini. Nel 1825 ne compone un'altra, nel 1827 altre due e due ancora nel 1832. L'edizione definitiva esce postuma nel 1845 con un totale di ventiquattro operette, una in meno esclusa per volontà ultima dell'autore.

La prima concezione delle Operette risale al 1820, quando Leopardi pensava ad un progetto di "dialoghi satirici alla maniera di Luciano" (intorno ai vizi dei grandi, ai principi fondamentali della miseria umana, gli assurdi della politica, la morale, lo spirito del secolo). Il registro è comico per rappresentare un contenuto tragico; contaminazione di generi e forme, a livello macrostrutturale e microstrutturale (all'interno della medesima operetta) - abbassamento comico, straniamento umoristico.

Qui conferisce il nucleo della riflessione filosofica leopardiana: pessimismo, materialismo, critica al moderatismo liberale, allo spiritualismo, al progressismo scientista.

Temi: teoria del piacere, tema della natura e della civiltà, concezione materialista, critica dell'antropocentrismo, mito del progresso.

L'organicità sta nel fine: mostrare il vero, irridere a tutte le sue mistificazioni illusorie e colpevoli, reperire modi di vita adeguati alla consapevolezza del vero (carattere morale).

Pubblico: nel Manzoni era il pubblico borghese, ceto laborioso e onesti a cui doveva essere affidata la costruzione di una società liberale e cristiana; per Leopardi quel medesimo pubblico è il pubblico ingenuo, complice ignaro delle ideologie cattoliche e moderate che egli critica, e gli intellettuali che riforniscono il mercato delle loro ideologie, da cui ricorso all'ironia (le Operette sono morali nella misura in cui si fonda una nuova forma di moralità, che smascheri la morale tradizionale).


La scommessa di Prometeo


30 aprile - 8 maggio 1824


accusa le nefandezze del genere umano distruggendo ogni facile ottimismo;

scommessa che Momo e Prometeo fanno riguarda il valore del genere umano (tribù selvaggia dell'America, società asiatica di cultura antica, Londra - culla civiltà europea);

a qualsiasi livello di civiltà ed in ogni condizione l'uomo è crudele e crea istituzioni crudeli;

ciò che cambia è il quoziente di infelicità che aumenta con il progresso storico (equivalente regresso di civiltà);

cade mito rousseauiano del "buon selvaggio" (bontà originaria dell'uomo) - vanifica ogni ideologia del progresso (l'uomo, buono per natura, realizza attraverso la civiltà il meglio della propria indole).

Condizione naturale - istintiva e quella civilizzata nascondono morte e crudeltà

Contesta provvidenzialismo ottimistico e progressivo


Prometeo: grande ribelle

Momo: dio dell'arguzia satirica. Luciano nell'Ermotimo lo rappresenta come aspro censore dell'opera di Vulcano il quale, per scommessa con Nettuno e Minerva, aveva costruito l'uomo. Momo rimprovera Vulcano di non aver fatto "finestrine sul petto degli uomini" in maniera tale da poterne conoscere in profondità i desideri.


Il collegio delle Muse (nove figlie di Zeuse e di Mnemosyne), protettrici di tutte le arti indice un bando di concorso per la migliore invenzione tra gli dei, premio corona di lauro. Vinsero Bacco - Dop deò vino e dell'ebbrezza - per l'invenzione del vino, Minerva - Dea della Sapienza - per quella dell'olio post-bagno degli dei, e Vulcano  - Dio del fuoco e della lavorazione dei metalli - per quella di una pentola di rame, detta economica, con cui cuocere con guadagno di tempo. Dovendo dividere il premio in tre parti, rimase un ramoscello di lauro ciascuno. Tutti lo rifiutarono (Vulcano per il rischio di bruciarlo stando sempre accanto al fuoco, Minerva poiché sosteneva un peso già troppo grande - elmo, Bacco non volle cambiare la sua corona di pampini). Prometeo si arrabbiò per questi rifiuti (rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, Zeus lo punì incatenandolo sul Caucaso e facendogli divorare il fegato da un'aquila, liberato da Ercole, poté tornare nell'Olimpo) aveva presentato modello di terra con cui fare i primi uomini. Prometeo avrebbe voluto il lauro, forse per difendersi dalle tempeste, non percosso dai fulmini; per nascondere caduta dei capelli.

Un giorno parlando con Momo (personificazione del biasimo e maldicenza). Prometeo sostiene che l'invenzione del genere umano era di gran lunga migliore di tutte le altre. Momo non sembra convinto; fanno scommessa ("uomo più perfetta creatura dell'universo").

Popaian (Colombia): trovano dopo molta fatica un piccolo mucchio di capanne di legno circondate da un recinto, davanti ad una di queste stava un nugolo di persone intorno ad un vaso posto di fronte ad un grande fuoco. Cannibalismo: il capo mangia figli e madre dei suoi figli e uomini di un altro popolo, al di là del fossato. Allontanandosi, impreziosiscono il cibo dei cannibali che perseguitano a mangiare.

Agra (India): giovane donna sta per essere arsa viva (Prometeo richiama alla mente Lucrezia, suicida dopo la violenza recatale dal figlio di Tarquinio il Superbo, Sesto; Virginia, uccisa dal padre perché non cadesse nelle mani di Appio Claudio, Alceste, eroina greca che offrì la propria vita per riscattare quella del marito Admeto): era consuetudine per le vedove.

Impossibile raggiungere perfezione, stato di civiltà, nemmeno per i popoli che si ritengono civili: precarietà della condizione umana, il progresso è frutto solo del caso.

Forse, dice Momo, se si deve parlare di perfezione è proprio perché male e bene coesistono (Plotino e Liebniz - spazio minimo del male).

Uomo morto sul letto con due bambini morti uccisi dal padrone ricco e perbene. Tedio della vita. Nessun animale, eccetto l'uomo, si suicida né uccide i suoi figli.

Prometeo riconosce di avere perso la scommessa.


Ironia: colpisce la mitologia classica, dei hanno stessi vizi dell'uomo. (collegio delle muse (arte) è povero, gli dei hanno bisogno di passatempo, Vulcano vince perché crea pentola economica e rapida e rifiuta il premio per timore che gli dia noia mentre è al lavoro, Bacco vorrebbe usare il lauro per insegna della sua taverna, Prometeo la viole per nascondere la calvizie, premio senza raccomandazioni - al contrario che tra gli uomini)

Ironia nel dialogo con il selvaggio colombiano: distanza tra la virtù a cui allude la domanda e la realtà spietata delle risposte. A Londra il suicida che raccomanda il cane e non i figli.


Dialogo della Natura e di un Islandese


21 - 30 maggio 1824.

Tema nodale della natura.

Crolla ogni residua fiducia o giustificazione nei confronti della natura, considerata come forza spietata e impersonale, indifferente al destino dei viventi e, nei fatti, nemica della loro felicità.

La stessa crudeltà umana è ricondotta alla loro condizione naturale.

Prospettiva provvidenziale rovesciata: tutto concorre, nei fatti, a rendere l'uomo infelice e cattivo

vanita' e stoltezza degli uomini, che procurano infiniti guai

perenne infelicità del genere umano e più in generale di tutte le creature

assoluta indifferenza della natura per la sorte degli uomini e degli altri esseri viventi

meccanica costituzione dell'universo , che è un "perpetuo circuito di produzione e di distruzione"

inconoscibilità del reale  e del fine a cui è diretto l'umano soffrire (problema teologico)


Un islandese mentre va errando per le regioni interne dell'Africa, incontra la natura (statua enorme, a forma di dona seduta col busto ritto e il gomito appoggiato ad una montagna, occhi e capelli neri e fissi). Segue un dialogo, durante il quale l'uomo spiega alla sua interlocutrice come la sua vita sia stata sempre infelice. Infatti, fin dalla prima gioventù si era persuaso della vanità dell'esistenza e della stoltezza degli uomini, i quali si procurano vicendevolmente infiniti mali. Hobbesiana lotta di tutti contro tutti: impossibilità del vivere civile. Ma dalla molestia degli uomini fu facile liberarsi, perché egli si separò dalla loro società e visse in solitudine. Scappa dunque dall'Islanda (Dialogue entre le philosophie et la nature: Natura matrigna, ostile e indifferente alle esigenze dei suoi figli, tormenti agli islandesi: Histoire de Jenni), paese tormentato dal gelo e dal vulcano, inizia una vera peregrinazione per tutta la terra alla ricerca di un luogo che, senza dare piacere al suo corpo, non infligga almeno sofferenza ad esso. I guai tuttavia continuarono ad assisterlo: tempeste spaventevoli di terra e di mare, minacce di vulcani, paura di incendi e altre calamità resero la vita inquieta e tormentata; né valse mutare luoghi e climi. Fino a vecchiaia e morte.

Egli dovette sopportare il caldo, il freddo, le tempeste, i venti, i turbini smodati, le infermità e i tanti pericoli giornalieri, tanto che non si ricorda d'aver passato un giorno solo della vita senza pena. (cataclismi, bestie feroci, climi avversi, malattie)

La natura ha infuso insaziabile avidità di piacere negli umani e nello stesso momento disposto che il piacere fosse nocivo alla sanità del corpo (vizio pericoloso alla salute psico-fisica).

E conclude dicendo alla natura: "tu sei nemica scoperta degli uomini e degli altri animali, e di tutte le opere tue, ora c'insidii, ora ci minacci, ora ci assali , ora ci pungi, ora ci percuoti, ora ci laceri, e sempre o ci offendi, o ci perseguiti; e già mi veggio vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza, cumulo di mali e di miserie gravissime". L'uomo può sfuggire al contendere sociale degli altri uomini, benchè si condanni a una solitudine priva di solidarietà, la natura è ancora più crudele perché non cessa di inseguirlo e condannarlo senza motivo.

Allegoria della villa = vita. Poniamo che qualcuno mi inviti e poi mi tratti male: direi: anche se non hai fatto la villa per me, potevi anche non invitarmi. Se mi hai invitato, significa che lo hai fatto appositamente per nuocermi.

Di fronte a queste accuse la natura rimane impassibilmente fredda, precisando all'ingenuo islandese che il mondo non è stato fatto per la specie umana e che essa ha mirato sempre "a tutt'altro che alla felicità degli uomini o all'infelicità"; la sua indifferenza per la sorte dell'umanità è tale che, se anche le capitasse di estinguere tutta la specie umana, ella non se n'accorgerebbe neppure, essendo unicamente occupata a mantenere inalterato quel "perpetuo circuito di produzione e di distruzione", che è la vita stessa dell'universo. Meccanicismo deterministico. Logica materiale.

L'ultima domanda dell'islandese (a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose?) non trova risposta. Domanda che il pastore del canto notturno rivolgerà alla luna)

Mentre così ragionano, giungono due leoni magri ed affamati, che hanno appena la forza di mangiarsi l'islandese: così possono tenersi in vita per quel giorno.

Alcuni invece dicono che un fortissimo vento, levatosi all'improvviso, stese a terra l'islandese e lo seppellì sotto un cumulo di sabbia, dove più tardi fu trovato mummificato e posto in un museo di non so quale città d'Europa.


islandese: uomo comune, punto di vista medio e oggettivo, fondato sull'esperienza diretta. Concezione filosofica leopardiana: bisogno antropologico ed esistenziale, non oggetto di speculazione intellettuale.

Materialismo di Leopardi: ricerca di senso rimane insoddisfatta, acuta - bisogno di significato (non semplice meccanicismo settecentesco). Insensatezza e indifferenza: nella logica materialista, al di là di essa.

Punto di approdo da pessimismo sensistico-esistenzale a pessimismo radicalmente materialistico e cosmico, dalla concezione di una natura benefica e provvidente a quella di una natura nemica e persecutrice.

Prima infelicità con radice psicologico-esistenziale (aspirazione ad un piacere infinito e impossibilità di raggiungerlo); qui l'infelicità è fatta dipendere materialisticamente dai mali esterni, fisici, a cui l'uomo non può sfuggire.

Infelicità non psicologica ma materiale e quindi universale, leggi stesse del mondo fisico.

Dolore distruzione morte elementi fondamentali, insiti nell'ordine della natura.

Distruzione è indispensabile ("ciclo di produzione e distruzione") alla conservazione del mondo.


Dialogo di Tristano e di un amico



Amico: ambiente cattolico moderato fiorentino.

Tecnica della ritrattazione di Tristano (palinodia)

Rabbia di Leopardi di fronte all'800 troppo ottimisticamente facile. Secolo distratto dal progresso e dal cattolicesimo spiritualista e ottimista. I cattolici non hanno ragionato sulle motivazioni della infelicità, l'hanno semplicemente rifiutata.

800: semplifica problema ontololgico

Progresso fasullo, porta all'infelicità umana

Decadenza dei modelli antichi, abbassamento generale livello cultura, viltà degli uomini che vogliono credere che la vita sia bella e desiderabile


Tristano rappresenta Leopardi a colloquio con un amico. L'operetta è di stampo ironico. L'amico commenta l'ultima opera dello scrittore intrisa di infelicità come tutte le altre e con sorpresa apprende che Tristano dopo quello scritto ha cambiato opinione. Egli infatti finge di ritirare le sue concezioni pessimistiche sulla infelicità umana e di abbracciare le opinioni ottimistiche del suo tempo. Avevo sbagliato tutto, dice, la felicità esiste. Era colpa della mia infermità (anormalità dell'artista). "pochezza mentale e volgarità": accuse contro di lui, imputano i suoi ragionamenti, considerati erronei, alle sue malattie e non al suo proprio intelletto.

Poi però prosegue: il genere umano non vuol credere alla verità, ma solo a quello in cui gli fa comodo credere, non vuole vedere la realtà, preferisce vedere quello che gli piace. Gli uomini sono come i mariti che pensano alla propria moglie come fedele.

Quando si è costretti a vivere in un paese è meglio credere che quello sia il paese più bello del mondo. Quando si vuol vivere, è meglio pensare che la vita sia bellissima.

L'uomo non crederà mai di non sapere nulla, di non essere nulla, di non avere nulla a sperare. Lui continuerà a "mirare intrepidamente il deserto della vita". Gli uomini sono sempre pronti a rivolgersi alla fortuna, a consolarsi di qualunque sventura, ad accettare qualunque compenso per ciò che hanno perduto, ad adattarsi a qualunque condizione, anche la più ingiusta e barbara.

L'ironia però non è tenuta in continuità. Per lunghi tratti Leopardi l'abbandona per far posto alla polemica diretta. Non vuole confondere il suo animo con quello vile, debole e ignobile dell'uomo del suo tempo e dichiara il suo coraggio di guardare in faccia la realtà, di vedere e accettare tutto il dolore umano, rifiutando ogni puerile inganno. "Se Salomone, Omero e i filosofi più antichi condividono il mio pensiero sulla crudeltà del destino umano, non sono io lo stupido, ma gli uomini del mio tempo." Ed è proprio polemica contro un secolo al quale Leopardi si sente estraneo e del quale disprezza tutte le tendenze. E' il decadimento dei moderni rispetto agli antichi che non cessa di ammirare, ed è decadenza non solo morale e intellettuale, ma anche fisica per la moderna educazione che mortifica il corpo. E' l'abbassamento del livello culturale, è la mediocrità dominante che impedisce ai grandi animi di emergere e soprattutto è la viltà degli uomini che vogliono credere che la vita sia bella e non hanno il coraggio di ammettere di non sapere nulla di non essere nulla e di non avere niente da sperare.

Ritorna a criticare le sue proprie teorie.

Obiettivo sempre critica :Crede invece in tutto ciò in cui crede il secolo decimonono perfettibilità indefinita dell'uomo (cieca fiducia nel progresso).

Gli antichi erano migliori di noi sia a livello di individui, sia a livello di masse (leggiadrissima parola moderna). Ad ogni modo, "credo costantemente che la specie umana vada sempre acquistando".

Crescendo progressivo dei lumi: sì, ma credo che mentre cresce la volontà di imparare, diminuisce quella di studiare (cultura vuota, erudita).

L'amico quasi si accorge che si sta burlando di lui e della sua cultura "dei giornali". I processi di massificazione stanno indebolendo il peso delle intelligenze individuali.

Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi: anche sotto un punto di vista culturale, letterario, intellettuale, libri che non valgono. Adesso si è nulli (vuoto conoscitivo delle masse anonime), nemmeno mediocri (livello medio di conoscenza e cultura).

Nell'ultima parte Leopardi concentra il discorso sulla propria assoluta infelicità. L'operetta si conclude con un'invocazione alla morte unica liberatrice della sofferenza umana.


Dialogo di Plotino e di Porfirio


Viene affrontata compiutamente la questione del suicidio. Plotino si è reso conto che l'amico ha intenzione di suicidarsi e tenta di dissuaderlo. Discorrendo della vita, i due convengono in un giudizio radicalmente negativo: solamente la noia dà il senso reale dell'esistenza umana e della sua insensatezza. Plotino adduce argomenti classici contro il suicidio, ma Porfirio li smonta uno a uno (nega che il suicidio sia contro natura, dato che la natura è la condizione stessa dell'uomo, creato con un bisogno inesauribile di felicità e destinato senza possibile eccezione a essere infelice). Plotino alla fine dice che il suicidio accresce l'infelicità dei viventi, provocando un enorme aumento di dolore nelle persone care (argomentazioni sociali). Si delinea così la natura sociale della morale leopardiana: proprio perché vivere è un male, il dovere degli uomini è di collaborare insieme per rendere più sopportabile la vita.


I CANTI


La prima edizione dei Canti (1831) conteneva 23 testi, la seconda (1835) ne conteneva 39, quella definitiva, del 1845, ne conteneva 41. I Canti, a differenza del Canzoniere petrarchesco, non definiscono una vicenda narrativa.

I Canti si articolano in tre sezioni: una prima fase (1818-22) che vede nascere le canzoni civili e gli dilli, una seconda fase (1828-30), quella dei nuovi canti pisano-recanatesi, e una terza fase (1831-1837), corrispondente ad una nuova poetica (ciclo di Aspasia, le canzoni sepolcrali e componimenti impegnati).


La scelta della canzone come forma metrica mostra la concezione leopardiana della poesia come canto, ma, soprattutto, è dettata dalla sua completa estraneità alla tradizione romantica, dalla quale il poeta tenta sempre di distaccarsi. Rifiuta la tradizione cristiana e il conservatorismo reazionario del padre, ha bisogno di un nuove orizzonte di valori.

Lavora in due direzioni:

le canzoni civili, come All'Italia e Ad Angelo Mai (poesia impegnata, ricorrendo alla struttura tradizionale della canzone petrarchesca e impiegando un linguaggio fortemente letterario - meno legata al metro) - fanno parte di questo gruppo le canzoni del suicidio (L'Ultimo canto di Saffo ed il Bruto Minore). In esse troviamo il tema del suicidio, inteso come estrema protesta dell'uomo contro il destino insensibile. Questo rende possibile trovare del titanismo in questi componimenti: il coraggio dimostrato dai due suicidi è qualcosa che li eleva e nobilita;

gli idilli, in cui sperimenta una poesia più modernamente lirica, di tipo sentimentale, con una selezione linguistica più intima e concentrata, sintomatica di una coscienza drammatica consapevole della propria condizione di uomo moderno, della natura storica della propria infelicità. Occorre differenziare l'idillio leopardiano da quello classico. Mentre il secondo è un breve componimento in cui compare il paesaggio campestre, l'idillio di Leopardi è caratterizzato da un paesaggio che non è solo sfondo, ma consente l'illuminazione del poeta sul passato e rappresenta lo specchio degli suoi stati d'animo. È reso esplicito un bisogno di interrogazione e riflessione filosofica e speculativa. Caratteristico degli idilli leopardiani è l'uso degli endecasillabi sciolti, metro inconsueto per dei componimenti brevi e dal carattere introspettivo. Allo stesso modo, particolare è la loro struttura: essi si aprono sempre con una parte descrittiva visiva, seguita da una uditiva e visiva assieme, e si chiudono con una parte riflessiva, che assume valore universale. Appartengono a questo gruppo: L'Infinito, La sera del dì di festa.

Esemplare è l'Infinito (1819), in cui compare una situazione che può ricordare l'idillio classico, ma non è lo scenario di una semplice quiete contemplativa e rasserenante, ma lo spunto per una meditazione lirica sull'idea di infinito nata dall'immaginazione, a partire da sensazioni visive e uditive.

Argomento: vv. 1-3: Indicazione, ma non descrizione, di uno spazio concreto (l'area delimitata dalla siepe) e di un'abitudine personale (consuetudine di salire sul colle e stato d'animo).

vv. 4-8: Astrazione e visione mentale dello spazio. Non è un'azione definita, ma una durata evidenziata dai gerundi "sedendo e mirando".

vv. 8-13: Il minimo evento dello "stormir tra queste piante" segna il passaggio dall'immaginazione spaziale a quella temporale. Il poeta instaura una contrapposizione tra concreto e presente, e spazio e tempo immaginati dal pensiero.

vv. 13-15: Il pensiero si smarrisce generando piacere.

Idillio significa, in greco, piccolo quadro/immagine. Nell'antica Grecia rappresentava, in maniera più o meno realistica, piccole scene campestri, spesso di vita pastorale, e aveva come scopo quello di valorizzare il contatto con la natura. Questo genere poetico viene ripreso nell'Umanesimo e durerà sino all'Arcadia settecentesca, ma i suoi contenuti di vita saranno poco significativi. Nel Leopardi invece l'idillio, pur partendo sempre dalla contemplazione della natura, esprime gli stati d'animo più profondi del poeta. La descrizione della natura è più che altro un pretesto per parlare di ciò che il poeta "sente". L'infinito è forse la lirica più riuscita perché è priva di quell'amarezza, al limite del risentimento, nei confronti dell'ambiente di Recanati, che molto spesso si riscontra nella vasta produzione letteraria del Leopardi. Anzi, è proprio la particolare valorizzazione del "limite" ambientale (l'ermo colle, la siepe) che rende grande questa lirica. Grazie infatti a questa nuova percezione del "limite" (che da "assoluto" diventa "relativo"), il poeta riesce a porsi, con la fantasia/immaginazione/pensiero, aldilà di esso, dal punto di vista dell'illimitato/eterno/infinito/assoluto.

In questo "sognare" aldilà del limite il poeta trova una certa consolazione. Anche se è sempre una consolazione individualistica, tutta interiore, frutto della pura immaginazione, utile a compensare la mancanza di rapporti socio-culturali stimolanti.

La parte più significativa del canto è quella relativa alla percezione sintetica e globale del tempo storico. Il poeta cioè, con l'immaginazione, riesce per un attimo a individuare l'orizzonte della totalità (infinita) che racchiude passato-presente-futuro.

Tuttavia, in questa percezione della totalità il poeta non fa distinzione tra i tempi storici, in quanto tutto gli sembra uguale e informe, troppo vasto e profondo perché l'uomo riesca a padroneggiarlo. L'immensità sovrasta le forze del poeta, per cui la conclusione è pessimistica: non l'azione ma la contemplazione della vanità delle cose, l'oblìo, il "naufragio", la coscienza dell'illusorietà di una vita attiva.

La sera del dì di festa (1820) prende l'avvio da un notturno lunare, ma poi trapassa ad una confessione disperata dell'infelicità e dell'esclusione dalla vita patite dal poeta, per approdare ad una vasta meditazione sul tempo che cancella ogni traccia umana.

1bis. 1823-1827: fase di passaggio: Leopardi si dedica alle Operette morali (ragioni ideologiche - caduta del sistema della natura e delle illusioni, ragioni esistenziali - crisi di sensibilità e abbandono immaginativo).

2. 1828-1830: i canti pisano recanatesi

Dopo aver scritto le Operette Morali, Leopardi è ormai conscio del destino umano, del senso della vita, di come il passare del tempo distrugga ogni speranza. Questa consapevolezza profonda della realtà è una delle cose che più differenzia i canti pisano-recanatesi dagli idilli. Inoltre i canti pisano-recanatesi (definiti Grandi Idilli dal De Sanctis) vedono una rinnovata facoltà mitopoietica della poesia leopardiana, insieme ad una nuova interpretazione della memoria, intesa come filtro che purifica il passato dell'uomo da ogni traccia di dolore, sublimando le situazioni. Altra non marginale differenza è data dalla rinnovata soluzione metrica: la canzone libera, cioè senza uno schema strofico fisso, e caratterizzata da una libera alternanza di endecasillabi sciolti e settenari, con poche rime.

Fanno parte di questo gruppo: A Silvia, La quiete dopo la Tempesta, Il Sabato del villaggio, Il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

A Silvia

Composta nel 1828, è il primo esempio di canzone libera (libertà del metro e delle rime). Questo Idillio nasce da un ricordo personale, vero; infatti Silvia è la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovane di tisi. Ma il canto poi si allontana da questa realtà e Silvia oltre ad essere la figura di una giovinetta che muore giovane, è pure simbolo delle speranze e delle delusioni di Leopardi, simbolo delle illusioni proprie di un destino generale dell'uomo, inesorabilmente votato al dolore e all'infelicità. Questo canto non è una poesia d'amore, perché in Silvia Leopardi vede la sua vita di speranze e delusioni. Il paesaggio, più che descrizione, serve ad esprimere gli stati d'animo, i sentimenti.

Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: "Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?". Forza e urgenza nell'interrogazione corrispondono ad una richiesta radicale di senso, rivolta al paesaggio naturale nel suo simbolo più suggestivo, la luna. La modernità sta nell'interrogare la luna, non nel dialogare con lei, perché ci si sente abbandonati ad una condizione di solitudine, senza più un conforto derivante dalla corrispondenza intima tra emozioni e natura. È moderno anche il fatto che la luna non risponda e che Leopardi la interroghi sapendo che essa è muta e silenziosa. Egli rifiuta quindi, seppure in una prospettiva di crisi, qualsiasi scatto volontaristico o fideistico che risarcisca o consoli. Egli si rifiuta anche di arrendersi davanti alla minaccia dell'insensatezza e della crisi dei valori (non abbraccia il nichilismo). Resta fermo il bisogno di significato; la crisi quindi accresce le responsabilità dell'uomo, imponendogli di dare un senso ad un mondo che non ne ha. Elabora quindi in questo una suggestiva proposta di civiltà e di cultura (del vivere e del pensare).

Il Passero Solitario

In questo Idillio vi è il motivo della solitudine, perché Leopardi anche se vede gli altri giovani felici, non riesce a partecipare e si isola; il solitario uccellino è simbolo della solitudine di Leopardi. In questo Idillio anche se ci sono immagini familiari c'è sempre qualcosa di impreciso che va al di là del paesaggio stesso, difatti in Leopardi vi sono due aspetti: quello della chiarezza e semplicità dei paesaggi e quello di mondi lontani, misteriosi. È scritto dal punto di vista della giovinezza, presagendo il rimpianto vano degli anni maturi. Numerose somiglianze: amore della solitudine, propensione al canto, rifiuto dei piaceri della primavera. Ma se il passero, guidato da un inconsapevole istinto naturale, non rimpiangerà, trascorsa la primavera e la giovinezza, di aver sprecato il tempo migliore senza goderne, il poeta si rivolgerà indietro con continuo rimpianto.

La quiete dopo la tempesta

Qui abbiamo il motivo del piacere, figlio d'affanno di cui già Leopardi aveva parlato nello Zibaldone, cioè il piacere negli uomini non è veramente piacere, è soprattutto una privazione, una diminuzione del dolore. In questo Idillio abbiamo due parti: la prima è gioiosa, descrittiva; la seconda è triste e riflessiva. Nella prima abbiamo la festa e nella seconda il piacere figlio d'affanno. Le due parti non sono separate, perché già nella prima, dove il poeta sente le gioie e pensa subito che durano poco, la tempesta e la quiete rappresentano il dolore e la gioia umana. Anche se vi è scritta la realtà quotidiana come gli uccelli che cantano, l'artigiano che lavora, non si può solo parlare di realismo perchè c'è sempre qualcosa che va al di là della realtà.

Il Sabato del villaggio

Canto delle illusioni, questo Idillio parla di come si trascorre un sabato di un paese, Recanati, ma è anche simbolo dell'attesa della festa e della felicità nella vita. Infatti il motivo principale è la gioiosa attesa (della festa), anche se vi è sempre un velo di malinconia, perché Leopardi sa che tutto nella vita dura poco. Concludendo, Leopardi vuole dire che la vera gioia è nell'attesa, nel sabato, perché la festa ci lascia delusi in quanto pensiamo già al giorno dopo in cui dobbiamo lavorare: tutto ciò è simbolo della felicità che non esiste, ma esiste solo l'attesa della felicità, però Leopardi dice questo in modo sereno.
3. 1831-1837:

L'ultima stagione leopardiana segna una svolta di grande rilievo rispetto alla poesia precedente. Presupposto filosofico della scrittura poetica di Leopardi resta sempre quel pessimismo assoluto, a cui era approdato tra il '24 e il '25. Ma, dopo il distacco rassegnato e ironico della fase delle Operette, dopo il ripiegamento sull'io e il recupero dell'età giovanile proprio dei canti pisano-recanatesi, Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini e i problemi del suo tempo. Non solo, ma appare più orgoglioso e pronto a combattere nel diffondere le sue idee, nel contrapporle polemicamente alle tendenze dominanti dell'epoca. L'apertura si verifica anche sul piano umano. Nasce a Firenze la prima vera esperienza amorosa di Leopardi con Fanny Targioni Tozzetti. La delusione cocente subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell'«inganno estremo», che aveva creduto eterno: l'amore. Dalla passione e dalla delusione nasce il "ciclo di Aspasia". Il ciclo è costituito da cinque componimenti, tra cui Il pensiero dominante e A se stesso. Si tratta di una poesia profondamente nuova, lontanissima da quella idillica: si ha una poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili, fatta di puro pensiero; vi compaiono atteggiamenti energici, eroici; il linguaggio si fa aspro, antimusicale, la sintassi complessa e spezzata. Si abbraccia quindi la canzone libera, si abbandona ogni effusione lirica e di abbandono sentimentale.

In questo periodo si instaura un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo. E' una nuova forma di impegno, negativo e polemico. La critica leopardiana si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento della vita umana grazie ad esso; si scaglia inoltre contro le tendenze di tipo spiritualistico e neocattolico che inneggiano al posto privilegiato destinato da Dio all'uomo nel cosmo. A queste ideologie Leopardi contrappone le proprie ideologie pessimistiche che escludono ogni miglioramento della condizione umana, essendo l'infelicità e la sofferenza dati immutabili ed eterni. Allo spiritualismo di tipo religioso, che cerca consolazione nell'aldilà, egli contrappone il suo duro materialismo che esclude ogni speranza in un'altra vita.

A se stesso

Momento della disillusione: invito disperato alla propria interiorità e a non illudersi più.

Una svolta essenziale si presenta con la Ginestra (1836), il testamento spirituale di Leopardi, la lirica che idealmente chiude il suo percorso poetico. Il componimento ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa, ma qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: la consapevolezza della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi per combattere la sua minaccia; e questo legame può far cessare le sopraffazioni e le ingiustizia della società. La filosofia di Leopardi si apre qui ad una generosa utopia, basata sulla solidarietà fraterna degli uomini, che nasce a sua volta dalla diffusione del «vero».

Gli aspetti principali sono: il paesaggio deserto del Vesuvio, la Ginestra, fiore gentile che col suo profumo consola il deserto, pronta a morire rassegnata senza viltà; si parla pure della stupida superbia degli uomini che hanno paura di conoscere la loro vera situazione mentre vi sono gli uomini forti che come il Leopardi accettano la triste realtà e condannano il secolo ottocento che crede nelle illusioni; la natura matrigna e l'eruzione del Vesuvio, la fratellanza degli uomini che, essendo tutti infelici, dovrebbero unirsi contro la natura. La critica moderna ha parlato soprattutto del motivo più importante, quello della fratellanza degli uomini che è un motivo sociale.

Il paesaggio desolato è il luogo simbolo della condizione umana sulla terra e consente di smentire ogni facile ottimismo consolatorio. Contro il pensiero servo dominante gli anni della Restaurazione, Leopardi rivendica la dignità del proprio andare controcorrente, e il dovere di denunciare la infelicità costitutiva della condizione umana.

Crede in una futura umanità liberata da tutte le fuorvianti mitologie consolatorie della religione e del progresso tecnico-scientifico. L'umile ginestra attende sulle pendici del vulcano la distruzione imminente o possibile senza cercare risarcimento in illusorie prospettive di durata, è pronta a piegarsi sotto la lava senza inchinarsi con viltà davanti al destino né elevarsi con un orgoglio ingiustificato.


DOPO IL 1848: CONTESTO STORICO


Il periodo qui considerato vede il passaggio in Europa da una borghesia liberista a una imperialista.

1849-1873: forte sviluppo economico promosso da una borghesia fedele ai principi del liberismo e sostenitrice dei principi del libero scambio e della libera concorrenza, senza controlli statali. Questo tipo di borghesia entra in crisi con la grande depressione (1873-1896). L'economia europea tenta di uscire dalla depressione con una politica economica antiliberista e imperialistica: si formano le grandi concentrazioni industriali monopolistiche che limitano la libera concorrenza; lo Stato interviene nell'economia assumendo la protezione delle aziende, espansione colonialistica. La nuova borghesia imperialista è fortemente aggressiva all'esterno e autoritaria all'interno. L'imperialismo costituisce la base dello sviluppo economico: può prendere avvio, a cavallo dei due secoli, la seconda rivoluzione industriale.


TENDENZE LETTERARIE E RUOLO DELL'INTELLETTUALE


Flaubert e Baudelaire anticipano in Francia le tendenze che pochi anni dopo si impongono con il Naturalismo e il Simbolismo, mentre in Italia le posizioni vengono accolte e propagandate dal movimento della Scapigliatura, che si sviluppa a Milano dopo l'Unità.

Nel Naturalismo viene meno la partecipazione romantica ai destini della società: lo scrittore diventa uno specialista che osserva in modo distaccato e neutrale i meccanismi sociali, limitandosi a descriverli. In Italia il periodo del Naturalismo va dal 1878 al 1890. Il termine N. è dovuto alla concezione deterministica che ispira questa poetica: l'uomo è determinato dalla natura (istinti, bisogni materiali e dall'ambiente in cui vive). Si sente l'influenza del positivismo filosofico e del darwinismo sociale.

Nelle società a capitalismo avanzato il poeta e l'artista diventa parte della folla. Subisce un processo di massificazione, perde la propria funzione privilegiata di fondatore e distributore di ideologia e di miti capaci di orientare l'opinione pubblica. Verga, nella prefazione a Eva, dice che l'arte ha perso la sua centralità n un mondo in cui contano solo le banche e le imprese industriali. Borghesizzazione del ruolo che costringe l'intellettuale a vendere sul mercato i prodotti del proprio lavoro e che trasforma l'arte in merce: perdita dell'aura da parte dell'arte e aureola da parte dello scrittore: perdita di sacralità e d'incanto (Baudelaire). Figura del poeta è parallela a quella della prostituta; l'arte, per vendersi sul mercato, deve esibirsi in pubblico, sedurlo con tecniche artificiali che fingono naturalezza (clown).

Scapigliatura: movimento letterario e artistico italiano sorto, dopo la proclamazione del Regno d'Italia (1861), in Lombardia, in particolare a Milano, e in Piemonte. Il termine "scapigliatura" deriva dal titolo di un romanzo di Cletto Arrighi, La scapigliatura e il 6 febbraio (1862), che racconta un fatto storico, la fallita sollevazione mazziniana di Milano del 1853. Nel romanzo il termine "Scapigliatura" designa un gruppo di giovani patrioti anticonformisti e amanti dell'arte. La Scapigliatura prende atto che la caduta dell'aureola determina una linea netta di frattura rispetto all'età romantica, quando l'intellettuale aveva un ruolo naturalmente protagonistico e una funzione ideologica predominante. L'intellettuale romantico era il rappresentante organico della classe media borghese che guidava il processo unitario. Dopo l'Unità il ruolo dell'intellettuale entra in crisi e l'opinione pubblica guarda con diffidenza alla figura dell'artista considerato uno scioperato che non si adegua alle esigenze produttive della società. Il Naturalismo in Francia e il Verismo in Italia nascono dal tentativo di riqualificare la figura dell'intellettuale trasformandolo in tecnico scientifico della letteratura.

La Scapigliatura è movimento di avanguardia nella misura in cui esprime: ribellismo giovanile tramite forme di vita sregolata e maledetta, protesta antiborghese ed anticonformista, identificazione del mercato come un'insidia e del pubblico come un nemico, il rifiuto della tradizione. Non accettano il manzonismo dominante, rifiutandone gli atteggiamenti paternalistici e pedagogici.

Realismo: antiromantico (sulla tradizione realista romantica di Balzac, in cui ampio rilievo aveva la soggettività, che tende alla partecipazione, narrazione attraverso la riconduzione di ogni dettaglio all'interno di un disegno complessivo); si caratterizza per una descrizione oggettiva, che esclude il commento esplicito dell'autore e la manifestazione dei sentimenti; la descrizione è scientifica, valorizzazione dei dettagli descritti in quanto tali.

La tendenza alla tradizione realistica continua nei paesi in cui lo sviluppo capitalistico è più arretrato: di qui il realismo ancora romantico di Tolstoj.

1857: in Francia esce Madame Bovary di Flaubert, un'opera antiromantica sul piano ideologico e letterario (lo stile è rigorosamente antisoggettivo - viene teorizzata per la prima volta l'impersonalità, l'impassibilità - rappresentazione oggettiva della realtà). Nel 1865 con Germinie Lacertaux dei fratelli Goncourt nasce il Naturalismo.

Il Verismo è il movimento letterario sorto in Italia nell'ultimo trentennio del XIX secolo. Il termine "verismo" viene impiegato specificamente per indicare la narrativa orientata verso il modello del naturalismo francese. I veristi sono scrittori che raccontano in modo distaccato, senza attivare processi d'identificazione tra il lettore e la materia narrata e quindi senza giocare sul transfert narrativo. È questo uno dei modi di applicare il principio dell'impersonalità. Un altro modo di garantire il distacco da parte dall'autore (ma, in prospettiva, anche del lettore) è quello di non proporre il mondo narrato come un modello o come carico di valori, bensì di presentarlo come se si trattasse di un reperto scientifico. L'applicazione del canone dell'impersonalità favorì l'elaborazione di alcune tecniche espressive come il dialogo o il discorso indiretto libero (Verga). Il verismo fa propria la concezione deterministica e la teoria della necessità di muovere dai livelli bassi della scala sociale per risalire a quelli più elevati (ciclo dei Vinti, cinque romanzi, che muovendo dalla rappresentazione popolare, giungessero a quella delle sfere più elevate). Rispetto al naturalismo francese, attribuisce molto minor peso all'impegno sociale implicito nella rappresentazione (si consideri che i veristi italiani, tra cui Verga, sono proprietari terrieri del Sud, legati a posizioni conservatrici e reazionarie).


GIOVANNI VERGA - BIOGRAFIA


Nacque a Catania nel 1840, da una ricca famiglia di proprietari terrieri, fu educato ai valori romantico-risorgimentali. Dopo un primo soggiorno fiorentino nel 1865, Verga si stabilì nel 1869 a Firenze dove risiedette fino al 1872. Alla fine del 1872 si trasferì a Milano, dove restò fino al 1893. Qui Verga frequenta salotti letterari e caffè e aderisce all'ambiente della scapigliatura. A Milano matura l'adesione al Naturalismo e la nascita del Verismo.

Nel 1856 scrive Amore e Patria e altri romanzi ancora romantici; il passaggio dalla preistoria alla storia dell'arte verghiana avviene con il primo romanzo fiorentino, del 1871, Storia di una capinera (storia intima e di denuncia sociale di una giovane ragazza costretta alla monacazione coatta, vicenda interiore e esistenziale). Tra il 1873 e il 1875 scrive tre romanzi sentimentali: Eva, Tigre reale ed Eros. Nel 1874 scisse Nedda, prima novella da cui emergono tematiche siciliane. La protagonista è un'umile contadina che si guadagna da vivere raccogliendo olive. Prevale la narrazione dei fatti e delle azioni rispetto all'analisi psicologica; la voce dell'autore è interna alla storia (narratore onnisciente).

Alla fine del 1877 si colloca la conversione verista di Verga. Con Luigi Capuana, arrivato a Milano, formano un gruppo di narratori che si propongono di creare il "romanzo moderno". Il primo racconto naturalista o verista di Verga è Rosso Malpelo (1878). Scrisse una raccolta di novelle, Vita dei campi 1880 (approfondisce la vita del mondo contadino siciliano), e il romanzo I Malavoglia, il primo romanzo del progettato ciclo dei Vinti (1881). Nel 1883 scrive Novelle Rusticane, tutti i personaggi appaiono dominati esclusivamente dall'interesse egoistico per la roba (legge economica del capitaliso). Nel 1889 compone Mastro don Gesualdo (1889). In politica segue la Destra storica, che propone un'alternativa agraria al grande capitalismo. Nel 1893 torna a Catania e cerca di lavorare al teatro, approntando per le scene La lupa e dopo qualche anno scrivendo il dramma Dal mio al tuo (1903). Nel 1920 è nominato senatore. Muore a Catania nel 1922.


L'IDEOLOGIA


Pur vivendo in un ambiente borghese e positivistico della società milanese, Verga trovò nel darwinismo la conferma della sua versione pessimistica e conservatrice della vita. Infatti, la vita gli appare una lotta impari contro il destino, poiché la lotta coinvolge tutte le classi sociali, e con la conseguente sconfitta del singolo che tenta di elevarsi moralmente e socialmente. Idea del progresso in Verga: è un positivista e quindi non nega il progresso, ma è pessimista. Vede l'umanità "in cammino" e ammette che esso è "grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano". Visto da lontano, il cammino dell'umanità giustifica i delitti, le ingiustizie, i soprusi. La marcia dell'umanità è concepita come un'evoluzione basata sulla selezione naturale e sulla lotta per la vita, in cui ognuno segue solo il proprio benessere materiale. La somma degli egoismi particolari costituisce la luce gloriosa del progresso.


LA POETICA


La conversione verista consentì a Verga di trovare il canone artistico adatto a esporre la sua poetica, evidenziando la sua impersonalità e rappresentando, con la scientificità, la lotta per la sopravvivenza che confermava la sua visione pessimistica della vita. Il confronto e il contrasto tra la "realtà" delle plebi siciliane e la "falsità" del mondo cittadino portò Verga a scoprire il mondo degli umili e dei vinti, poiché si evidenziava il meccanismo deterministico della lotta per la sopravvivenza.

Il punto di vista narrativo rigorosamente dal basso coincide con quello dei personaggi. L'autore non manifesta i propri sentimenti e le proprie ideologie e assume l'ottica narrativa e l'orizzonte culturale dei suoi stessi personaggi.

L'impersonalità: In Nedda e Rosso Malpelo il protagonista è sempre vittima, ma a diversificare i due racconti è la forma. In Nedda il narratore è onnisciente, cioè interviene a cambiare la vicenda e a prendere le parti della protagonista. Invece in Rosso Malpelo, il narratore coincide con il personaggio popolare che racconta la vicenda ( narratore interno). Infatti, il racconto comincia: "Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di reiscire un fior di birbone".

Lo straniamento e l'artificio di regressione. Lo straniamento mostra come strano un fenomeno normale, presentandolo da un'ottica inedita. Quindi il punto di vista dell'autore non coincide con il punto di vista del narratore, né con quello del lettore. Lo straniamento si collega all'artificio della regressione: l'autore, persona colta, regredisce nel punto di vista di una persona ignorante. Così non è l'autore, ma una voce narrante ignorante e superstiziosa a fare osservazioni sulla storia (Malpelo: era cattivo perché aveva i capelli rossi). Si sostiene una tesi (Rosso Malpelo è cattivo) ma si fa capire l'esatto opposto. Il lettore è così portato a capire il vero punto di vista dell'autore e ad assumere una prospettiva critica nei confronti del narratore che interpreta in modo malevolo il comportamento del personaggio.

Le coraggiose scelte narrative di Verga verista nascono da una crisi storica: il protagonismo culturale e ideologico degli intellettuali, tipico dell'età romantica, si rivela impossibile nella nuova Italia dominata dall'interesse economico e dal potere delle banche e delle imprese industriale. Occorre rinunciarvi e limitarsi al compito di documentazione oggettiva e scientifica: Verismo e impersonalità. Se in un primo tempo crede ancora possibile un'alternativa arcaico-rurale alla Sicilia, approda poi ad un pessimismo materialistico che constata ovunque il trionfo dell'interesse e della roba.

Adesione al Verismo e il ciclo dei "Vinti":

nel 1877 esce il capolavoro del naturalismo francese L'assomomoir di Zola; Capuana va a vivere a Milano insieme a Verga, Sacchetti e Cameroni: intendono fondare il romanzo moderno; questione meridionale: Inchiesta in Sicilia (Franchetti e Sonnino).

Impostazione di tipo positivistico (parte dal presupposto che la verità è oggettiva e scientifica), materialistico (il comportamento umano è assimilato a quello di ogni altro animale e viene visto in dipendenza dall'egoismo individuale) e deterministico (nega la libertà del soggetto, il quale è sempre determinato dall'ambiente in cui vive, dalle leggi economiche).

Poetica antiromantica: esclude l'idealismo romantico e la soggettività dell'io narrante, la psicologia può essere dedotta solo dall'esterno, mai mostrata dall'interno. No al manzonismo onniscente, la narrazione deve essere condotta dal punto di vista dei personaggi rappresentativi. Lo scienziato - narratore deve mostrare solo i rapporti di causa-effetto.

Verga sostiene la necessità di procedere dal semplice al complesso (le classi più elevate sono più difficile perché la civiltà insegna all'uomo a nascondere i sentimenti e a razionalizzare i comportamenti e dunque a rendere meno evidente la radice materiale che pure li determina). Da qui l'idea del ciclo dei Vinti: vita dei pescatori e dei contadini (Malavoglia), piccola borghesia di provincia (Mastro-don Gesualdo), poi nobiltà cittadina, mondo parlamentare romano e il mondo degli artisti. 

Stretta correlazione tra livelli sociologici e livelli stilistici: adatta lo scritto alle esigenze del parlato, senza ricorrere al dialetto (avrebbe ridotto le sue opere ad un ambito regionale).

Rosso Malpelo

La Novella parla di un ragazzo ritenuto cattivo e scorbutico, che aveva i capelli rossi sporchi di sabbia proveniente dalla cava in cui lavorava e per questo veniva chiamato Rosso Malpelo.

Lui aveva una sorella e la madre, il padre era morto nella cava per la caduta di una trave rimanendo sepolto a lungo sotto la sabbia. Suo padre, Mastro Misciu, veniva soprannominato "Bestia" e veniva maltrattato da tutti i lavoratori. Finche' Rosso Malpelo lavorava con il padre era compreso e trattato con affetto, ma quando il padre mori', era maltrattato ed emarginato da tutti. Questo ragazzino di 12-13 anni circa vedeva sua madre solo al sabato sera per consegnarle i soldi della paga. La madre e la sorella si vergognavano del ragazzo. Veniva picchiato pure dai compagni e non versava nemmeno una lacrima senza mai ribellarsi. Per sfogarsi picchiava i muli, e le persone più' deboli. Un giorno i lavoratori trovarono il cadavere di Mastro Misciu, ma non vollero comunicarlo a Rosso Malpelo per paura che reagisse male; i lavoratori gli consegnarono i suoi vestiti dicendogli che li avevano trovati in galleria e da quel giorno il ragazzo si rifiuto' di lavorare in quel luogo. I calzoni e le scarpe del padre se le mise subito, portandoli fieramente. Rosso Malpelo aveva un amico di nome Ranocchio, che era zoppo. Lui presto pero' si ammalo', anche perché' era debole, e mori'. Rosso Malpelo era completamente solo senza amici. Un giorno Malpelo si attrezzò e decise di addentrarsi fin dentro la cava alla scopo di velocizzare i lavori di scavatura. Nessuno aveva il coraggio di farlo, per paura di smarrirsi. Cosicché, di  Malpelo non si seppe più nulla e alla cava nessuno lavoratore nominò più il suo nome.

I temi trattati in questa novella sono lo sfruttamento minorile, la rassegnazione, l'accettazione del proprio lavoro. Il ragazzo è consapevole delle regole su sui è fondata l'esistenza: in natura vige la selezione naturale, per cui il più forte vince sul più debole. Rosso non si ribella alla violenza sia fisica (dei calci e dei pugni) sia psicologica presente nella società che gli sta attorno.

Rosso Malpelo mostra una realtà rovesciata, in cui è strano ciò che dovrebbe essere normale (i sentimenti sono strani dove domina l'interesse economico) e in cui domina, a livello sociale, la violenza del più forte sui più deboli. Questa violenza è materiale e psicologica.

La lupa

La novella è tratta dalla raccolta Vita nei campi che il Verga vide pubblicata nel 1880. L'ambientazione non è chiara, non si fanno nomi di luoghi precisi, ma s'intuisce da alcuni elementi descrittivi (la pianura, l'Etna in lontananza) che deve trattarsi di una località nella piana di Catania.

In questa novella, come in generale nella raccolta Vita nei campi e in Novelle Rusticane, l'autore non cerca più di offrire al suo pubblico borghese un messaggio positivo, attingendo dal mondo contadino (come ad esempio in Nedda, pubblicata nel 1874, dove il Verga presenta l'umile arrendevolezza della ragazza che, pur duramente colpita negli affetti, continua ad accettare i "comandi" della natura, non distinguendo neanche le sofferenze provocatele da essa da quelle inflittele dall'ingiustizia umana), ma si limita a descrivere, con un narratore interno alla società, che ne condivide i valori decadenti e ne registra impietosamente le miserie, la crisi dei valori del mondo contadino, le contraddizioni e l'ipocrisia che lo pervadono.

Sin dai primi righi è la voce popolare a alzarsi contro l'atteggiamento ribelle e diabolico della Lupa. Essa, con i suoi comportamenti spiritati e voraci, appare, agli occhi dei contadini, agli occhi delle loro mogli, il demonio, la smodata insaziabilità di ogni cosa, una fonte di perdizione, a cui però nessuno è in grado di resistere, neanche il prete del villaggio. La figura della Lupa, magistralmente descritta con pennellate di colori (gli "occhi color carbone", le "trecce superbe", il "seno fermo e vigoroso da bruna", le "labbra fresche e rosse" e il pallore del suo volto), rappresenta la passione incontenibile, la forza stessa della natura, quando cammina sulle stoppie roventi, "in quell'ora tra vespero e nona, in cui non va in giro femmina buona",  con sullo sfondo la piana nebbiosa e l'Etna in lontananza.

La storia di cui è protagonista è torbida, è la storia di un terribile adulterio. La figlia della Lupa, Maricchia, sposa un giovane del luogo e ne ha dei figli; ma neanche il sentimento materno può nulla davanti alla smodata insaziabilità della Lupa. Nanni, il marito di Maricchia, finirà con l'essere suo schiavo, complice di una passione vergognosa dalla quale tuttavia non riesce liberarsi. E, dopo aspre contese tra madre e figlia, Nanni, esasperato dall'orribile situazione, dopo esser ricorso invano a tutti i rimedi che la religione e la vuota morale umana potevano offrirgli, fa una terribile promessa alla Lupa, una promessa di morte. Neanche la morte, tuttavia, basterà a fermare la sua implacabile fame, e in un finale incerto, la Lupa andrà fino in fondo ai suoi scopi. La novella racconta il terribile dramma di una società allo sfascio, priva di difese e piena di valori artefatti, gli ultimi sussulti di un mondo probabilmente prossimo alla fine.

Mastro-don Gesualdo

gradino sociale superiore rispetto ai Malavoglia (dalla borghesia di campagna alla nobiltà di provincia);

utilizzo di un registro polifonico;

rappresentazione duramente realistica e fortemente drammatica;

domina incontrastato il culto della roba;

ipotesi precisa: verificare la possibilità di senso che deriva dal trionfo dell'individualismo borghese con i suoi parametri egoistici di natura squisitamente economica: la soluzione è amaramente pessimistica (la vita è lotta di tutti contro tutti).





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