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Eugenio Montale - I Limoni, Spesso il male di vivere ho incontrato

letteratura



Eugenio Montale

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896.

Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale stringe rapporti d'amicizia con alcuni poeti liguri e nel 1922 esordisce come poeta pubblicando il saggio "Stile e tradizione".

Nel 1925 esce la prima raccolta di versi  "Ossi di seppia". Nel 1939 appare la sua seconda raccolta poetica, "Le occasioni". Avvia intanto un'intensa attività di traduttore e pubblica nel 1942 una traduzione della "Storia di Billy Bud" di Herman Melville. Nel 1943 escono le poesie di "Tinisterra", che confluiranno poi nella terza raccolta, "La bufera e altro".

Nel 1948 inizia la sua definitiva att 717h78h ività di redattore presso il "Corriere della sera". In seguito pubblica il "Quaderno di traduzioni", in cui interpreta, traducendoli, alcuni dei maggiori poeti antichi e moderni.

Dopo un lungo silenzio, escono i versi di "Satura", che segnano una svolta di rilievo nello sviluppo della sua ricerca poetica. Pubblica successivamente le raccolte "Diario del '71 e del '72" e "Quaderno di quattro anni".

Nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Muore nel 1981.

Nella sua prima raccolta, pubblicata per la prima volta nel 1925 e poi nel 1928, si possono cogliere l'influenza del pessimismo di Schopenhauer e il legame conflittuale con la poesia dannunziana. Il titolo della raccolta rappresenta n qualcosa di inconsistente, ma che rimane alla base.

Un tema centrale che percorre il libro è quello dell'"arsura", dell'aridità. Il solo rappresenta una forza quasi crudele che prosciuga e inaridisce ogni forma di vita.



Questa condizione si proietta anche in un altro oggetto carico di significato: il muro. Un muro che l'uomo non è in grado di valicare. La prigionia nei limiti dell'esistenza si manifesta soprattutto nel ritornare del tempo su se stesso.

Montale tocca uno dei grandi temi della letteratura novecentesca europea, la crisi del soggetto: l'anima è spezzata a causa delle nostre preoccupazioni quotidiane. Questa frantumazione e l'inconsistenza del soggetto fanno si che esso si senta in totale "disarmonia" con il mondo esterno.

Per Montale la poesia non è più in grado di proporre messaggi positivi, certezze di qualunque tipo: può solo offrire definizioni in negativo di un modo di porsi di fronte alla realtà.

Egli non ricorre al linguaggio analogico e quella degli Ossi è una poetica degli oggetti: essi vengono citati come equivalenti di concetti astratti o della condizione interiore del soggetto.

Un altro testo fondamentale per la definizione della sua poetica è "I limoni" in cui egli dichiara di prediligere realtà povere, coerenti con la sua visione desolata del mondo.

I Limoni

Il significato del testo consiste nel rifiuto di una versificazione sublime ufficiale e tradizionale. Ad essa Montale contrappone una realtà comune, costituita da un paesaggio povero. Nell'atmosfera di una natura tranquilla il soggetto vive un momento privilegiato dell'esistenza, in cui sembra potersi verificare un'"epifania". In questi momenti sembra di poter scorgere la presenza del divino nella natura. La scoperta dei "gialli dei limoni" riporta il calore della vita e la felicità di una rinata illusione. Non è più l'epifania separata a contatto con la natura, però resta almeno la consolazione di un momento di gioia vitale, a livello psicologico personale.  È una delle poche poesie cui si possa attribuire un significato e un messaggio positivi, in quanto lasciano aperta una prospettiva di speranza.

Spesso il male di vivere ho incontrato

Il poeta esprime il motivo di una tipica condizione esistenziale e materializza il concetto, presentandolo quasi come una presenza reale e fisicamente tangibile. Il "male di vivere" si identifica direttamente con le cose che lo rappresentano. In opposizione al "male di vivere" non vi può essere altro "bene" che un atteggiamento di distacco e di indifferenza, come quello assunto dalla divinità, impassibile di fronte alla miseria del mondo.

Non chiederci la parola

In questa poesia si afferma che la poesia non è in grado di portare ordine nel caos interiore dell'uomo. 

La parola poetica dovrebbe dare senso alla vita, ma il poeta afferma desolatamente che essa non è in grado di svolgere questo compito. La parola poetica non è più la formula magica che ci introduce nell'essenza ultima e segreta della realtà, essa viene ridotta a qualcosa di storto e secco come un ramo.

I due versi finali esprimono la condizione di un'esistenza priva di certezze conoscitive; la poesia non è in grado di proporre messaggi positivi, può solo definire una condizione in negativo.




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