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Appunti su Ugo Foscolo: La poetica

letteratura



Appunti su  Ugo Foscolo


La poetica

Cronologicamente il Foscolo fu il poeta dell'età che coincise con la rivoluzione e con gli anni napoleonici. Questa collocazione cronologica del Foscolo ne spiega anche la posizione culturale. Dietro di sé aveva il Settecento; ma il suo Settecento non era più l'Arcadia e non era più il razionalismo che aveva dominato la prima metà del secolo. Il Settecento, per il Foscolo, era il sensismo inglese, aperto al riconoscimento delle sensazioni e delle p 636j96g assioni. Era l'opera del Parini con il suo senso civico, erano le tragedie di Alfieri.

Foscolo cronologicamente è inserito nel neoclassicismo, ma il suo neoclassicismo è ancora più profondo, diverso da quello comune ai suoi tempi, perché vi penetra una spiritualità essenzialmente romantica. La sua vita interiore, i problemi che si agitano al fondo della sua arte lo avvicinano agli spiriti inquieti e tormentati della nuova epoca. Perciò il mondo greco, di cui nella sua arte egli compie una continua rievocazione, non è più uno scenario di composta e fredda bellezza, uno squisito elemento decorativo, ma appare invece come una terra lontana e irraggiungibile, nostalgicamente desiderata, in cui l'umanità aveva un tempo realizzato quella serena armonia spirituale che il Foscolo cerca e sospira, ma che continuamente gli sfugge.



La stessa ragione, che era stata vanto e orgoglio degli illuministi, si trasforma in un dono funesto della natura, che concedendo agli uomini la coscienza del dolore, accresce infinitamente la loro infelicità. In una così amara concezione, tutti gli aspetti della vita si avvolgevano in un velo tenebroso. Perciò la morte diveniva l'unico rimedio ai mali della vita, l'unica via per liberarsi dei limiti delle dure leggi in cui è fatalmente chiusa l'esistenza. Ma di fronte a queste cupe meditazioni, anzi continuamente intrecciate con esse, vivevano nello spirito del Foscolo impulsi e aspirazioni vigorose, che spezzavano e superavano le amare conclusioni del suo pessimismo. Contro la fredda ragione, si sollevava il sentimento, contro una logica astratta il delirio tempestoso del cuore, contro il nulla eterno l'ansia e il furore della gloria.

I valori in cui si rispecchiava Foscolo erano la patria, la libertà, la giustizia, la bellezza della natura e la grandezza degli eroi, la poesia e l'amore che si rivelavano alla fredda analisi della ragione come vuote illusioni, ma vivevano in lui con tale ardore tumultuoso che la sua vita era illuminata e confortata. Tra le conclusioni della ragione e le insurrezioni del sentimento si avvolse, lungo tutta l'esistenza del Foscolo, un urto incessante, dal quale nascevano la tristezza e il desiderio di morte che risuonano di continuo nelle sue pagine. Ma nasceva anche un desiderio incessante di trovare una soluzione di quel contrasto, perché fra la mente e il cuore, fra le conclusioni del pensiero settecentesco e le esigenze della spiritualità romantica, si stabilisse un equilibrio e una rasserenata armonia.

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Primo scritto caratterizzante del Foscolo furono le Ultime lettere di Jacopo Ortis, un romanzo epistolare nato da una genesi lunga e difficile. L'opera fu pubblicata per la prima volta nel 1798 con il titolo Vera istoria di due amanti infelici; ma solo in parte era del Foscolo, perché questi per le vicende politiche era dovuto partire da Bologna lasciando l'opera incompleta e stampata a mezzo; l'aveva completata un certo Sassoli, per permettere all'editore di mettere in vendita il libro. Solo nel 1802, dopo varie ristampe, uscì il romanzo rivisto e terminato dal Foscolo. Per quest'opera Foscolo prese esempio da numerosi esempi, pubblicati precedentemente: Pamela e Clarissa di Richardson, La Nouvelle Héloise del Rosseau e i Dolori del giovane Werther di Goethe.

Accanto a queste influenze letterarie più o meno rilevanti, contribuirono alla genesi dell'Ortis fatti esterni e fatti interiori della vita del Foscolo.

Un giovane di spiriti liberali abbandona Venezia al primo annunzio del trattato di Campoformio e si rifugia disperato sui colli Euganei, per sfuggire alle più crudeli persecuzioni del dominio austriaco. La rovina della patria trascina con sé tutte le più nobili speranze del giovane Jacopo, la sua giovanile fiducia nella vita: e il mondo gli appare dominato da una legge fatale. Nel suo rifugio si innamora di una fanciulla, Teresa, già promessa ad un altro; un amore corrisposto, che rimane un semplice sogno, e accresce di più l'infelicità di Jacopo. Invano si allontana in cerca di pace; dovunque, egli porta con sé la disperazione. Tornato sui colli Euganei, chiude la sua vita con il suicidio. L'Ortis è formato da una serie di lettere che Jacopo dirige quasi tutte all'amico Lorenzo Alderani, e che si immaginano da questi raccolte e collegate con alcune pagine di notizie. Se l'invenzione centrale del romanzo - un giovane che si suicida per amore di una donna già promessa ad un altro - richiama la vicenda centrale del Werther, pare però che il Foscolo abbia tenuto presenti anche casi effettivamente accaduti ad un giovane studente di Padova; è certo inoltre che si ricordò di suoi amori, e poiché la stesura del libro abbracciò, come si è visto, almeno quattro anni, e poiché la vita amorosa del Foscolo fu sempre assai intensa, confluirono nella figura e nella storia di Ortis vari amori di lui e varie sue donne.

Il nome della giovane Teresa ricorda quello di Teresa Pikler, mogli del Monti, di cui Foscolo era innamorato durante la stesura dell'Ortis; il nome della sua sorellina ricorda quello di un'altra donna, Isabella Roncioni, mentre l'incontro con una donna "assai dotta nella donnesca cavalleria" ricorda un'altra Isabella, Isabella Teotochi Albrizzi, che era stato il suo primo amore da adolescente. L'Ortis interessa come specchio dell'anima del Foscolo, che ha trascritto in quest'opera sotto il velo di una tragica vicenda un'ideale confessione della sua vita. Il libro comincia proprio con la fuga di Ortis da Venezia e si apre con un passo schiettamente politico:"il sacrificio della patria nostro è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia". Così, la passione per Teresa si inserisce in un tormento già acuto, in un animo che ha già perso il gusto della vita per una concreta delusione e a non consentirgli di vivere oltre sono la perdita della patria e la mancanza di un tessuto politico-sociale di cui essere parte.

I Sepolcri: realtà ed illusione

Al centro del carme è il concetto di illusione, che si era già affacciato nell'Ortis. Già lì Foscolo si era scagliato contro il "filosofo", cioè colui che con la nuda ragione nega le illusioni. Illusioni, dunque, le tombe, per il "filosofo", cioè per l'astratto raziocinare, non per l'uomo vivo che può negare con l'intelletto l'immortalità dell'anima ma non può negare quel fervore di affetti che sono in lui come in tutti gli altri uomini. Il carme perciò polemizza con l'editto di Saint Cloud, con la concezione cristiana della morte, con il suo compiacersi di immagini lugubri, con il suo avvolgere le tombe di orrore e di minacce. A queste concezioni Foscolo oppone la storia dell'umanità che ha reso possibile una convivenza pacifica e civile; e che assieme a quelle istituzioni ha scoperto il culto delle tombe e il valore affettivo e civile di esse.







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