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Compendio di geografia regionale - Vallega - CANONI POSITIVISTI E DETERMINISMO GEOGRAFICO

architettura



Compendio di geografia regionale - Vallega

CANONI POSITIVISTI E DETERMINISMO GEOGRAFICO

1) il quadro culturale; 2) canoni positivisti; 3) i bacini fluviali; 4) la regione naturale;

5) i nomi territoriali; 6) conclusioni


Alla fine del 1700, la regione viene vista come una componente territoriale dello stato ed è individuata in base a discriminanti politiche o vagamente etniche. La nascita e il progresso della geografia regionale ha tratto beneficio dal passaggio che va dall'atteggiamento descrittivo a quello interpretativo ma anche dal superamento delle concezioni che vedevano la regione come uno spazio politico-amministrativo. (prodotto tipico della cultura positivista in cui la geografia regionale è nata e ha costruito le sue basi) È evidente che tutto questo è nato insieme alla convinzione che spiegare significa trovare ed enunciare i nessi di causalità che intercorrono tra l'ambiente fisico e il corpo umano. (espressione del determinismo ambientale, atteggiamento generato in gran parte dal positivismo) La fase positivista si delinea così nella seconda metà del 18° sec e si porta avanti fino agli inizi del 20° sec.



Per quanto riguarda i connotati fondamentali del positivismo, possiamo dire che, nel 1978, vengono richiamati da GREGORY i cinque principi scritti da AUGUST COMPTE nel 1829, perché costituiscono il modo più incisivo per mettere a fuoco punti di riferimento anche per la geografia. I cinque principi sono:

Principio della realtà: la condizione scientifica della conoscenza deve trovare garanzie nell'esperienza diretta di una immediata realtà dove le relazioni causali portano a cogliere e piegare associazioni regolari di fenomeni, non escludendo che si considerino le interdipendenze cioè le reciproche influenze tra i fenomeni.

Principio della certezza: la conoscenza scientifica deve essere confortata dalla comune esperienza della realtà e deve esprimersi attraverso apprendimenti accessibili garantendo che le osservazioni possano essere riprodotte.

Principio della precisione: la conoscenza deve dar luogo a teorie e a metodi le cui conseguenze possano essere verificate.

Principio dell'utilità: implica che la conoscenza scientifica deve essere operativamente utilizzabile, è un mezzo, non un fine.

Principio della relatività: sostiene che la conoscenza sia sostanzialmente incompleta e relativa, e si avvia vero una graduale unificazione di teorie orientate a consolidare la consapevolezza umana delle leggi sociali.

L'acquisizione dei canoni positivisti passa per tre tappe: la prima impone di studiare la distribuzione dei fenomeni naturali nello spazio in funzione delle interdipendenze da cui sono legati (Humboldt); la seconda porta l'attenzione del geografo alle relazioni tra ambiente fisico e gruppi umani (Ritter); la terza considera i fenomeni fisici con ordine, classificandoli e inquadrandoli in visioni d'assieme, premessa indispensabile alla costruzione di una geografia completa (Ratzel).

Secondo i canoni positivisti del Ratzel, gli elementi del comportamento umano e dell'ambiente fisico dovrebbero essere studiati in base alle sollecitazioni reciproche, ma l'atteggiamento dei geografi di questo periodo ritiene che il comportamento umano e quindi le forme di organizzazione del territorio siano il prodotto di condizioni fisiche (rapporto di causalità unidirezionale che muove dal fisico all'umano).

Comunque, la nascita delle riflessioni regionali può essere riferita all'opera di Buache del 1752, quando, nel tentativo di proporre criteri razionali per interpretare la divisione del territorio, propone di attribuire una qualifica regionale ai bacini fluviali. La teoria era esposta in modo semplice e non era immune da errori, ma ebbe lo stesso notevole fortuna, primo perché trovava una corrispondenza nella coscienza popolare, e poi perché era facilmente applicabile.

Questa teoria, comunque, dà vita ad una intensa polemica che sostiene che i bacini fluviali non possono avere qualifica di regioni naturali perché bisogna considerare la natura del territorio e analizzare di più gli elementi fisici. Questo perché la regione naturale è vista come uno spazio contraddistinto da una certa struttura geologica e dotato di una unità di organizzazione umana. A metà del 19° sec, si può dire che la concezione regionale positivista è matura e definitiva. La teoria dei bacini fluviali ha fatto da premessa; mentre l'affermazione della moderna geologia ne ha dato la giusta sollecitazione; nell'idea di regione naturale si realizza l'ultimo risultato. Possiamo quindi definire la regione naturale come un tratto di territorio identificato attraverso discriminanti geologiche e geomorfologiche, le quali, per l'omogeneità fisica che producono, rendono organico l'assetto del territorio

Un altro punto coltivato dalla cultura positivista è quello legato ai nomi territoriali; questo emerge nella seconda metà del 19° sec e fa si che si compiano i primi passi verso l'affermazione di una cultura geografica umanista. I nomi territoriali sono il punto di partenza di un cammino che porta a riconoscere gli spazi regionali attraverso un procedimento formato da una rigorosa successione logica: 1- identificazione dello spazio a cui si riferisce il nome territoriale 2- delimitazione dell'unità fisica del territorio 3- verifica della coincidenza delle due aree.

In conclusione, con la teoria dei bacini fluviali la concezione positivista e determinista della regione aveva trovato una prima significativa espressione; con la teoria della regione naturale aveva raggiunto una definizione compiuta; con la ricerca dei nomi territoriali si sposta verso espressioni più ricche, ma anche verso una serie di contraddizioni che la portano verso un inarrestabile declino e, man mano che questo diventa evidente, lo stesso termine di regione naturale perde il suo significato originario per acquistare quello molto più ristretto di "area dotata di omogeneità fisica", cioè di area di diffusione di certi elementi, di certe strutture o di certi fenomeni del mondo naturale.


VIDAL E LA CONCEZIONE POSSIBILISTA

1) ribaltamento di posizione; 2) il possibilismo; 3) generi di vita; 4) il paesaggio;

5) la regione formata.


I grandi geografi dell'800 avevano dato più importanza alla geografia generale piuttosto che alle ricerche regionali, che si erano dimostrate interessanti ma non avevano avuto nessuna funzione centrale nel quadro complessivo del progresso della geografia. Con lo studioso Vidal de la Blanche le posizioni si invertono, perché lui propone innovazioni piuttosto che distruggere, propone nuovi punti di vista piuttosto che ribaltare completamene le ottiche consolidate. La nuova idea di regione nasce nella fase più acuta della rivoluzione industriale, cosa che porta Vidal ad attribuire sempre più importanza al comportamento umano; egli cerca di mettere in evidenza le nuove manifestazioni, ma soprattutto cerca di cogliere in concreto i rapporti tra uomo e ambiente fisico attraverso le sue stesse radici storiche.

Al principio determinista che interpretava la presenza umana in termini di causalità unidirezionale (che procede dal fisico all'uomo), Vidal sostituisce il principio di causalità complessa, dove i rapporti tra uomo e ambiente fisico, sono interpretati in termini di azione e di reazione, vedendo così la geografia come la scienza dei luoghi e non degli uomini.

Egli però non formula una teoria e non lo fanno né i suoi allievi né i suoi collaboratori; solo nel 1922, lo studioso Febvre conia il termine "possibilismo" per mettere a fuoco il nucleo innovatore di questa concezione ed opporla così alla concezione determinista. Ridotta all'essenziale, la concezione possibilista può essere vista così: 1- la natura non esprime vincoli ma varie possibilità di occupazione del suolo e di utilizzo delle risorse fisiche 2- le comunità esercitano una scelta tra le possibilità offerte dall'ambiente fisico 3- questa scelta è compiuta in base alla cultura e alla tecnologia; inoltre risente anche delle circostanze storiche 4- su questi ultimi aspetti, che rendono l'uomo un fattore geografico, deve andare l'attenzione del geografo che deve comunque rimanere sensibile nel cogliere 656e49g il substrato dell'organizzazione del territorio.

Durante il suo operato, Vidal arricchisce di contenuti umanisti anche il concetto di genere di vita, visto come l'insieme dei comportamenti sociali relativi al territorio, formatisi dall'incontro dei fattori ambientali con l'azione umana. Nel 1965, lo studioso Pracchi definisce i generi di vita come un complesso di abitudini e concezioni organizzate che implicano un'azione stabile e metodica, capace di assicurare l'esistenza dei gruppi umani autonomi che la praticano. In sintesi, dal pensiero vidaliano emergono, secondo Pracchi, alcune preposizioni: 1- il genere di vita è collettivo e il gruppo gode di autonomia; 2- il genere di vita, per essere tale, deve avere caratteristiche di stabilità e di sistematicità; 3- è suscettibile di forza propria senza essere in contraddizione con la stabilità; 4- può subire modifiche per interventi esterni.

Anche il paesaggio viene sottoposto ad un'intensa revisione da parte dei Geografi vidaliani che lo arricchiscono di contenuti umanistici tanto che finisce per acquistare nella geografia classica, un rilievo molto più importante dei generi di vita, fino a diventarne il perno. Secondo lo studioso Juillard (1962) il paesaggio può essere visto come una combinazione di tratti fisici e umani, che conferisce al territorio una propria fisionomia rendendolo un insieme uniforme, o almeno contraddistinto dalla ripetizione abituale di certi aspetti. Il paesaggio esprime lo stato momentaneo di determinati rapporti, di un equilibrio instabile tra condizioni fisiche, tecniche di trasformazione della natura, tipi di economia e strutture demografiche e sociali del gruppo umano. In più, ogni paesaggio incorpora in se una quantità variabile di modi di organizzazione del territorio, ereditati da precedenti combinazioni.

Ma come si può arrivare all'idea di regione, partendo da questi due concetti (genere di vita e paesaggio)? Le prime basi le dà lo studioso Biasutti (1947) che ricorre a due coppie di concetti: il paesaggio naturale e la regione naturale; il paesaggio geografico e la regione geografica. Per lui il paesaggio è la fisionomia di una regione, con una importante precisazione. La regione naturale è una realtà oggettiva (esiste ed è scientificamente rilevabile) mentre la regione geografica è un'astrazione (può essere vista solo attraverso alcune discriminanti). Lungo un itinerario logico si muove il Sorre, che sostiene che le regioni sono porzioni di spazio dominate da un tipo di paesaggio umano o da una combinazione di tipi. Non sono d'accordo Sestini e Toschi che sostengono che il paesaggio non esaurisce i temi della geografia umana e in particolare Toschi sottolinea la necessità di non confondere il paesaggio con la regione, perché questa si riconosce dal suo o dai suoi paesaggi ma il paesaggio, di conseguenza, non è una regione. In pratica, è la presenza del genere di vita a imprimere unità ad un territorio, facendone una regione; il paesaggio diventa solo la manifestazione. La regione può quindi essere vista come un territorio formato da un determinato genere di vita, che si esprime attraverso un paesaggio o un insieme di paesaggi connessi tra loro.


L'IDEA FUNZIONALISTA DI REGIONE

1) dal possibilismo al funzionalismo; 2) Juillard; 3) funzionalismo e polarizzazione;    4) funzionalismo e omogeneità; 5) conclusioni;


L'ultima parte degli anni 50 segna la divisione tra la geografia classica con la nuova geografia regionale: di questo cambiamento l'idea funzionalista di regione è un concetto guida. Il passaggio dalla concezione possibilista a quella funzionalista lo si può capire di più se lo si collega alla rivoluzione avvenuta nella geografia intesa complessivamente, rivoluzione nata a causa di due inneschi: di natura teorica (si è iniziato a discutere sui paradigmi e si sono elaborati modelli interpretativi) e di natura metodologica (massiccio ricorso alla logica e alle procedure matematiche). L'affermazione dell'idea funzionalista di regione porta a dare più importanza ai momenti interpretativi che a quelli descrittivi; l'obbiettivo non è più quello di analizzare le regioni separatamente, ma è quello di confrontare i risultati delle ricerche in modo da individuare le leggi che portano sia alla scomposizione del territorio in unità regionali, sia alla loro organizzazione interna.

Un avvicinamento al concetto funzionalista lo si può vedere nel modo in cui lo studioso Juillard (1962) distingue i due principi di unità regionali: il primo impostato sulla uniformità ed espresso dal paesaggio (dalla geografia vidaliana), l'altro impostato sulla coesione ed espresso dallo spazio funzionale (che apre le porte alla concezione funzionalista). Il concetto di spazio funzionale quasi contrapposto allo spazio omogeneo, trae spunto dalla intuizione che il territorio si può intendere, oltre che come complesso di forme, anche come sede di elementi eterogenei e in qualche modo collegati all'insediamento umano. Egli ritiene che l'assetto dello spazio funzionale, sia riconducibile a tre elementi: l'armatura urbana, il gioco dei fattori di mercato e di accessibilità e l'interdipendenza dei servizi. Coesione e centralità sono le matrici dell'organizzazione del territorio che nella regione troverebbero la sua categoria fondamentale.

Uniformità Coesione


Paesaggio Spazio Funzionale


Regione Umana Regione Funzionale

La concezione funzionalista ha un grande contributo dalla Commissione dell'Unione Geografica Internazionale (1961-67) che ha dichiarato che il concetto di spazio funzionale si basa su un'idea di divisione del lavoro e di proiezione territoriale di questa divisione; ecco che l'intera teoria della regione funzionale affonda le radici in alcune fondamentali preposizioni della scienza economica, perché l'organizzazione del territorio "cresce" in modo funzionale, in quanto è plasmata da concentrazioni delle attività economiche. Alle concentrazioni di strutture vengono dedicate le teorie della polarizzazione in quanto la regione funzionale coincide con lo spazio investiti dalla polarizzazione. Possiamo allora definire la regione come l'area dominata da un centro di polarizzazione appartenete ad un elevato ordine gerarchico, non come un oggetto che ha la stessa natura in ogni sua parte, ma come un oggetto composto da parti che, pur avendo natura differente, hanno alla base una buona rete di interdipendenze.

Per questo è normale che alcuni autori non assimilano i caratteri omogenei con quelli funzionali, facendone quasi due categorie contrapposte; recentemente, però, si è dedotto che non esistono due forme contrapposte di organizzazione del territorio (omogenea e polarizzata) perché, a seconda della scala in cui si osserva il territorio, osserveremo i fenomeni di polarizzazione che definiscono la regione, oppure l'omogeneità che contraddistingue certe sue parti.

possiamo quindi dire che il funzionalismo poggia su alcune idee molto semplici: 1- ogni elemento produce effetti e subisce conseguenze 2- gli elementi, in virtù delle funzioni che esprimono, entrano in relazione reciproca 3- l'insieme degli elementi, proprio per le interdipendenze da cui è fatto, si comporta come una struttura.

La geografia urbana: teoria e metodi - Carter

IL PROCESSO DI URBANIZZAZIONE

1) il continuum insediativo; 2) il carattere urbano; 3) la misura e il processo di urbanizzazione;

4) 4 variabili, 4 fasi; 5) conclusioni.


È molto difficile rappresentare in termini di studio, le differenze tra urbano e rurale; possiamo identificare tre fonti da cui derivano le difficoltà: 1- il continuum insediativo 2- il mutevole concetto di carattere urbano 3- l'inadeguatezza delle definizioni ufficiali. Per quanto riguarda il primo punto, non è possibile indicare una linea di divisione tra urbano e rurale che sia significativa; il modo universalmente usato di definire la città in base ad un numero minimo di popolazione, non corrisponde alla realtà e, nonostante la definizione di dimensione sia necessaria, è difficile tradurla in termini specifici. Possiamo però vedere che l'urbanizzazione come processo è legata a due elementi. La moltiplicazione di punti di concentrazione della popolazione e l'aumento della dimensione delle singole concentrazioni. Ma quello che più importa sono le correlazioni tecnologiche, economiche e sociologiche del processo piuttosto che la definizione di particolari valori dimensionali.

Il problema di ciò che è urbano, è stato poi reso ancora più difficile dal fatto che il concetto, e quindi la realtà di quello che è urbano, non è statica ma è continuamente modificata da nuove condizioni; basti pensare a come l'avvento dell'industrializzazione abbia cambiato radicalmente il territorio dentro e fuori le antiche città e i piccoli villaggi. Il punto di uscita per la ricerca scientifica è stato quello di reinterpretare il concetto di "città mercato" attraverso l'esame delle funzioni che la città stessa svolge nei confronti della campagna circostante, infatti l'area rurale ha bisogno di un punto focale dove inviare i propri prodotti e dal quale i suoi bisogni possono essere distribuiti. Ma le analisi di ordinamento delle sedi secondo le funzioni di luogo centrale danno uno scarso contributo allo studio dell'urbanizzazione; il concetto che un determinato numero minimo di funzioni sia in grado di definire quello che è urbano, diventa inutile come il numero minimo di popolazione. Come conseguenza a tutto questo, le definizioni ufficiali, basandosi su questi due concetti, si rivelano inadeguate soprattutto perché le soluzioni pratiche adottate dagli stati sono legate sempre al singolo caso.

L'approccio alla definizione di urbanizzazione ha dato luogo a due problemi: la misura dell'urbanizzazione (che è sempre basata su dati di censimento e quindi sempre esposta ad errori) e il processo di urbanizzazione. Quest'ultimo viene studiato da Lampard che sostiene vi siano tre concetti di urbanizzazione, largamente diffusi nelle scienze sociali, e sono: il comportamentismo (riguarda l'esperienza nel tempo delle singole persone e i modelli di comportamento); lo strutturale (che è relativo alle attività dell'intera popolazione e ai cambiamenti della struttura economica); il demografico (che è il concetto dove il processo è visto prima di tutto come concentrazione di popolazione).

Il sociologo Wirth, ha formulato una teoria dell'urbanesimo basata sui gruppi sociali, dichiarando che le dimensioni della popolazione aggregata influenza le relazioni fra i membri , che non riescono più a mantenere il senso di appartenenza ad una comunità (che porta allo stato di anomia), ma soprattutto la densità aumenta la diversificazione che abbatte i confini di casta e dà all'individuo la possibilità di cambiare il suo status sociale in base alle sue capacità piuttosto che essere dettato dalla nascita come era prima. Ma in definitiva, le due situazioni sociali teoriche, urbano e rurale, non sono reperibili nella realtà, e il passaggio da una all'altra diventa più un enunciato che un risultato provato.

Una seconda interpretazione, come abbiamo già detto, è di tipo economico e prende in esame la correlazione diretta fra sviluppo economico e urbanizzazione. L'urbanizzazione è quindi vista come il prodotto di una crescente specializzazione economica e di una tecnologia in progresso: siccome i rapporti fra i vari tipi di specializzazione richiedono l'aumento di popolazione, ecco che ha origine il processo.

La terza interpretazione di Lampard definisce l'urbanizzazione come un processo di concentrazione di popolazione (componente organizzativa della raggiunta capacità di adattamento di un popolo).

In conclusione, possiamo dire che ci sono 4 variabili attraverso cui viene spiegato il processo di urbanizzazione e sono: la popolazione, l'ambiente, la tecnologia e l'organizzazione sociale. Lampard riesce a definire 4 fasi di sviluppo. Primitiva, dove l'organizzazione urbana è una forma di adattamento collettivo all'ambiente fisico e sociale; definitiva, che rappresenta l'assestamento delle tendenze primitive; classica, dove vincoli e circostanze limitano la crescita; industriale, dove si allentano le limitazioni e si verifica un aumento della popolazione senza precedenti.

Nonostante questo e altri studi fatti, non è stata identificata la spinta iniziale per l'urbanizzazione Ma in fondo, l'aggregazione e la specializzazione economica implicano lo sviluppo di nodi spazialmente distribuiti, ed è a questi problemi che si deve rivolgere l'attenzione del geografo urbano, tenendo sempre conto che i processi non-spaziali possono chiarire i problemi spaziali che si intende analizzare.

LA TEORIA DELLA BASE ECONOMICA URBANA

1) che cos'è; 2) settore basico e non basico; 3) separazione delle attività;

4) quoziente di localizzazione; 5) indice di surplus.


La teoria della base economica urbana è il risultato di uno dei primi tentativi fatti per spiegare i legami tra le varie regioni di uno stesso paese, collegate a paesi indipendenti che commerciano tra loro. Questa teoria, che è anche usata nell'analisi e nella pianificazione urbana, si basa sul presupposto che lo sviluppo (regionale e urbano) è indotto dall'esterno, dato che l'introduzione di nuovi redditi per l'economia locale, se sono reinvestiti, portano all'accelerazione dello sviluppo.

Nel 1902, SOMBART identificò una duplice funzione nella città, concetto che venne sviluppato nel 1939 da HOYT e che arriva fino ai giorni nostri: le attività economiche dell'area (città o regione) possono essere divise in due componenti, 1- quella che si rivolge a una domanda non-locale (cioè quella che soddisfa la domanda dei non residenti e che forma il settore basico) 2- quella che si rivolge alla domanda locale, interna (che è quella che serve al normale funzionamento della città e che forma il settore non basico). Praticamente si dice che il reddito totale dell'area T, è la somma del reddito prodotto dal settore basico B e da quello prodotto dal settore non basico, o di servizio, S T = B + S

Ma dato che i dati relativi al reddito non sono sempre disponibili, si ricorre come alternativa ai dati sull'occupazione. Bisogna tenere conto, però, che uno degli ostacoli all'applicazione della teoria sta nella difficoltà a separare le attività basiche da quelle non basiche, dato che la produzione di molti settori va a soddisfare contemporaneamente sia la domanda interna che esterna.

Per capire quanta parte della produzione di un settore soddisfa, oltre alla domanda esterna, la domanda interna, si ricorre ad un metodo indiretto che fa uso del quoziente di localizzazione, che mette a confronto l'importanza relativa a questo settore nell'area in esame con la sua importanza relativa nell'intero paese.

Per calcolare la base di esportazione si ricorre all'indice di surplus di occupazione, impiegata dagli studiosi Matilla e Thompson: questo indice ci da, per ogni settore, la differenza tra la produzione effettiva e la produzione che si sarebbe avuta se il settore avesse nella regione la stessa importanza che ha nell'area di riferimento.

ei = occupazione regionale nel settore considerato  S = ei - et x Ei

et = occupazione regionale in tutte le attività economiche   Et

Et = occupazione totale nazionale in tutte le attività economiche

Ei = occupazione nazionale nel settore considerato

Questo indice può essere usato per una classificazione delle città calcolando ed ordinando le percentuali degli aggregati formati da ciascun surplus di occupazione. Ma l'uso delle medie nazionali non misura una base economica e quindi, fino a quando vengono utilizzati questi dati, questi metodi non sono poi tanto diversi da tutti gli altri.


LA LEGGE DEL REILLY

1) la tesi del Christaller 2) il consumatore 3) la legge di Reilly 4) variabili storiche

5) riassumendo 6) conclusioni


La maggior parte dei primi tentativi di ricerca empirica accettava la tesi del Christaller sulle località centrali, e senza mettere in questione i presupposti o la logica del suo ragionamento, cercavano solo di mostrare l'applicabilità alla situazione reale. Ma una rapida osservazione della distribuzione delle città nella maggior parte del mondo non rileva traccia di reticoli esagonali, anzi viene dimostrato che il sistema reale si avvicina di più alla condizione casuale. I geografi però, siccome avevano visto nella tesi del C. una teoria universale della localizzazione urbana, cercano comunque di dimostrare che la relazione ordine e dimensione non è incompatibile con la struttura gerarchica; ma anche qui, prendendo in considerazione tutti i limiti da constatare, si vede chiaramente che il concetto di una serie di livelli universali era troppo ottimistico e che l'ordinamento dei luoghi è più significativo nell'ambito di aree locali limitate.

Altri limiti al concetto stesso di gerarchia, sono emersi dalle indagini nel campo delle ricerche di mercato: qui il punto di vista era quello del consumatore individuale. Lo studioso Thompson arriva a sostenere che i fenomeni tipo la distribuzione delle vendite al minuto, sono il risultato della somma delle reazioni di molti individui liberi di prendere le proprie decisioni, concludendo così che la vera chiave per le ricerche sul commercio è negli studi fatti sul comportamento.

Nascono così lavori diversi, fatti per fissare la definizione delle arre commerciali, o delle sfere urbane, su una base che appunto tiene conto del comportamento dei consumatori. I primi tentativi erano rozzamente deterministici e formulati in termini di modelli di gravità: il più noto è la Legge di Reilly della Gravitazione Commerciale:

Bb = sfera di influenza della città B   Bb = ---Dab------

Dab = è la distanza fra A e B in miglia  1+ Pa

Pa e Pb = sono le popolazioni delle due città  Pb

Più avanti questo lavoro viene ridefinito in termini probabilistici, ma anche questi tentativi prendono un dato modello di luoghi centrali basandosi su presupposti non confermati. Si ritorna così al comportamento in rapporto ai luoghi centrali.

In definitiva si può dire che il modello presentato dal C. è un modello economico deterministico e consente l'introduzione di pochissime variabili storiche, molto importanti perché bisogna tenere conto che esiste un'ampia varietà di domande diverse (amministrative, sociali e culturali) che hanno tutte un'influenza sulla localizzazione e sulla dimensione dei centri.

Quindi, riassumendo abbiamo che: 1- i reticoli urbani non sono stati dimostrati in nessun luogo; 2- una struttura gerarchica regge solo su aree limitate ed omogenee; 3- gli studi fatti sul comportamento degli individui non hanno dimostrato quello previsto nella teoria del C.; 4- il carattere economico deterministico non dà spazio alle variabili storiche, rilevanti anche oggi; 5- la restrizione delle analisi ai soli servizi terziari rappresenta un'astrazione dalla realtà delle localizzazioni urbane, dove si svolgono ed hanno una grande influenza molte alter attività.

In conclusione possiamo affermare che il sistema della localizzazione urbana è un sistema aperto, e che l'attuale sistema urbano è il prodotto dell'interazione di una serie di fatti collegati nel tempo e nello spazio relativi a città in crescita e in declino.

Il processo complessivo di fondazione delle città può essere concepito come innovazione e il successivo sviluppo come processo di diffusione.


USO DEL SUOLO URBANO E GLI IMPULSI ALLO SVILUPPO

1) la tesi di Burgess; 2) il modello a cerchi concentrici; 3) critiche distruttive; 4) di ampliamento


I primi tentativi di esaminare la struttura complessiva della città vengono fatti attraverso gli schemi generali proposti da BURGESS che, dal campo dell'ecologia umana in cui erano stati proposti, furono rapidamente adattati agli studi geografici. La teoria dell'uso del suolo urbano diventa parte essenziale dell'economia territoriale. La tesi di Burgess secondo cui l'uso del suolo urbano tende a disporsi secondo un'organizzazione zonale concentrica attorno al centro della città, ha costituito negli ultimi 40 anni il punto di partenza per la maggior parte delle considerazioni sull'uso del suolo, sottoponendo lo schema a quella che ormai era diventata una critica d'obbligo. Ma il modello di Burgess può essere considerato un modello normativo, una struttura semplificata della realtà che presenta le relazioni significative in una forma generalizzata, ricavato per intuizione, attraverso l'osservazione di un vasto numero di città americane in generale.

Questo modello si ispirava ai principi di ecologia vegetale della invasione-dominazione-successione; la città, quindi, tenderebbe ad espandersi a partire dal centro in modo radiale: un gruppo sociale invade una data area e la domina, succedendo ad un gruppo precedente. Si presuppone anche che i vari soggetti si propongano diversi usi del suolo come abitare, produrre, vendere, ecc.; si tratta di vantaggi di posizione che derivano da un fattore di generale accessibilità. La città tipo è quindi costituita da 5 zone:

Il CBD o quartiere commerciale   5

La zona di transizione (con edifici non in buone 4

condizioni e da aree invase da uffici e da industrie leggere) 3

La zona delle case operaie e degli stabilimenti 2

(vicini gli uni agli altri) 1

La zona residenziale per classi agiate

La zona dei quartieri periferici e delle città satelliti

(abitate per lo più da pendolari)

Per lo studioso, questo modello costituiva una rappresentazione

ideale delle tendenze di una città ad espandersi radialmente intorno al CBD.

Questo modello ha subito numerose critiche, alcune delle quali hanno sottolineato l'inutilità e la mancanza di validità. Esistono quattro argomenti sulla base dei quali è stato posto un netto rifiuto, e si basano: A) sulla constatazione che man mano che ci si allontana dal centro verso la periferia, ci sono dei mutamenti graduali e non delle "rotture" fra una zona e l'altra: in altre parole si rilevano gradienti in luogo dei confini di zona; B) sul fatto che nelle città non esistono aree sociali nettamente distinte e separate e che le zone sono in realtà caratterizzate da eterogeneità interna; C)sul carattere anacronistico dello schema, che poteva andare bene per le città americane degli anni '20, ma non su scala mondiale alla fine del XX secolo; D) sulla mancanza di universalità dello schema che, per la verità, Burgess non pensava di applicare al di fuori di città americane industrializzate in rapido sviluppo.

Riassumendo, possiamo dire che il modello è limitato storicamente e culturalmente ad una situazione particolare di un periodo e di un paese particolare; inoltre viene posto l'accento su confini netti che non vengono giustificati dallo studio del gradiente, assumendo una selezione naturale di aree particolari; in realtà la città costituisce un tessuto molto più complesso che sfida le interpretazioni decisamente generali.

Oltre a questo tipo di critica "distruttiva", ce n'è un'altra che tende ad integrare il modello con l'introduzione di fattori in modo da ampliarlo. Questi ampliamenti avvengono:

A) con l'introduzione dell'altezza degli edifici (è stata data poca attenzione all'altezza e all'uso secondo l'altezza; presi in esame, i cambiamenti verticali nell'uso del suolo trovano spesso un parallelo con quelli verticali);

B) tenendo conto delle dimensioni delle città (se l'evoluzione da una "cellula primitiva" ad una grande città può essere tracciata storicamente, allora questo stesso processo dovrebbe essere identificabile esaminando oggi diverse classi dimensionali di città);

C) tenendo conto dell'importanza dei settori (le aree di rendita nelle città americane tendono a conformarsi ad un modello per settori e non a cerchi concentrici; fondamentalmente è l'elemento "direzionale" che influenza i contrasti nell'uso del suolo piuttosto che la distanza, e di conseguenza la struttura della città assume un carattere a settori);

D) tenendo conto dell'importanza dei nuclei multipli (molte città grandi non crescono semplicemente intorno ad un unico centro commerciale, ma si formano per la progressiva integrazione di un certo numero di nuclei separati: da questo l'idea di un modello a nuclei multipli).

Nonostante però tutte le critiche, la formulazione originale di Burgess del modello per zone concentriche fornisce ancora un punto di vista stimolante ai modelli di uso del suolo urbano, costituendo tuttora un utile mezzo pedagogico per l'approccio al problema che affronta.

In linea generale, nello studio dell'uso del suolo urbano, è stato rilevato che: 1- c'è una tendenza alla diminuzione della densità di popolazione dal centro alla periferia; 2- c'è una relazione sistematica tra la localizzazione dei punti di vendita al dettaglio e di erogazione di servizi al consumatore e la distribuzione spaziale degli abitanti; 3- l'uso del suolo urbano dipende in gran misura dal suo valore; 4- all'interno della città c'è una considerevole differenziazione spaziale in base ai tipi di attività.


IL CBD

1) CBD; 2) i valori del suolo stimati; 3) la rendita; 4) valori imponibili; 5) conclusione.


Il quartiere commerciale centrale (Central Business Discrict: CBD) è da considerare il centro organizzativo intorno al quale si struttura il resto della città, identificando così una delle aree "tipiche" della città. Per una serie di ragioni, che vanno dal ruolo della verticalità contrapposto allo sviluppo orizzontale, alla crescita di centri commerciali suburbani, il CBD non si è espanso rapidamente in termini di spazio, e il processo, quindi, non è così evidentemente chiaro come nella grande espansione delle aree residenziali. Solo nel 1954, gli studiosi Murphy e Vance iniziarono degli studi che riguardavano direttamente questa importante parte della città. Cercarono di tracciare una linea per delimitare questa zona, e per farlo trovarono nel valore del suolo e nei suoi derivati lo strumento di definizione più efficace.

I valori del suolo stimati o accertati, ridotti ad unità confrontabili di area, possono essere dei chiari indicatori del CBD, infatti grazie ad una misura "critica" può essere esaminata la natura del suo confine. Ma alla fine, questi dati creano non pochi problemi, dato che non sempre c'è la possibilità di ottenere dei dati soddisfacenti, uniformi e obbiettivi per un vasto numero di città; inoltre è uno studio basato sulla soggettività dato che il "confine" è stabilito dal modo di usare i valori stessi del suolo.

Ecco che la rendita per unità di area o di fronte stradale sembra un ottimo sostituto, visto che comunque il valore del suolo è rendita capitalizzata. Ma anche se è un valore fisso e meno nebuloso del valore stimato, i dati sono generalmente non disponibili e confidenziali.

Allora, in Gran Bretagna, vengono usati i valori imponibili (impiegati come base per fissare i contributi fiscali); essi sono facilmente disponibili e possono essere presi come sostituti della rendita, dato che è indirettamente legato al valore del suolo. Questi valori vengono usati in modo consistente da Herbert che, nel 1961, propose un indice, il Rate Index, per identificare quella parte di città che può essere chiamata il cuore del CBD: RI = Imponibile lordo

Superficie coperta.

Ma anche in questo caso esistono delle limitazioni dato che il valore è ancora il frutto di accertamenti personali, inoltre il valore riguarda il suolo più l'edificio e non solo il suolo individualmente.

Il risultato è che molti ricercatori finiscono per ritornare agli usi del suolo stesso, come semplice e diretta testimonianza nel determinare i caratteri spaziali del CBD. Gli studiosi Murphy e Vance elaborarono un procedimento tipo per cercare di delimitare questa zona:

1- definizione di funzioni da riconoscere come caratteristiche del CBD (vengono isolate per "negativo", cioè partendo dalle funzioni non centrali);

2- misura della superficie utile da destinare alle funzioni;

3- calcolo degli indici per ogni singolo isolato (I - indice di altezza totale degli edifici; II - indice di altezza delle funzioni centrali in numero di piani; III - indice di intensità attraverso la percentuale di tutto lo spazio disponibile ai diversi piani per le funzioni centrali; IV - indice di funzione centrale ricavata da tutti gli altri indici);

4- applicazione degli indici (serie di regole come per esempio che un isolato non centrale circondato da isolati centrali deve essere incluso nella delimitazione del CBD);

5- problemi aperti: nonostante tutto non sono prese in considerazione le variazioni nella dimensione degli isolati; le funzioni centrali sono determinate in modo soggettivo; non si tiene conto della "qualità" dell'uso dell'area; e per finire, è ancora aperta la prima obiezione: "qual è il vero scopo di questo tipo di delimitazione?"

LA ZONA DI TRANSIZIONE

1) che cos'è; 2) Horwood e Boyce; 3) Preston e Griffin.


La zona di transizione è un quartiere tipico delle città americane, poco riscontrabile in quelle europee continentali; questa zona costituisce, insieme al CBD, l'area centrale delle città. Per tanto tempo, l'attenzione degli studiosi si è concentrata sulle funzioni, sulla delimitazione e sulla compartizione del CBD; solo più avanti si è estesa alle aree circostanti.

I primi che se ne sono interessati sono Horwood e Boyce, che divisero il centro cittadino in una "parte interna" che corrispondeva al CBD dove c'era un uso intensivo del terreno ed una concentrazione di funzioni (Murphy e Vance) e una "parte esterna" sviluppata con minore intensità della prima ma che contiene un insieme di funzioni che hanno stretti legami funzionali con quelle tipiche del CBD. Queste funzioni hanno preso il posto di aree residenziali abbandonate dagli abitanti che si sono trasferiti verso l'esterno della città.

Più avanti, è stata studiata soprattutto da Preston e Griffin: dato che le funzioni residenziali tendono ad espandersi verso l'esterno, le aree interne vengono recuperate da funzioni centrali; ecco che la zona concentra dentro di sé i mutamenti di destinazione e per questo viene definita "in transizione". Tuttavia, per effetto della crescita verticale del CBD e per lo sviluppo suburbano dell'industria e del commercio, si registra in questa area un calo della domanda che porta ad uno scarso stimolo nel rinnovare gli edifici già esistenti, portando l'intera zona ad un notevole degrado. vecchia residenza di alta qualità

settore di assimilazione attiva




settore non dinamico settore non dinamico



Industria pesante; barriere naturali CBD residenza di bassa qualità







Settore di assimilazione passiva

Residenza di bassa qualità

IL MODELLO DI MURDIE

1) studi sulle aree residenziali; 2) gli status; 3) il modello del Murdie; 4) conclusioni.


L'analisi dell'abitazione urbana non ha metodi incisivi perché, anche se si sono fatti studi sui tipi di casa rurale o regionale, pochi si sono avventurati negli intricati dettagli della città. Le maggiori ricerche sulle aree residenziali sono state fatte solo in termini sociali. I primi studi fatti, volevano dimostrare che la segregazione in termini residenziali esiste e che i gruppi di occupazione più segregati sono quelli agli estremi della scala socioeconomica. Analizzando queste aree è stato è stato dimostrato che non c'è un modello fondamentale, in base al quale le aree più prestigiose della città devono essere tutte intorno alla zona esterna, ma la loro localizzazione dipende tanto dalla posizione di aree topograficamente più attraenti fra quelle più vicine al posto di lavoro che si trova nel CBD. Ma anche "l'urbanizzazione" o "status familiare" è molto importante: esso non si accorda con il modello di localizzazione dei gruppi di status sociale perché tende a muoversi dal centro della città verso l'esterno, in modo concentrico.

La conclusione di tutti questi studi è che ci sono tre principali influenze sulla decisione del luogo di residenza in una città, e sono: 1- lo status socioeconomico, incluso sia la disponibilità a pagare le tasse e gli affitti, sia l'immagine che l'individuo ha di se stesso e il gruppo sociale in cui intende collocarsi; 2- lo status familiare, cioè quello del ciclo di vita in cui i bisogni della famiglia esercitano una forte influenza; 3- lo status etnico, cioè il fenomeno dell'isolamento dei gruppi (segregazione). Classico esempio di questo status sono gli Ebrei che si spostavano in aree culturali separate non a causa di pressioni esterne, ma per il desiderio di sicurezza e la possibilità di osservare la propria cultura e religione senza suscitare paura. È per questo che il ghetto si è intensificato come porzione interna della città.

Possiamo combinare queste tre variabili e adottare il modello dello studioso Murdie per indicare gli elementi essenziali nella struttura residenziale della città: 1- lo status economico tende ad essere associato con le misure del reddito, dell'occupazione e dell'istruzione; inoltre tende ad essere distribuito per settori. 2- lo status familiare tende ad essere associato alla fertilità, alla composizione familiare e alla partecipazione femminile alla forza lavoro; inoltre tende ad essere distribuito per zone concentriche. 3- lo status etnico tende a formare "raggruppamenti" che si sovrappongono alla struttura cellulare creata dalla combinazione di modelli settoriali concentrici.

Status etnico 


Status familiare Spazio sociale


Status economico


Spazio fisico

In conclusione, per i nostri scopi il risultato più significativo è la stretta associazione fra le variabili di status familiare e le variabili del grado sociale. È chiaro, in definitiva, che tutti gli elementi che entrano nella decisioni della localizzazione, riflettono la percezione individuale e la valutazione dei bisogni e delle opportunità, che a loro volta sono formate dai valori e dai costumi di diverse subculture


LA FRANGIA SUBURBANA

1) la frangia; 2) la frangia come regione; 3) Golledge; 4) Pahl; 5) la frangia come continuum.


La frangia suburbana è un'area con caratteristiche particolari: 1- è solo parzialmente assimilata nel complesso della città in crescita 2- è ancora parzialmente rurale 3- al suo interno molti individui vivono nella "campagna" ma non ne fanno parte né socialmente né economicamente. Bisogna però tenere separati i due aspetti che la formano: il concetto di frangia come regione della città e il concetto di frangia come continuum urbano-rurale.

Prendendo in esame il primo concetto, dobbiamo tenere conto che la città si espande in modo casuale ed è questo processo che determina il modello incoerente di uso del suolo che viene visto come rappresentativo della frangia; infatti, alla fine del 19° sec, le diverse destinazioni d'uso del suolo, i villaggi più antichi, le recenti espansioni residenziali, il commercio, l'industria, i servizi e le aziende agricole non erano "raggruppate" in aree omogenee, ma erano mescolate in modo casuale.

Lo studioso Golledge, in uno studio su Sidney, presentava 7 punti inerenti alla frangia: 1- il modello di occupazione del suolo è costantemente mutevole 2- le aziende agricole sono piccole 3- le colture sono intensive 4- la popolazione è mobile e di densità bassa o modesta 5- l'espansione residenziale è rapida 6- la fornitura di servizi e di attrezzature pubbliche è incompleta 7- le costruzioni speculative sono diffuse. Queste condizioni riflettono la natura della frangia così come è già stata delineata, e rappresentano la spinta della popolazione verso la campagna.

Anche lo studioso Pahl ha cercato di riassumere le caratteristiche della frangia, in quattro punti: 1- segregazione (la disponibilità a pagare per le nuove abitazioni della frangia, porta ad un evidente modello di segregazione; infatti le principali zone residenziali dei sobborghi sono tutte segregate, con le lottizzazioni private collocate di solito più vicino agli antichi centri di villaggio. Una caratteristica varietà di forme di insediamento è accompagnata dalla segregazione della popolazione per "classe"; questa è così sviluppata che molte parti della frangia diventano simboli di status) 2- immigrazione selettiva (la frangia attira in particolare i pendolari di classe media che tendono a lavorare e a vivere in mondi sociali ed economici separati e distinti; questi costituiscono una piccola sezione dell'intera comunità urbana e tendono a conservare il loro orientamento nei confronti della città) 3- pendolarità (questo non è un fenomeno limitato ai ricchi, ma inevitabilmente la disponibilità e i costi di trasporto escludono quelli meno benestanti. 4- il crollo delle gerarchie geografiche e sociali (con la popolazione che in parte si dirige, per determinati servizi, in altre zone della città, la frangia si specializza in particolari direzioni e si verifica qualcosa di simile alla "città dispersa" dove, invece di avere fasci regolari di funzioni collegate a nodi appropriati, le diverse funzioni sono disperse in fasci segregati o specializzati, secondo le possibilità di mobilità della popolazione). Pahl sostiene, quindi, che una nuova popolazione sta invadendo le comunità locali, portando con se valori nazionali e coscienza di classe, nello stesso momento in cui emerge un nuovo tipo di comunità, associato con l'abitazione dispersa.

Prendendo in considerazione, invece, la frangia come continuum urbano-rurale, la trasformazione che la interessa può essere dimostrata ad un livello internazionale tramite confronti. Ma qualsiasi tentativo di collegare particolari modelli di relazioni sociali a specifici ambienti geografici si risolve come un esercizio poco utile; il concetto più utile da introdurre è quello esposto dallo studioso M. Webber di "regno urbano senza luogo": egli sosteneva che un regno urbano non è costituito dall'insediamento urbano né dal territorio, ma dai gruppi eterogenei di popolazione che comunicano fra loro attraverso lo spazio. Nessun insediamento urbano è un luogo unitario, ma è una parte di una serie di regni spaziali mobili e interpretativi; il conflitto nella frangia suburbana sta fra il limitato regno di partecipazione della popolazione rurale o locale e l'ampia serie di regni a cui partecipano gli immigrati.

Spazio e localizzazione - Lloyd, Dicken

LA TEORIA DELLE LOCALITÀ CENTRALI

1) modello delle località centrali; 2) paesaggio semplificato; 3) soglia e portata;

4) principio di mercato; 5) i ranghi e la gerarchia; 6) principio del traffico e amministrativo;

7) Losch; 8) conclusioni.


Negli anni 30, lo studioso W. Christaller ha proposto un modello chiamato delle località centrali; questo modello cercava di individuare una gerarchia negli insediamenti nello spazio, e inoltre cercava di individuare le forze che ne determinavano la localizzazione. C. partiva dal presupposto che in ogni regione vi era una gerarchia naturale che evidenziava dei centri rispetto ad altri: questi centri, che forniscono una vasta gamma di beni e servizi alla popolazione dispersa intorno ad essa, vengono chiamati Località Centrali.

Prima di tutto, ha studiato questo modello applicandolo ad un paesaggio semplificato, dove il territorio è una pianura senza confini, omogenea da tutti i punti di vista (terreno piano e senza ostacoli, con i costi di trasporto proporzionali alla distanza e dove le risorse naturali sono equamente distribuite), e in più la pop. ha uguali caratteristiche ( è distribuita in modo uniforme, ha uguali bisogni, consumi e guadagni, e infine si comporta in modo razionale comportandosi in modo ottimale). Ecco che, quindi, la sola variabile è il costo necessario a superare l'ostacolo della distanza.

La località centrale nasce perché essa produce un bene in eccedenza, da offrire ad altri centri. Per fare questo, deve esistere un livello minimo di domanda per assicurarsi un introito, chiamato Valore di Soglia; se non viene raggiunto questo valore, non ci sarà produzione per la vendita

Il prezzo stesso per il consumatore, varierà al variare della distanza, perché essa è l'unica variabile in questo modello semplificato, avremo quindi minore distanza=minore prezzo. Il prezzo aumenterà perché si aggiunge al valore del bene la tariffa unitaria di trasporto: ecco che viene introdotto il concetto di portata, che rappresenta la distanza massima che un consumatore è disposto a percorrere per procurarsi quel determinato bene. La portata ha quindi un'area circolare intorno al punto di produzione in questo modo, però, rimangono delle zone non servite; per comprendere tutto il territorio, si formeranno delle zone di sovrapposizione, bipartite tra i commercianti, formando così delle aree di mercato esagonali.

Questa suddivisione di aree, porta ad un sistema con K=3 chiamato Principio di Mercato; K è il valore che indica il numero di centri ed aree di mercato di ordine inferiore dominate da un centro di ordine superiore. Questo si basa sul principio di fornire il massimo numero di consumatori da un minimo numero di località centrali.

ma i beni e i servizi possono essere suddivisi in Ranghi, e per fare questo bisogna considerare alla base quelli meno qualificati (e quindi più comuni) e al vertice quelli di maggiore importanza. Si forma una piramide che esprime solo uno degli aspetti delle funzioni centrale, perché ogni città è dotata di una propria suddivisione funzionale e ogni rete di città di una propria offerta. La gerarchia che si viene così a creare, tiene conto del fatto che le loc. cent. stesse possono essere suddivise in ordini; a loro volta quelle appartenenti ad un certo ordine forniscono beni e servizi fino ad un certo rango inferiore, loro compresi, e per i beni e servizi di rango superiore, i consumatori andranno verso le località centrali di ordine superiore.

Ma, secondo il Christaller, tra i vari ordini di loc. cent., esistono non solo rapporti gerarchici, ma anche rapporti di distanza, di consistenza geografica e di grandezza delle aree gravitazionali, intese soprattutto come aree di mercato (principio di mercato). Accanto a questo principio, egli ne elabora altri due, con coefficienti diversi: quello del traffico (con K=4) e quello amministrativo (con K=7).

Vent'anni più tardi, lo studioso Losch porta, a questo modello, i contributi più significativi partendo dal presupposto che la realtà è talmente complessa che bisogna avere un modello più flessibile e non rigido come quello proposto dal Christaller. Il Losch riteneva che non era vero che i centri della stessa grandezza avessero lo stesso livello funzionale ma soprattutto non era d'accordo sul fatto che una loc. cent. di un certo ordine aveva in sé tutte le funzioni delle località di ordine inferiore.

Nel tempo, questo modello ha subito molte critiche: una molto costruttiva è stata quella che ha sottolineato come le città non sono solo località cent., ma anche centri di ordinatori di processi di organizzazione dello spazio, ruolo svolto attraverso una serie di attività che non sono soltanto di servizio, ma anche di "gestione" e di "comando". Inoltre i centri tendono a specializzarsi e quindi ne deriva un comportamento diverso del consumatore, che ora ha come obbiettivo non più quello di rendere minimi gli spostamenti, ma quello di accedere a centri di offerta specializzati e con un'ampia scelta di un dato bene o servizio.


L'ORGANIZZAZIONE SPAZIALE DELLA PRODUZIONE AGRICOLA

1) paesaggio semplificato; 2) la rendita; 3) la rendita di posizione; 4) produzione di più beni;

5) Von Thunen, Losch, Dunn; 6) Alonso.


La localizzazione della produzione agricola, al contrario di quella nei settori terziari e secondari che è praticamente puntiforme, coinvolge vaste superfici; è per questo che consideriamo un modello semplificato del territorio dove il terreno è una pianura senza confini, omogenea da tutti i punti di vista (territorio piano e senza ostacoli, con i costi di trasporto proporzionali alla distanza e le risorse naturali distribuite equamente) e dove i coltivatori considerano il profitto come unica motivazione.

Le varie unità di suolo saranno quindi occupate da quegli usi che possono dare la massima resa per unità di superficie, che si ottiene attraverso la rendita. La rendita è il surplus di entrate che si può ottenere da una unità di superficie e che, in genere, è misurata attraverso il rapporto con i terreni marginali, cioè i vantaggi di un terreno su un altro. Siccome il nostro è un modello semplificato, l'unico vantaggio è quello della localizzazione in relazione al mercato; in più, i costi di produzione sono uguali per tutti e quindi il guadagno è determinato solo dal costo di trasporto (più vicino è il mercato, maggiori sono i vantaggi). Quindi l'entrata netta dell'agricoltore è data dal prezzo del bene, stabilito dalla relazione domanda-offerta, meno il costo di produzione e il costo di trasporto al mercato.

Nel 1954, lo studioso Dunn adotta una formula per esprimere la rendita do posizione per una coltura: RP = R(P-C) - Rtd RP

RP= rendita di posizione per unità di superficie

R= resa unitaria    Km

P= prezzo di mercato per unità di prodotto

C= costo di mercato per unità di prodotto   a b c

t= tariffa di trasporto d=distanza dal mercato

prendendo in considerazione più prodotti, avremo per ognuno di essi. 1- un prezzo specifico di mercato determinato dalla relazione domanda-offerta; 2- un determinato costo di produzione che varierà in base alla natura del prodotto 3- un costo di produzione costante nello spazio per tutti i beni 4- una determinata resa per unità di superficie. Ogni prodotto avrà così una diversa curva di rendita; siccome si presume che gli agricoltori cerchino di massimizzare i profitti, si formerà una utilizzazione del suolo ad anelli concentrici dove, il bene che frutterà di più soppianterà quello che frutta di meno (disegno)

Questa analisi era stata formulata per primo da Von Thunen nel 1826, che ha riconosciuto l'influenza della rendita sull'uso del suolo agricolo, individuando anche un ordine spaziale nel modello di rendita imposto dalla distanza. Nel 1954, Losch critica però questo modello sostenendo che gli anelli erano in effetti casi molto particolari. Nello stesso anno, Dunn suggerisce che, anche se la formazione di anelli non avviene per due prodotti, avviene sicuramente nel caso di più prodotti combinati tra loro.

Nel 1960, lo studioso Alonso spiega così la zonizzazione concentrica della produzione agricola intorno ad un centro urbano: 1- l'utilizzo del suolo determina il valore del terreno 2- il valore determina il suo utilizzo alternativo a seconda delle capacità di remunerazione che dipende dalla rendita di posizione 3- le curve di rendita con pendenza maggiore determinano le localizzazioni centrali dei prodotti a cui si riferiscono. Comunque, nel caso di più prodotti, si avranno le zone interne organizzate in modo concentrico al mercato, mentre quelle esterne rivolte verso l'intero gruppo di centri


L'ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DEI CENTRI URBANI

1) gli insediamenti umani; 2) Zipf e la rango dimensione; 3) Berry; 4) critiche.


Gli insediamenti umani non si sviluppano in modo casuale, ma seguono particolari regole; quella più ovvia è che in un dato sistema spaziale, i centri urbani sono ordinati in modo gerarchico, ed hanno quindi un determinato rango. Molti studiosi hanno fatto ricerche sulla formazione di questa gerarchia prendendo sempre in esame la funzione di "località centrale" dei centri urbani.

Lo studioso Zipf, nel 1949, è stato il primo ad esprimere la legge della Rango Dimensione osservando che esiste un rapporto costante tra la popolazione di ciascuna città ed il suo rango; in particolare ha osservato che, in molti casi, la popolazione di una qualsiasi città in esame, tende ad essere uguale alla popolazione della città più grande (della regione) divisa per il rango della città stessa. Nella sua forma più semplice, avremo Pr = P1 / r q (q normalmente con valore uguale ad 1).

Nel 1961, lo studioso Berry ha fatto una ricerca su più paesi a vari livelli di sviluppo dimostrando che alcuni seguivano la legge della Rango Dimensione, altri avevano una distribuzione del tipo Città Primato in cui domina una città molto grande e mancano quelle di media grandezza, e altri ancora erano a metà tra il primo e il secondo tipo. Questo perché ci sono vari fattori che influenzano lo sviluppo di un paese: il suo livello economico, il periodo d'inizio dell'urbanizzazione, ecc. Il Berry afferma che più la vita economica, politica e sociale di un paese è complessa, più la sua distribuzione urbana tende a seguire la regola della Rango Dimensione, ipotizzato come stadio d'equilibrio di un sistema

In conclusione, sembra effettivamente che la distanza varia con il rango del bene, ma c'è una differenza grande tra le distanze di "maggiore acquisto" e quelle di "acquisto più vicino" perché il compratore non compra invariabilmente nel centro più vicino.


L'ANALISI DEL MINIMO COSTO DI TRASPORTO

1) modello semplificato; 2) minimo costo di trasporto; 3) indice materie prime;

4) coefficiente del lavoro; 5) l'isodapana; 6) economie di agglomerazione.


Lo studioso Weber, all'inizio del nostro secolo, si pone il problema della localizzazione ottimale delle unità produttive; per risolvere questo, prende in considerazione uno spazio economico semplificato dove ci sono aree ristrette con giacimenti di materie prime ubicate, dove ci sono punti in cui si concentra la domanda (mercato) e dove i costi di trasporto sono determinati da due fattori: la distanza per il trasporto e il peso della materia prima e del prodotto finito. In questo modo, Weber può ridurre il costo di trasporto in termini di tonnellata per Km.

Weber pensa che la localizzazione dello stabilimento deve avvenire nel punto di minimo costo di trasporto, cioè lì dove i costi per trasportare le materie prime allo stabilimento e i costi per trasportare il prodotto finito al mercato sono minimi. Per trovare questo punto, distingue prima di tutto le materie prime in ubicate e ubiquitarie, prendendo in considerazione le prime perché le altre sono reperibili ovunque. Successivamente, suddivide in ubicate nette, il cui peso entra per intero nel prodotto, e ubicate lorde, che sono le materie che nel processo di trasformazione producono scorie.

Ecco che la produzione può avvenire in tre punti: alla fonte della materia prima ubicata; sul mercato; in un punto intermedio tra i primi due. Per ottenere così la localizzazione di minimo costo, introduce l'indice delle materie prime (MI) MI = peso materiali ubicati

peso del prodotto finito

Se l'indice risulta minore di 1, la localizzazione si orienterà verso il mercato; se l'indice risulta maggiore di 1, la localizzazione si orienterà verso le materie prime. Quindi la localizzazione dipenderà semplicemente dalla natura del materiale usato nella produzione. Come regola generale si può dire che, quando il trasporto di un input supera la somma dei costi di trasporto di tutti gli altri, allora la localizzazione avverrà alla fonte di quel input; una localizzazione intermedia sarà possibile quando il costo per KM di ogni singolo input non supera la somma di tutti gli altri.

In una seconda fase della ricerca, Weber prende in considerazione l'ipotesi che il lavoro sia anch'esso un fattore ubicato e che quindi anche questo determini una possibile localizzazione. Egli calcola così il coefficiente di lavoro che è uguale all'indice del costo di lavoro (che è il costo del lavoro per tonnellata di prodotto) diviso il peso localizzativo (che è la somma dei materiali ubicati e del prod. finito da trasportare.

Per determinare la giusta localizzazione, Weber introduce un nuovo strumento: l'isodapana. Dato il punto di minimo costo di trasporto totale P, avremo intorno ad esso punti con diversi costi, per definizione maggiori;   C

le linee che rappresentano il luogo dei punti di uguale costo

vengono dette isodapane;    L1

il punto dove la localizzazione può deviare è quello    P

interno all'isodapana critica che corrisponde     M1 M2

al risparmio sul costo del lavoro.

L2

Weber, però, ha chiarito che la localizzazione di una industria può essere condizionata anche dalle economie di agglomerazione che derivano dal fatto che molte imprese che operano nello stesso settore, si concentrano in un solo luogo. Anche in questo caso ricorre alle isodapane per trovare la localizzazione ottimale.


LA LOCALIZZAZIONE DELLE VIE E RETI DI COMUNICAZIONE

1) vie di comunicazione; 2) il costo; 3) la legge della rifrazione; 4) i costi fissi nella realtà.


L'uomo, per minimizzare i costi di spostamento, tende a fare collegamenti in linea retta tra le varie località ma, naturalmente, le differenze morfologiche dei terreni hanno molta importanza. Quello che determina la localizzazione delle vie è la domanda (reale o potenziale) di comunicazioni, e il costo dell'attraversamento di terreni difficili deve essere comparato con i presunti benefici della costruzione.

Il costo della realizzazione è formato da due elementi base: 1- i costi fissi che dipendono dalla lunghezza della strada 2- i costi variabili che si rifanno sia alla lunghezza che al flusso di percorrenza. Si possono così ritrovare due modelli di strada: quello di minimo costo per l'utente e quello di minimo costo di costruzione. Non bisogna poi dimenticare che nella costruzione delle vie, altre agli aspetti più o meno morfologici, influenzano anche i confini politici, i differenti costi dei terreni, ecc.




Lo studioso Losch (1954) ritiene che l'effetto deviante prodotto da questi fattori, sia analogo alla legge fisica della rifrazione. Fa un esempio pratico: deve far comunicare il punto A con il punto B;

A


Mare (basso costo di trasporto unitario = fa)


a

fb senb - fa sena

X N O M Y


Terra (alto costo di trasporto unitario = fb)

b


B


potranno esserci due vie "dirette", e cioè una che collega i due punti con una retta e l'altra che sfrutta di più il basso costo di trasporto sull'acqua. (disegno) Mare =basso costo di trasporto unitario (f di alfa) Terra =alto costo di trasporto unitario (f di beta) Applicando la legge della rifrazione avremo fb senb - fa sena Ecco trovata la via che dà il minimo costo di trasporto. Più avanti, nel 1968, lo studioso Werner ha applicato questa legge ai casi dove l'origine e la destinazione sono separati da più aree differenti, con diverse caratteristiche di costo, dimostrando che si cerca sempre di seguire il percorso con il minimo costo di trasporto.

Nella realtà i costi di trasporto non sono proporzionali alla distanza perché esistono i costi fissi, indipendenti dalla lunghezza del viaggio. Influiscono molto sui costi di trasporto perché, all'aumentare del percorso, essi vengono suddivisi su più Km; ne consegue che il costo per chilometro tende a diminuire con l'aumentare della distanza. Ma il grado di diminuzione varia al variare del trasporto usato, però è anche vero che ogni mezzo di trasporto offre vantaggi per una diversa lunghezza di percorso. È per questo che vengono offerti diversi livelli di tariffe: 1- tariffe costanti per "zone" chilometriche 2- tariffe diverse in base alle caratteristiche della merce 3- tariffe dipendenti dalle caratteristiche del traffico su certe vie di comunicazione 4- tariffe ribassate in caso di un "carico di ritorno".

Curve di trasporto:






OT = costi fissi o costi "di terminale"

T


O

distanza distanza distanza 40 80 Km

proporzionali alla distanza  meno che proporzionali decrescente per scaglioni di percorso


POTENZIALE DI POPOLAZIONE E POTENZIALE DI MERCATO

1) la domanda; 2) influenza sulla domanda; 3) potenziale di popolazione;

4) potenziale di mercato; 5) minimo costo di trasporto; 6) conclusioni.


Si sa che la differenziazione spaziale dei costi di produzione influisce sulla loc. dell'attività commerciale. Il problema è sempre lo stesso. Trovare il punto, la localizzazione di minor costo. Nella realtà, però, bisogna tenere conto anche delle differenziazioni della domanda. La domanda è la forza iniziatrice dei sistemi economici, e gli stessi sistemi raggiungono una struttura definitiva quando si forma un ciclo regolare di scambi di introiti fra produzione e consumo. La domanda può essere espressa attraverso l'ammontare del reddito sotto forma, appunto, di consumo o di investimento; è sostenuta dai salari e dai profitti, e rappresenta quella parte del reddito che non viene risparmiato.

L'influenza sul livello della domanda è data da più fattori: 1- il prezzo di mercato del bene o del servizio 2- i prezzi di tutti gli altri beni o servizi 3- i gusti e le preferenze dei singoli consumatori. Tutti questi elementi si diversificano nello spazio anche su distanze brevi, dando luogo a una grande varietà di condizioni e di intensità della domanda.

Un modo per descrivere le differenziazioni nell'intensità della domanda è il calcolo del Potenziale di Popolazione:    n

PP i = x P r / d b ir

r = 1

ma questo calcolo non teneva conto che, nella realtà, la popolazione non ha lo stesso reddito o gli stessi gusti.

Nel 1954, lo studioso Harris trova un metodo alternativo: considera il valore delle vendite al minuto in ogni unità amministrativa e da qui ricava il Potenziale di Mercato: n

PM i =potenziale di Mercato PM i = x M r / d ir

M r =dimensione del mercato r misurata in termini di vendite al minuto   r = 1

dir =distanza tra i e r basata su una stima del costo di trasporto.

Il potenziale di Mercato da un'indicazione generica della vicinanza o meno di una localizzazione alla domanda totale (il valore massimo dà un indizio approssimativo della localizzazione che ha maggiori possibilità di vendita), ma non dà indicazioni sul costo di trasporto.

Harris calcola allora anche il Minimo costo di trasporto: TCj = E Mr x dir TCj = costo di trasporto globale in J Ma questi due calcoli danno valori diversi in funzione della distanza dal mercato; ecco che il problema della localizzazione ottimale rimane comunque insoluto.

Nonostante tutto, però, il modello di potenziale fornisce un comodo mezzo per stabilire la grandezza globale delle differenziazioni spaziali della domanda, anche se bisogna tener conto e prendere in considerazione tutti quegli altri fattori che la influiscono quali, come già detto, lo stesso prezzo, il prezzo degli altri beni e servizi e i gusti dei singoli consumatori. È normale, quindi, che nella realtà il prezzo varia da luogo a luogo.



Domande d'esame

Compendio di Geografia Regionale

q   Canoni positivisti e determinismo geografico (bacini fluviali, regione naturale e nomi territoriali)

q   Vidal e la concezione possibilista

q   L'idea funzionalista di regione

q   La teoria sistemica


Geografia Urbana. Teoria e metodi

q   Il processo di urbanizzazione

q   La teoria sulla base economica urbana

q   La legge del Railly

q   Uso del suolo urbano e gli impulsi allo sviluppo (struttura interna delle città)

q   Il CBD

q   La zona di transizione

q   Il modello di Murdie

q   La frangia suburbana


Spazio e localizzazione

q   La teoria delle località centrali

q   L'organizzazione spaziale della produzione agricola

q   L'organizzazione gerarchica dei centri urbani

q   L'analisi del minimo costo di trasporto

q   La localizzazione di vie e reti di comunicazione

q   Il potenziale di popolazione e quindi il potenziale di mercato

q   La teoria dei Poli di Sviluppo




Appello Febbraio '98

Chiarite in quale modo, partendo dal modello gravitazionale, si calcola il potenziale di popolazione e quindi il potenziale di mercato, indicando qual è il loro impiego.

Che cosa si intende per "l'erre" di gravitazione commerciale del Railly e in che cosa differisce dalla interazione fra due città.

Qual è l'idea funzionalista di regione.

Indicate come le comunicazioni interpersonali variano al variare della distanza sul piano isotopico e come si diffondono secondo "Hagerstrand" le informazioni tra individui a diversi livelli di interazione.

Che cosa è la frangia suburbana e in particolare quali sono le ipotesi del Golledge e del Pahl.



1° Appello Giugno '98

Località centrali.

La legge del Railly.

La regione per i deterministi (bacini fluviali).

La frangia suburbana.

I nomi territoriali.

Minimo costo del lavoro, trasporto, ecc.


2° Appello Giugno '98

Come si organizzano le funzioni agricole intorno al punto di mercato.

Come viene intesa la regione da parte dei geografi funzionalisti.

Illustrare la teoria della base economica urbana.

In quale modo e con quali presupposti il Losch applica la legge della rifrazione per risolvere il problema delle vie di comunicazione.

La zona di transizione.

Canoni positivisti e la regione per i deterministi.


Appello Settembre '98

In quale modo i tipi di crescita limitata e illimitata sono stati trasferiti alla teoria Regionale Sistemica

Illustrate gli effetti di "diffusione" e di "riflusso" nella trasmissione degli impulsi allo sviluppo

Su quali basi ideologiche poggia la concezione Funzionalista di regione

Illustrate il modello di città a cerchi concentrici e indicate le critiche che gli sono state rivolte

Quali sono le ipotesi del Golledge sulla frangia suburbana

Illustrate le curve dei costi di trasporto: a) proporzionali alla distanza; b) meno che proporzionali; c) decrescenti per scaglioni di percorso.



Come funzionano i Centri di Gravitazione

Rendita di posizione espressa attraverso grafici

Rendita Urbana espressa attraverso grafici





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