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Le telecomunicazioni - Stato patrimoniale riclassificato

telecomunicazioni



Le telecomunicazioni





Introduzione

Nel corso dell'ultimo decennio, le telecomunicazioni mondiali si sono caratterizzate per un elevato grado di dinamicità che ha portato le aziende del settore ad avviare una serie di strategie necessarie per adeguarsi ad un mercato i cui tradizionali confini mutano e si ampliano progressivamente.



Sia a livello nazionale che internazionale, la convergenza tra media, informatica e telecomunicazioni è stato un fenomeno di rilevante importanza che ha portato alla formazione di un unico mercato, con conseguente sviluppo del numero degli operatori presenti in esso. A ciò si è aggiunto la trasformazione di Internet in uno strumento di comunicazione di massa, che rappresenta uno dei nuovi fattori di integrazione dei mercati mondiali.

Altri elementi che sempre più caratterizzano lo sviluppo delle telecomunicazioni sono: il processo di liberalizzazione, le numerose privatizzazioni, la globalizzazione dei mercati e l'elevata dinamicità della telefonia mobile. Con questi cambiamenti così rivoluzionari era inevitabile che le leggi e politiche debbano essere riviste e aggiornate.

L'evoluzione tecnologica crea rischi ed interesse che si ripercuotono sulle strategie delle aziende che mettono in ballo migliaia di miliardi di investimenti. Basti fare l'esempio della telefonia mobile, nella quale, nel breve svolgere di qualche anno, si sono succedute varie generazioni tecnologiche, senza escludere che magari tra pochissimi anni le costose infrastrutture a base di reti di antenne possano essere ormai obsolete rispetto a nuove soluzioni.

Ma nuova tecnologia può voler dire anche nuovi servizi; ed è proprio l'area dei nuovi servizi la breccia nella quale le società stanno attuando strategie di sviluppo. La progressiva crescita della competizione impone accordi, alleanze, partecipazioni e joint venture per poter far crescere gli investimenti, introdurre velocemente nuovi servizi di qualità più elevata e raggruppare il maggior numero di clienti al minimo costo.

Oltre a parlare delle telecomunicazioni in genere, analizzeremo il bilancio dell'Italtel, parleremo dei vari problemi letterari, storici, politici (Italia; poi di Francia e Inghilterra parleremo di come è formato il governo e un po' di storia dei partiti politici) ed economici che hanno caratterizzato il periodo del massimo sviluppo telematico.



1 - Analisi di bilancio dell'Italtel S.p.a.

L'Italtel è una delle principali aziende operanti a livello internazionale nel settore delle telecomunicazioni. Progetta, produce e installa reti di telecomunicazioni fisse e mobili, reti di accesso, reti a banda larga, sistemi integrati per nuovi operatori di reti fisse e mobili. Opera inoltre in qualità di partner dei gestori di rete fornendo servizi di assistenza, supporto, formazione e manutenzione.

Di tale società si è voluto esaminare il bilancio ed attraverso la sua analisi porre in evidenza le principali problematiche legate ad un settore che impone ampie ristrutturazioni aziendali ed il ricorso all'outsourcing con l'obiettivo di migliorare la posizione competitiva nei mercati nazionali e internazionali.

L'esercizio 1998 è stato pesantemente influenzato dalla improvvisa flessione della domanda di apparati per telecomunicazioni sia sul mercato interno, in fase di profonda evoluzione con la contrazione degli investimenti da parte del principale gestore, sia su quello internazionale, influenzato dai riflessi della crisi finanziaria dei paesi emergenti, in particolare del sud-est asiatico. Questa situazione si è profilata in un momento in cui le precedenti indicazioni dei principali clienti avevano portato a uno sviluppo della produzione con magazzini rilevanti.

Italtel ha fronteggiato questa nuova situazione sottoponendo a riesame critico ogni aspetto della propria attività, dal posizionamento sui mercati, ai piani di prodotto, alle risorse impegnate, con visuale proiettata oltre che sul 1998 anche sul triennio 1999-2001, e ha focalizzato la propria attenzione sull'efficacia dei processi nell'ottica di migliorare il posizionamento strategico della società in un contesto competitivo sempre più agguerrito.

In questo quadro l'azienda ha sviluppato un piano di azioni per il triennio finalizzato al recupero di condizioni di flessibilità e di efficienza con un preciso orientamento al ripristino di livelli di redditività coerenti con il concetto di creazione di valore

cui deve ispirarsi l'impresa. Tale piano prevede il rafforzamento delle competenze distintive della società con la concentrazione sul core business e in particolare sulle attività con maggiore redditività e maggiori prospettive di sviluppo.

Nel 1998 il risultato consolidato prima dei componenti straordinari e delle imposte, Irap (Imposta regionale sulle attività produttive) inclusa, stato positivo di 15 miliardi; l'esercizio si è chiuso con una perdita di 282,1 miliardi di lire dopo oneri straordinari per esodi definiti nell'esercizio per circa 54 miliardi e dopo accantonamenti straordinari per 190 miliardi in gran parte dovuti agli oneri previsti nel piano sopra citato. La perdita della Capogruppo Italtel S.p.A. è stata di 279 miliardi.

Il fatturato consolidato 1998 è stato di 3.946 miliardi di lire, con una diminuzione del 14 per cento rispetto all'esercizio precedente.

Le esportazioni sono state di 1.831,7 miliardi di lire, pari al 46,4 per cento del totale delle vendite (2.250,5 miliardi, pari al 49,1 per cento nell'esercizio precedente). Le vendite in Italia sono state di 2.114,3 miliardi di lire (2.336,5 miliardi nel 1997).

continuato l'impegno Italtel nella Ricerca e Sviluppo: le spese relative sono state di 524 miliardi di lire rispetto ai 530,5 miliardi del 1997, pari al 13,3 per cento delle vendite.

Nel 1998 sono stati realizzati nuovi investimenti in immobilizzazioni tecniche per 149 miliardi di lire (212,4 miliardi nel 1997).

L'organico del Gruppo Italtel al 31/12/1998 era in totale di 15.101 unità, con una flessione di 1.282 unità rispetto al 31/12/1997, di cui 214 unità riferite alla società Italtel Tecnomeccanica che è stata ceduta in data 1° ottobre 1998 a Reltec (Europe) Ltd. A fine dicembre 1998 è stato firmato un accordo con Lares Cozzi S.p.A. per la cessione, con decorrenza 1/1/1999, di Italtel Tecnoelettronica che aveva, a fine 1998, un organico di 234 unità. In base all'accordo, Italtel cede inizialmente il 60 per cento del capitale della società e in seguito il restante 40 per cento.

Elementi diversi ma caratterizzati da una comune criticità hanno contribuito a fare del 1998 un anno difficile per il comparto manifatturiero delle telecomunicazioni. In Italia i grandi cambiamenti innescati dalla privatizzazione di Telecom Italia e dall'avvento di nuovi operatori non hanno ancora portato effetti positivi, anche se buoni successi sono stati conseguiti in termini 727b17h di nuovi ordini: la contrazione degli investimenti del principale gestore italiano si è sommata con quella del mercato radiomobile di interesse per Italtel che nel 1998 ha accusato una pronunciata flessione dopo un biennio di forte crescita. D'altra parte, le crisi del sud-est asiatico e della Russia, aree strategiche per l'azienda, hanno limitato la possibilità di recupero all'estero.

Per effetto della contrazione dei mercati, la capacità produttiva Italtel è risultata eccedente il fabbisogno con livello dei magazzini a fine 1997 molto elevato.

Al riguardo sono stati stipulati con le organizzazioni sindacali dei lavoratori tre accordi per l'esercizio 1998 che hanno dato luogo a sospensioni dell'attività in tutti gli stabilimenti, ad eccezione di quello di Cassina, mediamente per 3.600 addetti per circa 9 settimane.

Per quanto riguarda l'evoluzione prevedibile della gestione, anche l'esercizio 1999 è iniziato con una dissaturazione della capacità produttiva. L'azienda ha affrontato questa situazione con il ricorso alla cassa integrazione guadagni e con l'avvio della realizzazione di un aggressivo piano di ristrutturazione.

Il bilancio consolidato 1998 presenta, come detto, una perdita di 282,1 miliardi di lire.

Questo risultato non è confrontabile con quello dell'esercizio precedente (utile di 58,2 miliardi) data la straordinarietà degli accantonamenti per oneri di ristrutturazione legati al piano triennale 1999-2001. Nel totale, gli oneri straordinari netti che gravano sul bilancio 1998 sono di 254 miliardi (contro i 20,7 miliardi del 1997) le cui componenti principali sono i citati accantonamenti di 150 miliardi per oneri di ristrutturazione e di ulteriori 40 miliardi per rischi crediti in Russia, per il peggioramento della situazione generale del paese, oltre a 53,6 miliardi di oneri per esodi.

Il conto economico consolidato presenta un risultato positivo - prima dei componenti straordinari e delle imposte - di 15 miliardi rispetto ai 96,3 miliardi del 1997. Anche questo confronto non è omogeneo in quanto la nuova imposta Irap è classificata, secondo le indicazioni di legge, fra le imposte sul reddito dell'esercizio, a valle quindi del risultato di cui sopra, mentre i contributi sanitari (sostituiti insieme ad altri tributi dalla nuova imposta) confinavano nel 1997 nel costo del lavoro e quindi gravavano sul risultato prima degli oneri straordinari e delle imposte (circa 41,2 miliardi a livello consolidato).

L'andamento economico della gestione ordinaria ha risentito della flessione delle vendite, in un contesto di prezzi ancora calante e nonostante i forti recuperi di produttività conseguiti. Sull'andamento economico, poi, ha pesato negativamente il forte livello dei magazzini in relazione alle richieste dei principali clienti improvvisamente ridotte rispetto al 1997 e alle previsioni iniziali del 1998.

I fenomeni più rilevanti, oltre alla contrazione complessiva delle vendite, hanno riguardato il significativo cambiamento del mix dei prodotti con flessione delle reti fisse e mobili e sviluppo della trasmissione.

Il fatturato pro capile è risultato di 264,6 milioni di lire rispetto ai 284 milioni del 1997.

Il valore aggiunto consolidato è stato di 1.407,7 miliardi di lire rispetto ai 1,645,7 miliardi del 1997.

Il valore aggiunto pro capite è risultato di 94,4 milioni di lire, con un decremento dell'8,4 per cento rispetto al 1997.

Il MOL (margine operativo lordo) consolidato è diminuito a 265,8 miliardi di lire dai 415,9 miliardi dell'esercizio precedente con un'incidenza sul valore della produzione del 6,8 per cento rispetto a quella deli'8,3 per cento del 1997. Per le considerazioni già esposte circa gli effetti dell'Irap, questo confronto non è omogeneo. Il peggioramento riflette comunque i fenomeni che hanno caratterizzato l'esercizio. L'Irap è risultata di 49,6 miliardi a livello consolidato. Rispetto alla legislazione precedente, la nuova imposta ha un effetto non univoco sulle imprese in relazione a vari fattori quali ad esempio il grado di intensità del lavoro e l'imponibilità all'Ilor. Per Italtel l'effetto è sostanzialmente neutro sul risultato globale 1998.


Per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali il capitale investito netto al 31/12/1998 a livello consolidato si è attestato sui 2.599,7 miliardi di lire (2.752,9 miliardi a fine 1997) composto di capitale fisso netto per 841,3 miliardi (822,4 miliardi a fine 1997) e di capitale d'esercizio per 2.164,2 miliardi (2.327,9 miliardi a fine 1997). Il fondo trattamento di fine rapporto è aumentato a 405,8 miliardi dai 397,4 miliardi di fine 1997.

Al 31/12/1998 il capitale investito netto era coperto per 1.078,7 miliardi di lire da capitale proprio (pari al 41,5 per cento del totale) e per 1.521 miliardi da debiti finanziari netti (pari al 58,5 per cento del totale). Tale indebitamento presenta un incremento di 136,2 miliardi rispetto alla fine dell'anno precedente ed è composto di debiti finanziari a medio/lungo termine per 707,6 miliardi e di debiti finanziari netti a breve per 813,4 miliardi.

I costi complessivi sostenuti nell'ambito della Ricerca e Sviluppo sono stati di 524 miliardi di lire (550,5 nel 1997), pari al 15,3 per cento dei ricavi di vendita e 3.231 erano, a fine 1998, gli addetti impegnati in questo settore. Le attività di ricerca vengono condotte all'interno delle singole Aree di Business e presso i laboratori di Ricerca Centrale.

L'attività condotta dalla Ricerca Centrale ha continuato a svilupparsi secondo i diversi filoni individuati nel corso dell'anno precedente: le reti di trasporto e accesso a larga banda, sia cablate che wireless; l'integrazione tra reti fisse e reti mobili; le reti di tipo Internet; le reti per servizi multimediali interattivi.

Nel campo delle reti di trasporto a larga banda si sono conclusi i progetti Acts Cobnet e Moon che hanno portato alla realizzazione e sperimentazione in campo di cross-connect, multiplatori add-drop e anelli ottici multi-lunghezza d'onda.

Nel campo dell'accesso, è continuata l'attività, in collaborazione con la BUP dedicata, sui sistemi di accesso a larga banda sia su fibra che su doppino telefonico.

Tra i risultati più significativi vi è stata la sperimentazione in campo per conto di Telecom Italia di reti di accesso in tecnologia ottica passiva (PON) e la collaborazione con la BUP Radio sui sistemi di accesso wireless punto-multipunto a larga banda in tecnica ATM.

Nel campo dell'integrazione tra reti fisse e reti mobili, completato il progetto Acts Exodus, l'attività di studio si è concentrata soprattutto sugli aspetti di interoperabilità tra reti.

Nell'ambito delle reti Internet, l'attività si è sviluppata soprattutto nei campi dei servizi a valore aggiunto a qualità di servizio garantita (con particolare attenzione agli aspetti di tariffazione), del commercio elettronico (aspetti di certificazione delle parti e di sicurezza delle transazioni) e di distribuzione dell'intelligenza in rete e tra rete e terminali (tecnologia degli agenti mobili).

Nel campo dei servizi multimediali interattivi si è sostanzialmente concluso il progetto Acts Amuse che ha consentito di verificare in condizioni di uso reale pregi e difetti delle varie tecnologie di accesso a larga banda (ADSL, PON più VDSL, HFC, HFR e FTTB).

Più precisamente, per quanto concerne il field trial italiano, a Milano sono stati sperimentati con successo servizi di televisione interattiva e distributiva (quest'ultima in modalità Switched Digital Video Broadcast), accesso veloce a reti Internet (sia da normale televisore, tramite set top, sia da PC), tele-shopping, tele-banking e tele-education. Le tecnologie usate in questo caso sono state quella ADSL (a 8Mb/s) e quella PON (a 622/155Mb/s) con VDSL a 25Mb/s sull'ultimo tratto in doppino. Per la codifica digitale dei segnali video si è usata la tecnologia MPEG-2 compatibile con l'offerta anche di servizi video ad alta definizione.

Di seguito viene descritta l'attività di R&S condotta dalle singole Aree di Business.

Nell'ambito della BUP Commutazione a Banda Stretta le attività hanno riguardato due filoni. Per il mercato italiano sono state sviluppate nuove prestazioni per il cliente Telecom Italia in relazione all'ingresso di nuovi operatori, nel rispetto delle normative emesse dall'Authority; tali sviluppi proseguiranno nel corso del 1999 parallelamente alle attività di ricerca volte a fornire servizi di tipo innovativo sia per l'utenza business sia per l'utenza residenziale.

Per il mercato estero l'attività 1998 è stata incentrata sul consolidamento
del prodotto per il secondo gestore spagnolo e l'acquisizione di contratti
con operatori locali emergenti (quali Madritel); per il 1999 è pianificato un rilascio software che, oltre a contenere prestazioni innovative dal punto di vista dei servizi e da quello dell'adeguamento a standard internazionali, ha come obiettivo principale la convergenza in un'unica release dei prodotti software attualmente in campo nelle reti dei clienti latino americani e spagnoli. Per entrambi i filoni, particolare attenzione verrà rivolta nel corso del 1999 alla risoluzione delle problematiche «millennium bug»; proseguiranno inoltre le attività di R&S focalizzate sulla revisione hardware del catalogo prodotti della Linea UT.

Le attività di R&S della BUP Reti di Accesso hanno riguardato, in modo particolare, gli ambiti relativi allo sviluppo di servizi di tipo innovativo. Si sono concluse nel corso del 1998 le fasi volte all'attivazione della rete VITE nell'area di Milano con architettura PON. Significative sono inoltre state le attività, nell'ambito della collaborazione con Siemens, per il progetto "accesso a larga banda" che hanno condotto al rilascio di un nuovo apparato per l'offerta del servizio Fast Internet con interfacce ADSL e STM-1/ATM. Nel corso del 1999 le attività di R&S si baseranno sulle tecnologie ADSL e VDSL per le soluzioni direte di accesso broadband per reti SDH e PON; ulteriori focalizzazioni verranno a delinearsi nell'ambito delle reti di accesso multiservizio basate su Edge Node e multiplatori con interfacce broadband e narrowband.

Le attività di R&S della BUP Sistemi di Gestione e Reti Intelligenti hanno riguardato due segmenti fondamentali, relativi alla ottimizzazione dell'ambiente di produzione del software e al completamento delle applicazioni a catalogo o richieste dai clienti. Nel primo segmento, è stata rilasciata la piattaforma EOS (Enhanced Object-Oriented Support Platform) in versione 3.0, che è utilizzata a fattor comune di tutte le applicazioni TMN.

Per quanto attiene alle applicazioni, le attività di R&S sono state orientate alla realizzazione di sistemi per la gestione integrata di rete. Significativi risultati sono stati conseguiti con il prodotto ITMS (Integrated Trouble Management System) per la gestione degli allarmi e dei guasti della rete di commutazione, con il prodotto LYNX che realizza le funzioni di supervisione, monitoraggio e analisi di protocollo della rete di segnalazione n. 7 e con il prodotto GPRI per il provisioning dei servizi di Rete Intelligente.

Nell'ambito delle attività di Ricerca e Sviluppo condotte dall'Area Trasmissione, Italtel, in qualità di centro di competenza per l'intero gruppo Siemens, ha completato il rilascio della linea di ponti radio a piccola capacità con l'avvio in produzione, atteso per l'inizio del 1999, delle versioni 16x2 Mb/s e Fully Outdoor. Anche per la linea ad alta capacità, il 1998 ha visto l'impegno finale per dotare i sistemi venduti di tutte le funzionalità previste (massima espandibilità, configurazione di tipo co-canale).

Nel settore dei Sistemi su Fibra Ottica, oltre al proseguimento degli sviluppi pianificati di SXA e del suo «element manager» (aumento della capacità a accrescere la competitività delle stazioni radio 256 porte, interfacce a 2,5 Gbitls), le attività di Ricerca e Sviluppo sono state focalizzate sul nuovo sviluppo per il ripartitore 4/4 con capacità fino a 2048 porte (SXD) destinato alla protezione delle reti di trasporto a livello nazionale, nonché su attività sistemistiche per la definizione dei nuovi elementi delle reti ottiche, ossatura delle future autostrade informatiche.

La ricerca nell'ambito dell'Area Reti Mobili si è indirizzata con successo sul rilascio di nuove release per le stazioni radio base e in particolare la 3.7 e la 4.0 che, introducendo nuove features per GSM900, DCS1800, PCS1900, hanno permesso di accrescere la competitività delle stazioni radio base Italtel nei confronti di quelle dei principali concorrenti. Sono state acquisite le stazioni Micro-BTS (di cui è iniziato l'impiego per alcuni casi particolari) ed è stato lanciato il progetto delle stazioni Pico-BTS. Infine, la ricerca ha avviato i gruppi operativi per lo sviluppo della nuova generazione di apparati per le reti radiomobili di terza generazione UMTS, mentre è proseguito lo sviluppo e la sperimentazione delle soluzioni di «antenne intelligenti» che nel prossimo futuro potranno significativamente contribuire sia alla qualità del servizio sia al miglioramento delle condizioni di eco-compatibilità ambientale.

Gli investimenti nel 1998 hanno visto la prosecuzione dei principali progetti avviati precedentemente presso i vari complessi industriali. Nell'ambito dell'Area Reti Fisse gli investimenti sono stati finalizzati allo sviluppo di nuovi prodotti/progetti e a sostenere l'evoluzione tecnologica dei sistemi hardware e software.

Nell'ambito dell'Area Trasmissione, in relazione alle attività per i prodotti Radio, si sono realizzati il completamento e la messa in esercizio delle attrezzature per il collaudo automatico di tutti i prodotti (linee SDH e PDH) integrati nella rete locale di gestione dei dati e l'avvio della linea di gestione computerizzata dell'assemblaggio della radio di bassa capacità SRAL; in relazione alle attività per i Sistemi su Fibra Ottica si sono registrati il potenziamento delle capacità tecnologiche sui nuovi prodotti SDH e investimenti di Ricerca e Sviluppo per l'integrazione del catalogo.

Nell'ambito dell'Area Reti Mobili gli investimenti sono stati finalizzati al miglioramento della produttività sotto il profilo dell'adeguamento dei processi industriali e logistici ai target di mercato in termini di flessibilità/mix e del continuo miglioramento delle rese di processo, per mantenere quest'ultimo adeguato alla complessità insita nello sviluppo tecnologico dei nuovi prodotti.









Stato patrimoniale riclassificato

IMPIEGHI   1998 1997


IMMOBILIZZAZIONI 997.543 941.845


ATTIVO CIRCOLANTE:

- Rimanenze 1.457.730 1.708.739

- Disponibilità differite 2.463.585 2.976.103

- Disponibilità liquide 108.828 129.029

TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE 4.030.143 4.813.871


TOTALE IMPIEGHI    5.027.686 5.755.716



FONTI  1998 1997


CAPITALE PROPRIO:

QUOTE DELLA CAPOGRUPPO

- Capitale sociale 396.000 396.000

- Riserve e risultati portati a nuovo 963.151 928.433

- Utile (perdita) d'esercizio (281.997) 36.911

1.077.154 1.361.344

QUOTE DI TERZI

- Capitale, riserve e risultati portati a nuovo 1.689 5.456

- Utile (perdita) d'esercizio (147) 1.331

1.542 6.787


TOTALE CAPITALE PROPRIO   1.078.696 1.368.131


PASSIVITA' CONSOLIDATE 1.363.550 1.258.829

PASSIVITA' CORRENTI    2.585.440 3.128.756

3.948.990 4.387.585


TOTALE FONTI  5.027.686 5.755.716












Sintesi dei principali indici e relativo commento


INDICI  1998 1997

PATRIMONIALI


Immobilizzazioni/

totale Impieghi x 100 19,84% 16,36%

Immobilizzazioni/

capitale proprio + passività consolidate 0,41 0,36

Capitale proprio/

capitale di terzi 0,27 0,31




FINANZIARI


Attivo circolante/

passività a breve (current ratio) 1,56 1,54

Liquidità differite + liquidità immediate/

passività prossima scadenza (acid test ratio) 1,03 1,04

Liquidità immediate/

passività prossima scadenza (quick ratio) 0,04 0,04




Dopo aver calcolato i vari indici finanziari e patrimoniali, passiamo al relativo commento.

L'Italtel si presenta come un'azienda equilibrata, visto che l'attivo circolante è maggiore delle passività a breve.

Anche se un'azienda industriale, l'Italtel si presenta come un'azienda elastica, infatti l'attivo circolante è maggiore delle immobilizzazioni di circa 4 volte a causa della ristrutturazione.

Si presenta però come un'azienda sottocapitalizzata, anche il capitale di terzi, si presenta maggiore di circa 4 volte rispetto al capitale proprio.

Dal punto di vista finanziario, l'Italtel si trova in una situazione non del tutto brutta.

A parte il quick ratio, che è l'indice per calcolare il grado di solvibilità per i debiti a brevissima scadenza, e che è di molto inferiore a 1, anzi quasi zero, quindi io proporrei ai dirigenti dell'Italtel di far ricorso a qualche operazione di smobilizzo crediti., mediante fido, anticipi su fatture e sbf oppure uno sconto cambiario, visto che le liquidità differite più le liquidità immediate rapportate ai debiti a brevissima scadenza, cioè l'acid test ratio, è maggiore, anche se di poco, di 1 e quindi una bella operazione di smobilizzo farebbe proprio comodo, credo.

Il current ratio, anch'esso è accettabile, visto che l'attivo circolante risulta maggiore di una volta e mezza delle passività a breve.

Al 31 dicembre 1998 il capitale investito netto consolidato è risultato di 2.599,7 miliardi di lire di cui 841,3 miliardi rappresentati da immobilizzazioni nette e 2.164,2 miliardi di capitale di esercizio dedotto il fondo trattamento di fine rapporto di 405,8 miliardi.

Rispetto alla fine del 1997 il capitale investito netto è diminuito di 153,2 miliardi.

Le rimanenze nette di magazzino sono diminuite a 1.457,7 miliardi dai 1.708,7 miliardi di fine 1997. L'indice di copertura, calcolato sulle rimanenze lorde, è risultato di 4,9 mesi, come nel 1997.

I crediti commerciali sono diminuiti a 2.177,7 miliardi dai 2.617,4 miliardi del 1997. I debiti commerciali sono diminuiti a 960,7 miliardi dai 1.635,9 miliardi di fine 1997.

I1 patrimonio netto è diminuito a 1.078,7 miliardi di lire dai 1.368,1 miliardi di fine 1997; la quota di terzi è scesa a 1,6 miliardi dai 6,8 miliardi di fine 1997 per effetto della acquisizione dell'ultimo 9 per cento nella società Datentechnik.

Il capitale investito netto a fine 1998 era coperto per il 41,5 per cento dal patrimonio netto e per il 58,5 per cento dall'indebitamento finanziario netto (rispettivamente 49,7 e 50,3 per cento a fine 1997).



































Conto economico riclassificato


1998 1997


Ricavi delle vendite e delle prestazioni 3.946.011 4.587.067

Variazioni delle rimanenze, di prodotti in

corso di lavorazione, semilavorati, finiti



e dei lavori in corso su ordinazione -127.238 337.065

Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni 50.843 27.841

Altri ricavi e proventi 182.603 248.707


VALORE DELLA PRODUZIONE    4.056.723 5.202.26


Costi per materie prime, di consumo,  

sussidiarie e merci -1.529.630 -2.527.180

Costi per semilavorati e prodotti finiti   -181.698 -323.005

Costi per servizi -686.059 -816.924

Costi per godimento beni di terzi -27.525 -27.879

Variazioni delle rimanenze di materie prime,

di consumo, sussidiarie e merci -113.512 279.446

Altri costi    -62.981 -137.095


VALORE AGGIUNTO  1.455.318 1.649.625


Costi per il personale  -1.147.809 -1.238.342

Ammortamenti e svalutazioni -196.826 -228.966


RISULTATO OPERATIVO  110.683 182.317


Gestione finanziaria    -95.715 -85.951

Gestione straordinaria -234.003 -20.763


RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE -219.035 75.603


Imposte sul reddito d'esercizio   -63.109 -37.361


UTILE (PERDITA) D'ESERCIZIO DI

SPETTANZA DELLA CAPOGRUPPO

E DI TERZI -282.144 38.242


Utile (perdita) d'esercizio di spettanza di

azionisti terzi -147 1.331


UTILE (PERDITA) D'ESERCIZIO DI

SPETTANZA DELLA CAPOGRUPPO -281.997 36.911



Sintesi dei principali indici e relativi commenti


INDICI   1998 1997


ECONOMICI


ROI (risultato operativo/capitale proprio x 100) 13,33% 10,26%

ROE (utile netto/totale impieghi x 100)    -5,61% 0,64%



Per quanto riguarda la situazione economica, l'Italtel è riuscita, nonostante i numerosi problemi, ad ottenere un ROI nel '97 e nel '98 che supera i tassi di finanziamento medi e quindi permettono all'Italtel di potersi finanziare ulteriormente attraverso finanziamenti.

Il ROE invece, cioè il rendimento del capitale investito, che nel '97 è di poco superiore al mezzo punto percentuale, nel '98 è addirittura negativo, il che vuol dire che l'esercizio ha comportato una perdita ed è del -5,61%.

L'esercizio 1998 si è chiuso con un risultato negativo di 282,1 miliardi di lire, dopo oneri straordinari netti e imposte sul reddito per 297,1 miliardi.

In particolare, oltre a un accantonamento straordinario per rischi su crediti in Russia di 40 miliardi, sono stati stanziati 150 miliardi di oneri straordinari di ristrutturazione legati al piano 1999-2001 che coprono una parte rilevante degli oneri complessivi previsti nello stesso.

Il risultato prima degli oneri straordinari netti e delle imposte è positivo per 15 miliardi di lire e si confronta in termini omogenei (tenuto conto della sostituzione dei contributi sanitari con l'Irap) con un risultato positivo 1997 di 137,5 miliardi.

I fenomeni più rilevanti che hanno caratterizzato la gestione sono stati la flessione delle vendite, determinata dalla contrazione degli investimenti del principale gestore italiano, che si è sommata a quella del mercato radiomobile di interesse ltaltel dopo un biennio di forte crescita, il diverso mix dei prodotti e la forte riduzione dei prezzi unitari di vendita.

Il valore della produzione è stato di 3.885,1 miliardi di lire rispetto ai 4.984,6 miliardi del 1997 (meno 22,1 per cento). La contrazione riflette, oltre alla necessità di ridurre l'entità delle giacenze, la flessione del fatturato.

Le vendite consolidate 1998 sono state di 3.946 miliardi di lire, con una diminuzione del 14 per cento rispetto all'esercizio precedente. Le esportazioni sono state di 1.831,7 miliardi, pari al 46,4 per cento del totale delle vendite (2.250,5 miliardi, pari al 49,1 per cento nell'esercizio precedente). Le vendite in Italia sono state di 2.114,3 miliardi (2.336,5 miliardi nel 1997).

Per quanto riguarda le vendite ai principali clienti, il fatturato consolidato a Telecom Italia è stato di 1.535,8 miliardi (1.733 miliardi nel 1997), quello a TIM è stato di 384,6 miliardi (433,8 miliardi nel 1997) e quello rivolto a Siemens è stato di 702 miliardi (1.065 miliardi nel 1997).

Per quanto riguarda le singole Aree di Business il fatturato 1998 si è così ripartito: Reti Fisse 1.509,2 miliardi, pari al 38,2 per cento del totale (meno 19,4 per cento rispetto al 1997); Trasmissione 1.061,1 miliardi, pari al 26,9 per cento del totale (più 25,4 per cento rispetto al 1997); Reti Mobili 1.164,3 miliardi, pari al 29,5 per cento del totale (meno 25,6 per cento rispetto al 1997); Datentechnik e altre attività 211,4 miliardi (meno 30,5 per cento rispetto al 1997).

I ricavi pro capite calcolati sulla forza media operante sono risultati di 264,6 milioni di lire rispetto ai 284 milioni del 1997.

Il costo del lavoro è stato di 1.141,9 miliardi di lire e si confronta in termini omogenei, tenuto conto che nell'esercizio precedente comprendeva contributi sanitari per 41,2 miliardi sostituiti dall'Irap, con 1.188,6 miliardi del 1997 (meno 3,9 per cento).

Il costo del lavoro pro capite in termini omogenei è aumentato del 2,7 per cento rispetto al 1997.

Significativo è stato anche nel 1998 l'incremento della produttività.

Il margine operativo lordo (MOL) consolidato è sceso a 265,8 miliardi di lire dai 415,9 miliardi del 1997.

Il confronto non è omogeneo in quanto, come detto, il costo del lavoro nel 1998 non comprende più i contributi sanitari, sostituiti dalla nuova imposta Irap insieme all'Ilor, all'imposta sul patrimonio netto e ad altre imposte minori. L'Irap, che rientra fra le imposte sul reddito dell'esercizio, ha gravato sul risultato 1998 per 49,6 miliardi a livello consolidato. Rispetto alla legislazione precedente, la nuova imposta ha un effetto non univoco sulle imprese in relazione a vari fattori quali ad esempio il grado di intensità del lavoro e l'irnponibilità all'Ilor. Per Italtel l'effetto è sostanzialmente neutro sul risultato 1998.

Gli ammortamenti di 175,7 miliardi di lire (182,1 miliardi nel 1997) si riferiscono per 154 miliardi alle immobilizzazioni materiali e per 21,7 miliardi alle immobilizzazioni immateriali.

Gli altri stanziamenti rettificativi per 21,1 miliardi si riferiscono a svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante.

Gli stanziamenti a fondi rischi e oneri di 3 miliardi (35 miliardi nel 1997) si riferiscono ad accantonamenti per rischi specifici diversi.

Il saldo proventi e oneri diversi di 44,7 miliardi si confronta con quello del 1997 di 30,4 miliardi.

Il risultato operativo - che si riferisce alla intera gestione ordinaria - è stato di 110,7 miliardi di lire rispetto ai 182,3 miliardi del 1997 (dato 1997 omogeneo con il 1998 di 223,5 miliardi).

Gli oneri e proventi finanziari sono aumentati a 83,3 miliardi di lire dai 64 miliardi del 1997 in relazione alla maggiore esposizione finanziaria media verificatasi nell'esercizio e all'andamento dei cambi. I tassi di interesse medi sono diminuiti.

I proventi e oneri straordinari presentano un saldo negativo di 234 miliardi di lire (negativo per 20,7 miliardi nel 1997) e comprendono prevalentemente il citato accantonamento per oneri di ristrutturazione di 150 miliardi, oneri per esodi per 53,6 miliardi e l'accantonamento straordinario per crediti in Russia di 40 miliardi.

I proventi straordinari includono 31,3 miliardi di lire di plusvalenze su cessione di immobili.










2 - Sviluppo delle Telecomunicazioni e la loro
influenza sui processi di produzione.

Dopo aver esaminato il bilancio dell'Italtel S.p.a., torniamo a parlare delle telecomunicazioni e della loro influenza sui processi di produzione.

Le comunicazioni a distanza sono state inoltrate, nelle varie epoche storiche, con diversi procedimenti ce nei tempi antichi avvenivano essenzialmente attraverso messaggi (posta) o attraverso segnali (segnali di fumo o quelli dei tamburi). Successivamente emerse l'esigenza di una trasmissione rapida e al tempo stesso ricca di contenuto, si rese così indispensabile la messa a punto di un codice complesso. Ciò si verificò a partire dal XVII sec., con la bandiere di segnalazione utilizzate sulle navi, poi con il telegrafo Chappe alla fine del XVIII sec., fino alla rivoluzione delle tecniche della comunicazione a distanza avvenuta con l'applicazione dell'elettricità (dapprima il telegrafo elettrico, che richiedeva la conoscenza di un codice da parte di un operatore; in seguito il telefono in cui la comunicazione usava direttamente il linguaggio umano). Il contributo del telegrafo e del telefono alla mondializzazione degli scambi fu notevole, permettendo di mettere rapidamente in relazione aree anche molto lontane tra loro e iniziando quel fenomeno di "rimpicciolimento" del mondo che caratterizza i giorni nostri.

L'evoluzione dei mezzi di telecomunicazione diviene rapidissima nel secondo dopoguerra, con la parallela crescita di importanza della circolazione dell'informazione. Flussi di idee, dati, notizie, e capitali (che quasi mai sono trasferiti materialmente) circolano continuamente da luogo a luogo, specialmente nei paesi industrializzati, e il collegamento in "tempo reale" con fatti e situazioni lontani ha già forti conseguenze sulla vita di ogni giorno (basta ricordare il ruolo delle trasmissioni televisive via satellite, il fax, l'influenza della trasmissione immediata dei dati borsistici o economici di altri paesi, ecc.)

Nessun settore dell'attività umana può prescindere dalla conoscenza di dati e notizie; ciò vale per la vita quotidiana degli individui e delle famiglie, ma ancora di più per le imprese che, senza questi flussi di informazione, in un'economia moderna non potrebbero nemmeno esistere. L'intero ciclo di funzionamento delle imprese, dall'approvvigionamento alla produzione, dal marketing alla gestione del personale è legato a un più o meno complesso sistema di comunicazione. In questo senso l'informazione si aggiunge alle materie prime tradizionali, come i minerali, le fonti energetiche, l'acqua, ecc., quale fattore della produzione in tutti i tipi di società, ma in particolare in quella "postindustriale".

L'importanza dell'informazione è sottolineata dal fatto che un terzo della forza lavoro nell'Europa occidentale svolge attualmente mansioni relative all'elaborazione e alla diffusione di informazioni. Oltre che materia prima l'informazione è anche prodotto finito, da vendere sia alle imprese che alle famiglie. Questo carattere di prodotto di consumo è evidente nei paesi in cui è possibile l'allacciamento domestico alle reti telematiche: attraverso un'intensa propaganda commerciale si moltiplicano gli inviti ai servizi più disparati tramite terminale.

Come nelle società industriali la necessità di trasportare le materie prime (minerali, idrocarburi, ecc.,) e i manufatti ha determinato lo sviluppo sempre più massiccio di vie e mezzi di comunicazione, così l'informazione sta producendo in questi anni un'analoga rivoluzione delle telecomunicazioni. Il crescere della mole di informazioni circolanti, da un lato, e i progressi tecnologici, dall'altro, tendono sempre più a separare la circolazione delle notizie da quella delle merci. La circolazione delle informazioni tende ad assumere una propria autonomia; essa infatti si differenzia dalle vie di comunicazione tradizionali nei vettori, nei tempi di trasporto e anche nella geografia delle reti.

I servizi attivati attraverso la reti di telecomunicazioni possono quindi essere fattori di differenziazione economica tra regioni.

Attualmente le differenze tra regioni di paesi sviluppati e sottosviluppati sono molto forti.

Per cercare di recuperare il ritardo, alcuni paesi del Terzo Mondo stanno sviluppando programmi di potenziamento delle proprie reti di telecomunicazione. In questo senso assumono notevole importanza i satelliti per telecomunicazione, che permettono di trasmettere messaggi e immagini via etere, là dove le infrastrutture terrestri (cavi telefonici) sono carenti.

Va però precisato che anche nel caso dei satelliti il peso dei paesi sviluppati è preponderante. La gestione dell'orbita equatoriale geostazionaria è a questo proposito emblematica. L'orbita geostazionaria è fondamentale per la trasmissione dell'informazione via satellite ma è già quasi occupata da satelliti europei, statunitensi, russi e giapponesi, mentre solo pochi paesi in via di sviluppo (Brasile, India, Indonesia, Cina) hanno propri satelliti in posizione orbitale.

Sebbene le telecomunicazioni forniscano vantaggi anche alle singole imprese, che possono accedere a informazioni in passato fuori della loro portata, sono le grandi multinazionali a trarne i maggiori vantaggi. Queste imprese attraverso la telematica hanno ampliato il raggio d'azione e oggi tendono a dotarsi di proprie reti di telecomunicazioni e di proprie banche dati.

Le telecomunicazioni rappresentano la branca più avanzata del settore terziario e forniscono, sotto il profilo operativo, la base tecnologica che consente la globalizzazione. Grazie a esse le informazioni tecniche, economiche, commerciali e finanziarie, potendo essere scambiate 24h su 24, divengono beni di consumo, il cui prezzo e determinato dalla rapidità e tempestività con la quale esse "viaggiano".

La rivoluzione telematica incide non soltanto sull'economia e sulla politica globale, ma modifica profondamente anche il ruolo dell'identità culturale. Attraverso lo sviluppo di mezzi di comunicazione, infatti, è aumentato il grado di interdipendenza tra regioni, anche quelle più lontane.

Le attuali caratteristiche dell'organizzazione industriale e della struttura del mercato del settore delle telecomunicazioni, almeno nella maggior parte dei paesi europei, sono lunghi dall'assicurare non solo che le condizioni per l'efficienza dinamica nelle reti di telecomunicazione siano effettive, ma anche che i livelli minimi dei prezzi possibili siano effettivamente praticati.

Diventa allora obiettivo centrale della politica economica oltre che industriale il disegno di un appropriato meccanismo di regolamentazione, che tenga conto degli importanti effetti delle condizioni di offerta di telecomunicazioni sul resto del sistema economico.

L'organizzazione dell'industria dei servizi di telecomunicazione sembrava essere plasmata dal ruolo persuasivo di rendimenti crescenti di quattro tipi diversi: 1) economie di scala, cioè la riduzione dei costi medi all'aumentare della dimensione della rete; 2) economie di densità, cioè la riduzione dei costi medi, per dati livelli dei costi fissi, all'aumentare del volume del traffico; 3) economie di scopo, ossia la riduzione dei costi medi all'aumentare dei servizi offerti; 4) esternalità di domanda, cioè la relazione positiva tra il vantaggio che ogni utente ricava dal proprio accesso alla rete e il numero complessivo di utenti che hanno accesso alla medesima rete.

Il cambiamento tecnologico nel campo delle telecomunicazioni è caratterizzato attualmente da un'interazione triangolare tra i grandi utenti, i produttori degli impianti e gli operatori di rete. Le conseguenze di questo cambiamento nel processo innovativo sono molto importanti. Non solo viene messa sempre più in discussione la quasi integrazione verticale tra produttori di impianti e operatori di rete, ma lo è anche di più la stretta integrazione verticale tra i vettori e i fornitori di servizi del settore delle comunicazioni.

Il mutamento tecnologico ha agito sulle complementarietà sia verticali che orizzontali nell'ambito di una molteplicità di industrie, che comprendono non solo le tradizionali funzioni della fornitura di servizi di telecomunicazione come la trasmissione, la distribuzione, la segnalazione e la commutazione, ma anche l'informatica e la televisione. Gli effetti sono complesso e non facili da valutare pienamente. Tuttavia possono essere classificati in tre gruppi distinti: 1) effetti centripeti orizzontali; 2) effetti centrifughi orizzontali; 2) effetti centrifughi verticali.

Il cambiamento tecnologico introdotto sin dalla fine degli anni '70 mostra forti effetti centripeti dal momento che assembla una vasta classe di servizi, come la comunicazione telefonica, la trasmissione dati via computer e la comunicazione video, che possono tutte essere distribuite per mezzo di reti di telecomunicazione con costi fissi elevati che favoriscono economie di densità. Allo stesso tempo la direzione del cambiamento tecnologico presenta anche effetti centrifughi non solo perché ha ridotto il ruolo delle economie di scala ; ma anche per il declino del ruolo delle economie di densità dovuto alla riduzione dei livelli dei costi fissi in molte componenti delle rete. Ancora più importanti sembrano essere i nuovi effetti di deverticalizzazione che stanno producendo una molteplicità di media alternativi, per esempio la comunicazione via satellite o la comunicazione mobile, che favoriscono nuove forme di competizione tra i media e riducono la complementarietà tra le infrastrutture di emissione e la comunicazione virtuale, così da rendere sempre più possibile la specializzazione di imprese in due distinti settori, tipo l'offerta di hard-networks e la fornitura di servizi di comunicazione.

In effetti l'introduzione di nuove tecnologie comporta importanti cambiamenti nella struttura tecnica dell'industria perché esse rendano possibile: 1) incrementare la separabilità tra le funzioni base della rete; 2) incrementare la competizione tra i media in relazione a differenti possibili soluzioni riguardanti la fornitura di servizi diversi parzialmente sostituibili tra loro, ad esempio la trasmissione satellitare versus, la trasmissione via fibre ottiche o la telecomunicazione cellulare; 3) incrementare la separabilità dell'offerta di servizi dal funzionamento della rete; 4) ridurre i livelli assoluti dei costi fissi e quindi il ruolo delle economie di densità per quanto riguarda la commutazione e la trasmissione, ma non la distribuzione.

Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nella vasta gamma delle loro applicazioni hanno sconvolto l'intera struttura del processo produttivo e ne hanno modificato dalle fondamenta i criteri di efficienza.

Il boom delle telecomunicazioni c'è stato nel corso degli ultimi dieci anni, nei quali è cresciuta la consapevolezza dell'importanza per lo sviluppo socio-economico di un Paese, dell'accesso alle infrastrutture e ai servizi di comunicazione. Questa presa di coscienza ha stimolato l'espansione delle reti pubbliche di telecomunicazioni per la trasmissione di voce e dati. La richiesta di una seconda linea telefonica domestica, determinata a sua volta da un maggiore accesso a Internet. Tale richiesta di reti di accesso ad alta velocità, guidate da Internet, sembra destinata a generare la prossima ondata di sviluppo di infrastrutture e a fornire nuovi canali di comunicazione multipla.

La domanda di reti di accesso a Internet ad alta velocità sta spronando anche le TV via cavo a potenziare le rispettive reti per offrire servizi interattivi oltre ai tradizionali servizi di radiotelediffusione. Le emittenti TV via cavo e via satellite stanno sviluppando tecnologie che consentiranno la trasmissione dei servizi Internet utilizzando lo spettro delle radiofrequenze.

Sempre nell'ultimo decennio, grazie a lunghe trattative, riunioni, conferenze tra politici, economisti, ecc., si è giunti alla conclusione che in ogni Paese debba essere rilasciata più di una licenza per la telefonia mobile e fissa. I governi devono garantire la competizione a livello di infrastrutture per la telefonia "fissa" e mobile, permettendo ai nuovi operatori di istallare i loro cavi e le loro centraline. Inoltre i governi devono decidere il numero dei concorrenti ammessi in un dato segmento di mercato, quanto dovranno pagare per ottenere la concessione, o quali servizi sarà permesso loro di offrire. Queste scelte condizioneranno le dinamiche della competizione, i profitti, i prezzi di mercato e la rapidità dei cambiamenti.

Infine possiamo dire che Internet nel 2000, che è il mezzo più usato e conosciuto di comunicazione oggi, è come l'industria dell'automobile all'inizio del 1900, dove bastava mettere "motor" per creare ricchezza, invece oggi la parola per creare ricchezza è "net".


3 - La Repubblica italiana dal 1960 ad oggi

A tutto questo fervore, riferito all'exploit delle telecomunicazioni, si accompagna un periodo di radicali cambiamenti nel mondo politico e non.

Questi cambiamenti hanno inizio alla fine degli anni '50, quando la Dc nel suo Congresso di Firenze (ottobre 1959) approvò una linea di condotta decisamente innovatrice, stabilendo in modo ufficiale e solenne che il partito non avrebbe più accettato appoggi dai partiti di destra nella formazione dei futuri governi. L'effettivo rinnovamento ebbe inizio, però, soltanto nel 1960, dopo che un <<governo di transizione>>, presieduto dal democristiano Ferdinando Tambroni (1901-1963) e destinato ad avere una brevissima durata onde permettere una chiarificazione del quadro politico, ottenne la fiducia in Parlamento con i voti determinanti dei neofascisti del Msi. La protesta del paese fu immediata e decisa con scioperi e manifestazioni di piazza, cui Tamburoni con l'appoggio della parte della Dc che lo sosteneva rispose autorizzando le forze di polizia ad intervenire con pesante decisione.

La tensione crebbe e anche i disordini, quando il governo autorizzò il Msi a tenere il proprio Congresso a Genova dove erano ancora vivi i ricordi della Resistenza. Tra il 30 giugno e il 2 luglio movimenti di protesta antifascista e manifestazioni popolari guidate dai partiti di sinistra si verificarono in numerose città non senza gravi incidenti anche per la dura pressione della polizia che provocò alcuni morti a Reggio Emilia.

A quel punto anche la Dc non poté fare altro che esprime la propria sfiducia a Tambroni costringendolo a dimettersi (19 luglio 1960).

In una situazione così difficile l'incarico di formare un governo di <<convergenza democratica>> fu affidato ad Amintore Fanfani, al quale venne poi affidato anche un secondo ministero sempre con la significativa astensione dei socialisti, che lasciavano così per la prima volta il Partito comunista isolato all'opposizione, mentre il successivo Congresso della Dc, tenuto a Napoli nel gennaio 1962, sanzionava ufficialmente la propria apertura al Psi

In armonia con le richieste dei socialisti, Fanfani aveva strutturato un programma organico di riforme basato sulle seguenti principali direttive:

istituzione delle regioni a statuto ordinario, secondo la    costituzione: ciò avrebbe dovuto comportare il raggiungimento di un duplice risultato, quello cioè di realizzare una maggiore democratizzazione della vita politica e quello di permettere una più agevole soluzione dei problemi sociali;

creazione di un piano economico in difesa delle campagne (<<Linea verde>>), che stavano nel frattempo subendo sempre più la crisi di spopolamento ormai già in atto da qualche anno dietro la spinta sollecitazione di un'industria in progressivo sviluppo e che pertanto dovevano essere ristrutturate in maniera economicamente produttiva e socialmente più in linea con il progresso civile;

sviluppo e potenziamento del diritto allo studio previsto dalla Costituzione mediante la creazione della scuola dell'obbligo fino a 14 anni (istituita poi nel gennaio 1963).

A favorire l'attuazione del complesso programma di riforme varato dal governo Fanfani contribuì certamente il cosiddetto <<miracolo economico>>, che, iniziato già negli anni '50, doveva manifestarsi nelle sue forme più consistenti e concrete nel quinquennio 1958-1963. Nel decennio compreso tra il '50 e il '60 il Paese aveva infatti progredito più che in tutto il primo cinquantennio del secolo, determinando addirittura il raddoppio del reddito globale, passato da 10.000 a 25.000 miliardi con un incremento di eccezionali proporzioni in ogni campo e in primo luogo quello industriale, nel quale gli investimenti erano passati dai 970 miliardi del 1952 ai 2.561 del '63.

Nonostante questo progredire dell'economia non mancarono i problemi e per affrontarli venne dato vita ad un nuovo indirizzo politico, il centrosinistra, destinato a tradursi in concreta realtà già alla fine del '63 con la formazione di un governo costituito da socialisti, democristiani, socialdemocratici, repubblicani e presieduto dal democristiano Aldo Moro (1916-1978).

Naturalmente il programma del nuovo presidente del Consiglio tendeva a riprendere e a completare quello del precedente governo Fanfani, nei confronti del quale venivano però esclusi nuovi progetti di nazionalizzazione per non creare dubbi e reinserimenti tra la forte corrente di destra della Dc e l'elettorato moderato, numericamente consistente nel Paese.

Tra il 1964 e il 1966 si registravano intanto interessanti mutamenti nelle vicende interne dei maggiori partiti, destinati ad avere grande influenza sugli sviluppi politici degli anni seguenti. L'esigenza di un rinnovamento investì soprattutto il Partito comunista in seguito alla morte del suo segretario Palmiro Togliatti, intervenuta nell'agosto 1964 a Yalta, sul Mar Nero, ove si era recato in vacanza. Colà, infatti nel giro di alcuni giorni di intenso lavoro aveva messo appunto un documento, che, reso poi noto con il titolo di <<Memoriale di Yalta>>, doveva suscitare non poche incertezze e discussioni, in quanto mirava a suggerire al comunismo italiano una via nuova per un graduale e pacifico sviluppo del socialismo, perseguibile secondo metodi democratici e quindi ben lontani da quelli proposti dal modello sovietico, che lo stesso Togliatti denunciava come eccessivamente autoritari.

A sua volta, però, anche la Democrazia cristiana era dominata da vivaci contrasti fra le varie correnti: prima tra essa quella guidata da Aldo Moro, che mostrava di gradire una maggiore apertura alle istanze e alle modificazioni che venivano suggerite sia dal rinnovamento in corso del Pci, sia dal Concilio Vaticano II da poco concluso.

Non v'è dubbio che il centrosinistra pur tra tante contraddizioni denunciate da varie parti, abbia avuto il merito di attuare notevoli riforme, come quella relativa allo Statuto dei diritti dei lavoratori, attuata nel 1970 per garantire il rispetto delle regole democratiche nei luoghi di lavoro e poneva limiti precisi al potere del patronato. Sullo slancio delle lotte operaie giunse anche la conquista di un nuovo organo di democrazia sui posti di lavoro, il consiglio di fabbrica, che superava le tradizionali divisioni e mediazioni delle correnti sindacali e si caratterizzava come diretta emanazione della classe operaia. Nello stesso tempo cominciò a profilarsi la possibilità concreta che, dopo 20 anni di divisioni e di polemiche, il sindacato italiano ricostruisse la sua unità. Il ritorno ad un'unica organizzazione doveva essere preparato per gradi. Il primo passo fu la pratica costante dell'unità d'azione; il secondo fu la nascita nel 1972 della Federazione Cgil-Cisl-Uil.

Sul finire degli anni '60 l'Italia repubblicana si stava anche avviando a vivere il periodo più triste e difficile della sua storia.

Il 12 dicembre 1969, infatti, nel salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, l'esplosione di una bomba ad alto potenziale provocava una strage: 16 morti e 88 feriti. L'obiettivo era chiaro: bloccare la spinta a sinistra emersa nella società italiana nel 1968 e ricacciare indietro un movimento operaio, che nel 1969 si era rivelato forte e maturo.

Inaugurata in modo così tragico, la strategia della tensione o del terrore divenne purtroppo in quegli oscuri anni una costante nella cronaca politica del nostro Paese. Un'intricata serie di attentati, stragi e violenze compiute da terroristi appartenenti ad organizzazioni neofasciste e neonaziste insanguinò molte città italiane, intrecciandosi a manovre preparatorie di azioni golpiste.

Nel corso degli anni '70 l'attacco allo Stato fu però sferrato anche da un estremismo di segno del tutto opposto. Al terrorismo nero, già operante, si aggiunse quello praticato do organizzazioni clandestine che si proclamavano <<comuniste>> e che preferivano gli attentati individuali contro bersagli scelti per il loro significato simbolico: magistrati, poliziotti, giornalisti e dirigenti d'azienda.

Gli obiettivi finali delle due azioni eversive erano ovviamente divergenti; quelli intermedi, invece, erano simili: destabilizzare la società italiana, provocare una lacerazione irreversibile del tessuto democratico, far precipitare la situazione verso uno scontro frontale e verso la diffusa violenza.

Ora, se a lungo termine gli obiettivi del <<partito armato>> finiranno sconfitti, è certo anche che un risultato di grande rilievo l'azione eversiva l'ottenne: infatti il terrorismo, entrato nella vita quotidiana in quegli <<anni di piombo>>, finì per avvelenare la lotta politica e per far rientrare la domanda di trasformazioni emersa con fora nel 1968, costringendo alla difensiva partiti e sindacati e affievolendo la spinta a sinistra in atto nel Paese.

Nel frattempo l'Italia già a partire dal 1971 stava sperimentando una difficile situazione economica, ce nel 1973 con il sopraggiungere di una gravissima crisi petrolifera divenne pressoché incontrollabile.

Un forte improvviso rialzo dei prezzi deciso dall'Opec provocò, infatti, da una parte il dissesto della bilancia commerciale già gravata dalle forti importazioni; dall'altra la crisi dell'intera struttura aziendale nazionale, che, basata sulla trasformazione delle materie prime importate, trovava una ragione fondamentale della propria competitività internazionale e della propria floridezza proprio nell'acquisto di energia a prezzi contenuti.

All'aumentato costo dell'energia e alla conseguente lievitazione dei prezzi (inflazione) fece seguito ben presto la richiesta di nuovi aumenti salariali, destinati a controbilanciare le difficoltà nelle quali versavano le famiglie dei lavoratori. Così fra <<inflazione galoppante>>, lotte sindacali e <<fuga di capitali>> all'estero maturò fra il 1972 e il 1974 la crisi del centrosinistra, l'uscita del Psi da governo e il ritorno ad un <<centrismo>> precario ed incerto, ma soprattutto incapace di dare stabilità politica al Paese.

Come era prevedibile, tale stato di crisi finì ben presto per coincidere con una intensificazione dell'attività terroristica, sia dalla destra che dalla sinistra, e con un contemporaneo ripensamento critico delle strategie politiche in vista del superamento delle difficoltà governative. Sotto tale aspetto si segnalarono, nella Democrazia cristiana, Aldo Moro, convinto ormai che si dovesse aprire un confronto politico e superare le tradizionali pregiudiziali anticomuniste, pur nella distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione, ed Enrico Berlinguer (1922-1984) segretario del Partito comunista.

Il risultato fu un nuovo incarico affidato ad Andreotti che nel luglio 1976 ottenne in Parlamento l'astensione benevola del Pci. Così per la prima volta dal 1947 i comunisti sembravano riaffacciarsi nell'area di governo, pur fra lo scontento di non pochi iscritti e simpatizzanti, che vedevano in tutto ciò la rinuncia ai valori di fondo della transizione comunista e che tendevano pertanto a coagularsi intorno all'estremismo extraparlamentare, largamente dominato fin dal 1977 dai gruppi noti come Autonomia operaia.

Oggetto di durissimi attacchi, il Pci finì per trovarsi ben presto in una situazione difficile: l'appoggio esterno al governo rischiava infatti di avere un prezzo troppo alto, senza tradursi in concreti vantaggi politici

A quel punto fu inevitabile l'ennesima crisi e solo il rapimento di Aldo Moro, attuato con cinica determinazione da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 in via Fani a Roma a breve distanza dall'abitazione dello statista e costato la morte dell'intera sua scorta, fece accelerare i tempi della votazione per la fiducia al quarto monocolore democristiano sempre sotto la presidenza di Andreotti, ma con l'appoggio di tutti i partiti dell'arco costituzionale concesso dalle Camere nel giro di poche ore. Si costituì così una specie di <<solidarietà nazionale>> in un momento di gravissima emergenza, nel quale era in gioco l'integrità dello Stato e della stessa classe politica che lo guidava e che il 9 maggio, a 54 giorni dal rapimento, dovette assistere pressoché impotente al ritrovamento a Roma del cadavere dello statista democristiano in un'automobile abbandonata nei pressi delle sedi centrali del Pci e della Dc.



Il delitto Moro segnò però una svolta importante nella politica della fine degli anni '70. Morto Moro infatti l'ispiratore più originale del dialogo con la sinistra, il Pci, non trovò in seno alla compagine governativa gli spiragli di apertura sperati, come dimostrarono i risultati delle elezioni politiche del 1978, che misero in luce una notevole flessione dei voti comunisti. Di qui la rottura dei governi di solidarietà, ma di qui anche l'abbandono della linea del compromesso storico da parte del Pci nel tentativo di poter in tal modo recuperare il perduto favore della base.

Alla flessione comunista fece invece riscontro la rivitalizzazione del Psi ad opera del nuovo segretario Bettino Craxi, eletto nel luglio 1976 e impegnato a perseguire l'alleanza con la Democrazia cristiana di Arnaldo Forlani.

Su tale base divenne possibile la costruzione della formula del <<pentapartito>> (alleanza formata da Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri), che, in base al principio dell'alternanza, portò, dopo due governi democristiani guidati l'uno da Francesco Cossiga (4 agosto 1979 - 28 settembre 1980) e l'altro da Arnaldo Forlani (18 ottobre 1980 - 26 maggio 1981), alla formazione dei primi due governi laici affidati al repubblicano Giovanni Spadolini (28 giugno 1981 - 13 novembre 1982), seguiti da un quinto governo Fanfani (dicembre 1982 - agosto 1983).

A quel punto il presidente delle Repubblica Sandro Pertini (1978-1985), con l'assenso delle forze politiche di maggioranza, designò Bettino Craxi quale presidente di una compagine governativa, che, a direzione socialista, era destinata a divenire la più stabile, anche se non la più tranquilla della Repubblica (4 agosto1983 - 3 marzo 1987)

Sotto tali governi l'Italia poté migliorare la propria situazione economica, sia perseguendo una ferma politica antinflazionistica, sia contribuendo con tutta una serie di provvedimenti a ridurre la tensione terroristica, che, dopo avere raggiunto l'apice della violenza con il rapimento e il delitto di Moro, stava già iniziando a vivere la stagione di un lento ma progressivo declino. Tutto ciò fu però anche il risultato di una più capillare azione delle forze dell'ordine, del logoramento delle organizzazioni eversive, provate dai contrasti interni, ma, soprattutto, dalla tenute del regime democratico.

Né è da dimenticare il raggiunto accordo per la revisione del vecchio Concordato tra Italia e Santa Sede, cui fece seguito il 18 febbraio 1984 la firma del relativo documento tra il presidente del Consiglio Craxi e il segretario di Stato Agostino Casaroli e quindi di un Concordato, destinato a sostituire quello aristocratico di Mussolini e Gasperi l'11 febbraio 1929.

Dopo il secondo governo Craxi ebbe inizio una lunga e tormentata crisi, protrattasi per 56 giorni e conclusasi con lo scioglimento delle Camere e l'avvio di una difficile campagna elettorale per l'elezione - 14 giugno 1987 - della decima legislatura, che ha visto succedersi alla presidenza del Consiglio tre democristiani: Giovanni Goria (14 luglio1987 - 16 marzo 1988) e Ciriaco De Mita (16 marzo 1988 - 19 maggio 1989), segretario della Democrazia cristiana, al quale dopo un Congresso della Dc del febbraio '89 e la sostituzione alla segreteria con Arnaldo Fanfani - subentra il 23 luglio Giulio Andreotti, rimasto in carica fino allo scioglimento delle Camere (2 febbraio 1992) e all'elezione del nuovo Parlamento (undicesima legislatura), destinato ad avere una vita molto breve. Tra i primi e più urgenti problemi da affrontare essa ebbe quello che dall'elezione del nuovo presidente della Repubblica al posto di Francesco Cossiga giunto al termine del suo mandato: un compito senza dubbio delicato e assolto soltanto al sedicesimo scrutinio della nomina del democristiano Oscar Luigi Scalfaro (1992), sul quale l'Assemblea dei deputati e senatori riuniti per l'occasione fece convergere la maggioranza dei propri voti, profondamente turbata dall'improvvisa notizia di un sanguinoso agguato mafioso teso sull'autostrada Palermo-Punta Raisi ad uno dei giudici più impegnati ed inflessibili nella lotta contro la mafia: Giovanni Falcone. Un vile agguato, seguito purtroppo meno di due mesi dopo da un altro ai danni di un secondo giudice antimafia, Paolo Borsellino, intimo di Falcone ed impegnato nelle indagini sull'assassinio dell'amico.

Di qui l'immediata reazione dell'opinione pubblica e degli organi dello Stato e la rapida composizione di un governo, affidato al socialista Giuliano Amato (8 giugno1992 - 22 aprile 1993), seguito da un altro presieduto da Carlo Azeglio Ciampi (28 aprile 1993 - 16 aprile 1994), definito <<tecnico>> in quanto formato in larga parte da personalità estranee ai partiti e destinato a favorire la transizione verso un nuovo equilibrio delle forze politiche.

Con l'inizio degli anni '80 l'Italia sembrò avviata a vivere un periodo favorevole al suo sviluppo morale e materiale dopo una lunga crisi economica iniziata negli anni '70 e dopo la drammatica prova degli <<anni di piombo>>. Eppure la ripresa del paese non doveva di troppo lunga durata.

Tali problemi investivano in sistema di governo e il ruolo dei partiti nella società. Fino alla fine degli anni '80 , il sistema politico si era caratterizzato per il ruolo centrale assunto dalla Democrazia cristiana e per l'importanza dei partiti minori nelle alleanze di governo insieme all'ingresso del Psi nell'area della maggioranza.

A mettere in crisi questo stato di cose furono tre fattori: 1) le trasformazioni avvenute all'interno dei partiti e la nascita dei nuovi soggetti politici; 2) l'avvio nel '92 delle inchieste giudiziarie sulla corruzione, note con il nome di <<operazione mani pulite>>; 3) il cambiamento del sistema elettorale italiano da proporzionale a maggioritario.

Nato nel 1921 da una scissione a sinistra del Partito socialista, il Pci dovette fare i conti con l'entrata in crisi dell'ideologia leninista e dei movimenti comunisti internazionali e con quella dello stesso Stato sovietico. Così, nell'89 , la direzione del partito sotto la guida di Achille Occhetto decideva di porre fine all'esperienza comunista italiana e di dare vita ad un nuovo partito, che nel '91 assumeva il nome di Partito democratico della sinistra (Pds). Un gruppo di iscritti non accettava però la trasformazione e fondarono Rifondazione comunista.

A gravi difficoltà andava incontro anche la Democrazia cristiana. Nel frattempo il pesante coinvolgimento di molti esponenti di rilievo del partito negli scandali di <<Tangentopoli>> provocavano una brusca flessione dei risultati elettorali e ponevano con urgenza il problema di un totale rinnovamento. Dopo un lungo travaglio interno, il 22 gennaio 1994 una Assemblea costituente degli iscritti alla Dc decise di assumere il nome di Partito popolare italiano, con un significativo richiamo alle origini del popolarismo cattolico. Un gruppo di dirigenti però non aderì diedero vita ad un nuovo partito con il nome di Centro Cristiano democratico.

Un concreto contributo alla crisi dei partiti tradizionali veniva dato negli ultimi anni '80 e agli inizi del '90 dal successo conseguito da alcune elezioni a carattere locale dai movimenti <<verdi>>, che hanno posto con forza i temi della tutela dell'ambiente e della battaglia conto l'inquinamento.

Ben più clamoroso il successo della Lega Nord, che a partire dai primi anni '80 raccoglieva crescenti consensi fino a divenire, nelle elezioni politiche del '92, sotto la guida del segretario Umberto Bossi, il quarto partito italiano. Il programma leghista si basava sul progetto di trasformare l'Italia in una repubblica federale dalle ampie autonomie locali politiche e amministrative.

All'inchiesta condotta dai giudici di <<Mani pulite>> non sfuggirono numerosi deputati e senatori presenti nel nuovo Parlamento insediato dopo le elezioni del '92 e accusati di aver commesso reati diversi o per guadagno personale o a vantaggio del proprio partito. Nel frattempo il referendum approvato dai cittadini il 18 aprile 1993 introduceva il sistema maggioritario uninominale per l'elezione del Senato, costringendo così il Parlamento a votare per la legge maggioritaria anche alla Camera, dove tuttavia si decise che un quarto dei seggi fosse assegnato con il sistema proporzionale.

Nel gennaio '94 l'industriale Silvio Berlusconi annunciava di voler partecipare alla competizione elettorale alla guida di un nuovo movimento politico di centro-destra denominato Forza Italia: e ciò al fine di contrastare le forze della sinistra, riunite nella formazione dei progressisti. I risultati delle elezioni del 27 marzo 1994 hanno assegnato la vittoria alla nuova formazione politica - alleata al nord con la Lega Nord nel Polo delle libertà e al centro-sud con Alleanza nazionale nel Polo del buongoverno.

Si arrivava così il 25 maggio 1994 alla formazione del governo Berlusconi. Malgrado il successo conseguito dai propri sostenitori anche nelle elezioni europee, Berlusconi si vedeva costretto alle dimissioni sei mesi dopo (22 dicembre 1994) a causa di sopravvenuti dissensi interni alla maggioranza.

Di qui l'incarico affidato dal Presidente Scalfaro a Lamberto Dini, già ministro berlusconiano del Tesoro il quale formò un governo, cosiddetto tecnico, costituito da ministri tecnici sganciati dai partiti. Tale governo e il suo programma, ben preciso e limitato ad alcuni punti fondamentali quali una nuova legge elettorale per le regioni ed un profondo rinnovamento del sistema pensionistico nazionale, ottenevano nel febbraio 1995 la fiducia delle Camere, con il voto favorevole dello schieramento di centro-sinistra, di cui facevano parte PDS, Partito Popolare, Verdi e quasi tutti gli esponenti della Lega Nord, che con il cosiddetto <<ribaltone>> avevano abbandonato Forza Italia.

Negli anni '80 e nei primi del '90 l'Italia si trovava a fronteggiare sempre più fenomeni di delinquenza, dovuta non a singoli criminali, ma a vere e proprie bande. Il culmine della violenza mafiosa è stato raggiunto tra il maggio e il luglio 1992 con gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due omicidi con i quali si è voluti dimostrare che la strada per la lotta contro la criminalità organizzata è ancora lunga.

Per quanto riguarda la situazione economica, il problema centrale era quello del risanamento debito pubblico, ormai giunto a cifre altissime, intorno ai 2 milioni di miliardi di lire.

Tale stato di cose ha determinato una grave perdita di credibilità dell'economia italiana e della lira presso gli investitori internazionali. Un primo passo verso un risanamento finanziario è stato fatto con l'avvio delle privatizzazioni, cioè con l'accesso del capitale privato a grandi enti statali o a società per azioni, il cui capitale era interamente posseduto dallo Stato. Le privatizzazioni, oltre che a far affluire nelle casse statali ingenti somme di denaro, vanno introducendo sostanziai modifiche al modello economico dello Stato imprenditore, banchiere, assicuratore.

A tutti questi problemi si aggiunse quello della presenza nel nostro Paese di numerosi <<extracomunitari>> provenienti dall'Africa e dall'Asia. A queste immigrazioni se ne aggiunsero ben presto altre, dall'Albania e da alcuni Paesi dell'Europa dell'Est, che scatenarono fenomeni preoccupanti di razzismo.

Ora l'opportunità offerta agli <<extracomunitari>> dalla legge Martelli del febbraio 1990 costituisce una testimonianza concreta di quell'umana solidarietà, alla quale le società più ricche non devono assolutamente sottrarsi. Ma non bisogna dimenticare le rilevanti sacche di emarginazione e di miseria, che ancora affliggono la società italiana, che si vanta di essere uno dei più avanzati del mondo anche dal punto di vista sociale e che proprio in quanto tale dovrebbe fare della lotta all'emarginazione e alla miseria una delle finalità basilari della propria politica.



4 - I partiti politici

Dopo aver parlato dei vari problemi politici, sociali ed economici che hanno colpito il nostro Paese nell'ultimo cinquantennio del 20° secolo, parliamo adesso dei partiti politici, che tanto sono stati oggetto di discussioni in questi anni, sotto il profilo giuridico.

I partiti politici sono organizzazioni che hanno come fine la conquista e la gestione del potere politico. In tutti gli Stati contemporanei essi costituiscono il principale canale di collegamento tra la società civile e le istituzioni statali. Da una parte essi agiscono come rappresentanti di settori delle società civile, dall'altra essi determinano l'orientamento politico dello Stato. Essi hanno quindi una doppia natura: sono organizzazioni private e volontarie, ma nello stesso tempo svolgono, di fatto, fondamentali funzioni pubbliche.

I partiti sono organizzazioni private e volontarie: chiunque è libero di aderire a un partito così come è libero di dimettersi da esso. Qualunque gruppo di cittadini può formare un nuovo partito, in concorrenza con quelli già esistenti.

Ogni partito tende a esprimere contemporaneamente gli stessi interessi di determinati gruppi sociali (professionisti, borghesia industriale, operai ,contadini, ecc.) e le idee presenti nella società civile (idee liberali, cattoliche, socialiste, comuniste, ecc.).

A partire dagli interessi che ciascun partito cerca di esprimere e dalle ideologie di cui è portatore, ogni patito forma un proprio programma politico, cioè quella serie di leggi, di provvedimenti che intende adottare all'interno degli organi statali. In questo modo i partiti decidono quali esigenze, presenti nella società civile, vanno sostenute e quali vanno lasciate cadere: in altre parole fanno da filtro tra la società e lo Stato e selezionano le domande politiche.

I partiti svolgono funzioni pubbliche della massima importanza.

a)  Costituiscono il principale canale di selezione dei dirigenti politici: negli stati contemporanei è molto difficile diventare membro di un'assemblea elettiva senza l'appoggio attivo di un partito. Quindi, salvo eccezioni, chi vuol fare carriera politica deve prima di tutto iscriversi ad un partito o almeno ottenerne la fiducia.

b)  I partiti che ottengono la maggioranza alle elezioni formano il governo dello Stato (e le giunte delle regioni e degli enti locali) e ne designano i ministri. Inoltre i partiti di maggioranza hanno la possibilità di nominare uomini di loro fiducia in incarichi pubblici di varia natura..

c)   L'indirizzo politico dello Stato viene così formulato dai partiti di maggioranza, attraverso un confronto con i partiti di opposizione all'interno delle assemblee elettive.


Con queste osservazioni mostrano come i partiti costituiscono l'asse portante dello Stato.

I partiti infatti per poter governare devono ottenere la maggioranza alle elezioni; i loro programmi vengono effettivamente soltanto quando sono fatti propri dal parlamento e messi in atto dal governo. Tuttavia i partiti forniscono al parlamento e al governo gli uomini e i programmi: sono dunque i principali protagonisti degli stati contemporanei che perciò possono essere definiti come stati di partiti.

L'evoluzione dei partiti è stata strettamente collegata, nella storia, all'evoluzione dello stato rappresentativo.

Finché rimase in vita lo stato assoluto e il sovrano governava senza il bisogno di un esplicito consenso da parte della società, i partiti non ebbero ragione di esistere. Nella storia europea i partiti nacquero con il primo stato rappresentativo formatosi in Inghilterra in seguito al 1688, che pose alla base dello stato un parlamento elettivo. All'interno del parlamento inglese si formarono due partiti: i whigs (da cui deriva l'attuale partito liberale inglese) e i tories (da cui deriva l'attuale partito conservatore inglese). Essi non erano ancora dei veri e propri partiti in quanto non avevano contatti con la società, tranne che nel caso di elezioni, ed esprimevano diversi orientamenti, di tipo progressista i whigs e di tipo conservatore i tories, all'interno della medesima classe sociale, l'aristocrazia e l'alta borghesia.

Questi tipi di partiti sono detti partiti di notabili perché si formano attorno alle figure di importanti esponenti del mondo politico, senza basi di massa.

La fisionomia dei partiti cambia a parti re dall'800 con l'allargamento del diritto di voto e ancor più nel '900 con il suffragio universale. Il collegamento tra le istituzioni dello stato e la massa crescente degli elettori viene svolto da partiti di tipo nuovo che vengono designati come partiti di massa.

I primi partiti che adottano questa nuova organizzazione sono i partiti socialisti che si formano alla fine del secolo scorso. Il loro scopo non è quello di gestire il potere politico, ma di organizzare la classe operaia e di lottare per ottenere nuove conquiste politiche. Essi adottano perciò un'organizzazione capillare di massa, aprono sezioni in tutte le zone del paese in cui gli iscritti sono chiamati a svolgere una vita politica attiva e si impegnano a rispettare la disciplina di partito. La complessità e l'ampiezza di queste organizzazioni fanno si che si crei un apparato formato dai funzionari e dai dirigenti del partito che si dedicano stabilmente e professionalmente all'attività politica. Nascono così i politici di professione.

Nell'Europa continentale la forma dei partiti di massa viene ripresa, nel corso del 900 da tutti gli altri partiti: sia dai nuovi partiti che sorgo su basi popolari (il Partito popolare italiano di ispirazione cattolica, fondato nel 1919), sia dai vecchi partiti borghesi di stato liberale o conservatore.

I partiti di massa vengono anche designati come partiti di integrazione sociale perché consentono a larghi strati della popolazione di organizzarsi verso una meta comune attorno a specifici simboli, ideologie, culture, appartenenze.

Abbiamo visto che la repubblica italiana è nata dal contributo determinante dei partiti che hanno combattuto il fascismo, perciò la costituzione ne riconosce esplicitamente il ruolo affermando che <<tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere in modo democratico a determinare la politica nazionale>>.

Da questa disposizione si possono ricavare i seguenti principi:

a)   La formazione dei partiti è libera: ogni partito ha diritto di cittadinanza nello stato italiano qualunque ne sia l'ideologia, l'unico limite è contenuto nell'art. XII delle disposizioni transitorie della Costituzione che vieta <<qualsiasi forma di riorganizzazione dello sciolto partito fascista>>. Tale disposizione è stata adottata soltanto per sciogliere alcune organizzazioni di estrema destra.

b)  La repubblica si fonda sul pluralismo dei partiti. L'uso del plurale "partiti" sta a significare che sarebbe inammissibile un sistema monopartitico.

c)   Ai partiti è riconosciuta la funzione di determinare la politica nazionale, in concorrenza tra di loro.

d)  I partiti devono rispettare il metodo democratico. Per tale principio si intende dire che la minoranza deve rispettare le decisioni della maggioranza, ma ha piena libertà di agire, con tutti i mezzi necessari per diventare maggioranza e passare alla guida politica del Paese.


Dal punto di vista giuridico i partiti politici sono, in Italia, organizzazioni private ce si configurano come associazioni non riconosciute e godono quindi di ampia libertà d'azione che è prevista dal codice civile per questo tipo di associazioni. Non sono persone giuridiche e quindi non vengono sottoposti a quei controlli statali che il codice civile prevede per tali enti.

Gestire un partito richiede molto denaro. I partiti hanno infatti bisogno di sedi, di funzionari, di materiale per propagande. Anche le campagne elettorali costano: ogni candidato, se vuole essere eletto, deve spendere milioni per farsi conoscere dagli elettori.

Allora il problema è di come procurarsi il denaro.

Una possibile soluzione è il finanziamento pubblico dei partiti: ogni partito riceve dallo stato il denaro per finanziare la propria attività e le proprie campagne elettorali. Alcuni sostengono che i partiti svolgono funzioni di carattere pubblico e che, se non vengono finanziati dallo stato, saranno tentati a ricorrere a pratiche illecite per procurarsi il denaro necessario, il finanziamento pubblico dei partiti è un modo per prevenire la corruzione.

A causa di questa contrapposizioni il finanziamento pubblico dei partiti ha avuto, in Italia, una storia travagliata. Fu introdotto nel 1974, poi fu parzialmente cancellato da un referendum del 1993, reintrodotto in forma nuova nel 1997 ed è stato ancora oggetto di referendum del maggio scorso, che non è stato valido a causa del quorum non raggiunto del 50% più uno degli elettori.

L'insieme dei partiti che operano in un paese e delle loro relazioni reciproche costituisce il sistema di partiti.

I sistemi di partiti si differenziano tra di loro essenzialmente per due aspetti: il numero dei partiti che esistono in un paese e il grado di omogeneità e disomogeneità politica esistente tra di loro. Entrambi questi aspetti dipendo essenzialmente dalle caratteristiche culturali e storiche di un paese: i partiti riflettono infatti le divisioni o le fratture esistenti nella società tra le classi sociali, le aree geografiche, le ideologie, ecc.; più ampie sono queste fratture più ampio sarà il numero di partiti portatori di posizioni particolarmente distanti tra loro, un esempio potrebbe essere quello dell'Italia con un notevole numero di partiti, causa delle ripetute instabilità politiche.

Possiamo raggruppare i sistemi partitici, grossomodo, in due modelli principali: i sistemi bipartitici (o tendenzialmente tali) e i sistemi multipartitici.

Nei sistemi bipartitici la competizione politica si svolge principalmente tra due partiti che si differenziano per il fatto che uno è orientato su posizioni riformatrici o progressiste (o "di sinistra"), l'altro su posizioni tradizionaliste e conservatrici (o "di destra"). Tale è la situazione negli Stati Uniti dove la competizione politica si svolge tra il partito repubblicano e quello democratico.

E' stato spesso sostenuto che i sistemi bipartitici sono in grado di favorire un migliore funzionamento della democrazia. Infatti il partito che prevale alle elezioni conquista necessariamente la maggioranza assoluta dei seggi al parlamento e forma il governo, mentre il partito sconfitto è costretto a svolgere il ruolo dell'opposizione. A ogni elezione però i ruoli di maggioranza e opposizione possono invertirsi se gli elettori decidono di spostare i loro voti da un partito all'altro. Tale sistema garantisce nello stesso tempo stabilità dei governi (che essendo formati da un solo partito restano in carica per tutta la legislatura) e la possibilità di alternanza al potere. Quest'ultimo aspetto costituisce uno stimolo positivo sia per il partito di governo che per il partito dell'opposizione: il primo sa che a ogni elezione corre il rischio di perdere il potere e quindi cercherà di governare in modo responsabile tenendo conto delle critiche dell'opposizione; il secondo sa di avere una concreta possibilità di passare alla guida del paese e quindi sarà indotto a formulare critiche realiste e costruttive.

Nei paesi dell'Europa continentale si sono tradizionalmente affermati sistemi multipartitici: la competizione politica non avviene quindi tra un partito "progressista" e un "partito moderato" ma tra numerosi partiti che esprimono una gamma di orientamenti molto più differenziata. Poiché spesso in questi casi nessun partito, da solo, è in grado di ottenere la maggioranza alle elezioni, i governi sono formati da coalizioni di partiti che sono poco stabili in quanto fondate su un accordo tra organizzazioni che hanno programmi non del tutto coincidenti. Tale situazione ha determinato periodi di forti instabilità politica come la Germania di Weimar (1919-1933) e la Francia durante la IV repubblica (1945-1958).

Occorre osservare che nel secondo dopoguerra in alcuni paesi europei si è verificata una semplificazione del sistema dei partiti e ci si è avvicinati a sistemi bipartitici. Per esempio nella Francia della V repubblica (dal 1958 a oggi) i partiti principali sono quattro o cinque, ma tutti raggruppati in due soli schieramenti, uno di sinistra e uno di destra. Nella Germania federale la competizione politica si svolge tra il partito socialdemocratico e la democrazia cristiana.

Nei primi 48anni di storia repubblicana (1946-1994) il sistema dei partiti si è presentato in Italia come un sistema multipartitico, assai frazionato, ma dotato di notevole stabilità.

All'inizio degli anni '90 questo sistema è entrato in profonda crisi. Dalle elezioni politiche del 1994, realizzate con le nuove regole elettorali di tipo maggioritario, è emerso un sistema di partiti notevolmente trasformato.

In base alla loro origine storica, alla loro ideologia e al loro insediamento sociale, i partiti italiani possono essere classificati in 6 aree o famiglie principali.

L'area liberal-democratica, è quella di più antiche origini. Non va dimenticato che la classe politica che "fece" l'Italia del Risorgimento era prevalentemente di ispirazione liberale. Finché fu mantenuto il suffragio limitato, la grande maggioranza dei parlamentari proveniva dall'area liberale, anche se non era organizzata in un vero e proprio partito.

Con l'avvento del suffragio universale maschile (1919) i liberali persero la loro posizione dominante a favore dei nuovi partiti di massa (socialista e cattolico). Da allora non sono più riusciti a riconquistarla. La loro base sociale è rimasta notevolmente ristretta, essendo formata prevalentemente dall'alta borghesia imprenditoriale e professionale.

Nei primi 50 anni di storia repubblicana hanno fatto parte di quest'area due partiti minori, che vantano origini risorgimentali: il Partito repubblicano italiano (Pri) e il Partito liberale italiano (Pli). La loro influenza sulla politica italiana è stata nettamente superiore al loro peso elettorale perché essi sono stati quasi sempre partiti di governo.

Si richiama ai valori liberal-democratici anche il partito di Forza Italia, di cui abbiamo già parlato nel contesto storico, nato nel 1994 per iniziativa di Silvio Berlusconi, diventato il primo partito italiano alle elezioni del 1994 con il 21% dei voti. Si tratta tuttavia di una forza politica totalmente nuova che ha poco in comune con l'antica tradizione liberale e repubblicana.

L'area socialista Possiamo ricomprendere in questo gruppo tutti quei partiti che, pur avendo attualmente posizioni molto diverse tra di loro, hanno un antenato comune nel Partito socialista, fondato nel 1892 per rappresentare sul piano politico il movimento operaio e sindacale. L'area socialista fu la prima ad assumere le moderne vesti di partito di massa, ma ebbe anche la storia più travagliata con frequenti fratture e scissioni. Il Partito socialista, nato per difendere gli interessi dei lavoratori e degli strati sociali più deboli, si divise ben presto tra i riformisti che intendevano ottenere miglioramenti della condizione operaia all'interno del sistema esistente e i rivoluzionari che si battevano per l'abolizione del sistema capitalistico e l'affermazione di uno stato socialista.

In seguito alla rivoluzione russa (1917), l'ala rivoluzionaria si staccò dal Partito socialista e fondò, nel 1921, il Partito comunista italiano, che assunse il primo stato socialista del mondo come il suo punto di riferimento fondamentale. Dopo la seconda guerra mondiale, il Pci diventò il maggiore partito della sinistra, superando il Partito socialista, e si affermò stabilmente come secondo partito italiano. Il suo successo dipese da vari fattori: il contributo decisivo dato dal Pci nella lotta antifascista e nella resistenza, il prestigio ottenuto dall'Unione Sovietica nella guerra contro i nazisti, l'adozione di un'organizzazione compatta ed efficiente sotto l'abile guida di Palmiro Togliatti.

La forza elettorale del Pci si concentrò principalmente nelle "regioni rosse" (Emilia, Toscana e Umbria) e nelle aree industriali del nord. I voti del Pci crebbero costantemente negli anni Sessanta e Settanta fino a toccare la punta massima del 34% nei 1976, cui seguì un periodo di lento ma continuo declino.

Di fronte al crollo dei regimi comunisti nell'Est europeo, il Pci scelse di rompere con le sue radici comuniste e diede vita, nel 1991, a una nuova formazione politica, il Partito democratico della sinistra (Pds), con un programma democratico e riformista. fl Pds ottenne il 20% dei voti alle elezioni dei 1996, confermandosi come il secondo partito italiano. La svolta non venne però accettata da alcuni militanti dell'ex-Pci che crearono il Partito della rifondazione comunista (Prc) (8% di voti nel 1996).

Quanto al Psi, pur essendo rimasto fortemente ostile al comunismo totalitario instaurato in Urss, scelse di allearsi con il Pci subito dopo la guerra per contrastare la

Democrazia cristiana e subì, nel 1946, la scissione del Partito socialdemocratico italiano (Psdi), che assunse posizioni filo-occidentali ed entrò stabilmente a far parte del governo. I1 Psdi non è sopravvissuto alla crisi del 1992-1993.

Anche il Partito socialista italiano compì alla fine degli anni Cinquanta una scelta riformista ed entrò a far parte del governo nel 1964 (il centro-sinistra). Da allora rimase sempre al governo come principale alleato (e concorrente) della Democrazia cristiana. Sul piano elettorale, dopo un periodo di declino negli anni Settanta, crebbe negli anni Ottanta, portandosi attorno al 13-14% dei voti, grazie alla guida di Bettino Craxi che lo caratterizzò come partito di potere, moderno e spregiudicato. Ma questi stessi aspetti finirono per coinvolgerlo profondamente in pratiche illecite e corruttive. Travolto dalle inchieste "mani pulite", si è suddiviso in vari tronconi che hanno attualmente un'influenza trascurabile.


L'area cattolica. Il secondo partito di massa (dopo quello socialista) che comparve sulla scena italiana fu il Partito popolare, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. Esso si propose di rappresentare i cattolici italiani che fino ad allora si erano tenuti al di fuori dalla vita politica per protesta contro la presa di Roma da parte dello stato italiano.

Il partito dei cattolici risorse dopo il fascismo con il nome di Democrazia cristiana (Dc) sotto la guida di Alcide De Gasperi, e da allora si affermò stabilmente come il maggiore partito italiano. Benché la sua forza elettorale fosse costantemente diminuita, dal 48% del 1948 al 30% del 1992, la Dc restò sempre il partito di maggioranza relativa in Italia e costituì la forza portante di tutti i governi della repubblica, fino alla

crisi del 1993/1994.

L'ideologia originaria della Dc derivò dalla dottrina sociale cristiana: valorizzazione della solidarietà, della famiglia e della piccola proprietà, difesa e diffusione dei valori cristiani.

A differenza degli altri partiti la Dc non si presentò mai come un'organizzazione compatta sul piano ideologico e programmatico, ma piuttosto come una sede di mediazione tra posizioni e interessi diversi (e spesso contrapposti).

Nei primi anni Novanta la Dc è entrata in una fase di rapida crisi.

Nel 1994 si è sciolta, dando vita a tre partiti minori di ispirazione cattolica che sono attualmente schierati in due campi opposti: il Partito popolare (7% dei voti nel 1996) con l'Ulivo; il Centro cristiano democratico e i Cristiani democratici uniti (6% dei voti nel 1996) con il Polo delle libertà.

L'area della destra post-fascista. Appartiene a quest'area il Movimento sociale italiano (Msi), fondato nel 1949 per raccogliere l'eredità dell'esperienza fascista. Malgrado lo sviluppo delle idee democratiche in Italia, il Msi conservò un discreto seguito elettorale (attorno al 5-6% dei voti). Rimase sempre all'opposizione. e proprio per questo registrò crescenti successi al momento della crisi del vecchio sistema politico, anche grazie al suo radicamento nelle regioni meridionali.

Nel 1994 scelse di allentare i propri legami con il fascismo e adottò la nuova denominazione di Alleanza nazionale. Alle elezioni del 1996 divenne il terzo partito italiano con il 16% dei voti.

L'area ecologica. Nell'ultimo decennio in tutta Europa i movimenti ecologisti hanno tentato, con successo, di partecipare alle elezioni e di portare in parlamento i temi della difesa dell'ambiente che i partiti tradizionali dimostravano di sottovalutare. Anche in Italia si sono formate liste verdi che a ogni elezione ottengono una quota di voti oscillante tra il 2 e il 3%.

L'area regionalista. Sono tradizionalmente presenti nel parlamento italiano partiti locali che rappresentano minoranze etniche di particolari zone del paese: così la Sudtiroler Volkspartei (Partito popolare del Sud-tirolo) che raccoglie la stragrande maggioranza dei voti dei cittadini di lingua tedesca dell'Alto Adige e l'Union Valdòtaine presente in Valle d'Aosta.

A partire dagli anni Ottanta il fenomeno dei raggruppamenti politici localistici ebbe un nuovo impulso con la diffusione di movimenti nelle regioni settentrionali che attaccavano il sistema nazionale dei partiti, mettevano sotto accusa gli aiuti al Mezzogiorno e chiedevano la trasformazione dello stato italiano in senso federale. Il più importante di essi, la Lega lombarda (che ha promosso poi la formazione della Lega nord) ha avuto un rapidissimo successo. Nel 1993 ha conquistato i sindaci di numerosi comuni del nord. Alle elezioni politiche nel 1996, si è affermata come il quarto partito italiano con il 10% dei voti.

Nel primo cinquantennio di vita repubblicana non si è mai realizzata in Italia l'alternanza al governo, che è invece avvenuta in tutte le altre democrazie europee.

Si può dire che l'Italia si è configurata come una democrazia bloccata, nel senso che non si è mai verificato quel ricambio tra maggioranza e opposizione che e generalmente considerato come indispensabile per il buon funzionamento di un sistema democratico. Il sistema dei partiti in Italia è stato anche descritto come bipartitismo imperfetto in quanto è stato dominato da due grandi partiti la Dc e il Pci, che per ragioni internazionali e anche interne non hanno mai potuto sostituirsi alla guida del paese.

L'alto numero dei partiti e la stabilità del loro ruolo al governo o all'opposizione, ha provocato una serie di fenomeni degenerativi. I partiti erano infatti saldamente controllati da apparati relativamente ristretti (i «politici di professione») il cui scopo era più quello di consolidare e rafforzare la propria posizione di potere che di perseguire gli interessi generali del paese. Secondo un'opinione assai diffusa, a un sistema basato sulla democrazia (il potere del popolo), si sarebbe in realtà sostituito un sistema basato sulla partitocrazia (il potere dei partiti).

I partiti (e soprattutto quelli di governo) si sono infatti mostrati fortemente inclini al clientelismo, cioè alla concessione di favori a particolari categorie di cittadini in modo da ottenerne il consenso elettorale. In queste condizioni la politica governativa è riuscita raramente ad assumere un indirizzo chiaro e unitario, ma si è frammentata assai spesso in una miriade di provvedimenti scoordinati diretti a soddisfare questo o quel gruppo sociale.

Inoltre i partiti, per consolidare la loro posizione di potere, hanno cercato con successo di accaparrarsi il numero maggiore possibile di incarichi pubblici ponendo alla guida degli enti che dipendono dallo stato (gli enti pubblici, le imprese pubbliche, la Rai, le Unità sanitarie locali ecc.) uomini di propria fiducia. Tali incarichi hanno finito per essere distribuiti (o «lottizzati») tra i partiti di1 maggioranza in proporzione alla loro forza elettorale, e senza alcun criterio di competenza professionale. In sostanza i partiti hanno mirato più all'occupazione dello stato, che al perseguimento di una precisa linea politica, estendendo in modo del tutto improprio la loro influenza diretta su tutte le istituzioni pubbliche.

In queste condizioni hanno dilagato i fenomeni di corruzione tra gli uomini politici dei partiti di governo (ma talvolta anche in quelli di opposizione) nella convinzione che l'impossibilità di un ricambio al governo conferisse loro una completa impunità. I proventi illegali della corruzione sono stati destinati a finanziare i partiti (i loro costosi apparati e la loro propaganda), ma spesso hanno avuto anche l'effetto di creare rapidi arricchimenti personali.

Attraverso tali fenomeni il sistema politico si è rivelato sempre meno efficiente: ha prodotto il risultato paradossale di avere nello stesso tempo governi instabili (di breve durata), ma formati dagli stessi uomini e dagli stessi partiti; ha dimostrato di non saper prendere decisioni dì vitale importanza per il paese, se non dopo estenuanti contrattazioni tra i partiti per ragioni spesso tutt'altro che nobili e non ha saputo fare nulla per migliorare la qualità dei servizi pubblici o per ridurre l'ingiustizia fiscale.

Il sistema dei partiti che aveva caratterizzato, con una notevole stabilità, il primo cinquantennio di vita repubblicana, è stato completamente travolto nei primi anni Novanta anche per effetto della legge elettorale di tipo maggioritario varata nel 1993. L'Italia è infatti l'unico paese europeo che abbia conosciuto, negli ultimi anni, un completo ribaltamento del proprio sistema politico. Attualmente non sopravvive nessuno dei partiti esistenti nei primi anni Novanta: alcuni sono completamente scomparsi dalla scena, altri hanno cambiato nome (e anche sostanza).


Se osserviamo i risultati delle elezioni del 1996 possiamo constatare che il numero dei partiti non è diminuito, malgrado l'adozione di un sistema elettorale maggioritario: viviamo quindi ancora in un sistema multipartitico. Ma ora essi sono organizzati in due coalizioni o due poli:

una coalizione di sinistra, l'Ulivo, che comprende cinque partiti principali: il Partito democratico della sinistra (Pds), Rifondazione comunista, il Partito popolare, Rinnovamento italiano e i Verdi;

una coalizione di destra, il Polo delle libertà, che comprende quattro partiti prin-cipali: Forza Italia, Alleanza Nazionale, il Centro cristiano democratico e i Cristiani democratici uniti.

Un eccezione per la Lega nord, che non si riconosce in nessuno dei due poli: corre per conto suo, perché ha un programma - l'indipendenza della «Padania» - che non è condiviso né dagli uni né dagli altri.

I1 sistema dei partiti si è dunque avviato verso una situazione bipolare. Ma non è detto che sia una configurazione stabile. In ciascuno dei due poli esiste un partito dominante: il Pds nell'Ulivo e Forza Italia nel Polo; ma essi raccolgono soltanto il 20% circa dei voti: hanno quindi bisogno di altri alleati e possono essere fortemente condizionati dalle loro richieste.

I partiti sono i canali principali di collegamento tra i cittadini e lo stato, ma non sono gli unici. Nelle società contemporanee esistono numerose organizzazioni che, pur non presentandosi alle elezioni e non proponendosi la gestione del potere politico, hanno una concreta influenza sulle decisioni dello stato e quindi contribuiscono indirettamente a formulare la politica del paese.

Queste organizzazioni vengono chiamate gruppi di interesse, nel senso che sostengono gli interessi di particolari categorie sociali, oppure gruppi di pressione, nel senso che "premono" sui partiti o direttamente sugli organi dello stato per ottenere decisioni a loro favorevoli

I gruppi di pressione più importanti sono i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori (la principale, tra queste, è la Confindustria). La loro influenza è tale che raramente il governo prende provvedimenti di politica economica senza consultare preventivamente i sindacati dei lavoratori e le associazioni degli imprenditori. Anzi, le più importanti politiche economiche e sociali del paese, quelle per esempio che riguardano le pensioni, lo stato sociale, l'occupazione ecc. vengono spesso concordate in incontri «triangolari» tra il governo, i sindacati dei lavoratori e la Confindustria. Questa pratica, detta concertazione, è molto diffusa in tutti i paesi europei e ha conosciuto un notevole sviluppo in Italia negli ultimi anni.

Allo stesso modo agiscono numerosissimi altri gruppi di interesse: si può dire che ogni categoria di cittadini è rappresentata da specifiche organizzazioni che ne tutelano gli interessi nei confronti dello stato e che premono sui partiti e sul governo per ottenere provvedimenti a esse favorevoli. Per esempio le organizzazioni degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti, dei medici, dei farmacisti, degli autotrasportatori, dei proprietari di casa, degli inquilini, dei cacciatori, delle società di calcio o di pallacanestro, degli automobilisti ecc. Più in generale ogni associazione può trasformarsi in gruppo di pressione se è abbastanza forte da trovare ascolto presso i partiti, i membri del parlamento, i ministri, la pubblica amministrazione.

L'azione dei gruppi di interesse può essere, inoltre, un potente fattore di corruzione. Pur di ottenere un provvedimento favorevole che può far guadagnare miliardi, un gruppo di industriali o di uomini d'affari può essere disposto a pagare centinaia di milioni a deputati, ministri, funzionari di partito. La corruzione non dipende solo dagli uomini politici che hanno bisogno di denaro. Spesso dipende anche dai gruppi di pressione che hanno interesse a pagare. In molti paesi l'azione dei gruppi di pressione è stata regolamentata in modo che sia condotta in modo palese e trasparente. Per esempio, gli uomini politici che ricevono denaro da un'impresa devono dichiararlo pubblicamente, in modo che si sappia da chi sono finanziati. Il potere del denaro sulle scelte di governo rimane comunque uno degli aspetti più inquietanti delle democrazie contemporanee.




4.1 - Les partits politiques en France et les
institutions

L'univers politique français met en evidence une forte tendance à la bipolarisation: la droite d'un còté, la gauche de l'autre.

Après la remontée d e la droite aux élections législatives de 1986, une victoire de la gauche aux législatives de 1988 et enfin un nouveau succèss de la droite aux législatives de 1993, la majorité des Français a choisi comme Président de la Republique Jacques Chirac, soutenu par les forces politiques de droite.


Les partis de gauche:


Le Parti Socialiste (PS.)

Il est l'héritier du mouvement socialiste fondé au début du siécle. Dirigé par François Mitterrand, il accède au à l'occasion des élections présidentielles et legislatives de 1981. Il a soutenu la candidature de Lionel Jospin à la Présidence de la République en mai 1995.


Le Parti Communiste Français (P.C.F.)

Fondé lors du Congrès du Parti Socialiste en 1920, le Parti Communiste Français revendique, depuis, le titre de parti de la classe ouvrière.


Génération Ecologie

Ce parti a pour but la sauve-garde de l'environnement, la lutte contre le nucléaire.


Les partis de droite:


Le Rassemblement pour la République (R.P.R.)

Fonde en l976 par Jacques Chirac, il est aujourd'hui le prernier parti de droite


L'Union pour la Démocratie Française (U.D.F.)

L'Unione pour la Démocratie Française, née en 1978 pour soutenir le Président Valéry Giscard d'Estaing. Cette confédération regroupe le Parti Républicain (P.R.), le Parti Radical, le Parti Social-Démocrate (P.S.D.) et des groupes liberaux et conservateurs.


Le Front National (F.N.)

Parti d'extréme droite, le Front National est né en 1972, fondé par Jean-Marie Le Pen.


Les institution

La France d'aniourd'hui est une république laique et démocratique à régime semiprésidentiel, régie par la Constitution élaborée en 1958 et approuvée par référendum populaire.



LE POUVOIR EXECUTIF





Le pouvoir exécutif appartient au Président de la Ré~ublique et au Gouvemement.

Le_Président de la République, élu pour 7 ans au suffrage universel direct depuis 1962, joue un ròle décisif dans la vie puiitlque de la nation.

Les fonctions du Président sont multiples

il nomme le Premier Ministre qui soumet à son approbation le choix des autres membres du Gouvernement;

. il préside le Conseil des Ministres, le Conseil de la Défense Nationale et le Conseil Supérieur de la Magistrature;

il promulgue les lois, signe les décrets et les ordonnances qu'on a délibérés en Conseil des Mirustres;

il dirige la politioue étrangère qui est entièrement entre ses mains: il nomme les ambassadeurs et les Hauts Fonctionnaires à l'étranger;

il peut soumettre au référendum tout projet de loi concernant l'organisation des pouvoirs publics ou la ratifìcation des traités au référendum

après consultation du Premier Ministre et des Présidents des Assemblées, il peut dissoudre l'Assemblée Nationale et ordonner de nouvelles

Le Président dispose de pouvoirs exceptionnels en cas de menace grave et immédiate; il peut prendre toutes les mesures qu'il juge nécessaires à la sècurite de la nation.

Le Gouvernement est dirigé dans tous les secteurs par le Premier Ministre, qui joue un role de coordinateur entre le Président de la République et le Parlement.

Le Gouvernement est responsable devant le Parlement. Il conduit la politique nationale et assure l'execution des lois. Il se compose de ministres et de secrétaires d'Etat qui dingent les différents ministères. Leur nombre varie en fonction de la structure gouvemementale. Chaque ministre est entouré d'un cabinet de collaborateurs

L'Assemblée Nationale peut voter une motion de censure ou désapprouver le programme du Gouvernement, ce qui entraine la démission de ce dernier.




LE POUVOIR LEGISLATIF

Le pouvoir législatif est exercé par le Parlement, formé par l'Assemblée Nationale et le Sénat.

L'Assemblée Nationale est composée de 577 députés, àgés d'au moins 23 ans, élus au suffrage universel direct pour 5 ans. Elle siège au Palais Bourbon.

Le Sénat, comprend 306 sénateurs, àgés d'au moins 35 ans. Ils sont élus au suffrage indirect, pour 9 ans, par un collège électoral composé de députés, de conseillers généraux, de conseillers régionaux et de délégués des conseils municipaux. Les sénateurs sont renouvelables_par tiers tous les trois ans.



LE POUVOIR JUDICIAIRE

Le pouvoir judiciaire est exercé par les magistrat qui veillent au respect et à l'application des lois.

Les tribunaux d'instance, les tribunaux de grande instance, les cours d'appel, les cours de cassation administrent la justice civile: les tribunaux de grande instance, les cours d'appel, les cours d'assises et les cours de cassation, administrent la justice pénale.

On distingue les tribunaux de commerce et les conseils de Prud'hommes pour la justice professionnelle; le Conseil d'Etat, la Cour des Comptes et les tribunaux administratif départementaux pour lajustice administrative.

Le   Président de la République est garant de l'indépendance de l'autorité judiciaire. Il est assisté par le Conseil supérienr de la Magistrature qui se compse de 9 membres désignés par le Président de la Rèpublique.

La Haute Cour de Justice, juridiction supreme, est composée de 24 juges, élus par l'Assemblée Nationale le Sénat aprés chaque renouvellement des assemblées.

Le Conseil Constitutionnel veille à ce que les lois soient conformes à la Constitution et vérifie la régularité des élections et des référendums. Il cornprend 9 membres, dont trois sont nommés ar e Président de la République.

Le Conseil Economique et Social, désigné par les organisations professionelles et par le Gouvernement, donne son avis sur toutes les lois, tuos les plans ou tous les projets à càractere economique ou social.



4.2 - Government


Great Britain has a form of democratic government with the monarch who is not only the Head of State but also the symbol of the nation's unity, but its constitution is made up of a number of customs and laws that can be changed by parliament.

Parliaments made up of the House of Commons and the House of Lords. The function of Parliament is to pass laws, vote for taxation, examine the government's policies and administration, and debate the major political issues of the day.

The House of Commons consists of 650 members elected every five years.

The House of Lords, which has just over 1,100 members, is not an elected body and consists of members of the royal family, of the old aristocracy, bishops, lawyers and retired politicians.

There are three main politicai parties in Britain: the Conservative Party, the Labour Party, and the Social-Democratic and Liberal Alliance. The government is formed by the party which has the majority in Parliament. The Prime Minister is generally the leader of that party and is appointed by the Queen. The Prime Minister chooses his (or her) ministers to form the Cabinet (about 30 members), to govern the nation.






5 - Il sistema monetario internazionale

Durante l'ultimo cinquantennio anche nel campo economico ci sono stati molti cambiamenti per quanto riguarda il sistema di pagamento nel mercato internazionale.

Per sistema monetario internazionale si intende il complesso dei rapporti monetari, delle regole e delle istituzioni che disciplinano le relazioni fra le monete e le banche centrali dei vari Paesi.

La necessità di un sistema monetario internazionale deriva dall'esistenza di una molteplicità di sistemi monetari nazionali e dall'esigenza di regolare i rapporti di cambio e il meccanismo dei pagamenti internazionali.

Fino alla prima guerra mondiale, come sappiamo, il ruolo di moneta internazionale fu svolto dall'oro, che costituiva la misura di riferimento nel cambio di tutte le monete ancorate in un sistema aureo (gold standard).
Tramontato il sistema aureo con l'introduzione del corso forzoso all'interno dei vari. Paesi, nel periodo tra le due guerre mondiali si fece ricorso prevalentemente a un regime di cambi fluttuanti.

Nella conferenza monetaria internazionale che si tenne a Bretton Woods (Stati Uniti) nel 1944 i rappresentanti di numerosi paesi discussero il problema della creazione di un sistema monetario internazionale basato su cambi fissi. Gli Stati Uniti e l'Inghilterra proposero due piani, elaborati rispettivamente dal rappresentante americano White e da Keynes, che guidava la delegazione inglese.


Il piano Keynes, nelle sue linee essenziali, partiva dalla constatazione che i mezzi di pagamento internazionali, e cioè oro e monete nazionali, erano insufficienti per finanziare gli scambi del commercio mondiale e la ricostruzione dei paesi europei, per cui occorreva creare una maggiore liquidità internazionale. A questo scopo Keynes prevedeva l'istituzione di una Unione Internazionale di Clearing basata sul meccanismo della stanza di compensazione, per cui debiti e crediti fra le banche centrali dei diversi paesi dovevano essere compensati contabilmente. Inoltre, il piano di Keynes proponeva l'impiego di una moneta di conto internazionale, denominata «bancor», il cui valore era fissato in rapporto con l'oro. I paesi aderenti al Clearing avrebbero avuto una quota in bancor in proporzione al valore del loro commercio con l'estero, quota di cui avrebbero usufruito per effettuare i loro pagamenti internazionali.


Il piano White invece, si fondava sul principio bancario del deposito, che doveva precedere la creazione di credito internazionale. A questo scopo si prevedeva l'istituzione di un fondo di stabilizzazione alimentato dalle quote versate dai paesi aderenti. Il fondo avrebbe svolto un ruolo simile a un ufficio dei cambi internazionali mediante la vendita di valuta estera, ai paesi aderenti, in cambio delle monete nazionali.

In entrambi questi piani venivano sostanzialmente eliminati i trasferimenti materiali di oro, ma il piano Keynes fu giudicato troppo rivoluzionario a quel tempo. Gli accordi di Bretton Woods si ispirarono pertanto al piano White, anche per il peso politico ed economico degli Stati Uniti.


Quello che fu definito il sistema di Bretton Woods si basò sui seguenti principi:

1 ) convertibilità di ogni valuta in dollari, in base a tassi di cambio fissi, oscillanti in su e in giù fino a un massimo dell'1 %;

2 ) convertibilità del dollaro in oro al prezzo ufficiale di 35 dollari per oncia, per cui l'oro, al quale era ancorato il dollaro, reggeva indirettamente il sistema monetario internazionale;

3 ) istituzione di due organismi internazionali: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS).

Il sistema Bretton Woods assunse pertanto la struttura denominata sistema a cambio aureo gold exchange standard) fondato sul dollaro come valuta di riserva convertibile in oro.

Sempre nel sistema di Bretton Woods la convertibilità dei dollari in oro era limitata esclusivamente alle banche centrali, che quindi potevano detenere dollari nelle proprie riserve valutarie con la sicurezza di poterli convertire in oro presso la Riserva Federale degli Stati Uniti.

Nasce così il Fondo Monetario Internazionale, un'organizzazione costituita

con sede in ~ costituita per assicurare il rispetto degli accordi di Bretton Woods e per concedere crediti ai paesi con un disavanzo nei conti con l'estero a condizione che svolgano azioni di riequilibrio.

Attualmente al fondo aderiscono più di 170 paesi, per cui, anche dopo la crisi del gold exchange standard il Fondo può considerarsi il tutore dell'ordine monetario mondiale.

Il potere di voto di ciascun paese dipende dalla sua quota di partecipazione, calcolata sulla base del reddito nazionale, delle riserve ufficiali possedute e del contributo del paese all'interscambio mondiale.

Il Fondo è retto dal Consiglio dei governatori che ne stabilisce le direttive d'azione.

I principali strumenti finanziari a disposizione del Fondo sono i diritti normali di prelievo, le aperture di credito, i diritti speciali di prelievo, le concessioni speciali.

I diritti normali di prelievo rappresentano la prima forma di credito predisposta dal Fondo a favore dei paesi che siano in deficit nei conti con l'estero e necessitino di valuta straniera (dollari in particolare). Il paese in deficit può ottenere valuta estera cedendo la propria moneta e impegnandosi a riacquistarla entro un termine stabilito, pagando in valuta estera in base a un tasso di cambio e a un tasso di interesse stabiliti al momento dell'operazione. Come si vede, si tratta in sostanza di un contratto di riporto in valuta (contratto swap).

Altro strumento del FMI è l'apertura di credito per la durata media di un anno, e con possibilità di rinnovo, fino a un multiplo della quota totale. La concessione di credito è soggetta a una procedura particolare: il paese richiedente deve esporre in una lettera di intenti le misure di politica economica che intende adottare per migliorare la sua situazione finanziaria internazionale. Gli esperti del Fondo, per accertare se la lettera di intenti è accettabile, si recano nel paese richiedente per dare alle autorità la loro consulenza tecnica. In caso affermativo, il Fondo concede il credito gradualmente e condizionandolo all'attuazione delle misure esposte nella lettera di intenti.

Creati nel 1967 e introdotti nel 1970, i diritti speciali di prelievo costituiscono la principale innovazione nel meccanismo di funzionamento del Fondo. Si tratta di una unità monetaria internazionale pari a percentuali fisse di cinque monete importanti; una valuta paniere costituita da dollaro, marco tedesco, yen, sterlina e franco francese.

Contabile.

La funzione dei DSP è di essere in sostanza una moneta contabile, cioè usata per le registrazioni contabili presso il FMI in base alle operazioni effettuate dalle banche centrali aderenti al fondo.

Con la creazione dei diritti speciali di prelievo il Fondo ha assunto una fisionomia più vicina a quella di una banca internazionale (ne la forma di unione dei pagamenti o clearing-union come era sta proposta da Keynes a Bretton Woods), piuttosto che di organizzazione ispettivo-finanziaria

Dopo la sua entrata in funzione il Fondo ha esteso il suo intervento finanziario con concessioni speciali denominate generai agreement borrow (gab), e con le oil-facilities introdotte nel 1974, dopo il forte aumento del prezzo del petrolio.

Il gab consiste in un Meccanismo con il quale il Fondo, nel caso cui debba finanziare un paese aderente in difficoltà nella bilancia dei pagamenti, può ottenere prestiti dai principali 10 paesi industrializzati (Stati Uniti, Germania Occidentale, Giappone ecc.).

Le oil-facilities sono strumenti di credito consistenti in prestiti monetari messi a disposizione dai paesi esportatori di petrolio (OPEC) e di cui il Fondo può disporre a favore di quei paesi che hanno un forte deficit nei conti con l'estero soprattutto a causa dell'importazione di petrolio.

Infatti i vincoli statutari non consentono al Fondo di svolgere in pieno la funzione di «tutore» del sistema monetario internazionale ed esistono limiti obiettivi che non consentono a questo organismo di regolare pienamente il regime dei cambi. E ciò per una serie di ragioni sostanziali e storiche.

- La prima è che il Fondo non ha alcun potere nei confronti delle banche centrali dei paesi aderenti (salvo il caso di aiuti di emergenza), per cui il Fondo non può costringere la banca centrale di un paese con un forte attivo nella bilancia dei pagamenti a espandere il credito né può obbligare un paese in disavanzo con l'estero a stringere i freni attuando una politica deflazionistica.

- La seconda ragione e che esistono mercati finanziari internazionali che operano al di fuori di qualsiasi controllo sia del Fondo Monetario Internazionale, sia delle banche centrali.

- C'è anche da considerare che la mobilità dei capitali ha reso molto difficile gestire cambi con bande di oscillazione strette e salti improvvisi delle parità ufficiali.


- Infine lo scenario dell'economia mondiale è profondamente cambiato rispetto all'immediato dopoguerra per queste fondamentali differenze.

Nel 1944 venne istituita la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo che ha la natura di istituto finanziario internazionale. La BIRS viene anche comunemente denominata Banca mondiale e dopo aver favorito la ricostruzione e la ripresa economica dei paesi maggiormente colpiti dalla guerra, ha assunto lo scopo di finanziare gli investimenti nei paesi sottosviluppati che hanno bisogno di infrastrutture di base per le loro economie.

La BIRS ha sede a Washington ed è dotata di un capitale versato dai paesi membri del FMI soprattutto dagli USA.

La BIRS effettua normalmente dei prestiti a lunga scadenza per progetti di investimenti nei settori dei trasporti, dell'energia elettrica, dell'agricoltura e dell'industria. Questi sono i settori tradizionali di intervento. Negli ultimi anni la BIRS ha indirizzato i suoi interventi anche in settori nuovi come l'educazione, l'urbanizzazione, il controllo della popolazione e il turismo; settori destinati ad assumere una importanza crescente

La crisi del sistema monetario internazionale, così come fu modellato a Bretton Woods, è storia recente e riguarda da un lato l'abolizione del tallone aureo dall'altro li inconvenienti del gold exchange standard fondato sul dollaro come moneta di riserva.

In effetti con il sistema di Bretton Woods gli Stati Uniti, forti della loro potenza economica e politica diventarono di fatto l'unico paese in grado di creare liquidità internazionale mediante l'emissione di dollari per cui il meccanismo dei pagamenti internazionali funzionava in pratica come dollar standard.

Questo sistema non tardò a rivelare alcuni punti deboli.

Il primo punto debole si rivelò la condizione di base del suo funzionamento, e cioè che gli Stati Uniti conservassero nel tempo riserve auree sufficienti ad assicurare la convertibilità del dollaro. Questa condizione comincio a venir meno per effetto della speculazione sull'oro, per frenare la quale gli Stati Uniti erano costretti a vendere oro sui mercati internazionali per soddisfare la domanda. Nel 1961 per scoraggiare la speculazione sull'oro fu costituito il Club dei Dieci con la partecipazione delle banche centrali dei dieci paesi più industrializzati del mondo che insieme possedevano l'80 % delle riserve auree. Nel 1968, sempre per neutralizzare la speculazione sull'oro, fu istituito il doppio mercato dell'oro: un mercato libero per gli operatori privati nel quale il prezzo del metallo giallo era determinato dalla domanda e dall'offerta; un mercato ufficiale riservato alle banche centrali che si impegnavano a non vendere o acquistare oro nel mercato libero. Anche con l'adozione di questa misura gli Stati Uniti incontrarono crescenti difficoltà a mantenere il prezzo ufficiale del metallo a 35 dollari per oncia.

L'altro punto debole del sistema di Bretton Woods fu il crescente deficit che la bilancia dei pagamenti americana dovette registrare verso la fine degli anni Cinquanta per l'enorme quantità di dollari in circolazione fuori dagli Stati Uniti (eurodollari o xenodollari). In questo modo i mercati internazionali e le economie degli altri paesi restavano esposti alle mutevoli condizioni congiunturali degli Stati Uniti.


Nel 1971 gli Stati Uniti furono costretti a dichiarare la inconvertibilità dell'oro, per cui le banche centrali non potevano più chiedere la conversione alla Riserva Federale americana.

Crollava così uno dei pilastri del sistema di Bretton Woods e nel contempo appariva segnato il destino dell'oro come «tallone» monetario. Infatti la conferenza di Kingston del 1976 fu abolito il prezzo ufficiale dell'oro.

Sempre in seguito all'accordo di Kingston, il Fondo Monetario Internazionale restituì una parte dell'oro in suo possesso ai paesi che lo avevano versato come quota di partecipazione.

Si può affermare, in conclusione, che con la «sospensione» del dollaro il sistema a cambio aureo è diventato ufficialmente un sistema basato sul dollaro e quindi denominato dollar standard. Attualmente il dollaro viene ancora impiegato come valuta di riserva dalle banche centrali e costituisce la moneta impiegata prevalentemente nelle operazioni commerciali e finanziarie internazionali.

Nel settembre 1985 Stati uniti, Germania e Giappone hanno raggiunto un accordo allo scopo di istituire un meccanismo di fluttuazione «manovrata» tripolare per i cambi delle tre principali valute internazionali, ossia dollaro, marco e yen.

Il regime di fluttuazione del cambio del dollaro instauratosi di fatto negli anni successivi, indusse i paesi europei (a eccezione di Italia e Inghilterra le cui economie erano in gravi difficoltà) ad adottare un regime di cambi oscillanti entro un ristretto margine (dal 2,25% prima all'1,5JOuto poi) e quindi sostanzialmente un regime semiflessibile denominato "serpente monetario".

Abbiamo parlato prima di eurodollari e xenovalute:

Con il termine eurodollari si indicano i dollari posseduti da operatori economici (privati, imprese e banche, escluse le banche centrali) residenti al di fuori degli Stati Uniti.

La quantità di dollari si è notevolmente accresciuta a partire dagli anni Sessanta con la liberalizzazione dei movimenti di capitali tra paese e paese e per il fatto che il dollaro costituisce tuttora la principale moneta impiegata nelle operazioni internazionali. I depositi di dollari al di fuori degli Stati Uniti sono per lo più dovuti al peso che le imprese americane detengono negli scambi internazionali e nelle operazioni finanziarie mondiali. Mediante l'impiego di questi depositi, per i quali non esiste l'obbligo della riserva obbligatoria, le banche commerciali hanno alimentato il mercato dell'eurodollaro, nel quale la speculazione ha cercato di trarre profitti dai diversi tassi di interesse vigenti sui mercati monetari, senza sottostare ai controlli in vigore nei mercati dei cambi.

Dopo la crisi petrolifera del 1973 sono stati soprattutto i paesi produttori dì petrolio aderenti all'OPEC ad accumulare, in seguito al notevole aumento del prezzo del petrolio, ingenti quantità di dollari. Questi dollari, in parte sono stati impiegati dai paesi produttori per importazioni e usi interni, in parte notevole sono stati «riciclati» nei mercati internazionali.

Il termine petrodollari sta a indicare l'enorme disponibilità di dollari depositati nelle banche estere a favore di operatori residenti nei paesi produttori di petrolio.

Questi ingenti capitali, depositati a breve termine presso banche londinesi, svizzere e americane, spostati da un mercato all'altro per essere impiegati nella maniera più vantaggiosa hanno contribuito a destabilizzare i cambi, scatenando nei mercati ufficiali le «tempeste» monetarie di questi ultimi anni.

Si parla in generale di mercato delle xenovalute diverse dal dollaro per indicare i depositi in valuta (marchi tedeschi, yen giapponesi ecc.) dei paesi più industrializzati esistenti fuori dei confini nazionali.

Queste monete vengono usate sia come riserve, sia come mezzi di scambio nel commercio estero, per cui anche il mercato di xenovalute è costituito da capitali che operano al di fuori del controllo delle banche centrali.

La precedente esperienza del serpente monetario ha consentito ai paesi della CEE di dar vita al Sistema Monetario Europeo (SME), entrato in vigore il 13 marzo 1979.

L'obiettivo principale dello SME è di creare in Europa una sufficiente stabilità monetaria, da realizzarsi con un regime cambio fra le monete europee oscillanti entro limiti predeterminati.

Lo SME si fonda sostanzialmente sulla creazione di una unità di conto denominata scudo, termine equivalente alla denominazione francese ECU.

L'ECU rappresenta la base di riferimento comunitaria per le operazioni tra le banche centrali della CEE essendo costituito da un "paniere" di monete europee

La funzione essenziale dell'ECU nell'ambito dello SME è di essere l'unità di conto per la determinazione dei tassi di conversione con ciascuna moneta nazionale, denominato tasso centrale.

Anche lo SME presenta alcuni limiti di funzionamento propri dei regimi di cambi fissi, come si è visto in occasione della «tempesta» monetaria del settembre 1992. Gli stessi limiti riscontrati storicamente nei precedenti sistemi di cambi fondati sulla parità ufficiale dell'oro e del dollaro, messi in crisi dalla grande speculazione internazionale sulle monete.

Per cui la sterlina inglese e la lira italiana, nel settembre 1992, sono uscite «temporaneamente» dallo SME lasciando fluttuare liberamente i cambi per trovare una quotazione di mercato» più realistica e stabile e poter rientrare nello SME.

Per «salvare» lo SME (ma stravolgendone il meccanismo) nell'agosto 1993 la banda di oscillazione per tutti i rapporti bilaterali fra le valute è stata allargata dal 2,25% al 15%, a eccezione del cambio fra marco tedesco e fiorino olandese, rimasto «ingabbiato» al 2,25%.

L'obiettivo dell'unione economica e monetaria europea è stato riconfermato dai 12 paesi membri con l'approvazione dell'Atto unico europeo del 1987.

Sulla base del Rapporto Delors, presentato nel 1989, ha preso l'avvio con il 10 luglio 1990 la prima fase verso l'unione monetaria con la Costituzione del Comitato dei Governatori delle banche centrali europee e con la liberalizzazione dei movimenti di capitali.

Un altro importante passo avanti è stato fatto con la firma del Trattato di Maastricht (Olanda), nel febbraio 1992, che oltre a istituire l'Unione europea, ha fissato il calendario e le modalità delle altre due fasi necessarie per raggiungere, entro la data ultima del 10 gennaio 1999 l'Unione economica e monetaria europea.

La seconda fase iniziata il 10 gennaio 1994 con 1a creazione dell'Istituto Monetario Europeo (IME), con sede a Francoforte, retto da un consiglio formato dal Presidente e dai governatori delle banche centrali dei paesi membri dell'Unione europea. L'IME opererà in via transitoria fino alla nascita dalla Banca centrale europea.

Prima di decidere il passaggio alla terza fase, e cioè entro il 31 dicembre 1996, la Commissione e l'IME devono relazionare al Consiglio europeo sulla convergenza economica raggiunta dai paesi membri. In materia di convergenza si è stabilita la regola che almeno la metà più uno dei membri della Ue devono risultare convergenti per quanto riguarda inflazione, deficit di bilancio, debito pubblico, stabilita dei cambi e tassi di interesse. I paesi che non saranno pronti e cioè «a, livello» con queste condizioni rimangono fuori dall'Unione monetaria (la cosiddetta «Europa a due velocità»).

Nella terza fase prevista in due date nel 1997 o nel 1999 il Consiglio Europeo ha proceduto con l'introduzione della moneta unica europea e alla costituzione della Banca Centrale Europea.




































Stampa 20/VI/2000



L'ondata di fusioni e acquisizioni che si stanno verificando negli Stati Uniti, in Europa e a livello mondiale negli anni '90 suggerirebbero comunque che molti manager ritengono ancora che le economie di dimensione sono molto importanti in questo settore.






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