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L'umanesimo figurativo nell'Italia centrale - Andrea Mantenga (1431- 1506)

arte



L'umanesimo figurativo nell'Italia centrale

Andrea Mantenga (1431- 1506)


In Italia settentrionale fino alla metà del Quattrocento domina il "gotico internazionale", i primi impulsi di rinnovamento sono portati da artisti fiorentini che vanno a lavorare a Venezia e a Padova: Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi e Donatello. La situazione subisce una trasformazione grazie ad Andrea Mantengna, egli si istruisce osservando le opere di questi artisti fiorentini, dopo essersi formato nella bottega dello Squarciane. La sua cultura non è soltanto figurativa ma anche storica e filosofica. Mantenga apprende lo spirito storicista di Donatello, e negli affreschi della volta della cappella Ovetari agli Eremitani, è visibile l'influenza di Andrea del Castagno. Per Mantenga la natura è storia , la storia è il raccordo rigido, terribilmente logico tra passato 828b13i e presente che sono allo stesso modo drammatici. Come in Donatello, la storia viene concepita da Mantenga come dramma, anche se non è turbinosa come per il primo, anzi è logica. Sue sono le opere: L "Assunta", il "Martirio di San Cristoforo", " San Giacomo che risana lo storpio". L'architettura per l'artista non delimita lo spazio, ha forme antiche come le figure indossano costumi antichi, ed è illuminata dalla stessa luce che illumina le figure, anch'essa è personaggio storico. Il "trittico di San Zeno" sviluppa il motivo donatelliana del profondo legame tra mito classico e sentimento cristiano, non c'è distacco tra spazio esterno e spazio dipinto, il raccordo storia- realtà, passato- presente è esplicito. La dimensione della storia , è la dimensione dell'invariabile, dove tutto si fissa e permane. Il trittici è un esaltazione del lavoro umano (storia). Mantenga sublima la materia perché non svanisca, ma duri; la storia ha come fine ultimo la trascendenza o la salvezza. Nel "San Sebastiano" il frammento di architettura classica a cui il martire è legato, rapporta l'uomo alla storia, la colonna semidistrutta simboleggia la fine del paganesimo. Nel 1435 sposa la sorella di Giovanni Bellini, di cui subisce influenza; tale influenza è visibile nelle prime opere compiute a Mantova alla corte dei Gonzaga. Nella " Morte della Madonna" la fissità delle forme si attenua, brillano i fili di luce, nei volti i sentimenti hanno modulazioni diverse. La prospettiva seguita oltre la finestra in un paesaggio naturale, in cui si riconosce la laguna mantovana. Mantenga sostiene che la natura non sia solo una tavola su cui si scriva l'esistenza umana, e quindi la storia, ma abbia una propria esistenza che si intreccia con quella umana. Gli affreschi della "camera degli sposi" in palazzo ducale non rivestono ma trasfigurano l'ambiente. Mantenga dipinge in una sala quadrata una complicata architettura con archi incrociati, al sommo della volta è dipinta un'apertura rotonda, balconata con figure affacciata. Sulle pareti sono dipinti pesanti tendaggi, aperti su due scene figurate: due momenti della vita di corte presentati come fatti storici e sono l'Annuncio della nomina di Francesco Gonzaga a cardinale e l'arrivo di Francesco Gonzaga a Mantova per prendere possesso del titolo di Sant'Andrea. Le pareti sembrano sfondate. La solennità del momento e la grandiosità del gruppo sono ottenuti grazie alla luce, che investe le figure frontalmente e dall'alto. La natura non è più sopraffatta dalle rovine, gli edifici classici si armonizzano alle linee dei colli e vivono della stessa luce. Il legame passato- presente si trasforma nella continuità natura- civiltà. Il significato dell'arte è riposto per Mantengna nella capacità di evocare immagini antiche. L'antico per Mantenga, il primo grande classicista nella storia della pittura, è immaginazione della storia. In opere come : lo "studiolo di Isabella d'Este" la "Madonna della Vittoria", la "Madonna del Trivulzio" la "Imago Pietatis" il "Cristo morto", la forma è chiusa ,dura. Il pensiero della storia che nel primo periodo risolveva ogni interesse conoscitivo e morale, si spezza e disintegra le infinite possibilità dell'immaginazione, il credo assoluto, a causa del turbamento religioso che si diffondeva come presagio della crisi. Il classicismo del Mantenga contribuisce alla formazione del classicismo romano di inizio '500. Nell' "Orazione nell'orto" il Mantenga mette a nudo nella stratificazione delle rocce , la storia di una natura antica e, con l'avvento della spiritualità cristiana andata in rovina. La città nel fondo è Roma (la storia), e storico, compiuto e immutabile è il fatto rappresentato. L'estremo colloquio di Cristo col Padre non può avere testimoni umani, gli apostoli sono caduti in un sonno profondo. I conigli, gli uccelli alludono alla natura , al suo esistere fuori dal tempo storico. ,Cristo ha una dimensione eroica anche nella passione è signore della natura e della storia, gli angeli gli porgono i simboli della passione.




La nuova cultura figurativa a Venezia

Giovanni Bellini /1430- 1516)


Le correnti dominanti a Venezia alla metà del secolo sono ancora quelle tardo- gotico, Giovanni Bellini cominciava a dar prova della sua pittura meditativa, carica di problemi e di cultura. La "Trasfigurazione di Cristo" del 1445, dimostra la portata e i limiti del rapporto del Bellini con l'ambiente padovano e col Mantenga, il cui storicismo gli rimane estraneo. Il senso simbolico dell'opera prevale su quello storico- religioso, l'artista recupera qualche tratto della visione bizantina, nel carattere iconico della figurazione. Sullo sfondo luminoso del cielo al tramonto si profilano Cristo, Mosè ed Elia, da essi la luce scende a destare l'umanità dormiente. L' "Orazione dell'orto" il motivo dominante è l'assenza di antitesi tra naturalismo classico e spiritualismo cristiano poiché il legame vivente tra le due ere è Cristo che discendendo e vivendo sulla terra ha dato un significato nuovo alla natura. La natura si fonde col sentimento umano e si sublima nel sentimento divino. La persona di Cristo è l'agente spirituale, divino- umano, che sottrae la realtà naturale all'inerzia della materia e le da una vita o una storia. Il problema del rapporto natura storia è quello che unisce il Bellini al Mantegna. La storia non può mutare, la natura è un continuo mutamento. In quest'opera il paesaggio è un piano tra basse colline disseminate di borghi, alla prima luce dell'alba. Il sonno ha vinto i discepoli, Cristo è sofferente, l'angelo sta per scomparire e la natura assorbe il dramma, lega il mutare dei sentimenti umani lega il mutare dei sentimenti umani a quello delle stagioni, dei giorni e delle ore. Il "Cristo benedicente" è una delle più toccanti immagini del mito cristiano del Bellini, la figura sofferente ha in mano un libro chiuso e con la mano benedicente indica la natura, sorgente dell'esperienza e spiegazione del mistero. Sul corpo di Cristo nella "Pietà"trascorre la luce che giunge dall'orizzonte, non vi sono altri segni del martirio che le piaghe slabbrate, le vene indurite delle mani. L'evidenza delle ferite sta a dimostrare che l'uccisione di Cristo fu un delitto contro la natura, il volto della Madonna umanissima, sembra chiedere il perché della morte del figlio, e San Giovanni svelare il mistero doloroso. Non è che il mistero della natura, del nascere e del morire: l'attitudine umana davanti ad esso è la "malinconia", la sola comunicazione tra l'animo umano e il mondo. Il mito cristiano è lo specchio in cui natura e umanità si sovrappongono in una sola immagine. L'incoronazione di Pesaro è il documento dell'incontro della pittura di Giovanni Bellini e quella di Piero della Francesca. Fino a questo momento la pittura del Bellini traduceva il flusso del sentimento nella modulazione della luce e del colore: la pittura di Piero pone il problema della verità. Rigorosamente prospettica è la disposizione delle figure, i colori si fissano si accordano per rapporti proporzionali, la geometria e la prospettiva non costruiscono, hanno valore simbolico. L'incontro con Antonello da Messina ha per il Bellini un'importanza fondamentale: lo aiuta a superare il dilemma di sentimento e verità, di natura reale e metafisica. La "pala di San Giobbe" mostra la sacra conversazione in un ambiente più chiuso, saturo della luce calda che scende riflessa. Ciò che il pittore vuole esprimere non è l'animazione di una disputa dottrinale, ma la condizione spirituale, lo stato d'animo comune delle figure così diverse, il loro concorde reagire ad una condizione di spazio e di luce, il loro esistere insieme in un dato luogo e tempo. La luce da ai colori uno splendore inconsueto ed in cui le forme della natura e quelle della civiltà hanno lo stesso identico significato. La ricerca della relazione tra spazio e colore si approfondisce e sviluppa nel "Trittico dei Frari" nella "Pala di San Zaccaria" e in quella di "San Giovanni Crisostomo". In tutte l'artista porta innanzi il suo proposito di conseguire una spazialità aperta, illimitata, costruita senza alcun illusionismo prospettico, con i rapporti di distanza risultanti dalle qualità luminose, irradianti o assorbenti del colore. Nella "Pala di San Pietro Martire" il pittore elimina anche l'architettura ed il trono: la conca absidale è costituita da un semicerchio di santi. Tutto è miracolo, la luce batte sui volti e sulle vesti in modo naturale, nulla è più miracoloso che la natura stessa, nei suoi aspetti più consueti. Il miracolo è nella reazione che suscitano gli aspetti della natura, sull'animo umano che li contempla, nell'emozione che provocano, nel sentimento e nel significato che i fenomeni assumono nella visione umana. La natura è uno spettacolo sempre nuovo, prodigioso agli occhi dell'uomo, ciò costituisce il classicismo senza eroi. Il fine di Giovanni Bellini è di aprire una spazialità illimitata, infinita, aperta e costruita senza illusionismo prospettico.






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