|
|
:: L'età della controriforma :: |
|
|
-> inquadramento storico |
|
Inquadramento storicoTutto il XVI secolo è stato segnato dai
contrasti religiosi sorti a seguito della Riforma protestante avviata nel
1517 da Martin Lutero. In pratica l'Europa fu spaccata a metà, protestante la
parte centro-settentrionale cattolica quella meridionale, e le conseguenze
furono notevoli anche sul piano culturale e sociale. In gioco non vi era solo
un contrasto ideologico, ma uno scontro di potere che determinò un clima di
guerra (molto simile alla «guerra fredda» avutasi dopo L'arte dopo il Concilio di TrentoLa chiesa cattolica ha sempre avuto un
rapporto fecondo e produttivo con l'arte. Da non dimenticare che la religione
cristiana è stata l'unica grande religione monoteistica a non bandire, per
motivi ideologici, la rappresentazione artistica di figure umane e di storie.
Di fatto, se nell'Occidente europeo, dopo il tramonto dell'età classica,
l'arte non scomparve, lo si deve soprattutto alla Chiesa. Chiesa che, pur
avendo una posizione quasi di monopolio sulla produzione artistica, di fatto
ha avuto sempre un atteggiamento tollerante verso la creatività degli
artisti. Tolleranza che ebbe anche con l'avvento dell'umanesimo, quando il ritorno
al mondo classico, ai suoi precetti estetici, nonché al racconto di quei dei
ed eroi della mitologia combattuti proprio dal cristianesimo, portarono
l'arte a lidi che non sembravano molto ortodossi da un punto di vista
religioso. Ecco perché l'improvviso atteggiamento di intolleranza che La pittura tra fine '500 e inizi '600Dopo il Concilio di Trento lo spirito
del Rinascimento si è decisamente esaurito, non però la pittura, definita
«manierista», che ne era derivata. Il superamento di questa pittura avvenne
in un paio di decenni tra fine Cinquecento e inizi Seicento, grazie
soprattutto a tre pittori: Annibale Carracci, Michelangelo Merisi detto il
Caravaggio e il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Annibale Carracci è il
più giovane di un terzetto di artisti bolognesi formato, oltre che da lui,
dal fratello Agostino e dal cugino Ludovico. Questi tre artisti diedero vita
a Bologna all'Accademia degli Incamminati che fu il baricentro di quella
tendenza dell'arte seicentesca che definiamo «classicismo». Nei loro insegnamenti
si cercava di coniugare il modello dei grandi maestri cinquecenteschi, quali
Raffaello e Tiziano, con un rinnovato studio del vero: in pratica una pittura
che coniugasse l'idealismo (fatto di armonia, proporzione, decoro, misura,
ecc.) con il realismo (fatto soprattutto di ispirazione e studio della
realtà). Ma l'artista che più rappresentò il realismo (o naturalismo) fu
sicuramente Caravaggio. Egli fu autore di un'autentica rivoluzione pittorica,
dimostrando la forza che poteva avere una rappresentazione esatta della
realtà, senza alcuna trasfigurazione o aggiustamento. Il suo stile, unito
anche ad una grandissima qualità pittorica innata, gli permise di produrre
opere che ebbero un'influenza grandissima su tutta la pittura europea del
XVII secolo. Il fiammingo Pieter Paul Rubens, infine, fu il pittore che
unendo in una originale sintesi spunti realisti tipici dell'arte nordica con
gli ultimi virtuosismi dell'arte manierista creò la pittura barocca, pittura
molto esuberante giocata sempre su composizioni molto complesse. Questi sono
in sintesi i tre maggiori percorsi lungo la quale si snoda l'arte europea del
Seicento: il classicismo, il naturalismo e il barocco. Mentre di quest'ultimo
stile ci occuperemo nel prossimo capitolo, vediamo la differenza fondamentale
che passa tra classicismo di matrice carraccesca e naturalismo alla
Caravaggio. Per capire questa differenza conviene fare un esempio. Un pittore
rinascimentale come Raffaello quando doveva dipingere una Madonna usava
probabilmente una modella, ma l'immagine che ne derivava non era il ritratto
della donna in carne e ossa che lui aveva davanti, altrimenti la finzione non
sarebbe passata: il quadro doveva raffigurare un'immagine femminile
idealizzata (quale noi attribuiamo, per convenzione culturale ma anche per
aspettativa psicologica, alla Madonna) e non una figura di una donna reale
appartenente ad un tempo ed un luogo relativi. Questo procedimento di passare
dal reale all'ideale lo possiamo chiamare di «trasfigurazione». In questo
modo la realtà veniva aggiustata a quelle che sono le «regole dell'arte»:
decoro, compostezza, ordine, armonia, eccetera. Questo è il processo che
attuavano i Carracci. Caravaggio, al contrario, abolì dalla sua pittura
qualsiasi «trasfigurazione»: la realtà rappresentata nei suoi quadri appariva
nuda e cruda come l'immagine reale che si presentava agli occhi del pittore.
I modelli e le modelle erano rappresentati con tale verismo da sembrare quasi
foto reali. L'effetto, per il pubblico del tempo, fu quasi sconvolgente: non
erano abituati a veder rappresentata la realtà senza il filtro della
«trasfigurazione» e ciò che vedevano nei quadri di Caravaggio era troppo
forte da essere immediatamente accettato. Altra differenza notevole tra lo
stile dei Carracci e quella di Caravaggio è ancora una volta, come già tra
fiorentini e veneziani, il diverso rapporto tra disegno e pittura. Mentre per
i Carracci l'arte nasce soprattutto dal disegno, che rimane la trama logica,
razionale e visibile, dell'immagine costruita, Caravaggio costruisce i suoi
quadri solo con gli strumenti della pittura: cioè luce e colore. Non solo:
nella sua evoluzione stilistica Caravaggio accentuò sempre più il contrasto
tra luce e ombra, al punto che l'immagine non poteva più essere costruita con
gli strumenti razionali del disegno. In pratica nei suoi quadri ciò che
appare non è la struttura dei corpi, ma solo quel tanto che opportuni effetti
di luce ci permettono di vedere. E questi effetti di luce, quasi lampi che
appaiono nell'oscurità per mostrarci un'immagine affogata nel buio, divennero
una delle cifre stilistiche più forti di Caravaggio. Lo stile di Caravaggio
ebbe un'influenza enorme nei pittori a lui posteriori, che compresero la
grande forza di un'arte che riesce a drammatizzare la realtà con il semplice
ricorso alla rappresentazione veritiera e a un sapiente uso della luce e
dell'ombra. La sua presenza a Napoli fu uno stimolo enorme per quei pittori,
quali Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Mattia Preti e tanti altri,
che diedero vita ad una indimenticabile stagione artistica napoletana che si
svolse per tutto il XVII e XVIII secolo. La sua influenza fu recepita da
pittori spagnoli, Zurbaran e Velazquez su tutti, da pittori francesi quali
George De La nascita dei generi pittoriciNel corso del Cinquecento, la produzione pittorica conosce un aumento vertiginoso rispetto ai secoli precedenti. Ciò è dovuto a molteplici cause, quali l'aumento della ricchezza (quindi maggior committenza soprattutto privata) ma anche la maggior bravura dei pittori in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di rappresentazione. Inoltre, l'introduzione dei colori ad olio e della tela come supporto, ebbero la conseguenza di far aumentare la produzione di beni mobili (quadri da cavalletto) rispetto a quelli immobili (affreschi e mosaici), con la conseguenza che venne favorito il collezionismo e il mercato delle opere d'arte. In maniera più o meno diretta, queste cause produssero un ulteriore effetto: aumentò la specializzazione dei soggetti delle opere d'arte. E con ciò nacquero i cosiddetti «generi», che altro non sono che un raggruppamento delle opere per soggetti omogenei. La consapevolezza che potessero esistere più generi pittorici fu chiara quando presero autonomia i soggetti che raffiguravano i paesaggi e le nature morte. Precedentemente il paesaggio veniva utilizzato solo come sfondo di quadri che avevano altri soggetti principali: il ritratto, il racconto di una storia, e così via. L'idea, poi, di fare quadri che rappresentassero solo composizione di oggetti inanimati non era mai stata considerata per mancanza di una reale motivazione. Quando il collezionismo cominciò a far tesoro anche di disegni preparatori e studi di quadri, anche questo genere trovò una sua possibilità di commercializzazione. In Italia, le prime opere di capostipiti di questi due nuovi generi, vengono fatte risalire ad Annibale Carracci e a Caravaggio. La «Fuga in Egitto» realizzata nel 1603 dal Carracci viene considerata come il primo quadro di paesaggio, mentre la «Canestra di frutti» del 1596 del Caravaggio è considerata la prima natura morta dell'arte italiana. Il Carracci è anche considerato l'iniziatore della cosiddetta pittura «di genere». Con questo termine vengono normalmente indicate le opere che raffigurano momenti ed episodi di vita quotidiana presi tra la gente comune. Tipici sono le sue opere quali «La macelleria», del 1583, o «Il mangiafagioli», dello stesso anno, in cui non sono narrati episodi né storici né religiosi né mitologici, ma è rappresentata la vita comune, e spesso pittoresca, del popolo minuto. Nel corso del Seicento e Settecento, la specializzazione per generi della pittura ebbe largo seguito, e molte saranno le opere prodotte nei diversi ambiti. Particolare evoluzione ebbe soprattutto il genere vedutistico. Con questo termine intendiamo non solo la rappresentazione di paesaggio (che normalmente raffigura scorci di natura quali montagne, colline, laghi, cascate, vedute marine eccetera), ma un genere più ampio che comprende anche le rappresentazioni di città, in scorci a volte ampi (come dei paesaggi) a volte molto più ristretti, quali un angolo di strada magari con qualche scena di pittoresca vita quotidiana. Questa divisione per generi della pittura produsse anche riflessioni e dibattiti su quali fossero i generi più o meno nobili o più o meno ardui da affrontare. A titolo di esempio riportiamo quanto scrisse il teorico francese André Félibien des Avaux (1619-95). Secondo Félibien quattro erano i principali generi che lui elencava secondo la seguente scala di difficoltà: la natura morta, il paesaggio, il ritratto, le pitture di storia. Il genere più semplice era quello della natura morta perché l'artista rappresentava solo oggetti inanimati, che poteva controllare nelle composizioni e nelle luci che meglio preferiva, e quindi il compito gli risultava agevole. Più difficile era rappresentare il paesaggio, perché qui il pittore non poteva spostare la composizione come voleva e la luce da rappresentare era quella naturale. Di difficoltà maggiore risultava quindi il ritratto perché qui il pittore si doveva confrontare non con soggetti inanimati ma con persone vive, che doveva rappresentare cogliendone anche l'aspetto psicologico. Infine la pittura di storia (intendendo con questo termine opere di tipo narrativo sia nel campo prettamente storico, sia in quelli religioso o mitologico o favolistico in genere) rappresentava il grado di maggior difficoltà che un pittore poteva affrontare. Innanzitutto perché nei quadri di storia vi erano tutti i generi precedenti (la natura morta, il paesaggio e il ritratto) ma in più il pittore doveva anche rappresentare il movimento, cioè dipingere i personaggi non in posizione statica, come nei ritratti, ma nell'atto di muoversi compiendo un'azione. In sintesi doveva cogliere il dinamismo aggiungendo pathos alla scena rappresentata. Ovviamente questa fu una idea espressa da Felibien, e non fu l'unica riguardo alle progressive difficoltà dei generi pittorici: altri scrittori proposero altre riflessioni, anche se l'analisi del teorico francese, probabilmente, fu quella che più si avvicinava al comune sentire dei pittori, i quali per tutto il XVII e XVIII ebbero effettivamente la tendenza a specializzare il loro operato in base a questi generi. |
Privacy |
Articolo informazione
Commentare questo articolo:Non sei registratoDevi essere registrato per commentare ISCRIVITI |
Copiare il codice nella pagina web del tuo sito. |
Copyright InfTub.com 2025