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Regime - Esempio

storia



Regime

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Per regime si intende un sistema di controllo sociale, ovvero, più specificamente, una forma di governo, specialmente quando è strettamente correlata ed identificata con una personalità politica che vi assume un ruolo dominante (ad esempio, "il regime di Saddam Hussein" o "il regime di Franco"), oppure ad una determinata ideologia politica (ad esempio il regime fascista o il regime comunista) oppure ad una dittatura militare.



Almeno in teoria, l'attribuzione di questo termine ad un certo particolare governo esistente non implica un giudizio di qualche tipo su di esso, ed infatti la maggior pa 727d39h rte dei commentatori politici lo usa in modo neutro. In pratica tuttavia, soprattutto a livello colloquiale ed informale, viene riferito spesso a governi con una fama di essere repressivi, non democratici o illegittimi, tanto che, in questi contesti, la parola implica un significato di disapprovazione morale o di opposizione politica. A riprova di ciò basta osservare come sia raro sentir parlare di un "regime democratico".


In economia e politica internazionale un REGIME è: un insieme di principi, norme, regole e procedure decisionali attorno alle quali convergono le aspettative degli attori (negoziatori - stati - gruppi sociali, economici) in un determinato ambito (issue-area). Un esempio è il G.A.T.T. prima che nascesse l'organizzazione mondiale del commercio (WTO_OMC)

Esempio

Il regime franchista era stato riconosciuto dal El Salvador e Guatemala l'8 novembre 1936, da Italia e Germania il 18 novembre, dal Portogallo l'11 maggio 1938. Nella primavera del 1939 fu la volta della Francia e subito dopo della Gran Bretagna. Nel settembre 1940 il governo conclude il primo accordo commerciale con gli Usa, relativo alla fornitura di petrolio fra la Texaco e la Campsa. Nel gennaio 1941 firma un accordo per l'approvvigionamento di cereali di provenienza canadese, attraverso la mediazione inglese, che nello stesso anno darà un credito di 2,5 milioni di sterline.

Ufficialmente la Spagna non partecipò alla II guerra mondiale, stremata com'era dalla guerra civile. Il franchismo, per certi versi, si sentiva estraneo al fascismo e al nazismo, espressioni di un capitalismo avanzato, che il franchismo invece tendeva a ridimensionare per non minacciare i privilegi dell'aristocrazia e del clero. In tal senso si può che il franchismo assomigliasse di più al salazarismo portoghese o ai movimenti dittatoriali militari dell'America Latina, che difendevano il sottosviluppo nazionale, cioè gli agrari, la borghesia compradora e l'imperialismo straniero.Di fatto però i franchisti inviarono sul fronte tedesco-sovietico 50.000 militari: una cosa infatti era la neutralità, un'altra la non-belligeranza, anticamera dell'intervento esplicito. Tant'è che fino al 1944, in segno di riconoscimento per l'aiuto ricevuto durante la guerra civile, il governo inviò regolarmente alla Germania materie prime strategiche (soprattutto tungsteno) provenienti dall'America Latina e rifornimenti per l'esercito tedesco.

Dopo la fine della guerra la Spagna diventerà terra d'asilo (o ponte coi paesi sudamericani) per i fascisti in rotta da tutta Europa (molti reparti della Wehrmacht in ritirata dalla Francia entreranno addirittura nelle file franchiste del "Tercio"). Il regime internò, in almeno cinquanta campi di concentramento improvvisati, oltre settecentomila soldati repubblicani. Le sentenze capitali erano eseguite dalla Guardia Civile, ma le squadre della morte falangiste, coi loro tribunali speciali, erano libere di scatenarsi contro quanti erano stati assolti nei processi o erano sfuggiti alla giustizia o si opponevano al Movimento Nazionale. E le persone da perseguire potevano avere anche solo 15 anni.

Funzionari della Gestapo arrivarono a Madrid, collaborando con la polizia franchista sino alla fine della guerra. Anzi, Madrid aveva l'apparenza di una città occupata dai tedeschi, che controllavano persino la corrispondenza interna al paese e tutta la stampa ed ovviamente erano presenti in tutti i gangli vitali del paese. Tuttavia quando Himmler fece visita a Madrid si chiese il motivo per cui il franchismo non volesse porre fine in maniera pacifica alle conseguenze della guerra civile, evitando di convogliare il grosso delle sue forze e delle sue risorse in un compito che avrebbe potuto essere facilmente risolto. Il sistema di rappresaglia seguito da Franco gli appariva una inutile mostruosità, specie in considerazione del disastro economico in cui il paese versava.

Il rapporto coi nazisti fu al centro dell'attenzione di Franco sino al termine della II guerra mondiale. Hitler voleva assolutamente togliere Gibilterra agli inglesi per controllare il Mediterraneo occidentale ed era disposto a trattare con Franco. Purtroppo per Hitler Mussolini aveva deciso di attaccare la Grecia, provocando così la decisione inglese di scatenare un'offensiva vittoriosa in Libia: cosa che preoccupò moltissimo Franco, che da allora tergiversò sino alla fine della guerra sul problema di occupare Gibilterra.

Alla fine del conflitto, con la sconfitta della Germania, la Spagna, agli occhi di Regno Unito e Stati Uniti, veniva a rivestire il ruolo di bastione dell'anticomunismo europeo e fu per questo che Franco si meravigliava alquanto che gli inglesi non cercassero una pace di compromesso contro il nemico comune: il bolscevismo, non riuscendo a capire che gli antagonismi irriducibili non erano solo tra capitalismo e comunismo, ma anche all'interno dello stesso capitalismo.

Dal 1943 le esecuzioni degli ex repubblicani diminuirono e molte condanne a morte furono commutate in trent'anni di carcere. Tuttavia la nuova legge sui Tribunali militari allargava la definizione di "ribellione militare" sino a comprendere il sabotaggio, lo sciopero, la cospirazione, il possesso illegale di armi da fuoco, la propalazione di notizie false e tendenziose e qualsiasi parola o azione il cui proposito fosse di turbare l'ordine interno o di ridurre il prestigio dello Stato, dell'esercito e delle autorità in generale. Franco finiva col reprimere il popolo in quanto tale e non tanto o non solo gli oppositori politici.



Anche dopo aver espiato la pena ed essere tornati alle loro case, il calvario di questi reduci repubblicani non era finito, poiché erano soggetti ad una lunghissima serie di sanzioni e vessazioni: obbligo di presentarsi ogni giorno alla Guardia Civil per sottoscrivere il registro delle presenze, confisca di denaro, immobili o attività, pesanti multe, perdita dell'impiego, nessun diritto civile riconosciuto. Il regime cominciò a schedare tutti i suoi prigionieri, allestendo una maniacale banca dati sul loro profilo professionale.

A differenza della manodopera impiegata nei lager hitleriani, il Caudillo pagò il lavoro coatto. Ma i forzati ricevettero solo il 25% del salario pattuito (appena il 14% di quello percepito dagli operai civili dell'epoca). Infatti la remunerazione degli "schiavi" venne fissata in due pesetas al giorno (la diaria di un operaio era di 14 pesetas) di cui i 3/4 venivano destinati al loro mantenimento. Poi altre due pesetas se erano sposati in chiesa, più una peseta per ogni figlio a carico. Il resto andava nelle casse del regime.

Dal 1939 al 1970 Franco affittò i suoi internati a 36 imprese private (le fabbriche pagavano allo Stato il salario di 14 pesetas), incassando circa 780 milioni di euro.

Lo Stato concedeva sussidi soltanto all'industria bellica e pesante e teneva sotto controllo i prezzi dei prodotti agricoli, anzi, spesso questi prodotti erano soggetti a forzate requisizioni. Pertanto i contadini, non avendo alcuna proprietà, vivevano in grande miseria.

Oltre a ciò le leggi vietavano lo sciopero, l'organizzazione sindacale e i licenziamenti, per cui obbligavano a tenere i salari molto bassi. I licenziamenti però erano molto facili per motivi politici ed era difficile dopo trovare un nuovo lavoro. Le imprese che pagavano meglio erano quelle con almeno duemila dipendenti, cioè in sostanza le straniere.

Quanto agli aspetti sociali, non erano previsti fondi pubblici per gli invalidi, i licenziati, gli anziani e per i servizi sanitari gli operai dovevano farsi un'assicurazione privata, perché la Sicurezza Sociale era del tutto inefficiente.

All'inizio del 1947 l'economia nazionale viveva in profonda crisi: mancavano grano, petrolio, finanziamenti esteri e liquidità; lo Stato era enormemente indebitato e isolato sul piano internazionale, in quanto la Spagna era stata esclusa dall'Onu, avendo aiutato i paesi dell'Asse.

Nel marzo 1948 gli Usa decisero di includere la Spagna nel "piano Marshall". Di fronte alla protesta delle potenze europee, gli Usa furono indotti a ripensarci (agli inizi del 1949 una banca americana provvide comunque a concedere un prestito di 25 milioni di dollari). Anche l'inclusione della Spagna nella Nato incontrò opposizione da parte dei paesi aderenti. Lo stesso Franco ad un certo punto si rese conto che l'unico modo di compensare l'esclusione della Spagna dalla Nato era quello di realizzare un trattato bilaterale d'alleanza difensiva con gli Stati Uniti (quest'ultimi avevano già dissolto tutti le organizzazioni che nel loro paese sostenevano gli ex-repubblicani, sotto l'accusa di "attività comunista").

E comunque la Francia nel 1948 aveva già riaperto le sue frontiere e sottoscritto col governo spagnolo un trattato commerciale, seguita dal Regno Unito. L'anno dopo ritornarono a Madrid gli ambasciatori, finché nell'ottobre 1950 le ragioni dell'anticomunismo prevalsero su quelle della democrazia: la Spagna era indispensabile alla "difesa dell'Occidente" col suo esercito di mezzo milione di uomini ben addestrati e con la sua capacità di mobilitarne in 36 ore altri due milioni. E poi era doveroso il debito di riconoscenza nei confronti del primo paese europeo che aveva dichiarato guerra al comunismo. Il Congresso americano decise uno stanziamento di 50 milioni di dollari.

E l'Onu nel 1950 non doveva più giudicare la Spagna franchista come un paese totalitario erede del nazifascismo, ma come alleata degli Stati Uniti nella "difesa dell'Europa", per cui si autorizzò senza difficoltà il ritorno degli ambasciatori a Madrid. La stessa Cia stanziò circa 400.000 dollari per finanziare centri di radiodiffusione e informazione a Madrid, Barcellona, Valencia, Bilbao e Siviglia. Nello stesso anno la Spagna fu ammessa alla Fao.

Grazie a questi generosi aiuti la Spagna, negli anni 1950-51, non solo poté far sopravvivere il franchismo, ma anche raggiungere gli indici economici del 1935, uscendo dalla fame. Migliorarono la siderurgia, la costruzione di macchine e l'elettroenergetica, anche se più del 50% degli addetti all'industria lavorava in imprese con meno di 50 dipendenti e l'agricoltura continuava ad essere arretrata.

A causa della crescente scristianizzazione del paese, la chiesa provvide a creare delle "Fratellanze operaie di Azione cattolica" (una sorta di sindacati operai paralleli a quelli "verticali", governativi), con cui si operava una moderata critica al governo (proprio in Spagna nascerà il movimento dei "cristiani per il socialismo").

Il regime si preoccupò di questo fenomeno, anche perché non poteva reprimerlo come negli altri casi, per cui chiese al Vaticano, e ottenne, di regolare i reciproci rapporti tramite un Concordato (agosto 1953). Franco dovette accettare il fatto che qualsiasi azione giudiziaria a carico del clero doveva avere il consenso del Vaticano; in cambio si riservava il diritto di una forte ingerenza per le nomine dell'alto clero. In compenso crescevano d'importanza l'Azione Cattolica e l'Opus Dei.



Un mese dopo il governo firmò con gli Usa un accordo militare e commerciale di durata decennale, i "Patti di Madrid", con cui, in cambio delle basi militari da costruire per difendere ufficialmente il "fianco sud della Nato" (cioè di fatto per poter controllare il Medio Oriente, aiutando Israele), gli Usa si impegnavano a versare 226 milioni di dollari.

L'accordo fu sentito dall'opposizione al franchismo e persino da alcuni elementi governativi come una minaccia alla sovranità e persino alla sicurezza nazionale. In realtà l'ingresso nella Nato servì a Franco per far entrare la Spagna nell'Onu, cosa che venne ratificata nel dicembre 1955 (nel 1952 la Spagna era già stata ammessa all'Unesco).

Ciò tuttavia non influì particolarmente sulla politica economica interna, poiché il regime puntava ancora molto sull'autarchia e sul protezionismo, ivi incluso il forte controllo statale sui settori chiave dell'economia, benché, dopo gli scioperi del 1956, il governo permettesse alle aziende di offrire agli operai condizioni superiori a quelle generali e minime stabilite dalle leggi.

E' vero che dal 1951 al 1958 la produzione industriale riuscì ad aumentare in media dell'8% l'anno, ma è anche vero che il tenore di vita della popolazione continuava ad essere uno dei più bassi d'Europa. La crescita era dovuta soprattutto al livello infimo dei salari, il che però non impediva affatto il crescere dell'inflazione, che tra il 1950 e il 1959 raddoppiò.

Gli scioperi, benché ancora considerati un reato, cominciarono a proliferare negli anni 1957-59, specie tra i minatori delle Asturie, i metallurgici dei Paesi Baschi, i tessili della Catalogna. Persino i sindacati governativi dovettero riconoscere la giustezza di talune rivendicazioni: 1. la determinazione del salario minimo, 2. la giornata lavorativa di otto ore, 3. la parità di salario a parità di lavoro, 4. l'assicurazione contro la disoccupazione. Il che era stato possibile perché all'interno di questi sindacati operavano esponenti della sinistra.

Alla fine degli anni '50 comparvero nei Paesi Baschi le "commissioni operaie", fuori dal quadro dei sindacati "verticali", quindi in sostanza come organizzazioni illegali o comunque ufficiose, che in un certo senso anticipavano la nascita dei sindacati liberi. Queste commissioni regolavano la contrattazione tra aziende e lavoratori. Si svilupparono velocemente negli anni Sessanta a livello nazionale, finché nel 1968 intervenne il governo cominciando a colpire i dirigenti sindacali, stilando una lista nera di lavoratori da non ammettere in alcuna azienda e facendo in modo che dal punto di vista giudiziario le commissioni operaie fossero dichiarate un'emanazione del partito comunista.Nelle università si cominciò a criticare l'obbligatorietà di un sindacato governativo, con cui veniva controllata tutta la vita accademica. La Falange era divenuta insopportabile non solo agli studenti ma anche ai docenti. Di fronte ai primi scontri il governo reagì sostituendo il Ministro della Pubblica Istruzione e rimuovendo due rettori universitari di Madrid e di Salamanca.

Tuttavia il governo, rendendosi conto del declino della Falange, prese a sostituire nel febbraio 1957 i ministri dell'economia e del lavoro con altri provenienti dall'Opus Dei (1), un'organizzazione di destra del laicato cattolico, semisegreta, dalle concezioni politicamente autoritarie, ma aperte a soluzioni tecnocratico-elitarie in senso capitalistico, che potevano essere largamente condivise dagli intellettuali tecnici e scientifici e dagli alti gradi della burocrazia. L'importante per il regime era di far credere all'opinione pubblica mondiale che al proprio interno dominava la pace sociale e che per passare a una società evoluta non c'era bisogno della mediazione democratico-parlamentare.

Gli scioperi operai e le manifestazioni studentesche ripresero nel 1959 e facevano chiaramente capire che il governo doveva procedere a una svolta, anche perché la politica autarchica era diventata un forte freno allo sviluppo. Il passivo del bilancio statale, della bilancia commerciale e l'inflazione erano diventati cronici, insostenibili. Stava cominciando la fuga dei capitali all'estero. Peraltro la guerra che il franchismo aveva voluto condurre dal 1956 al 1958 contro il movimento di liberazione nazionale dei popoli di Ifni e del Sahara, costituiva un pesante fardello economico.

Gli Usa era disposti ad aiutare ulteriormente la Spagna a condizione che rinunciasse all'autarchia, al protezionismo doganale e che favorisse molto di più la libertà di commercio e di investimento. L'offerta del Fondo Monetario Internazionale e del governo americano si aggirava sui 546 milioni di dollari. La Spagna ora faceva parte del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Birs).

Col "Piano di stabilizzazione economica" del 1959 il governo spagnolo aderì alla richiesta americana, ma trasformò la peseta in una valuta convertibile, svalutandola, nella speranza che s'incrementasse l'export di prodotti alimentari e materie prime e si penalizzassero le importazioni. L'afflusso di capitali stranieri aumentò in effetti negli anni '60 di più di 10 volte, ma aumentò di molto anche l'inflazione. Si rafforzò il capitalismo monopolistico di stato, ma solo nel senso che l'intervento diretto dello Stato, con denaro pubblico, era finalizzato a sostenere le imprese deficitarie e male organizzate.



Gli scioperi, ripresi nella seconda metà degli anni '50, continuarono per tutti gli anni '60, finché nel 1970 coinvolsero tutti i più importanti centri industriale del paese, diventando non solo di tipo economico ma anche politico. D'altra parte nel paese, dove gli scioperi era ancora formalmente vietati, una qualunque protesta sindacale rischiava di trasformarsi in un evento politico.

Il movimento operaio tendeva a collegarsi a quello studentesco, nonché a quello autonomistico regionale della Catalogna, dei Paesi Baschi e della Galizia. Nei Paesi Baschi si formò nel 1959 l'Associazione dei combattenti per la libertà delle Province Basche (Eta), che chiede la revisione dei confini di Spagna e Francia per poter costituire uno Stato basco. La lotta antifranchista diventava trasversale a varie realtà politiche, sindacali, sociali... Tutti i partiti illegali aumentarono notevolmente la loro attività antiregime.

La stessa chiesa, nei livelli più popolari, manifestava chiare tendenze democratiche (soprattutto nei Paesi Baschi e in Catalogna), sfruttando, in questo, la svolta del Concilio Vaticano II, che operava un compromesso tra cristianesimo e capitalismo e accettava alcune istanze del socialismo.

La generazione formatasi negli anni Sessanta negli ambienti religiosi passò da un cattolicesimo sociale di tipo belga, al dialogo, più o meno clandestino, tra cristiani e marxisti, sino alla costituzione di gruppi clandestini della "nuova sinistra", che ormai di religioso non avevano più nulla (la stessa Eta beneficerà dell'influenza di questo travaso di forze giovani dalla chiesa alla sinistra organizzata).

Quanto alla situazione delle donne, le discriminazioni del regime erano pesantissime. Una legge proibiva di lavorare alle donne sposate (se una donna si sposava mentre lavorava, veniva licenziata) e a parità di condizioni, venivano sempre pagate meno degli uomini. Le donne non avevano diritti di vendere o comprare qualcosa o di risparmiare o di andare a scuola oltre un certo grado, né di chiedere il passaporto. Solo a partire dai 25 anni avevano diritto a sposarsi o a farsi monache, ma restavano in tutto e per tutto sotto la tutela dei padri e dei mariti e nelle faccende domestiche erano praticamente delle serve. Chi se ne andava di casa era giudicata al pari di una prostituta. Non esisteva alcuna forma di educazione sessuale. L'ultima volta che era stato cambiato il Codice Civile, a proposito delle donne, risaliva addirittura al 1887.

Nel 1965 le Cortes decisero che non potevano esserci responsabilità penali per la partecipazione agli scioperi economici. L'anno dopo fu abrogata la responsabilità politica e nel 1969 quella penale per azioni connesse con la guerra civile. Furono concesse sei amnistie ai prigionieri politici. Successivamente fu rivista, parzialmente, la censura preventiva sulla stampa e introdotte le cariche di presidente e vicepresidente del Consiglio dei ministri, nonché l'elezione di 108 dei 564 deputati delle Cortes (gli altri venivano designati dalle rispettive corporazioni, dai sindacati "verticali", dalle municipalità, dalle università e dal capo dello Stato). Venne altresì data la possibilità di creare associazioni politiche, ma sempre nel rispetto dei principi del "Movimiento".

Furono indicati i principi per la successione del capo dello Stato: poteva divenire re di Spagna solo uno spagnolo cattolico, di età superiore ai 30 anni, fedele ai principi del Movimento Nazionale. Fu designato quale futuro monarca il principe Juan Carlos di Borbone, nipote dell'ultimo re di Spagna, Alfonso XIII.

Tuttavia i tentativi di liberalizzazione durarono poco. Nell'agosto 1968 fu rimessa in vigore "la legge sul banditismo e sul terrorismo": qualunque azione diretta contro qualunque organo statale veniva qualificata come insurrezione militare.

La scelta del regime di modernizzare la società, con l'aiuto soprattutto degli americani, aveva finito con l'infrangere anche il monopolio ecclesiastico sulla cultura della società civile, dando vita a una base sociale ambiziosa, al "proletariato con la laurea", ansioso di accedere al consumismo di idee e servizi come nel resto dell'Europa comunitaria.

Il prezzo da pagare era stato - come in qualunque altro paese capitalista europeo - l'abbandono progressivo delle campagne (agli investitori stranieri interessavano le materie prime e la possibilità di sfruttare un proletariato industriale e minerario a basso costo), l'emigrazione all'estero (anche la "fuga dei cervelli" sarà notevole in Spagna: la ricerca universitaria, scientifica, quasi non esisteva) e l'acquisizione definitiva del modello di vita borghese.

Questi successi economici erano alla fine degli anni Sessanta in aperto contrasto con l'involucro politico che li conteneva. Il franchismo, che pur aveva usato l'ideologia neofeudale del cattolicesimo-nazionale nell'illusione di poter ovviare alle influenze sia del capitalismo che del socialismo, dovette progressivamente costatare che rinunciando al socialismo doveva necessariamente subordinare la propria ideologia agli interessi del capitale, soprattutto straniero.

Nel 1973 si forma il Frap (Fronte rivoluzionario antifascista patriottico): chiede l'espulsione dell'imperialismo americano dal paese, la nazionalizzazione dei beni stranieri, la confisca dei beni dell'oligarchia e dei grandi latifondisti, i diritti alle minoranze nazionali, la fine del colonialismo spagnolo, la formazione di un esercito popolare.






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