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LA RESISTENZA IN ITALIA
INTRODUZIONE:
Nella storia dell'antifascismo italiano si distinguono solitamente due periodi, il primo fino all'instaurazione della dittatura di Mussolini nel 1926 ed il secondo dal 1927 alla lotta di liberazione del paese (1943-45)
Nella prima fase, l'opposizione ebbe carattere spontaneo, condotta per lo più da operai, contadini, militanti socialisti, comunisti e cattolici investiti dalla violenza dello squadrismo. Questa opposizione non fu mai organizzata eccettuando il caso degli Arditi del popolo, un'organizzazione di ispirazione socialista, non diretta dal partito che comunque fallì nell'intento di arginare lo squadrismo.
Inoltre, è da ricordare il fatto che anche i fascisti stessi non avevano ben chiaro fino a dove il partito si sarebbe spinto; solo il dopo il delitto Matteotti vi fu una maggior presa di posizione da parte degli antifascisti che si esaurì però nella secessione dell'Aventino.
Dopo l'emanazione delle leggi fascistissime e l'instaurazione della dittatura di Mussolini, nel 1926, si intensificò il processo del cosiddetto fuoriuscitismo; i dirigenti più in vista dell'opposizione, di diversa tendenza politica, ripararono all'estero specialmente a Parigi e Londra. Tra questi, Turati, don Sturzo, Nitti, Saragat e Salvemini. Il fuoriuscitismo svolse un'opera di propaganda contro il fascismo anche se deficienze organizzative ed assenza di contatti con l'Italia indebolirono l'attività dell'emigrazione politica.
ANTIFASCISMO ATTIVO:
Fuoriuscitismo
Solo il Partito comunista decise di mantenere sin dall'inizio una rete organizzativa clandestina nel paese, guidata da un Centro interno; la direzione ideologica e politica era invece affidata al centro estero di Parigi sotto la guida di Togliatti. Lo scopo era quello di appoggiare le iniziative di protesta contadina e operaia contro il regime, legando strettamente lotta di classe a lotta politica. Questa linea non ebbe successo ed espose l'organizzazione clandestina ad una forte repressione. Nella seconda metà degli anni trenta i militanti comunisti decisero di operare all'interno delle organizzazioni fasciste con l'obiettivo di entrare in contatto con ampi stati popolari. Sino al 1934 il partito comunista operò in condizione di isolamento se non opposizione rispetto alle altre forze antifasciste seguendo i principi dell'Internazionale; solo in seguito all'affermarsi dei fascisti in gran parte d'Europa vi fu un mutamento di linea dell'Internazionale: i partiti antifascisti si compattarono nella lotta verso un comune nemico. Ciò rese possibile nel 1934 ad un patto di unità d'azione tra socialisti e comunisti (politica dei Fronti popolari), risaldato durante la guerra civile spagnola in difesa della repubblica e contro Franco.
Insieme ai comunisti, il gruppo più attivo nella lotta antifascista fu il movimento di Giustizia e Libertà fondato nel 1930 a Parigi da Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, ispirato al liberalismo di Gobetti morto a seguito delle violenze perpetuate dagli squadristi. Gobetti aveva definito il fascismo come "autobiografia della nazione" intendendo dire che esso affondava le sue radici nella "rivoluzione fallita" del Risorgimento e nella corruzione politica dell'età giolittiana. Seguendo le tesi di Gobetti il movimento propose la lotta al fascismo da condursi con metodi rivoluzionari come momento di rigenerazione morale e politica dell'Italia e come premessa per l'instaurazione di una società che unisse libertà politica e giustizia sociale (il cosiddetto Socialismo Liberale). Attiva soprattutto al Nord, la GL svolse un ruolo fondamentale.
ANTIFASCISMO PASSIVO:
Accanto all'antifascismo "attivo" ed organizzato, non meno importante fu quello di tipo culturale che coinvolse intellettuali e uomini di cultura che manifestarono un'opposizione o, più spesso, una non adesione al regime.
Fra questi intellettuali particolarmente importante fu il filosofo Benedetto Croce che dopo un periodo di iniziale simpatia verso il regime, nel 1925 dichiarò apertamente il proprio dissenso redigendo il Manifesto degli intellettuali antifascisti (in contrapposizione al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile) nel quale sottolineava la povertà culturale dell'ideologia fascista e contestandone i valori e i metodi d'azione. Croce definì il fascismo come "malattia morale" come una "parentesi", un abbandono momentaneo dei valori della ragione e della libertà incarnatosi in un regime dispotico e dittatoriale. L'opposizione di Croce fu esclusivamente morale ed intellettuale e rivolta alla ristretta cerchia di uomini di cultura. Il regime tollerò l'azione di Croce in quanto godeva di prestigio internazionale; ricordiamo infatti come le opere intellettuali fossero sottoposte a censura, tranne che per la poesia considerata rivolta ad una ristretta elite di uomini di cultura e non a tutte le masse.
Da ricordare anche la posizione dei cattolici; dopo l'esilio di don Sturzo e lo scioglimento del PPI non vi fu mai un'opposizione di matrice cattolica se non in seguito ai Patti Lateranensi del 1929 che videro gli intellettuali cattolici dividersi in due parti. Da un lato coloro che presero posizione a favore del regime, dall'altro altri come Alcide De Gasperi, futuro fondatore della Democrazia Cristiana, che tennero un atteggiamento più critico manifestato in forme di dissenso intellettuale e culturale soprattutto dopo l'emanazione delle leggi razziali. Inoltre, associazioni cattoliche come Azione cattoliche e la Fuci, costituirono altrettanti centri di autonomia culturale e ideale rispetto al regime che non riuscì mai a porle sotto il proprio dominio.
LA RESISTENZA:
Il 1943 fu decisivo per la guerra italiana. La fuga del re e del governo a Brindisi, lo sbandamento dell'esercito, le violente ritorsioni tedesche (da ricordare il massacro a Roma nelle Fosse Ardeatine e la strage di Marzabotto vicino Bologna) e il senso di disfatta morale rappresentarono l'ambiente in cui nacque e si sviluppò la Resistenza. Oltre che da soldati, i primi gruppi partigiani erano composti da militanti antifascisti, intellettuali, operai compromessi con gli scioperi, giovani che volevano sfuggire all'arruolamento della repubblica di Salò. Dai 9000 partigiani di fine 1943 si arrivò ai 200000 della primavera del 1945. Il contributo delle campagne alla lotta fu un "fatto nuovo veramente rivoluzionario nella storia sociale italiana".
La Resistenza italiana fu un fenomeno complesso nel quale confluivano tre diversi conflitti: una guerra patriottica, condotta per la liberazione del paese dall'occupazione tedesca; una guerra civile, che opponeva partigiani e fascisti della repubblica di Salò ed una guerra di classe che legava la lotta contro il nazifascismo alla rivoluzione sociale.
Il movimento partigiano era quindi dominato da una grande eterogeneità di provenienza sociale e di appartenenza politica.
Per alcuni la Resistenza si configurava come la realizzazione di un ideale libertà universale; per altri come la militanza in favore di un principio cristiano di dignità e fratellanza; altri ancora perseguivano l'ideale patriottico come volontà di "risorgere a nazione", come proseguimento del Risorgimento stesso mentre altri credevano che fosse il primo passo verso la costruzione di un ordine sociale e politico più giusto. L'aspirazione comune era costituita dal desiderio di riscatto, autonomia e libertà di scelta dopo un lungo periodo di sottomissione e forzata passività.
Le formazioni partigiane si distinguevano per l'orientamento politico: Le brigate Garibaldi, comuniste, Matteotti, socialiste, Giustizia e Libertà del partito d'Azione, non ché formazioni cattoliche, liberali ed autonome (in particolare di orientamento monarchico)
La partecipazione alla Resistenza si configurava come la scelta drammatica dell'uomo di fronte al dubbio sull'opportunità di agire o meno.
L'azione della Resistenza fu coordinata dal Comitato di Liberazione Nazionale presieduto dal socialista riformista Bonomi e formato dai partiti sorti o ricostituitisi durante il 1943 quali il partito liberale, il Psiup (partito socialista di unità proletaria), la Democrazia cristiana (fondata da De Gasperi nel 1942), il Partito d'Azione (erede di Giustizia e Libertà) e il partito Comunista. Il Cln aveva il compito di organizzare la resistenza contro i nazifascismi e di assumere la guida politica del paese. Il Cln esprimeva al suo interno diversi orientamenti politici: mentre i liberali, espressione della borghesia, pensavano ad un ritorno allo stato prefascista (come sostenuto da Croce), i partiti di sinistra interpretavano la lotta contro il nazifascismo come il primo passo di un processo che portasse alla trasformazione dello stato e della società. I comunisti ed i socialisti si riferivano alla tradizione teorica del marxismo e del movimento socialista, mentre gli azionisti si proponevano di fondare una "nuova democrazia basata su ampie autonomie locali" che accettasse il capitalismo ma ne correggesse le ingiustizie e gli squilibri. La Democrazia cristiana, erede del PPI, si basava su principi di solidarismo e interclassismo pur restando contraria e profondi cambiamenti sociali e politici.
Le differenze politiche tra i partiti antifascisti ebbero già il loro peso durante la lotta di Resistenza ma si manifestarono appieno negli anni successivi alla liberazione.
La debolezza del Cln era molto grave: privi di una base sociale di consenso e di una legittimazione effettiva da parte degli Alleati, che di fatto determinavano la politica del Regno del sud, i partiti antifascisti stentavano ad accreditarsi come forza dirigente. Vi era inoltre una netta spaccatura tra Cln e sovrano sulla questione istituzionale. Mentre i partiti del Cln esigevano l'allontanamento del re, a cui venivano attribuite gravi responsabilità nell'ascesa fascista, Vittorio Emanuele III rifiutava di mettere in discussione il proprio ruolo istituzionale. nel 1994 la svolta politica fu segnata da Togliatti, segretario del PCI, che convinse i partiti del Cln ad accantonare la questione istituzionale entrando nel governo Badoglio in nome del supremo interesse della vittoria contro il nazifascismo.
Nell'Italia occupata la resistenza ebbe i caratteri di guerra di liberazione condotta da un comando militare unificato, il Corpo Volontari della libertà, riconosciuto dagli Alleati e dal governo di Roma in quanto si configurava necessaria la lotta contro l'occupante nazifascista. Le armate alleate vennero appoggiate con operazioni di guerriglia e sabotaggio.
Il contributo militare partigiano non fu risolutivo per la vittoria degli Alleati ma fu decisivo per riscattare il popolo italiano dalla vergogna del fascismo, quando gli Alleati giunsero nell'Italia settentrionale, numerose città erano già state liberate dall'insurrezione partigiana.
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