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Il nazismo
Hitler, Adolf (Braunau am Inn, Austria 1889 - Berlino 1945),
uomo politico tedesco di origine austriaca, Führer (guida) e cancelliere del
regime nazista, artefice di uno dei più compiuti stati totalitari che la storia
del XX secolo abbia conosciuto e dello sterminio pianificato di sei milioni di
ebrei.
Una volta assunto il potere nel 1933, attuò una politica di riscatto della
nazione tedesca in nome dei valori nazionalistici, sfociata nella
rimilitarizzazione della Germania e nella revisione degli equilibri europei,
processi, questi, che finirono per trascinare l'intera Europa nella seconda
guerra mondiale. Dopo aver fatto della xenofobia, dell'antisemitismo e
dell'espansionismo del popolo ariano i fondamenti della sua propaganda e della
sua politica, tentò di imporre un "ordine nuovo" trasformando il
Partito nazista nello strumento per abbattere il regime democratico in Germania
e per dare una diffusione mondiale al movimento fascista.
L'ascesa politica
Figlio di un modesto funzionario delle dogane austriaco, fu uno studente
mediocre e non portò mai a termine le scuole secondarie. Dopo aver tentato
invano di essere ammesso all'Accademia di belle arti di Vienna, lavorò in
questa città come decoratore e pittore, leggendo con voracità opere destinate
ad alimentare le sue convinzioni antisemite e antidemocratiche, così come la
sua ammirazione per l'individualismo e il disprezzo per le masse. Trasferitosi
a Monaco, fu qui sorpreso dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914) e si
arruolò come volontario nell'esercito bavarese.
Dopo la guerra tornò a Monaco e rimase nell'esercito fino al 1920; iscrittosi
al Deutsche Arbeiterpartei (Partito tedesco dei lavoratori), di impronta
nazionalista, ne divenne in breve il capo e, associandovi altri gruppi nazionalisti,
lo rifondò con la denominazione di Nationalsozialistische Deutsche
Arbeiterpartei (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, abbreviato
in Partito nazista), del quale fu eletto presidente con poteri dittatoriali;
mentre diffondeva la sua ideologia incentrata sull'odio di razza e sul
disprezzo per la democrazia, si legò ai gruppi squadristi paramilitari fondati
dal maggiore Röhm, le SA (Sturmabteilungen, squadre d'assalto), avallandone le
azioni di violenza contro uomini e sedi della sinistra socialdemocratica e
comunista.
Hitler incentrò la sua azione politica nell'attacco alla Repubblica di Weimar,
accusata di tradimento e di cedimento agli stranieri, raccogliendo l'adesione
di personaggi quali Rudolf Hess, Hermann Göring e Alfred Rosenberg. Nel
novembre del 1923, in un momento di confusione e debolezza del governo del
paese, fece la sua prima apparizione sulla scena politica tedesca guidando un
tentativo di colpo di stato in Baviera, il putsch di Monaco. L'esercito però
non fu compatto nel sostenere l'operazione e il putsch fallì. Riconosciuto
responsabile del complotto, Hitler venne condannato a cinque anni di
reclusione, ridotti a otto mesi per un'amnistia generale. Durante la
detenzione, dettò la sua autobiografia, Mein Kampf (La mia battaglia), nella
quale espose i principi dell'ideologia nazista e della superiorità della razza
ariana. Tornato in libertà (1924), ricostruì nel 1925 il partito senza che il
governo, che pure aveva cercato di rovesciare, facesse nulla per impedirlo.
Scoppiata nel 1929 la Grande Depressione, che portò al tracollo del marco e
alla crescita della disoccupazione, Hitler seppe sfruttare il malcontento
popolare guadagnando consensi al Partito nazista e assicurandosi l'appoggio dei
settori di destra dell'alta finanza, della grande industria e dell'esercito;
con la promessa di creare una Germania forte, ricca e potente attirò milioni di
elettori. La sua capacità oratoria infiammava le masse: nelle elezioni del 1930
i seggi dei nazisti al Reichstag (parlamento) passarono dai dodici 929g65j del 1928 a
centosette; contemporaneamente rafforzò le strutture paramilitari del partito
utilizzando le SA di Röhm e le SS, create da Himmler.
Durante i due anni seguenti il partito continuò a crescere, traendo vantaggio
dalla forte disoccupazione, dalla paura del comunismo, dalla risolutezza di
Hitler e dalla debolezza dei suoi rivali politici. Hitler riuscì ad
accreditarsi come l'uomo forte, capace di far uscire il governo
dall'immobilismo e dalle secche dei contrasti tra Parlamento e presidenza della
Repubblica. Con il sostegno dei vertici militari ottenne dal presidente Paul
von Hindenburg l'incarico di cancelliere (30 gennaio 1933). Alla morte di
Hindenburg (1934) riunì nella sua persona anche la carica di presidente,
facendo ratificare questo atto con un plebiscito che gli attribuì il 90% dei
consensi. A quel punto il suo progetto totalitario poté dispiegarsi senza
ostacoli.
La dittatura
Giunto al potere, Hitler si trasformò rapidamente in dittatore. Un parlamento
sottomesso gli concesse pieni poteri, così che fu in grado di asservire la
burocrazia statale e il potere giudiziario alle esigenze del partito. I
sindacati furono eliminati, migliaia di oppositori rinchiusi nei campi di
concentramento e ogni minimo dissenso represso. L'organizzazione della polizia
venne affidata a Himmler, il capo delle SS. Il 30 giugno 1934, nella
"notte dei lunghi coltelli", Hitler si liberò con la violenza degli
elementi più radicali presenti nel suo stesso partito e nelle SA. In breve
tempo l'economia, i mezzi di comunicazione e tutte le attività culturali
passarono sotto l'autorità nazista attraverso il controllo della lealtà
politica di ogni cittadino, esercitato dalla Gestapo, la famigerata polizia
segreta.
Hitler si riservò come settore di sua esclusiva competenza la politica estera.
Nel 1935 denunciò il trattato di Versailles del 1919, proclamando la sua ferma
intenzione di riportare la Germania al rango di grande potenza militare e
navale, e per cominciare, attraverso un plebiscito, riprese la regione della
Saar, alla frontiera occidentale. Nel 1936 ritenne che i tempi fossero maturi
per dare inizio alla sua politica d'espansione: inviò truppe nella Renania
smilitarizzata, firmò con l'Italia fascista di Mussolini un'alleanza che prese
il nome di Asse Roma-Berlino, e sottoscrisse con il Giappone il Patto
Anticomintern in funzione anticomunista e antisovietica. Nel 1938 decise di
invadere e di annettere l'Austria, senza trovare alcuna resistenza militare.
All'incontro di Monaco ottenne che fosse ratificato lo smembramento di una
parte della Cecoslovacchia, premessa della sua dissoluzione, avvenuta nel marzo
1939. Da questi eventi scaturì la seconda guerra mondiale.
La guerra scoppiò nel settembre del 1939 con l'invasione della Polonia, che
aveva stretto un'alleanza con l'Inghilterra. Nel 1940 l'esercito tedesco occupò
Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Francia; nel giugno del 1941 ebbe inizio
l'attacco all'Unione Sovietica . Nel luglio successivo, Hitler incaricò il capo
delle SS Heydrich di elaborare e pianificare la "soluzione finale della
questione ebraica" che avrebbe portato al genocidio di sei milioni di
ebrei.
A dicembre l'andamento della guerra cambiò direzione: la controffensiva russa
respinse l'esercito tedesco, infliggendo gravissime perdite alla Germania;
Hitler rifiutò di autorizzare la ritirata. In quegli stessi giorni, gli Stati
Uniti entrarono in guerra. Davanti all'avanzata degli eserciti nemici sia sui
fronti europei che su quelli africani, Hitler, sopravvissuto a vari complotti
orditi da ufficiali tedeschi che volevano porre fine ai combattimenti e
all'annientamento della Germania, e convinto fino all'ultimo che la disfatta
fosse colpa degli ebrei e dello stato maggiore tedesco, si suicidò il 30 aprile
1945. Con lui, nel bunker di Berlino, si tolse la vita Eva Braun, che il Führer
aveva sposato il giorno precedente.
Eichmann, Adolf (Solingen 1906 - prigione di Ramleh, Tel Aviv 1962), ufficiale
nazista, fu responsabile dell'uccisione di milioni di ebrei durante la seconda
guerra mondiale. Eichmann entrò a far parte della polizia segreta nazista nel
1934 e nel 1938, in occasione dell'annessione dell'Austria da parte dei
tedeschi, si occupò della deportazione degli ebrei austriaci, in accordo con la
politica antisemita dei nazisti. Durante la guerra venne incaricato della
"soluzione finale del problema ebraico": gli ebrei dei paesi occupati
dall'esercito tedesco vennero rastrellati e inviati nei campi di
concentramento. Dopo la guerra, Eichmann scomparve, ma nel 1960 alcuni agenti
israeliani lo trovarono in Argentina, lo catturarono e lo portarono in Israele:
processato a Gerusalemme, venne giudicato colpevole di crimini contro l'umanità
e condannato a morte. Due anni dopo fu impiccato.
Campi di concentramento e di sterminio Luogo di prigionia creato per deportare
civili e militari, generalmente per motivi bellici o politici. Si differenzia
dal carcere per tre ragioni: 1) uomini, donne e bambini sono imprigionati senza
un regolare processo; 2) il periodo di confinamento è indeterminato; 3) le autorità
che gestiscono il campo di concentramento esercitano un potere arbitrario e
illimitato. Sebbene ne esistano svariate tipologie, di solito si tratta di
agglomerati di baracche o di capannoni, circondati da torrette e delimitati da
reti di filo spinato. I campi di concentramento vengono chiamati anche campi di
lavoro o centri di rieducazione.
I campi di concentramento
I campi di concentramento apparvero alla fine dell'Ottocento. I primi furono
costruiti dai sudisti durante la guerra di secessione americana, per deportarvi
i prigionieri dell'Unione. Altri furono costruiti dagli spagnoli a Cuba durante
la guerra ispano-americana (1889) e in Sudafrica dagli inglesi durante la
guerra anglo-boera (1899-1902). Vi fecero ricorso anche gli italiani per fronteggiare
la ribellione araba in Libia, dopo il 1911. Nel 1938 il governo francese
ricorse ai campi di concentramento per internare i repubblicani spagnoli
rifugiati in seguito alla guerra civile e, in seguito, gli ebrei e rifugiati
antinazisti tedeschi. Nel 1939 il governo britannico deportò nei campi di
internamento i cittadini sospetti di comportamento sleale e i rifugiati
provenienti dai paesi nemici. Durante la seconda guerra mondiale negli Stati
Uniti furono internati 70.000 cittadini americani di origine giapponese e
42.000 giapponesi residenti in California. L'istituzione su larga scala di!
veri e propri campi di sterminio contraddistinse la dittatura di Pol Pot
in Cambogia negli anni Settanta.
Più recentemente, ai campi di concentramento fecero ricorso alcune delle più
spietate dittature sudamericane durante gli anni Sessanta e Settanta (in
particolare in Argentina e in Cile) e le varie parti coinvolte nel conflitto
esploso nel 1991 nella ex Iugoslavia.
I gulag sovietici
Nei mesi successivi alla Rivoluzione d'ottobre i bolscevichi istituirono campi
di lavoro per coloro che erano sospettati di essere controrivoluzionari.
Durante gli anni Venti gli oppositori furono internati, insieme ai criminali,
nei campi di concentramento situati nelle isole del Mar Bianco. Negli anni
Trenta e Quaranta si sviluppò un sistema di campi di lavoro dislocati in tutto
il paese, dove giunsero milioni di prigionieri, in varie ondate successive e
attraverso deportazioni di massa. La repressione staliniana colpì indifferentemente
classi sociali, minoranze etniche, ogni tipo di opposizione politica: kulaki,
intellettuali, anarchici, militari russi rientrati dalla prigionia in Germania
ecc.
Amministrato negli anni Venti da differenti organismi, il sistema
concentrazionario sovietico passò negli anni Trenta sotto il diretto controllo
della polizia segreta.
Dopo la morte di Stalin (1953) molti internati vennero rilasciati grazie a
un'amnistia, ma i campi di concentramento continuarono a essere utilizzati,
anche se su scala minore. Si calcola che complessivamente nell'Unione Sovietica
furono internate 15 milioni di persone, costrette a lavorare in condizioni
durissime nelle miniere o nei pozzi petroliferi, cioè in attività di importanza
primaria per l'economia sovietica. Una grandissima parte di questi prigionieri
non sopravvisse.
I lager nazisti
In Germania i nazisti, non appena si insediarono al potere, il 30 gennaio 1933,
istituirono i Konzentrazionslager (o KZ), dove la polizia politica, la Gestapo,
rinchiuse oppositori politici – comunisti, socialisti,
"dissidenti religiosi", testimoni di Geova, cattolici, protestanti
dissidenti – ed ebrei. Inoltre la polizia criminale, nota con il nome
di Kripo, operò arresti preventivi di persone con precedenti penali, di
zingari, omosessuali, disabili, prostitute e di tutti coloro che a vario titolo
vennero considerati "asociali". I campi furono gestiti dalle SS
(Schutzstaffel o unità di protezione) con una brutale e severissima disciplina
militare.
Nella seconda metà degli anni Trenta campi di concentramento furono insediati a
Dachau, Auschwitz-Birkenau, Sachsenhausen, Buchenwald, Flossenbürg, Mauthausen
e Ravensbrück, che fu un campo esclusivamente femminile. Nel 1939 gli internati
erano 25.000. Durante la seconda guerra mondiale vennero costruiti molti altri
campi, alcuni dei quali anche in Polonia e in Serbia, dove finirono ebrei,
prigionieri di guerra sovietici e partigiani. Gli internati erano costretti ai
lavori forzati e coloro che non resistevano venivano eliminati. Molti prigionieri
vennero impiegati come cavie in sperimentazioni scientifiche e mediche. A
partire dal 1942 in questi campi si attuò la "soluzione finale", che
aveva come scopo l'annientamento delle opposizioni e delle "razze
inferiori". Nei campi tedeschi trovarono la morte circa 11 milioni di
persone, di cui più di 6 milioni di ebrei.
Olocausto (greco holókauston, composto di hólos, "tutto, intero" e
kaustós, "bruciato": bruciato completamente), originariamente rito
religioso in cui l'offerta veniva distrutta dal fuoco. Seppure impropriamente
il termine è usato con specifico riferimento allo sterminio (in ebraico shoah)
degli ebrei europei operato dalla Germania nazista.
La persecuzione degli ebrei tedeschi durante il nazismo
Come conseguenza delle idee nazionaliste e razziste proclamate da Hitler nel
Mein Kampf (1925), il regime nazista, sin dall'inizio, adottò misure di
discriminazione sistematica contro gli ebrei, formalizzate in seguito nelle
leggi di Norimberga (5 settembre 1935). Secondo l'ideologia antisemita e
razzista del regime, ebreo era chiunque risultasse avere tre o quattro nonni
osservanti della religione ebraica, indipendentemente dalla sua effettiva
partecipazione alla vita della comunità ebraica; mezzo-ebreo era chi aveva due
nonni osservanti o era sposato con un ebreo; chi aveva un solo nonno ebreo
veniva designato come mischlinge (meticcio). Sia gli ebrei sia i mischlinge
erano non-ariani e come tali soggetti a leggi e direttive discriminatorie.
L'"arianizzazione" dell'economia
Dal 1933 al 1939 Partito nazista, enti governativi, banche e imprese misero in
atto un'azione comune volta a emarginare gli ebrei dalla vita economica del
paese. I non-ariani vennero licenziati dalla pubblica amministrazione; gli
avvocati e i medici ebrei persero i clienti ariani; le ditte di proprietà
ebraica furono liquidate o acquisite da non-ebrei a un prezzo molto inferiore
al valore reale; i ricavi ottenuti dal trasferimento delle imprese dagli ebrei
ai nuovi proprietari (la cosiddetta "arianizzazione" dell'economia)
furono assoggettati a speciali tasse di proprietà; gli ebrei impiegati in ditte
liquidate o arianizzate persero il lavoro.
La notte dei cristalli
Obiettivo dichiarato del regime nazista prima della seconda guerra mondiale era
spingere gli ebrei all'emigrazione. Nella notte dell'8 novembre 1938, come
rappresaglia all'assassinio a Parigi di un diplomatico tedesco da parte di un
giovane ebreo, in Germania furono incendiate tutte le sinagoghe, infrante le
vetrine dei negozi di proprietà ebraica e arrestate migliaia di ebrei. La
cosiddetta notte dei cristalli convinse molti ebrei tedeschi e austriaci ad
abbandonare il paese senza ulteriori indugi; centinaia di migliaia di persone
trovarono rifugio all'estero, ma altrettante si videro costrette o scelsero di
rimanere.
Nel 1938 anche il re d'Italia Vittorio Emanuele III ratificò leggi razziali
antiebraiche, volute, sul modello di quelle tedesche, dal governo fascista di
Mussolini. Ne conseguì un esodo, quantitativamente assai più modesto, di
cittadini italiani di origine ebraica e di quanti, come il fisico Enrico Fermi,
avevano un coniuge ebreo.
L'occupazione della Polonia
Allo scoppio della seconda guerra mondiale (settembre 1939) l'esercito tedesco
occupò la Polonia occidentale, che contava tra gli abitanti due milioni di
ebrei, i quali vennero sottoposti a restrizioni ancor più severe di quelle
vigenti in Germania. Furono infatti costretti a trasferirsi in ghetti
circondati da mura e filo spinato; ogni ghetto aveva il proprio consiglio
ebraico cui era demandata la responsabilità degli alloggi (sovraffollati, con
sei-sette persone per stanza), della sanità e della produzione. Quanto era
prodotto al loro interno veniva scambiato con forniture di carbone e cibo
(perlopiù grano e verdure) in quantità sufficiente a raggiungere la razione
ufficialmente stabilita di 1200 calorie a persona.
L'invasione dell'Unione Sovietica
Nel giugno del 1941, nelle immediate retrovie delle armate tedesche impegnate
nell'invasione dell'Unione Sovietica, l'Ufficio centrale di sicurezza del Reich
inviò 3000 uomini organizzati in corpi speciali con il compito di individuare
ed eliminare sul posto la popolazione ebraica dei territori occupati. Questi
Einsatzgruppen (squadre d'azione) compirono veri e propri massacri nelle
periferie delle città; la notizia si diffuse immediatamente in molte capitali
del mondo, ma fu rapidamente rimossa e non provocò alcuna iniziativa da parte
dei governi democratici.
La "soluzione finale"
A un mese dall'inizio delle operazioni in Unione Sovietica, il numero due del
Reich, Hermann Göring, inviò una direttiva al capo dei servizi di sicurezza,
Reinhard Heydrich, incaricandolo di organizzare una "soluzione
finale" della questione ebraica in tutta l'Europa controllata dalla
Germania. A partire dal settembre 1941 gli ebrei tedeschi furono costretti a
indossare fasce recanti una stella gialla; nei mesi seguenti decine di migliaia
di ebrei furono deportate nei ghetti in Polonia e nelle città sovietiche
occupate. Si realizzarono i primi campi di concentramento (lager), strutture
concepite appositamente per eliminare le vittime deportate dai ghetti vicini
(300.000 dal solo ghetto di Varsavia). Bambini, vecchi e tutti gli inabili al
lavoro venivano condotti direttamente nelle camere a gas; gli altri invece
erano sfruttati per un certo periodo in officine private o interne ai campi e
poi eliminati.
Il maggior numero di deportazioni ebbe luogo nell'estate-autunno del 1942.
Anche in questo caso, voci riguardo a stermini di massa giunsero agli ambienti
ebraici all'estero e ai governi di Stati Uniti e Gran Bretagna. I casi di
resistenza alle deportazioni furono rarissimi. Nell'aprile del 1943 gli ultimi
65.000 ebrei di Varsavia tentarono di opporsi alla polizia, entrata nel ghetto
per la retata finale, ma vennero massacrati nel corso degli scontri,
protrattisi per tre settimane.
Le deportazioni
In tutta Europa le deportazioni crearono problemi di ordine politico,
amministrativo e logistico. Nella stessa Germania sorsero accese discussioni
sulla sorte dei mischlinge, che furono infine risparmiati. In Slovacchia e in
Croazia vennero condotti veri e propri negoziati diplomatici riguardo alle
deportazioni, mentre il governo collaborazionista francese di Vichy emanò
direttive antisemite ancor prima che vi fosse una richiesta tedesca in tal
senso. In Italia il governo fascista, che pure aveva spontaneamente introdotto
leggi "a difesa della razza", rifiutò di collaborare con l'alleato
nazista in questo campo, sino all'occupazione del settembre 1943; analoga
riluttanza mostrarono il governo ungherese e quello rumeno, sino a quando
ebbero un margine di autonomia (1944). Nella Danimarca occupata, cittadini di
ogni estrazione sociale si impegnarono per mettere in salvo i concittadini
ebrei, imbarcandoli verso la neutrale Svezia e sottraendoli così alla morte.
I beni dei deportati (conti bancari, proprietà immobiliari, mobili, oggetti
personali) vennero sistematicamente confiscati dal governo tedesco.
I campi della morte
Il trasporto delle vittime nei campi di sterminio avveniva generalmente in treno.
La polizia pagava alle ferrovie di stato un biglietto di sola andata di terza
classe per ciascun deportato: se il carico superava le 1000 persone, veniva
applicata una tariffa collettiva pari alla metà di quella normale. I treni,
composti da vagoni merci sprovvisti di tutto, persino di buglioli e prese
d'aria, viaggiavano lentamente verso la destinazione e molti deportati morivano
lungo il tragitto. Le destinazioni più tristemente famose, fra le tante, furono
Buchenwald, Dachau, Bergen-Belsen, Flossenburg (in Germania), Mauthausen (in
Austria), Treblinka, Birkenau, Auschwitz (in Polonia). Quest'ultimo era il più
grande tra i campi di sterminio; vi trovò la morte oltre un milione di ebrei,
molti dei quali furono prima usati come cavie umane in esperimenti di ogni
tipo. Per una rapida eliminazione dei corpi, nel campo vennero costruiti grandi
forni crematori. Nel 1944 il campo fu fotografato da aer!
ei da ricognizione alleati a caccia di obiettivi industriali; i successivi
bombardamenti eliminarono le officine, ma non le camere a gas.
Effetti dell'olocausto
Al termine della guerra, nell'olocausto avevano trovato la morte milioni di
ebrei, slavi, zingari, omosessuali, testimoni di Geova e comunisti; tra gli
ebrei le vittime ammontarono a più di sei milioni. Il ricordo delle vittime
ebree svolse un ruolo di primo piano nella formazione di un ampio consenso nel
dopoguerra attorno al progetto di costituire in Palestina uno stato ebraico che
potesse accogliere i sopravvissuti alla tragedia: il futuro stato di Israele.
Ebrei Gli appartenenti alla comunità etnica e religiosa che trae le sue origini
da alcune tribù semitiche nomadi stanziate nell'area del Mediterraneo orientale
prima del 1300 a.C., e insediatesi poi nella "terra di Canaan",
ovvero l'antica Palestina. Qui, rafforzando il loro legame fondato sul culto
monoteistico di Jahve, costituirono verso il 1020 a.C. un organismo politico
unitario retto da un re. Se come "ebrei", termine derivato dal nome
di Eber, indicato dalla Bibbia (Genesi, 10:21) come uno dei discendenti di Sem,
si identificavano gli stessi appartenenti a questo popolo nella fase più antica
della loro storia, di origine remota è anche il nome "Israele":
dapprima esso fu proprio del patriarca Giacobbe (Genesi 39:29), poi venne
esteso a tutto il popolo considerato sua discendenza (Genesi 32:33). Seguendo i
testi biblici, che esaltano Jahve come "Dio di Israele" e dei
"figli di Israele" (Esodo, 1:7), riferendosi soprattutto al periodo
compreso fra la conquista della terra!
di Canaan e la caduta, nel 721 a.C., dell'omonimo Regno di Israele per
mano di Sargon II, re degli assiri dal 722 al 705, la lingua italiana indica
gli ebrei anche come "israeliti". Fin dall'epoca della cattività
babilonese, tuttavia, il termine "ebrei", come pure le denominazioni
derivate dalla parola "Israele", furono sostituiti con l'ebraico
yehudhi, originariamente indicante i membri della tribù di Giuda e
successivamente tutto il popolo. I romani denominarono Judaea la Palestina e
judaei i suoi abitanti, identificati come depositari di una tradizione
religiosa: da judaei derivano, oltre all'italiano "giudei", poco
utilizzato dalla lingua comune, i termini impiegati dalle principali lingue
europee per indicare gli ebrei: in inglese jews, in francese juifs e in tedesco
juden. Occorre comunque precisare che il termine "giudei" sopravvive
in italiano soprattutto con un'accezione religiosa che esprime un riferimento
esplicito, anche nelle traduzioni dei testi del Nuovo Testam!
ento, agli ebrei avversari dell'ebreo Cristo e, in misura ancora maggiore, agli
ebrei che, rivendicando la fedeltà ai principi della loro tradizione religiosa,
furono identificati come oppositori dalla stessa componente ebraica della prima
comunità cristiana. L'ideale religioso, infatti, pur abbandonato dal XIX secolo
da un numero non trascurabile di israeliti, ha costituito il motivo
fondamentale per l'identità e l'unità degli ebrei della diaspora, dispersi nei
diversi paesi, dall'Europa allo stesso Medio Oriente fino agli Stati Uniti, dal
135 d.C., anno del fallimento dell'ultima rivolta antiromana, fino alla
fondazione, nel 1948, dello stato di Israele. Stabilendo un criterio univoco
per identificare gli eredi di questa millenaria tradizione, etnica e religiosa
insieme, il parlamento israeliano ha definito per legge, nel 1970, come ebreo
chiunque sia nato da madre ebrea.
La tradizione delle origini
La ricostruzione della storia più antica degli ebrei nel quadro delle
migrazioni dei popoli del Vicino Oriente fra il III e il II millennio a.C.
appare oltremodo difficile. Gli studiosi fin dal XIX secolo hanno tentato di
reinterpretare, specialmente sulla base dei dati archeologici, i contenuti
della tradizione biblica, e soprattutto il materiale relativo all'epoca dei
cosiddetti patriarchi, confluito nel libro della Genesi intorno al VI secolo
a.C., epoca della sua redazione definitiva, assieme agli altri quattro libri
della prima e fondamentale sezione della Bibbia: Esodo, Levitico, Numeri,
Deuteronomio. Se, infatti, la storia ebraica può essere ricostruita su fondamenti
sufficientemente attendibili soltanto a partire dall'epoca monarchica, la
tradizione religiosa degli ebrei, invece, attribuisce un'importanza centrale
proprio alle vicende che precedettero questa fase più propriamente storica nel
senso moderno del termine. La tradizione biblica identifica dunque gli antenat!
i degli ebrei con i nomadi aramei della Mesopotamia meridionale, dalle cui file
discenderebbe Abramo, emigrato dalla città di Ur per stabilirsi infine nella
regione intorno al fiume Giordano; qui egli sarebbe divenuto il capostipite di
un popolo distinto dalle altre tribù contigue, come gli ammoniti, i moabiti e
gli edomiti, in quanto adoratore dell'unico Dio.
Forse connessa con l'espansione degli hyksos, i dominatori semitici dell'Egitto
fra il 1694 e il 1600 a.C., è la vicenda egiziana degli ebrei che, penetrati al
di là del Sinai, avrebbero conosciuto il successo e la prosperità prima di
essere praticamente ridotti in schiavitù, intorno al 1570 a.C. In questo
contesto storico si colloca probabilmente l'epopea della liberazione e
dell'esodo al di là del Mar Rosso, episodio non documentato dalle fonti
egiziane, forse a motivo dell'esiguo numero di ebrei effettivamente coinvolti,
ma di importanza fondamentale per la tradizione ebraica, che identifica in Mosè
il condottiero incaricato dalla divinità di guidare il suo popolo verso la
libertà e la terra promessa. Mosè avrebbe ricevuto da Dio, sul monte Sinai, le
tavole della legge, fondamento della vita sociale e religiosa del suo popolo,
chiamato a prendere possesso di quella terra situata a occidente del Giordano
la cui conquista sarebbe stata portata vittoriosamente a termine, sotto!
la guida di Giosuè, dalle dodici tribù di Israele.
Il regno
Attraversato dunque il Giordano (oltre il quale Israele si sarebbe imbattuto
nella città di Gerico, miracolosamente conquistata), gli ebrei si insediarono
nella Palestina occidentale, soggiogando le popolazioni locali, i cananei, e
respingendo gli attacchi dei moabiti e dei filistei, un'etnia appartenente ai
cosiddetti "popoli del mare" da cui prende il nome la Palestina.
Consolidate le loro posizioni sotto la guida dei capi militari e civili noti
come "giudici", gli israeliti raggiunsero un'effettiva unità politica
con il primo re, Saul, salito al trono intorno al 1020 a.C. e caduto
combattendo contro i filistei. Con il successore Davide la conquista di
Gerusalemme, antica fortezza cananea proclamata capitale del regno, segnò
l'inizio del periodo di massimo splendore per l'antico Israele, ormai
dominatore di tutti i popoli dell'area palestinese e sempre più unito
dall'ideale religioso. Salomone, figlio di Davide, promosse la costruzione del
Tempio di Gerusalemme, il simbolo s!
upremo dell'ebraismo antico, e dotò il regno di una struttura amministrativa e
militare degna di una potenza internazionale, anche se la pressione fiscale e
il lavoro forzato, strumenti necessari per realizzare opere poderose quali la
fortezza di Meghiddo (riportata alla luce dagli archeologi fra il 1925 e il
1939), suscitarono lo scontento della popolazione, creando i presupposti per la
rivolta guidata da Geroboamo. Costui, alla morte di Salomone, avvenuta intorno
al 922, rientrò dall'Egitto dove si era rifugiato sotto la protezione del
faraone Sisach (946-913); di fronte al rifiuto di Roboamo, figlio e successore
di Salomone, di procedere ad alcune riforme in campo politico e sociale,
Geroboamo condusse la spedizione militare che avrebbe portato alla divisione
del regno: egli stesso sarebbe stato proclamato sovrano del Regno di Israele,
costituito dalle regioni settentrionali della Palestina, mentre Roboamo avrebbe
conservato la sovranità sul solo Regno di Giuda, un territor!
io che si estende per circa 775 km2 intorno a Gerusalemme. Con il re Omri
(876-869), fondatore, intorno all'870, della capitale Samaria, il Regno di
Israele conobbe un periodo di eccezionale prosperità, mentre gli anni di suo
figlio Acab furono segnati da una dura controversia religiosa scatenata
dall'atteggiamento di sua moglie Gezabele, una principessa di Tiro decisa a introdurre
fra gli ebrei le pratiche del paganesimo della sua terra d'origine, respinte
come idolatriche dal monoteismo ebraico ed esplicitamente condannate dalla
legge mosaica; è questa l'epoca dei profeti, figure come Elia, Eliseo, Amos e
Osea, solleciti nel levare la loro voce contro quella che sembrava loro
un'intollerabile degenerazione religiosa, un tradimento dell'alleanza con
l'unico Dio. Ma sul regno incombeva ormai l'ombra degli assiri, potenza
dominante del Vicino Oriente nell'VIII secolo a.C.: se un primo tentativo
d'invasione, condotto nell'853 da Salmanàssar III (859-824), fu respinto da
Israele,!
associato alla coalizione di piccoli stati guidata dal re di Damasco Ben
Hadad I (morto intorno all'841), nulla poté il regno settentrionale nel 734 di
fronte alle armate di Tìglat Pilèzer III (745-727). Caduta fra il 722 e il 721
anche la roccaforte di Samaria, molti degli abitanti furono deportati e la
capitale fu ripopolata con coloni assiri che avrebbero adottato la religione
ebraica e costituito, con gli israeliti rimasti, la stirpe dissidente dei
samaritani. Il Regno di Giuda dovette invece soccombere alla potenza
dell'impero babilonese, e già nel 598 a.C. Gerusalemme fu conquistata da
Nabucodonosor II, che lasciò comunque una minima autonomia agli ebrei elevando
al rango di re il principe Sedecìa; la rivolta guidata nel 588 dallo stesso
Sedecìa condusse alla fine dell'indipendenza del regno, con l'intervento delle
armate di Nabucodonosor che nel 586 distrussero il Tempio di Gerusalemme
deportando a Babilonia l'élite intellettuale e politica del popolo ebraico.
Dai babilonesi ai romani
La comunità degli ebrei deportati a Babilonia a partire dal 597 riuscì comunque
a mantenere, unendosi con i gruppi già insediatisi in quella città dopo la
caduta del Regno di Israele del 721, la propria identità religiosa, soprattutto
grazie all'azione del profeta-sacerdote Ezechiele, che indirizzò i compagni di
esilio verso una religiosità di carattere spirituale; la preghiera divenne la
pratica fondamentale dei devoti, ormai privi del tempio, luogo dei solenni riti
del sacrificio. La speranza di un ritorno nella patria perduta si concretizzò
nel 538 a.C., quando l'imperatore persiano Ciro il Grande, un anno dopo la sua
conquista di Babilonia, restituì agli ebrei la libertà, consentendo il rientro
in Palestina di una comunità di circa 42.000 individui. Guidati da Zorobabele,
raggiunsero Gerusalemme determinati a ricondurre, sull'onda della predicazione
vigorosa dei profeti Aggeo e Zaccaria, la loro terra all'antico splendore. Si
giunse così, nel 516, alla ricostruzione del te!
mpio, e a questa data la tradizione ebraica fa risalire la fine della cattività
babilonese, attribuendole la durata convenzionale di 70 anni, dal 586 al 516.
Anche se lentamente, l'opera di ricostruzione della Palestina procedette nei
decenni successivi, fino al 445, anno in cui Neemia, funzionario del re
persiano Artaserse I (465-425 a.C.), assunse la carica di governatore
imprimendo una svolta decisiva al processo di restaurazione del regno e della
religione dei padri, evoluzione che fu ulteriormente accelerata soprattutto
dopo l'arrivo a Gerusalemme di Esdra, il sacerdote posto dalla tradizione a
fianco di Neemia, ma più verosimilmente inviato dalla comunità babilonese solo
nel 398 o nel 397 a.C.
Caratterizzò la storia degli ebrei nel IV secolo a.C. una rinascita religiosa,
avvenuta quando una potente casta sacerdotale seppe imporre la legge mosaica
come principio normativo fondamentale per l'intero corpo sociale, tanto che la
fede comune sarebbe divenuta l'unico motivo di identificazione per un popolo
peraltro privo di autonomia politica.
Con il crollo dell'impero persiano di fronte ad Alessandro Magno nel 331 a.C. e
il passaggio della Palestina sotto il dominio macedone, prese avvio quel
fenomeno di emigrazione che vedrà le comunità ebraiche prosperare
economicamente e culturalmente nei centri della nuova compagine imperiale,
dalla stessa Alessandria fino alle coste del Mar Nero: l'uso della lingua greca
non farà dimenticare agli ebrei la loro tradizione religiosa, tanto che a
partire dal II secolo i libri biblici verranno tradotti dall'ebraico al greco
(si tratta della celebre versione dei Settanta), a uso dei fedeli che non
comprendevano più la lingua dei padri. Assegnata dapprima a Tolomeo I d'Egitto
in seguito alla divisione del regno fra i successori di Alessandro, dopo la sua
morte nel 323, la Palestina passò nel 198 a.C. sotto il dominio di Antioco III
di Siria e dei sovrani seleucidi, inclini a imporre la cultura ellenistica per
cementare il proprio vasto impero. Così tentò di fare Antioco IV, che nel !
168, dichiarando fuori legge la religione degli ebrei, fece collocare nel
Tempio di Gerusalemme un altare in onore di Zeus. Contro questi provvedimenti
si scatenò la reazione degli israeliti più devoti, guidati dal sacerdote
Mattatia e dai suoi cinque figli, i Maccabei, che riuscirono, dopo un duro
confronto militare, a sconfiggere le forze straniere instaurando un regno
indipendente retto dalla dinastia degli Asmonei, loro diretti discendenti. In
epoca asmonea, la ricerca di una visione religiosa il più possibile pura di
fronte alle influenze straniere porterà alla formazione delle correnti, come
quelle dei farisei, dei sadducei e degli esseni, che caratterizzeranno
l'ebraismo nei secoli successivi, e all'istituzione del Sinedrio, la suprema
autorità legislativa formata da 71 saggi.
L'instabilità politica caratteristica del periodo asmoneo raggiunse il suo
culmine nel I secolo a.C. con la lotta tra i fratelli Ircano II e Aristobulo
II, entrambi aspiranti al trono: Aristobulo, apparentemente sostenitore di
Ircano, tramando dietro le quinte con i romani per risolvere il conflitto a suo
favore e fare della Giudea uno stato vassallo dell'impero romano, aprì la
strada all'esercito di Pompeo, che entrò a Gerusalemme nel 63 a.C. Le vicende
successive portarono alla ribalta le figure di Antipatro, un Idumeo
convertitosi all'ebraismo e divenuto consigliere di Ircano II, e del figlio
Erode che, dopo alterne vicende, venne incoronato re nel 39 a.C. Con la riduzione
della Giudea, nel 6 d.C., al rango di provincia amministrata direttamente,
iniziò un periodo caratterizzato da una parte dall'attività di alcuni gruppi
ebraici che, mal tollerando l'atteggiamento collaborazionista delle autorità
religiose, ambivano alla liberazione dal potere romano e, dall'altra, dalla d!
iffusione del cristianesimo, sorto in Galilea e diffusosi anche in Giudea e poi
soprattutto fra i pagani, ma anche fra gli ebrei sparsi fuori della loro
patria, da Babilonia a Roma, in un contesto spesso conflittuale con gli
israeliti rimasti fedeli alla loro tradizione religiosa.
La rivolta antiromana promossa nel 66 d.C. dagli zeloti fu domata dalle truppe,
guidate prima da Vespasiano e poi da Tito, e si concluse di fatto con la
distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70, anche se l'ultima roccaforte
della resistenza, Masada, cadde soltanto nel 73. L'ebraismo fu praticamente
sradicato dalla Giudea per iniziativa dell'imperatore Adriano, che fece di
Gerusalemme una città di stile ellenistico ribattezzandola Aelia Capitolina in
onore di Giove. Il fallimento della disperata rivolta condotta da Simon Bar
Kokeba fra il 132 e il 135 portò a un ulteriore inasprimento delle misure
contro gli ebrei, ormai posti di fronte al divieto di praticare la loro fede
nella loro patria e di entrare in Gerusalemme. Nella rovina della città santa i
cristiani vedranno ben presto la giusta punizione divina contro gli ebrei a
motivo della loro incredulità di fronte a Cristo, e questo atteggiamento
porterà, soprattutto con il trionfo del cristianesimo dopo il 313, a un'animo!
sità crescente verso gli israeliti, esecrati come "deicidi" perché
ritenuti responsabili della morte di Gesù.
Fra Islam e cristianesimo
Ormai lontani dalla loro patria ed esposti alle persecuzioni, gli ebrei
riuscirono comunque a conservare la loro identità culturale soprattutto grazie
all'opera dei rabbini, i maestri della legge, impegnati a commentare le
Scritture e a codificare minuziosamente i precetti della religione dei padri:
frutto di questa attività di interpretazione della tradizione antica è il
Talmud, costituito dalle due sezioni della Mishnah, raccolta degli insegnamenti
orali, e della Gemarah, ampio commentario alla stessa Mishnah, redatte in forma
scritta, fra il V e il VI, secolo in due versioni dai maestri delle scuole
religiose attive in Palestina, prima sotto i parti e poi, dal 227 d.C., sotto i
Sasanidi. L'avvento dell'Islam, imposto in Mesopotamia già nel 637, non
rappresentò una minaccia per la sopravvivenza delle comunità ebraiche; neppure
le restrizioni imposte dal califfo Omar I, che ingiunse agli ebrei di apporre
ai propri abiti un segno distintivo di colore giallo, furono considerate!
vincolanti nei califfati del mondo islamico. I dotti israeliti poterono
così collaborare con i filosofi musulmani nello studio e nell'interpretazione
delle opere capitali della filosofia greca: questa posizione di preminenza in
ambito culturale e sociale caratterizzò, dopo il X secolo, la vita degli ebrei
presenti in buon numero nella Spagna musulmana, dove essi raggiunsero spesso le
più alte cariche politiche e amministrative e resero possibile la diffusione in
Occidente dei testi dei filosofi greci, soprattutto Aristotele, traducendoli da
versioni arabe.
La fine della dominazione islamica nella penisola iberica nel XIII secolo segnò
per gli ebrei l'inizio dell'epoca delle persecuzioni sotto i cosiddetti
"re cattolici", e già nel 1215 il concilio Lateranense IV , convocato
dal papa Innocenzo III, varò una politica di restrizione nei confronti delle comunità
ebraiche, imponendo il segno distintivo sugli abiti e creando le premesse per
l'istituzione del ghetto, il quartiere isolato entro i cui confini erano
costretti a risiedere gli israeliti nelle città principali. Espulsi
dall'Inghilterra nel 1290 per iniziativa del re Edoardo I e dalla Francia per
decreto emanato dal re Carlo VI nel 1394, gli ebrei di Spagna furono costretti
a convertirsi in massa al cristianesimo, e ben presto l'Inquisizione spagnola,
istituita nel 1478, si impegnò a scovare quegli israeliti bollati come marranos
(in spagnolo "porci") perché accusati di continuare a professare
segretamente la propria religione nonostante l'accettazione formale della fede
cris!
tiana. Espulsi anche dalla Spagna nel 1492 e dal Portogallo nel 1497, gli ebrei
trovarono rifugio, oltre che in Olanda e a Costantinopoli, nell'Europa
orientale, soprattutto in Polonia, dove il loro numero ammontava nel 1648 a
circa 500.000 individui. Qui essi vissero raccolti in comunità che godettero di
una certa autonomia culturale e religiosa prima di divenire oggetto, fra il
1648 e il 1658, della violenta persecuzione scatenata dai seguaci di Bohdan
Khmelnytsky, il leader dei cosacchi ucraini.
L'epoca moderna
Ritornati in Inghilterra dopo il 1650, all'epoca di Oliver Cromwell, e
incoraggiati a insediarsi nelle colonie americane, gli ebrei furono riammessi
anche in Francia nel 1791, nel contesto degli ideali libertari della
Rivoluzione francese adottati poi da Napoleone, che nel corso delle sue
campagne militari affrancò gli israeliti confinati nei ghetti delle varie città
europee. La nuova politica di repressione, favorita dalla Restaurazione dopo il
1815, non bloccò comunque il processo di integrazione degli ebrei nella vita
sociale dei paesi dell'Europa occidentale, e intorno al 1860 la loro cosiddetta
"emancipazione" poteva dirsi fatto compiuto.
L'Europa orientale conobbe invece un'epoca di recrudescenza delle persecuzioni
antiebraiche soprattutto dopo l'annessione alla Russia, fra il 1772 e il 1796,
delle regioni orientali della Polonia; il regime zarista favorì direttamente i
pogrom, periodici massacri di ebrei, la cui presenza era considerata una fonte
di diffusione degli ideali liberali nel contesto ancora semifeudale dell'impero
russo della fine del XIX secolo. Per sottrarsi alle persecuzioni, scatenate
fino alla rivoluzione comunista del 1917, circa due milioni di israeliti
viventi nei territori posti sotto il controllo russo emigrarono negli Stati
Uniti fra il 1890 e la fine della prima guerra mondiale, unendosi alle comunità
già presenti in quel paese fin dal 1654, anno dell'immigrazione di un gruppo di
marranos brasiliani, a cui fece seguito l'insediamento, dal 1780, e, in misura
maggiore, dal 1815, di ebrei europei e soprattutto, dopo il 1848, tedeschi. Nel
1924, pertanto, la popolazione statunitense di orig!
ine ebraica ammontava, quando furono imposti limiti al flusso migratorio, a
circa tre milioni di unità.
L'emancipazione ormai raggiunta in Europa occidentale spinse gli ebrei a
superare il loro isolamento integrandosi nella vita sociale e politica dei
paesi in cui si trovavano, e il XIX secolo conobbe così, accanto a figure come
quella di Moses Mendelssohn, traduttore della Bibbia in tedesco e fondatore di
un ebraismo che sarà detto "riformato" a motivo dell'atteggiamento di
apertura verso le istanze della cultura moderna, personaggi quali il poeta
tedesco Heinrich Heine, ebreo convertito al cristianesimo, e lo statista
inglese Benjamin Disraeli, figlio di un ebreo convertito. Se Karl Marx e
Sigmund Freud erano ebrei apparentemente lontani dalla cultura dei padri, come
anche Albert Einstein e il pittore Camille Pissarro, i decenni a cavallo fra il
XIX e il XX secolo saranno caratterizzati dall'attività di alcuni movimenti
che, prendendo le mosse dalle istanze di rinascita culturale tipiche della
Haskalah, o "illuminismo ebraico", inviteranno le comunità
israelitiche a riscoprire!
, anche al di fuori della dimensione religiosa, la propria identità
tradizionale e la propria storia, promuovendo il ritorno all'uso dell'ebraico
come lingua parlata (vedi Ebraismo riformato).
Quest'epoca di intensa attività intellettuale sarà caratterizzata dal sorgere
di una nuova forma di ostilità nei confronti della popolazione di origine
ebraica, il cosiddetto antisemitismo, termine utilizzato per definire
l'atteggiamento proprio dei diversi movimenti di pensiero inclini a individuare
gli ebrei, indipendentemente dal loro orientamento in materia politica e
religiosa, come componente razziale da considerarsi comunque non appartenente al
novero dei popoli europei. Il diffondersi di posizioni di questo genere in
Francia condizionò sicuramente la vicenda nota come affare Dreyfus, dal nome
dell'ufficiale ebreo ingiustamente condannato per tradimento al termine di un
celebre processo, che ebbe fra i suoi spettatori più attenti l'ebreo austriaco
Theodor Herzl. Quest'ultimo, nel 1896, fondò il movimento del sionismo, per
dare voce agli israeliti decisi a rivendicare la creazione di uno stato ebraico
indipendente come unica soluzione al problema dell'antisemitismo e di !
ogni forma di intolleranza. Le speranze del sionismo si realizzeranno
compiutamente soltanto nel 1948, con la creazione dello stato d'Israele dopo le
tragiche vicende dell'Olocausto, lo sterminio degli ebrei perpetrato dai
nazisti negli anni della seconda guerra mondiale.
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