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Niccolò Machiavelli
Nasce a Firenze il
3 maggio 1469 da Bernardo e Bartolomea Nelli. La
famiglia paterna, appartenente all'antica piccola nobiltà fiorentina, che aveva
dominato in Val di Pesa e in Val di Greve e per qualche tempo su Montespertoli prima di cadere sotto l'egemonia del comune
di Firenze, nel quale si allearono con la parte Guelfa del Sesto d'Oltrarno (che abbandonò Firenze nel 1260 dopo la rotta di Montaperti), raggiungendo alti gradi dell'ufficio di
governo (tennero per tredici volte l'ufficio di Gonfalone di Giustizia e in
vari tempi per 53 volte il Priorato), ora decaduta. Lo stemma di famiglia aveva
quattro chiodi ("mali clavelli",
chiodi cattivi per chi li offendesse), agli estremi della croce d'argento in
campo azzurro. Anche la madre (di cui si diceva che sapesse comporre poesie)
apparteneva a una famiglia abbastanza distinta, proveniente dagli antichi conti
di Borgonuovo di Fucecchio,
noti fin dal decimo secolo (ebbe l'onore di ricoprire una volta con Francesco
di Nello l'ufficio di Gonfaloniere e per cinque volte la carica del Priorato).
Era l'anno in cui Lorenzo il
Magnifico divenne signore di Firenze dando vita ad un'epoca di straordinario
splendore: in quegli anni Firenze ospitò e dette vita a intellettuali
grandissimi, come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, artisti fra i più grandi mai esistiti
come Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, e
artisti di grandezza assoluta le cui opere sono l'orgoglio dei più importanti
musei del mondo come Raffaello e Botticelli; Firenze
fu senza paragone "la sede più importante del moderno spirito italiano
ed anzi europeo" e "il primo fra gli stati del mondo moderno"
(Burckhardt).
Il padre di Niccolò era un uomo
di legge che (giureconsulto e tesoriere della Marca), per accrescere i mezzi
per vivere un'esistenza dignitosa, era dovuto andare a servizio di vari comuni
della zona. Questa "povertà" iniziale peserà non poco sulla vita di
Niccolò quando entrerà nella vita politica. Fu anche per sua esplicita volontà
che Machiavelli ebbe un'ampia e approfondita
formazione culturale umanistica, studiando con maggiore attitudine più profitto
di molti: conobbe il latino e un poco di greco e soprattutto i grandi scrittori
della lingua fiorentina; ma soprattutto lesse i classici e visse attentamente
la vita del suo tempo, comprendendo che non si può risalire al passato senza
intendere e vivere intensamente il presente, perché l'uomo del presente è
l'uomo di sempre pur nella diversità delle circostanze e delle apparenze in cui
si manifestano le sue azioni.
Machiavelli
vive in una città di mercanti e di banchieri, nella quale corrono le notizie
politiche ed economiche provenienti da tutto il mondo, notizie che vengono
variamente commentate per capire i risvolti che certi fatti hanno o potrebbero
avere su Firenze. Uno degli "amici" (e si dice anche maestro dal
1494) di quegli anni è senza dubbio Marcello Virgilio Adriani,
che sarà segretario della Repubblica, col quale in qualche modo collaborerà.
Della sua giovinezza si sa poco o nulla, come poco si sa dei suoi maestri o dei
suoi studi; qualche notizia ce l'offre Bernardo Machiavelli nel suo Libro di ricordi: nel 1476
comincia a studiare aritmetica e latino, l'anno dopo viene affidato alla scuola
di Battista da Poppi nella chiesa di San Benedetto, dal novembre 1481 passa
alla scuola del latinista Paolo da Ronciglione, col
quale approfondisce la lettura degli autori latini.
Possiamo immaginare che studiò
approfonditamente la storia romana e quella greca e i grandi scrittori. Nel 1496
gli muore la madre e quattro anni dopo, il 10 maggio 1500, il padre; nel 1497
patrocina a nome di "tutta la famiglia de' Machiavegli, cives florentini" una causa relativa alla rivendicazione di
certi prelievi fiscali e al godimento di vari diritti che da qualche tempo
erano nelle mani di una potente famiglia fiorentina. Nell'autunno 1501 sposa Marietta Corsini, dalla quale
avrà cinque figli e alla quale non sarà molto fedele: nelle sue lettere parla
spesso di amori fugaci o anche tenaci, come quello per la Riccia o per la
cantante Barbara Salutati, che porterà il suo coro a cantare alla
rappresentazione della Mandragola che il Guicciardini
voleva far rappresentare a Faenza o a Bologna, per la quale lo stesso Machiavelli avrebbe preparato le canzonette; la relazione
con la "Bàrbera" durerà in pratica fino
alla morte del Nostro.
Il Machiavelli
assistette a certi fatti salienti della sua città: arresti, condanne, esilii, esecuzioni capitali come quelle dell'arcivescovo Salviati e Iacopo Poggio Bracciolini
pendere dalle finestre di Palazzo Vecchio, o la morte di Lorenzo il Magnifico
nel 1492, l'entrata in Firenze di Carlo VIII nel 1494, l'ascesa e la morte di
fra Girolamo Savonarola condannato e arso nel 1498.
"Machiavelli
rimase estraneo all'ammirazione popolare per il frate domenicano Gerolamo
Savonarola, che dopo la cacciata dei Medici da Firenze (grazie anche a Carlo
VIII) e la restaurazione della Repubblica, cercò di realizzare dal '94 al '98
un governo insieme democratico e teocratico; ma, essendo ostacolato, per la
prima forma di governo, dal papato e per la seconda dai partiti politici della
città, il suo tentativo fallì ed egli pagò con la morte. Una lettera di Machiavelli indirizzata al Ricci contiene delle valutazioni
critiche sull'operato del Savonarola: gli appare come un "profeta
disarmato". A cinque giorni dall'esecuzione del Savonarola, forse grazie
anche all'appoggio di Marcello Virgilio Adriani,
professore nello Studio fiorentino, suo maestro di greco e latino che nel
frattempo era divenuto capo della prima cancelleria, Machiavelli
viene candidato all'ufficio di secondo cancelliere (o segretario) della
Repubblica di Firenze, in sostituzione di Alessandro Braccesi,
seguace del frate domenicano. Per avere l'ufficio occorreva avere capacità
diplomatiche e competenze nelle materie umanistiche (conoscenza perfetta del
latino, della storia antica e d 919g63j ella filosofia morale dei classici, capacità
stilistica e retorica). Il 19 giugno viene eletto a quella carica (die 15 mensis junii 1498 in Consilio Octuaginta
Virorum pro secunda Cancellaria loco ser Alexandri Braccesi, privati a dicto Officio, ex plurimis nominatis et scrutinatis,
iuxta formam legis de materia disponentis, remanserunt electi infrascripti quatuor. Missis singulariter ad partitum in Consilio Majori suprascriptis . qui sub die 15 ejusdem remanserunt electi in Consilio Octuaginta, prefatus Nicolao de Machiavellis,
obtento legitime partito, habuit majorem numero fabarum nigrarum. Et sic juxta formam
legis remansit electus pro dicta secunda cancellaria loco dicti ser Alexandri
Braccesi et pro residuo temporis electionis ipsius ser Alexandri
cum eodem salario. un'elezione
che sarebbe dovuta durare solo un mese per un salario di 192 fiorini annui) e,
poiché la seconda cancelleria s'occupava soprattutto della corrispondenza
relativa all'amministrazione dello Stato, Machiavelli
come capo di questa sezione era anche considerato uno dei sei segretari del
primo cancelliere e come tale viene ben presto assegnato, il 14 luglio, al
Consiglio dei Dieci della guerra (o di libertà e di pace): il comitato
responsabile per le relazioni estere e diplomatiche della Repubblica (Die 14 julii 1498. Item dicti Domini simul adunati. deliberaverunt quod Nicolaus Domini Bernardi de Machiavellis eorum Cancellarium inserviat usque ad per totum mensem augusti prox. Fut. Officio Decem Libertatis Civitatis Florentiae.).
Questi uffici gli daranno modo di radunare un vastissimo materiale storico e
politico che costituirà l'ossatura di tutte le sue opere". Manterrà entrambe
le cariche sino al 7 novembre 1512, anche se la seconda avrebbe dovuto avere la
durata di un solo mese, per quattordici anni e cinque mesi. (liberamente tratto
da Galarico; in corsivo i due decreti di nomina da
"Deliberazioni de' Signori e Collegi dal 1494 al
1502", provenienti dal Protocollo esistente nelle Riformagioni).
Così Niccolò diviene il
"Segretario fiorentino" per antonomasia, pur rimanendo una certa
confusione sul suo ruolo effettivo perché di fatto una divisione netta tra
prima e seconda cancelleria non esisteva, anche se gli stipendi erano
notevolmente diversi: 330 fiorini annuali per la prima e 192 per la seconda.
Comincia così la carriera diplomatica del Machiavelli
(compirà ben 23 missioni diplomatiche) proprio nel momento in cui la politica
italiana era cambiata dal momento in cui Carlo VIII era sceso in Italia: con la
discesa del re francese e successivamente di Luigi XII i governi della penisola
cessarono di formare un sistema indipendente, divenendo quasi semplici
satelliti dei regni di Francia e Spagna, mentre tutti i problemi interni
venivano discussi e decisi coll'influsso straniero; i
contrasti tra i governi non venivano più trattati nei senati e nelle piazze, ma
nelle anticamere di Luigi di Francia e Ferdinando di Spagna. La prosperità
degli stati italiani dipendeva più dall'abilità degli ambasciatori che
dall'azione politica di coloro cui era affidata l'amministrazione della cosa
pubblica.
L'ambasciatore doveva compiere
uffici molto delicati; "era un avvocato alla cura del quale erano affidati
i più cari interessi dei clienti, una spia investita di carattere inviolabile.
Invece di consultare, con modo riservato ed ambiguo, la dignità di coloro che
rappresentava, doveva cacciarsi in tutti gli intrighi della corte in cui risiedeva,
riscoprire e lusingare ogni debolezza del principe e dei favoriti che
governavano il principe, e degli staffieri che governavano i preferiti. Doveva
far complimenti ed essere di giovamento alla bella e corrompere con doni il
confessore, lusingare o supplicare, ridere o piangere, assecondare ogni
capriccio e sopire ogni sospetto, far tesoro di ogni indizio, osservare tutto e
tutto sopportare". (Macaulay, 1868)
Nel marzo 1499 compie la sua
prima missione presso Jacopo d'Appiano, signore di Piombino per sorvegliare
l'arruolamento delle truppe mercenarie e nel mese di luglio viene inviato
presso Caterina Riario Sforza, contessa di Forlì, per
indurla a partecipare alla guerra contro Pisa; verso la fine dell'anno segue le
truppe fiorentine e manda un breve rapporto al Consiglio dei Dieci: Discorso
fatto al magistrato dei Dieci sopra le cose di Pisa.
All'inizio del 1500 i francesi
avevano mandato dei mercenari guasconi al soldo di Firenze, ma al momento
opportuno essi avevano disertato; per questo nel mese di luglio, insieme a
Francesco della Casa, viene inviato da Luigi XII per esprimere il risentimento
della Repubblica fiorentina dopo l'ammutinamento delle truppe francesi che, al
servizio di Firenze, assediavano Pisa. Pur fallendo nello scopo principale
(ottenere validi aiuti contro Pisa) intesse una abile trama diplomatica col
fine di ridare una certa importanza alla Repubblica fiorentina attraverso
un'azione volta a "diminuire e' potenti, vezegiare
li sudditi, mantenere li amici e guardarsi da' compagni, cioè da coloro che
vogliono avere equale autorità", come scrive in
una relazione mandata a Firenze, anticipando concetti che esprimerà nel III
capitolo del Principe in cui analizza proprio gli errori della condotta
di Luigi XII in Italia.
Nel febbraio 1502 viene inviato
a Pistoia, lacerata da lotte intestine. Un'esperienza su cui scrive due
promemoria: Ragguaglio delle cose fatte dalla Repubblica Fiorentina per
quietare le parti di Pistoia e il De rebus pistoriensibus,
che propongono i principali temi del pensiero politico machiavelliano: impedire
il frazionamento municipalistico del territorio
dominato da Firenze e ostacolare qualsiasi tentativo unificatore delle regioni
centro-settentrionali dell'Italia, nel pieno rispetto del sentimento che mirava
esclusivamente alla sicurezza della Repubblica fiorentina che perseguiva quale
segretario della seconda cancelleria.
Nello stesso anno, in giugno,
Cesare Borgia, nominato duca di Valentinois
da Luigi XII, dopo aver conquistato Faenza il 25 aprile e compiuto così la
conquista della Romagna, si impadronisce del Ducato di Urbino con l'azione
politica del padre Papa Alessandro VI e l'appoggio delle milizie francesi,
attraversando da padrone i territori della Repubblica fiorentina, timorosa
della armi di re Luigi; nell'ottobre il vescovo Soderini,
fratello di Pier Soderini Gonfaloniere di Firenze dal
1498, si reca ad Urbino per incontrare Cesare Borgia:
è questa l'occasione del primo incontro tra Machiavelli
(che accompagna il Soderini) e il duca Valentino
durante il quale il Nostro ha quelle impressioni che caratterizzeranno il
protagonista del Principe, che appare un audace e spietato statista,
dotato di eccezionali capacità politiche prima ancora che militari, freddamente
determinato a crearsi uno stato e genialmente incamminato sulla strada della
creazione di una milizia personale e cittadina, scartando le milizie ausiliarie
e mercenarie, infide e spesso traditrici, comunque più legate al soldo che a
rischiare la vita per chi le ha ingaggiate. Machiavelli
resta molto colpito dal personaggio, tanto che chiede al suo coadiutore di
cancelleria, Biagio Buonaccorsi, una copia delle Vite
di Plutarco per cercarvi evidentemente un termine di paragone col Valentino che
si impone come personaggio quasi mitizzato, una figura che incarna bene il
"principe" dotato di quella virtù che permette di prendere le
decisioni opportune al momento opportuno, tenendo presente il fine principale
che ogni principe deve sempre tenere bene a mente: mantenere il principato.
Il Valentino era stato nominato
dal padre, papa Alessandro VI, duca di Romagna e dal re di Francia, duca di Valentinois; al fine di realizzare un forte Stato
nell'Italia centrale, con l'aiuto delle armi francesi di Luigi XII sta facendo
una campagna militare contro i piccoli signori marchigiano-romagnoli,
coalizzatisi nella Lega della Magione, località presso Perugia,
dove fu tenuta la riunione il 9 ottobre 1502, alla quale parteciparono alcuni
nobili della campagna romana:
"Congregornosi adunque alla Magione, in quel di Perugia, il cardinale Orsino (il quale dopo la partita del re, temendo di ritornare a Roma, si era stato a Monteritondo), Pagolo Orsino, Vitellozzo, Giampagolo Baglione e Liverotto da Fermo, e per Giovanni Bentivogli Ermes suo figliuolo, e in nome de' sanesi Antonio da Venafro ministro confidentissimo di Pandolfo Petrucci; dove, discorsi i pericoli loro sí evidenti, e l'opportunità che avevano per la ribellione dello stato d'Urbino e perché al Valentino abbandonato da loro restavano pochissime genti, feciono confederazione a difesa comune e a offesa di Valentino e a soccorso del duca d'Urbino, obligandosi a mettere tra tutti in campo settecento uomini d'arme e novemila fanti. Nella quale confederazione, avendo grandissimo rispetto a non irritare l'animo del re di Francia . Ricercorono oltre a questo il favore de' viniziani e de' fiorentini, offerendo a questi la restituzione di Pisa, la quale dicevano essere in arbitrio di Pandolfo Petrucci per la autorità che avea co' pisani; ma i viniziani stetteno sospesi aspettando di vedere prima la inclinazione del re di Francia, e i fiorentini ancora, per la medesima cagione e perché avendo l'una parte e l'altra per inimici temevano della vittoria di ciascuno.". (Guicciardini)
La coalizione contro il Duca fallisce sia per l'indecisione e l'ingenuità dei
vari partecipanti, sia perché viene a mancare l'aiuto sperato di Venezia (quasi
timorosa del re francese) e di Firenze per motivi puramente politici. Poiché il
Valentino stava già istigando Arezzo e la Val di Chiana a ribellarsi a Firenze,
questa si vide costretta a contattarlo. Dopo essersi riconciliato con i
condottieri ribelli (che avevano partecipato alla Dieta della Magione), il
Valentino invita, dopo averli ampiamente rassicurati, i partecipanti alla Dieta
a Senigallia per celebrarvi la ratifica dei nuovi accordi, il 31 dicembre 1302,
dove li fa invece catturare e strangolare. Machiavelli,
per la sua seconda legazione presso il Borgia, è
presente ai fatti e al suo ritorno a Firenze scriverà l'operetta Descrizione
del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo
Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini.
Come abbiamo detto, Machiavelli ravvisa nel Valentino il principe che poteva
incarnare la vera capacità politica di comando e dominio delle situazioni che
man mano si venivano creando in modo fluido e quasi inafferrabile. Ma
un'estrema malignità di fortuna toglierà di mezzo un personaggio che non aveva
avuto il tempo di mettere radici nella situazione politica italiana, pur avendo
capito che uno dei mezzi per poter trionfare su coloro che ti vogliono togliere
il potere è quello di avere truppe personali e non mercenarie.
Nella primavera del mese 1503
viene mandato a Siena presso Pandolfo Petrucci di
giugno e nel mese di giugno viene incaricato da Pier Soderini
di organizzare le forze militari per mettere fine alla lotta contro Pisa e per
domare la situazione esplosiva della Valdichiana e di
Arezzo.
Il 18 agosto muore
improvvisamente Alessandro VI, sembra avvelenato per errore in un ennesimo
complotto organizzato insieme al figlio Cesare ai danni del Cardinale Adriano Castellesi di Corneto di cui
avrebbero voluto incamerare i cospicui beni da utilizzare per la continuazione
e il completamento dell'opera del Valentino nella conquista della Toscana e
forse anche della secolarizzazione dello stato della Chiesa. Invitato dal
Cardinal Castellesi nella sua villa per errore dal
servitore gli viene data quella stessa coppa di vino avvelenata che era stata
destinata al padrone di casa. Il suo successore, Pio III, avrà vita breve e
morirà il 18 ottobre, dopo due soli mesi di pontificato.
L'elezione di Giuliano della
Rovere, che assume il nome di Giulio II, segna la fine del Valentino; il nuovo
papa si rimangia il patto stretto col Borgia (che in
cambio dell'appoggio all'elezione di Giuliano della Rovere, sarebbe stato
nominato capitano generale dell'esercito papale se l'elezione avesse avuto buon
esito), mentre questi era malato e impossibilitato a influire in maniera
decisiva nell'elezione del nuovo papa, vendicandosi degli affronti e
dell'esilio decennale subiti sotto Alessandro VI. Abbandonato a se stesso,
senza più appoggi, Cesare Borgia è costretto a
fuggire e verrà arrestato dopo qualche mese da Consalvo di Cordoba gran
capitano delle truppe spagnole a Napoli. Prigioniero prima a Napoli, poi in
Spagna, riesce a fuggire e a trovare rifugio presso il cognato re di Navarra, ma trova anche la morte nella sua ultima impresa
sotto il castello di Viana.
Ad assistere all'elezione del
nuovo pontefice in autunno il governo fiorentino decide di mandare Machiavelli che resta a Roma fino a buona parte di
dicembre; Della Rovere viene eletto con una larga maggioranza, e nella
relazione che invia a Firenze, Machiavelli giudica
con dure parole l'atteggiamento del duca Valentino sottolineandone gli errori
sul piano della condotta politica, che gli faranno perdere quel poco di credito
e di "respecto" che ancora possedeva.
A seguito della rotta francese
sul Garigliano (28 dicembre 1503) all'inizio del 1504 Machiavelli
viene di nuovo inviato in Francia, in aggiunta al regolare ambasciatore Niccolò
Valori, in qualità di emissario particolare del Gonfaloniere Pier Soderini, che il 22 settembre 1502 era stato eletto
"Gonfaloniere Perpetuo della Repubblica Fiorentina", e che tanto si
fidava dei suoi giudizi politici.
Al 1504 deve farsi risalire la
composizione dei Capitoli per una compagnia di piacere, nei quali si fa
menzione del David di Michelangelo come già collocato in piazza della
Signoria (nel mese di giugno era stato posto a lato di Palazzo Vecchio.
Machiavelli
ha ormai acquistato una posizione di prestigio all'interno delle istituzioni
cittadine, anche per l'appoggio del Gonfaloniere, costatato il fallimento delle
milizie mercenarie nella guerra contro Pisa, fa alla Signoria, e quindi a Pier Soderini, una proposta rivoluzionaria: costituire una
milizia popolare. Il Consiglio Maggiore lo autorizza alla fine del 1505 a
cominciare il reclutamento nel vicariato del Mugello e nel Casentino, evitando
l'arruolamento cittadino per impedire che uomini armati potessero far da soli e
conquistare il potere nella città. I ceti borghesi non avevano intenzione di arruolarsi,
per cui le truppe erano prevalentemente costituite da contadini; questo destava
molte preoccupazioni: dare le armi in mano al popolo, infatti, significava
andare controcorrente e poneva come importanti interrogativi in primo luogo
quello della disponibilità a combattere di persone che non vi erano abituate e
non avevano motivazioni sufficiente e in secondo luogo quello di una possibile
destabilizzazione politica di Firenze.
Nel dicembre 1505 viene
istituita la magistratura dei Nove Ufficiali dell'ordinanza e della milizia
fiorentina, della quale Machiavelli viene
nominato Segretario: "cominciò el
gonfaloniere, sanza fare consulta, colla autorità
della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in Casentino, in
Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che
parevano atti a questo esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a fare
esercitare e ridursi in ordinanza al modo svizzero" (Guicciardini). Tra gennaio e marzo 1506 Machiavelli
viene dunque impegnato dal Soderini al reclutamento
in Mugello e nel Casentino. Durante il Carnevale avviene per le vie cittadine
la prima sfilata delle nuove truppe; i fanti erano vestiti di "un farsetto
bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le
scarpette, e un petto di ferro e le lance" (Guetta).
La Milizia nel 1509 si
comporterà bene durante l'assedio di Pisa, mentre il 10 marzo di quello stesso
anno Machiavelli incontra i Pisani a Piombino per
trattare una onorevole resa, firmata da Virgilio Adriani
e appunto Machiavelli che può entrare alla testa dei
suoi battaglioni in Pisa dopo una guerra durata 15 anni. La Milizia, più che un
ritorno al Medioevo, come ha affermato qualche critico, deve essere vista come
una necessità dello stato moderno che si deve avvalere delle sue forze interne
per provvedere alla sua esistenza piuttosto che servirsi delle forze
mercenarie.
Nel 1506 segue come osservatore
la spedizione di Giulio II per riconquistare Perugia
contro Giampaolo Baglioni e Bologna contro Giovanni Bentivoglio (nascono da questa missione i Ghiribizzi scripti in Perugia al Soderino, in cui troviamo il principio che bisogna
guardare il fine e non il mezzo e che la politica non è buona o cattiva ma
utile o dannosa); in dicembre è a Roma in legazione presso papa Giulio II che
si è già ripreso molti territori facenti parte un tempo dello Stato pontificio
e che ora ha intenzione di cacciare i francesi dall'Italia: cosa che comincerà
a fare a partire dal 1510. Firenze da un lato vuole mantenere la propria
neutralità e dall'altro non può dimenticare i benefici avuti dai francesi;
comunque non crede che il papato sia in grado di realizzare il progetto. Nello
stesso anno il Nostro pubblica il suo primo scritto: il Decennale primo,
una composizione in terzine, scritta in 15 giorni, che abbraccia gli ultimi
dieci anni della storia fiorentina (1494-1504). Nella dedica si legge:
"Leggete, Alamanno (Alamanno Salviati, ndr), poi che voi lo desiderate, le fatiche d'Italia di
dieci anni, e la mia di quindici dì".
Nel 1508 scrive il Rapporto
delle cose della Magna che porta la data del 17 giugno, al rientro dalla
legazione, che lo aveva impegnato sin dal 17 dicembre dell'anno precedente,
come osservatore in appoggio a Francesco Vettori, presso Massimiliano d'Asburgo
che si proponeva di scendere in Italia, confidando nell'appoggio del papa, che
nel frattempo era impegnato a creare una coalizione contro Venezia che
rifiutava di ridare alla Chiesa alcuni territori dello Stato Pontificio. Machiavelli fu inviato nonostante molte e decise
opposizioni, come afferma lo stesso Guicciardini
nelle Storie Fiorentine: "E fu eletto per opera del
gonfaloniere, che vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si
mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e'
quali era bene che si esercitassino. E però mutata la
elezione, fu deputato Francesco di Piero Vettori con commessione
generale e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere".
Il Rapporto verrà condensato nel Discorso sopra le cose dell'Alemagna e sopra l'imperatore e infine ripreso nel 1512
col titolo di Ritratto delle cose della Magna.
Intanto Giulio II, asceso al
pontificato anche col fermo proposito di recuperare alla Chiesa tutte le sue
terre, non si limita a lanciare l'interdetto contro Venezia, il rivale più
agguerrito, ma aderisce alla Lega firmata a Cambrai
il 10 dicembre 1508, alla quale partecipano, insieme agli stati italiani
timorosi dell'espansionismo veneziano, anche i re di Francia Luigi XII e di
Spagna Ferdinando il Cattolico insieme all'imperatore Massimiliano d'Austria,
senz'altro il più pericoloso non solo per la sua vicinanza ma soprattutto per
la sua volontà di avere uno sbocco sul mare Adriatico (Massimiliano pensa di
sottrarre a Venezia i porti di Trieste e Fiume). La Lega infligge ai Veneziani
la rovinosa disfatta di Agnadello (14 maggio 1509),
durante la quale muore anche il comandante delle truppe veneziane Roberto da Sanseverino, sottraendo loro molte terre Venezia è ad un
passo dalla perdita della sua indipendenza, ma viene salvata sia dalla eroica
fedeltà delle popolazioni contadine e cittadine della terraferma (nella quale
era penetrato colle sue forze l'imperatore, mettendo a ferro e fuoco le terre
di Verona Vicenza Padova Bassano Feltre)
sia dall'abile azione diplomatica messa in atto dai suoi governanti che
riescono, mediante accordi separati, a dividere il fronte dei coalizzati.
Venezia comunque dopo questa sconfitta, pur riuscendo a mantenere a conservare
la propria integrità territoriale, dovrà dire addio ai suoi sogni di diventare
una grande potenza di terraferma.
Machiavelli,
subito dopo la descritta entrata in Pisa alla testa della sua Milizia, il 10
novembre 1509 viene inviato al campo dell'Imperatore: prima Mantova e poi
Verona sono le tappe di questa legazione, e a Verona consegnerà al tesoriere
dell'Imperatore 10.000 fiorini d'oro. Invierà a Firenze in rapporto in cui
mette in risalto l'eroismo dei contadini veneti contro i Tedeschi: "Tutto
dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare il nome
veneziano. E pure iersera ne fu uno innanzi a questo
vescovo, che disse che era Marchesco (di San Marco),
e Marchesco voleva morire, e non voleva vivere
altrimenti, in modo che il vescovo lo fece appiccare; né promesse di camparlo
né d'altro bene lo poterono trarre di questa opinione; dimodochè,
considerato tutto, è impossibile che questi Re tenghino
questi paesi con questi paesani vivi".
Machiavelli
torna a Firenze il 2 gennaio 1510 e subito dopo si trova nel mezzo di uno
spregiudicato cambiamento di fronte. Giulio II, che aveva ottenuto le terre
della Romagna che facevano parte dello stato pontificio, si riappacifica con i
Veneziani e promuove una Lega, da lui stesso detta "Santa",
alla quale invita Svizzeri, Inglesi e Spagnoli: Venezia si viene così a trovare
tra due fuochi, Giulio II da un lato e i Francesi dall'altro, senza la
possibilità di poter attuare una politica equidistante e senza il coraggio,
dimostrato più volte in quegli anni proprio dai Veneziani, così invidiati dal Machiavelli perché hanno la fortuna di perdere nelle
battaglie e di vincere nei negoziati, riacquistando diplomaticamente più di
quanto hanno perso militarmente: "Fu un tempo cosa quasi che fatale
alla repubblica veneziana perdere nella guerra, e negli accordi vincere, e
quelle cose che nella guerra perdevano, la pace dipoi molte volte duplicatamente loro rendeva". Lo stesso avviene
con l'Imperatore Massimiliano: "secondo l'ordine della fortuna loro
fecero un accordo con i Tedeschi, non come perdenti, ma come vincitori; tanto
fu per loro la repubblica onorevole". La fortuna dei veneziani era
l'effetto del loro coraggio e della loro tenacia, di quel non temere il peso e
i pericoli della guerra; per questo i nemici venivano a patti con Venezia
temendo la sua potenza e la forza del suo radicamento nel territorio. Il Machiavelli fiorentino, innamorato della sua
"patria" non poteva ammettere l'intrinseca forza di Venezia che
derivava anche dalla solidità di un Governo garantito nella sua esistenza e
continuazione da una serie di norme tanto rigide quanto difficili da
manomettere.
Così nel giugno 1510 Machiavelli si mette in viaggio per la Francia, incaricato
di farsi mediatore tra Francia e papato; si reca a Blois
per incontrare Luigi XII e invia a Firenze una serie di lettere che sono un
chiaro esempio della sua fredda lucidità di giudizio e della sua considerazione
sempre più frequente di inserire i fatti in una concezione politica più
generale. In esse il Machiavelli invita la repubblica
a prendere una chiara decisione in favore o del Papa o della Francia per
evitare di restare vittima comunque del vincitore, chiunque fosse stato. Ma il
suo consiglio resterà inascoltato e Soderini
persisterà in una politica di equidistanza tra papato e Francia. Tornato a
Firenze, nel mese di ottobre a Firenze scrive il Ritratto delle cose di
Francia.
Nel mese di Agosto 1511 si diffonde
la notizia che Giulio II è gravemente malato; allora Pier Soderini,
quasi raccogliendo il vecchio consiglio di Machiavelli,
decide di appoggiare i cardinali filofrancesi,
confidando in una loro vittoria; ma il papa guarisce inaspettatamente, e Machiavelli viene subito chiamato per parare l'ira del papa
e il 10 settembre è inviato a Milano e quindi in Francia per cercare di
impedire o almeno di rimandare l'effettuazione del concilio. Ma i tempi
precipitano: Giulio II lancia il 23 settembre l'interdetto contro Pisa e
Firenze;
"Sopravenne in questo mezzo il primo dí di settembre, dí determinato a dare principio al concilio pisano; nel quale dí i procuratori de' cardinali venuti a Pisa celebrorono in nome loro gli atti appartenenti ad aprirlo. Per il che il pontefice, sdegnato maravigliosamente co' fiorentini che avessino consentito che nel dominio loro si cominciasse il conciliabolo (il quale con questo nome sempre chiamava), dichiarò essere sottoposte allo interdetto ecclesiastico le città di Firenze e di Pisa, per vigore della bolla del concilio intimato da lui; nella quale si conteneva che qualunque favorisse il conciliabolo pisano fusse scomunicato e interdetto, e sottoposto a tutte le pene ordinate severamente dalle leggi contro agli scismatici ed eretici". (Guicciardini, Storia d'Italia, Lib. 10, cap. 5)
Il concilio, voluto dal re di Francia, con l'intento di far deporre il papa con
l'accusa di simonia, comincia a Pisa, tra l'ostilità generale sia dei pisani
che della stessa signoria di Firenze che non consentì il passaggio e lo
stazionamento non solo delle truppe francesi ma anche dei soldati al seguito
dei vari cardinali, all'interno del territorio della repubblica. Ma dopo appena
due sedute, anche a seguito di un fortuito tumulto scoppiato a causa di un
francese che aveva fatto insolenti apprezzamenti su una meretrice, si decide
nella seconda seduta di trasferire il concilio, chiamato sprezzantemente dal
papa conciliabolo, a Milano, dove avrà vita non meno difficile: "fatta il dí
seguente la [seconda] sessione, nella quale statuirno
che il concilio si trasferisse a Milano, si partirno
con grandissima celerità, innanzi al quintodecimo dí della venuta loro: con somma letizia de'
fiorentini e de' pisani, ma non meno essendone lieti
i prelati che seguitavano il concilio;". Affrettano i
preparativi per la partenza, lamentandosi "per la mala qualità degli edifici e per molte
altre incomodità procedute dalla lunga guerra, non era atto alla vita dilicata e copiosa de' sacerdoti
e de' franzesi, e molto piú perché, essendo venuti per comandamento del re contro
alla propria volontà, desideravano mutazione di luogo e qualunque accidente per
difficultare, allungare o dissolvere il concilio. Ma
a Milano i cardinali, seguitando per tutto il dispregio e l'odio de' popoli, arebbono avute le
medesime o maggiori difficoltà." (Guicciardini,
cit., lib.
10, cap. 7).
Gli eventi precipitano. L'11
aprile 1512 a Ravenna, in una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti
anni avesse veduto Italia, i Francesi sconfiggono le
truppe della Lega Santa, ma il comandante delle truppe francesi, Gastone
di Fois, vi trova la morte; la morte di Fois e le gravi perdite subite, insieme al timore di un
intervento dell'imperatore al fianco del papa, neutralizza gli effetti della
vittoria; successivamente sia la tregua con l'imperatore che la paura di un
intervento sul territorio francese degli inglesi che con le navi cominciavano a
infestare le coste della Normandia e della Bretagna, spinge Luigi XII a
richiamare in Francia un forte contingente di truppe, lasciando sguarnito
l'esercito di stanza in Italia. Nel Concilio Lateranense,
che proprio in quei giorni aveva aperto per contrastare il concilio pisano, il
papa ammonisce il re francese a lasciare libero il cardinale dei Medici, tenuto
prigioniero a Milano.
Firenze resta in balia del papa
e il 29 agosto le milizie comunali raccolte dal Machiavelli
vengono sconfitte dalle truppe spagnole e pontificie che conquistano e
saccheggiano Prato due giorni dopo, mentre Machiavelli
cerca di svolgere un'opera di pacificazione cittadina inviando un appello al
partito dei Medici perché non infierisca sul gonfaloniere sconfitto (Ricordo
ai Palleschi); così racconta Guicciardini
la fine della Repubblica e il ritorno dei Medici:
"Paolo Vettori e Antonio Francesco degli Albizi, giovani nobili, sediziosi e cupidi di cose nuove. la mattina del secondo dí dalla perdita di Prato, che fu l'ultimo dí di agosto, entrati con pochi compagni in palazzo, dove, per il gonfaloniere che si era rimesso ad arbitrio del caso e della fortuna, non era provisione né resistenza alcuna, e andati alla camera sua, lo minacciorono di torgli la vita se non si partiva del palazzo, dandogli in tale caso la fede di salvarlo. Alla qual cosa cedendo egli, ed essendo a questo tumulto sollevata la città, scoprendosi già molti contrari a lui e nessuno in suo favore, fatti per ordine loro congregare subito i magistrati che secondo le leggi avevano sopra i gonfalonieri amplissima autorità, dimandorno che lo privassino legittimamente del magistrato, minacciando che altrimenti lo priverebbeno della vita: per il quale timore avendolo contro alla propria volontà privato, lo menorno salvo alle case di Paolo, donde la notte seguente bene accompagnato fu condotto nel territorio de' sanesi; e di quivi, simulando di andare a Roma con salvocondotto ottenuto dal pontefice, preso occultamente il cammino d'Ancona, passò per mare a Raugia. Levato il gonfaloniere del magistrato, la città mandò subito imbasciadori al viceré, col quale per opera del cardinale de' Medici facilmente si compose: perché il cardinale si contentò che degli interessi propri non si esprimesse altro che la restituzione de' suoi. (e). venne subito in Firenze alle case sue; ove, parte con lui parte separatamente, entrorno molti condottieri e soldati italiani, non avendo i magistrati, per la vicinità degli spagnuoli, ardire di proibire che non vi entrassino. Dipoi il dí seguente, essendo congregato nel palagio publico per le cose occorrenti un consiglio di molti cittadini, al quale era presente Giuliano de' Medici, i soldati, assaltata all'improviso la porta e poi salite le scale, occuporono il palagio.
I Medici, cacciati nel 1494, dopo 18 anni, rovesciato il governo repubblicano,
il 16 settembre rientrano in città. L'8 novembre la signoria medicea solleva
dall'incarico, privandolo di ogni beneficio, Machiavelli:
"Die 8 novembris
1512. Praefati Magnifici et
excelsi Domini et Vexillifer simul adunati, etc., absente magnifice
Domino Paulo de Vectoris, uno ex dictis
Magnificis Dominis collegii domi aegrotante, vigore cuiuscumque auctoritatis, potestatis, eiusdem per quaecumque statuta ad ordinamente Populi et Comunis Florentiae
concessae et attributae et omni
meliori modo etc., servatis servandis etc., et obtento
partito inter eos per omnes fabas nigras,
cassaverunt, privaverunt et totaliter amoverunt
Nicolaum domini Bernardi de
Machiavellis ab et de
officio Cancellarii secundae
Cancellariae prefatorum Magnificorum et excelsorum Dominorum Florentiae, et ab et de officio sive exercitio, quod ipse Nicolaus hactenus
habuit et exercuit sive habere
et exercere consuevit in Cancellaria, sive pro computo Cancellariae Magistratus Decem Libertatis et Pacis
Excelsae Reipublicae Florentinae; ipsumque Nicolaum pro casso, privato, et totaliter amoto ab et de hujusmodi Officiis, sive exercitiis, et quolibet eorum habendum esse, et habere de caetero voluerunt, decreverunt, et mandaverunt. Mandantes etc."; il 10
viene condannato a un anno di confino all'interno del dominio e territorio
fiorentino con l'obbligo di non oltrepassarne il confine (che trascorrerà
presso San Casciano) e al pagamento di una cauzione ingentissima: mille fiorini d'oro, che gli saranno forniti
da tre amici rimasti sconosciuti: "Die
10 mensis novembris 1512. Item dicti
DD. Et Vexillifer simul adunati etc., juxtis de causis moti, ut
dixerunt, et servatis servandis etc. deliberaverunt, et
deliberando relegaverunt amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis, civem Florentinum, olim unum ex cancellariis dictorum Dominorum, in territorio et dominio Florentino per unum annum
continuum prox. Fut. Ab hodie;
quae confinia servare teneatur et debeat, nec de dicto dominio et territorio Florentino exeat nec exire
debeat sub poena eorum indignationis; et quod pro observantia supradictorum, et dictae relegationis debeat dare et det dictis Magnificis
et Excelsis DD. Eosdem fidejussores, sive expromissores, quos hodie ob similem causam dederat, ut apparet
manu ser Antonii de Bagnone, qui se sub dicta eadem poena flor. 1000 largorum, et eodem modo videlicet flor. 333 ½ largorum pro quolibet, in forma valida se obligent, quod praedictos fines in totum servabit; alias de eorum solvere, ut supra, Communi Florentiae quantitatem praedictam, cui dicta
poena applicari debeat, et sic eam tali casu applicuerunt.
Mandantes etc.". E infine il 17 a non
mettere più piede in Palazzo Vecchio: "Die
17 mensis Novembris 1512. Item dicti Magnifici et Excelsi DD. Et Vexillifer simul radunati etc. deliberaverunt fieri praeceptum et praecipi Nicolao dom. Bernardi de Machiavellis, olim cancellario secundae Cancellariae dictorum Magnificorum et Excelsorum DD.,
et. Blasio Bonaccursi olim Coadjutori Domini Marcelli, quatenus per unum annum proximum futurum a die notificationis hujus deliberationis, et praecepti non intrent, nec ingredi possint palatium praefatorum Magnificorum, et Excelsorum Dominorum, sub poena eorum
indignationis etc. Mandantes etc.".
Non si conoscono i motivi per
cui viene allontanato dai Medici dal suo incarico, tanto più che la sua onestà
è comprovata proprio dal non essersi arricchito col suo incarico, come
avrebbero fatto molti, e dal non essersi mai schierato decisamente a favore di
nessuno schieramento politico legandovi le sue sorti. Il Machiavelli
non è un eroe politico e neanche un partigiano. Gli nocque certamente la grande
amicizia dimostratagli da Pier Soderini durante i
suoi dieci anni di gonfalonierato e forse i suoi
consigli allo stesso Soderini ad assumere più
energici provvedimenti atti a consolidare lo stato della città e il governo; o
forse il suo impiego presso la Seconda Cancelleria, pur non essendo molto ben
remunerato, faceva gola a uno dei tanti servi che seguono il carro del padrone
vincitore.
Si ritira nella sua villa a San Casciano, ma spesso è chiamato ad andare in quel Palazzo
Vecchio che così solennemente gli era stato proibito di frequentare, per
spiegare cose pertinenti al lavoro che vi si svolgeva. Nel febbraio 1513 viene
scoperta la congiura di Agostino Capponi e Pietropaolo Boscoli
contro il nuovo governo mediceo, col fine di ammazzare il Cardinale Giovanni:
vengono presi i capi e uno di essi smarrisce una lista di venti nomi, fra i
quali si trova, al settimo posto, quello del Machiavelli,
che viene sospettato di avervi preso parte, arrestato e torturato "con sei
tratti di corda". Viene liberato dopo 22 giorni di prigione, in occasione
dell'amnistia per l'elezione dello stesso cardinale Giovanni, divenuto papa col
nome di Leone X. Provata la sua innocenza, spera di poter rientrare nelle
grazie dei nuovi padroni, ma le sue domande d'impiego rimarranno inascoltate.
Si ritira allora nella Potesteria di San Casciano nel
quartiere detto di Sant'Andrea in Percussina,
località La Strada, nella villa detta L'Albergaccio (che nel
testamento del 27 novembre 1522 lascerà alla moglie Marietta
Corsini figlia di Ludovico Corsini).
Machiavelli non nutre più alcuna speranza di tornare
alla vita politica attiva: la sua vita politica attiva è definitivamente
chiusa; per quanti sforzi facesse in seguito di ritornare ad vedersi assegnato
un posto di rilevante importanza, sempre i suoi sforzi resteranno vani e
daranno frutti ben poveri e miseri. Da adesso unirà alla sua firma la scritta
"quondam segretario". Machiavelli cerca di
reagire con una certa forza morale alla nuova situazione che si è venuta a
creare, ma si rende conto che nulla più potrà essere come prima. Rimane
praticamente fuori dalla vita attiva, e risponde alle lettere dei suoi amici e
al suo amico Francesco Vettori, solo "per parere vivo", ben sapendo
che egli ormai è "alieno con l'animo da tucte
queste pratiche, come ne fa fede lo essermi riducto
in villa, et discosto da ogni viso humano, et per non sapere le cose
che vanno adtorno, in modo che io ho ad discorrere al
buio". (a Vettori, 29 aprile 1513)
Nel 1513 scrive Il
Principe, in pochi mesi; il 10 dicembre così scrive all'amico Francesco
Vettori: "Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio
scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana,
piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique
corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente,
mi pasco di quel cibo, che solum è mio e che io
nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della
ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento
per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni
affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E, perché Dante dice che non fa
scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho
notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto
uno opuscolo De principatibus; dove io mi
profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto,
disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e' si mantengono, perché e' si perdono".
Con questa operetta,
scritta fra il luglio e il dicembre, e più verosimilmente tra ottobre e
novembre, piccola come mole, ma grandissima come teorizzazione
politica e conseguenze nei secoli futuri, Machiavelli
spera d'ingraziarsi le simpatie dei Medici, dedicandola a Lorenzo II dei Medici
(detto Lorenzino), che l'accoglie con una certa freddezza e un distacco che
delude molto il Nostro che capisce che è ben lontano il momento di poter
tornare alla politica attiva, anche perché a Roma esisteva un preciso veto ad utilizzare
Machiavelli in qualsiasi tipo di incarico politico,
pur riconoscendo la sua intelligenza, preparazione e soprattutto affidabilità.
Questa nuova coscienza lo spinge sulla via della letteratura, per la quale si
sentiva comunque particolarmente portato, tanto da restare amaramente deluso
quando Ariosto non lo inserirà nell'elenco dei poeti e dei personaggi
importanti del secolo presenti nel canto 46°.
Dal 1513 al 1519 lavora
ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio,
trattato sulle Repubbliche, che sotto certi aspetti è più importante del Principe.
I Discorsi ricordano la più grande esperienza che un popolo abbia mai
fatto e lasciato come ammaestramento per le generazioni future soprattutto sul
piano del Diritto. Le due opere sono legate insieme, e quasi non esiste
distinzione tra il Machiavelli repubblicano e il Machiavelli monarchico del Principe, perché molti
nessi in comune hanno i concetti fondamentali delle due opere. L'impostazione
dei Discorsi risente comunque della frequentazione degli Orti Oricellari, riunioni che avvenivano nei giardini di
palazzo Rucellai a Firenze, da quando, diminuita la
rigidità del confino, Machiavelli potè
cominciare a rimettere piede in Firenze.
Nel 1514 scrive il Decennale
secondo, che si ferma ai fatti del 1509 e del 1517, come testimonia anche
una lettera dello stesso Machiavelli scritta in
quell'anno a Ludovico Alamanni, è l'Asino (da
qualcuno intitolato anche Asino d'oro), un poemetto in terza rima che si
ispira un po' ad Apuleio e un po' a Dante e contiene
un fondo di amarezza dovuta alla irrimediabile caduta delle illusioni che
seguirono i dolorosi eventi del 1512. La donna che guida Machiavelli
(una Duchessa come Virgilio per Dante è stato Duca o una nuova Beatrice) è una
donna moderna e terrena, legata alle cose quotidiane:
"Ma perché via passar la notte sento,
vo' che pigliam qualche
consolazione."
lontane da quella spiritualità che caratterizza la Beatrice di Dante. Non solo,
ma per converso laddove Dante mira verso il cielo e la beatitudine eterna, Machiavelli scende sempre più sulla terra per capire che:
"non dà l'un porco a l'altro porco doglia,
l'un cervo a l'altro: solamente l'uomo
l'altr'uom amazza, crucifigge e spoglia."!
Nel 1515 Francesco I di
Francia conquista Milano e sigla la pace con Leone X. L'anno successivo muore,
dopo lunga malattia, Giuliano e gli succede Lorenzo II dei Medici detto
Lorenzino, che diviene Capitano generale dei fiorentini e, successivamente nel
mese di ottobre, Duca d'Urbino:
"Acquistato con
l'armi quello stato, che insieme con Pesero e Sinigaglia, membri separati dal ducato di Urbino, non era
di entrata di piú di venticinquemila ducati, Leone,
seguitando il processo cominciato, ne privò per sentenza Francesco Maria, e di poi ne investí nel concistorio Lorenzo suo nipote; aggiugnendo,
per maggiore validità, alla bolla espedita sopra
questo atto la soscrizione della propria mano di tutti i cardinali. Co' quali non volle concorrere Domenico Grimanno
vescovo di Urbino, e molto amico di quel duca: donde temendo lo sdegno del
pontefice partí, pochi dí
poi, da Roma; né vi ritornò mai se non dopo la sua morte".
(Guicciardini, cit. lib 12,
cap. 21).
Proprio a lui Machiavelli
dedica Il Principe, ma, come, narrano certi aneddoti del tempo,
Lorenzino fu attratto soprattutto dal regalo di una coppia di cani che
accompagnava il dono dell'operetta politica.
In quegli stessi anni
comincia a frequentare, nei giardini di Cosimo Rucellai,
i cosiddetti Orti Oricellari, una compagnia di
giovani di elevata condizione sociale e culturale, che si stringe intorno al
"vecchio segretario".
Nei mesi di
gennaio-febbraio del 1518, secondo studi approfonditi sull'argomento, Machiavelli compone la "Commedia di Callimaco e
Lucrezia, cioè La Mandragola, che viene data alle scene per la prima
volta durante le rappresentazioni teatrali organizzate per le nozze di Lorenzo de' Medici (detto Lorenzino) con Margherita de La Tour d'Auvergne nel settembre dello stesso anno (le altre commedie
rappresentate per quelle nozze furono il Falargho
e la Nutrice o Pisana di Filippo Strozzi).
La fortuna della
Mandragola fu rapida e di grande importanza; le rappresentazioni più importanti
avvennero nel 1520, durante il carnevale di Venezia del 1522 "allorché la
prima recita fu sospesa per l'eccessivo affollamento del teatro, e sempre nella
stessa città nel 1526". Alla fine del 1525 Machiavelli
compose le Canzoni che chiudono i cinque atti della Commedia, per le
rappresentazioni del Carnevale di Modena del 1526 patrocinate da Francesco Guicciardini e cantate da "Barbera" Salutati,
come abbiamo già ricordato.
Del 1518 è
probabilmente, secondo alcuni, ma la datazione è molto controversa, la novella Il
demonio che prese moglie, una favola meglio conosciuta col titolo di Belfagor Arcidiavolo, col quale anche noi
l'abbiamo riportata nella nostra Biblioteca elettronica; apparve col nome del
suo autore per la prima volta nel 1549, anche se già quattro anni prima Antonio
Blado l'aveva stampata nella raccolta delle Rime e
prose volgari di Monsignor Giovanni Brevio, in un
testo che conteneva molti errori, "ben lontano dalla finezza e
dall'arguzia dell'originale. Il furto del Brevio fu
subito avvertito e già nel 1547 Anton Francesco Doni
dichiarava di voler denunziarlo, ma fu preceduto nelle sue intenzioni da
Battista Giunti, che restituì al Machiavelli la
novella" (Gaeta). Belfagor un diavolo che scende
sulla terra per prendere moglie e capire quale è la condizione degli uomini che
si sono sposati e che tento si lamentano delle donne da rappresentare appunto
come un inferno la vita matrimoniale: Belfagor non
vedrà l'ora che passino in fretta i dieci anni concessigli da Plutone, il Diavolo supremo degli Inferi: tutto è costruito
con quella razionalità che contraddistingue il Machiavelli,
che individua un problema e mette in chiaro anche la soluzione. Di questi
stessi anni probabilmente è il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua,
in cui cerca di dimostrare (attraverso il dialogo con Dante) che la lingua
usata non ha origini "curiali" ma deriva tutta da quella usata
quotidianamente dai fiorentini.
Nel mese di gennaio del
1519, alla morte dell'imperatore Massimiliano, Carlo di Spagna acquisisce il
dominio familiare degli Asburgo e il 28 giugno cinge la corona imperiale. In
Italia il 4 maggio muore Lorenzo II de' Medici, cui
il Machiavelli aveva dedicato l'edizione definitiva
del Principe. Gli subentra nel governo della città il cardinale Giulio
dei Medici, che chiede a nome di papa Leone X, allo scrittore un parere sul
futuro assetto della città di Firenze e sulla situazione politica generale; Machiavelli gli invia la relazione Discursus
florentinarum rerum post mortem
iunioris Laurentii Medices, che segno un timido ritorno dello scrittore
alla vita politica; se non altro la morte di Lorenzino lo aveva tolto da
quell'emarginazione che tanto lo affliggeva e la nuova situazione gli dava la
speranza di poter ancora fare qualcosa per la sua Firenze, sulla quale si
stavano addensando tempi bui e difficili. Nel Discursus
Machiavelli ribadisce il concetto della politica
come scienza autonoma, mentre la vita dello stato è vista come lotta fra tre
qualità di uomini che sono in tutte le città, cioè primai,
mezzani e ultimi.
Nel mese di giugno
comincia a scrivere il trattato Dell'arte della guerra, che verrà
portato a compimento l'anno dopo: è il primo testo teorico di arte militare e
lo resterà fino a von Clausewitz
che tra il 1832 e il 1837 scriverà il trattato Dell'arte della Guerra,
in cui afferma che la razionalità del capo e il coraggio della fanteria restano
fattori decisivi. L'originalità dell'opera consiste proprio
nell'interpretazione dell'arte militare, nel superamento del sistema feudale
che privilegiava la cavalleria per arrivare alla nuova concezione della milizia
territoriale o popolare teorizzando una riforma delle istituzioni militari. Il
grande scrittore francese Montaigne nei suoi Saggi
pone il Machiavelli con questa sua opera vicino a
Polibio e Cesare come grande autorità in campo militare.
Nel 1520, in luglio,
viene inviato a Lucca per tutelare gli interessi di alcuni mercanti fiorentini
coinvolti in un grave fallimento e qui scrive la Vita di Castruccio Castracani, che è la favola esemplare del principe
virtuoso o razionale; la visita a Lucca verrà in seguito riassunta in un Sommario
delle cose della città di Lucca. Lentamente ricomincia a prendere una certa
posizione all'interno della politica della città. Il libretto viene dedicato a Zanobi Buondelmonti e a Luigi Alamanni, frequentatori come lui degli Orti Oricellari.
Il primo novembre sotto
la spinta di Lorenzo Strozzi, uno degli amici della compagnia degli Orti Oricellari, e per interessamento del cardinale Giulio de' Medici, succeduto nella guida della vita politica di
Firenze alla morte di Lorenzino, ebbe la nomina a servire nello Studio per
due anni e, fra l'altro, l'incarico di redigere annalia
et cronacas florentinas, con uno stipendio di 57 fiorini l'anno, la
metà di quanti anni prima ne prendeva come cancelliere (che in seguito subirà
un aumento fino a 100 fiorini l'anno, e quando le presenterà a papa Clemente a
Roma, questi gli darà un sussidio di altri cento ducati perché le continui).
Anche se lo stipendio era scarso, l'incarico era comunque prestigioso, perché
riceveva l'onore di essere lo storico ufficiale della città, incarico che prima
di lui avevano ricoperto altri primi cancellieri, come Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini.
"Ma c'era un
inghippo: era pacifico che le sue storie fossero scritte alla maniera di Livio, cioè con un fine etico, quello di fornire un modello
del buon cittadino. Sceso ormai in basso e per poco risalito, Machiavelli fu preso da crisi di coscienza (come risulta
dalla testimonianza del Giannotti e dalla sua
corrispondenza col Guicciardini. - Vedi ad es. la
lettera del 30 agosto del 1524: 'ingegnerommi di fare
in modo che, dicendo il vero, nessuno si possa dolere',
ndr -). Come poteva il repubblicano Machiavelli elogiare i Medici? Cominciò con lo strutturare
in maniera complicata gli otto libri delle Istorie
fiorentine, riducendo agli ultimi quattro la storia medicea; parlò di
politica estera piuttosto che di politica intera; evitò accuratamente i giudizi
sul governo dei Medici; ed infine elogiò Cosimo e Lorenzo, ma come uomini, non
come capi di una dinastia. Come ne I Discorsi, così anche nelle Istorie ricalca lo schema della introduzione de Il
Principe, con la stessa rivendicazione di dignità e di autonomia di
giudizio. E già nel I libro fa il contrario di quel che doveva essere fatto:
non si pèrita di sostenere la tesi che il papato è causa delle invasioni
straniere e abbonda in uno spirito di laicità. Ma troppi fatti sono qui
riassunti insieme. Così con molta noia cronachistica
le storie vanno avanti". (Tommaso Albarani).
Nel 1521, per desiderio
del cardinale Giulio, viene inviato dagli "Otto di Pratica" al
capitolo dei Frati Minori riunito a Carpi, per ottenere la separazione dei
conventi dell'Ordine del territorio di Firenze, creandone una provincia
autonoma che si sarebbe potuta governare meglio, da quelli del resto della
Toscana, mentre Francesco Guicciardini era
governatore di Modena: le avversità della fortuna prendono indubbiamente un
aspetto molto ironico, se pensiamo a quanto egli amasse e apprezzasse i frati
così ben rappresentati da fra' Timoteo nella Mandragola.
Per giunta, i consoli dell'Arte della Lana, approfittando di quella
legazione, mentre si trova già a Carpi, gli affidano anche la commissione di
scegliere un buon frate predicatore; la notizia gli viene portata da un certo
frate Ilarione, confidente del cardinal de' Medici:
il compito effettivo di Machiavelli è solo quello di
consegnare una lettera al ministro generale, frate Francesco da Potenza e
dirgli che la formazione della provincia fiorentina è desiderata dal cardinale,
anche perché il cardinale e la Signoria "desiderano de'
frati sentire buon odore, e non malo, come insino a
ora hanno fatto". E nulla è più comico di questo ambasciatore che si
presenta al Capitolo generale dei francescani dopo aver creato la figura di fra
Timoteo.
Era un incarico
indubbiamente ridicolo e meschino per un uomo della levatura intellettiva e
politica come Machiavelli; eppure era un incarico
importante, perché non solo segnava il ritorno dell'ex segretario alla vita
politica attiva, pur se minimale, ma segnava un suo ritornare a sentirsi vivo e
utile in qualche modo per Firenze.
Il primo dicembre 1521,
pochi giorni dopo aver elevato Carlo V al ruolo di Difensore della Fede
Cattolica contro le nuove idee religiose che in quegli anni stavano dilagando
ad opera di Martin Lutero, attiva già dal 1517 con
l'affissione delle sue 95 tesi sulla parta della cattedrale di Wittenberg, muore a soli 46 anni Leone X, tanto
improvvisamente che circolò la voce che fosse stato avvelenato, tanto che fu
arrestato il suo coppiere Bernabò Malaspina
e il maestro delle cerimonie di corte, Paride Malaspina,
invano insistette presso i medici per l'autopsia. Il 27 dicembre viene eletto
il vescovo di Tortosa, Adriaan Florensz
che prende il nome di Adriano VI e viene incoronato il 31 agosto 1322 sulla
scalinata di San Pietro, senza alcuna pompa, mentre in Roma si diffonde la
peste; ma il suo pontificato ha vita troppo breve, per poter lasciare un segno
tangibile nella caotica vita politica europea del tempo, mentre sempre più si
diffondeva l'eresia luterana. Dopo aver cercato di imporre ai prelati una vita
più dedita alle cose spirituali che a quelle terrene, non supera una breve
malattia e muore improvvisamente il 14 settembre 1523. Il 19 novembre viene
eletto Giulio de' Medici, già candidato contro
Adriano VI, che viene incoronato il successivo giorno 26 prendendo il nome di
Clemente VII, salutato con entusiasmo dalla folla, ma dimostrandosi incapace di
risolvere con decisione i difficili problemi che affliggevano il papato.
Intanto nel 1524 Signore di Firenze diventa Ippolito de'
Medici, figlio naturale di Giuliano di Nemours
Tra la fine del 1524 e i
primi giorni del 1525 compone la Clizia, una commedia, forse
commissionata, sul modello della Casina di Plauto, e probabilmente viene
corretta in occasione del matrimonio di Maria di
Filippo Strozzi con Lorenzo Ridolfi ed ha quasi un
sapore autobiografico, perché in essa Machiavelli
rappresenta il suo amore per Barbara Raffacani
Salutati (che verrà condannata dalla Chiesa ad essere sepolta fuori del
sagrato).
La prima
rappresentazione della commedia avviene il 13 gennaio 1525 nella villa
suburbana di Jacopo di Filippo Falconetti, con le
scene e le prospettive di Bastiano da Sangallo.
Intanto gli eventi
politici assumono una piega negativa per le forze francesi in Italia. Il 24
febbraio Francesco I viene sconfitto dalle truppe imperiali a Pavia, fatto
prigioniero e portato in Spagna: verrà liberato nel gennaio 1526 accettando le
dure condizioni della pace di Madrid colla rinuncia a tutti i diritti
sull'Italia; ma, non rispettando gli accordi, ritorna in Italia arrabbiato per
lo smacco subito e riapre le ostilità organizzando nel mese di maggio la Lega
di Cognac insieme a Firenze, Milano, Venezia e al papa Clemente VII che invano
con una infruttuosa ambasceria Carlo V aveva cercato di attirare nella sua
orbita.
Alla fine del mese di
maggio si reca a Roma per offrire a Clemente VII le Istorie
fiorentine; il Vettori lo aveva sconsigliato di venire a Roma a presentarle
di persona, forse divenuto sospettoso di quella corte di preti, anche se lo
stesso papa ne aveva espresso il desiderio; ma l'opera era ben degna di quella
solennità che il papa dava alla presentazione. E dell'incontro Machiavelli approfitta bene, esponendo al papa un suo
progetto di truppe nazionali, mostrando la necessità di contrapporre una forte
milizia italiana agli eserciti stranieri accampati nella pianura padana. Il
papa si mostra interessato al progetto machiavelliano e chiede un parere
tecnico al Guicciardini che svolge le funzioni di
presidente pontificio della Romagna.
A Firenze si pensa alla
difesa: nel giugno '26 viene istituita una nuova magistratura, quella dei Cinque
Procuratori delle mura e Machiavelli viene
nominato segretario con l'incarico di sovrintendere alle fortificazioni della
città. Si getta nel lavoro con la solita passione e con l'abilità delle sue
conoscenze, anche se più teoriche che pratiche.
Intanto nell'estate del
1526 le truppe della Lega assediano il castello di Milano (in quel mentre gli
armati dello Stato pontificio hanno come luogotenente generale Francesco Guicciardini) e Machiavelli segue
le operazioni di guerra delle truppe della lega di Cognac. In questo momento di
relativa calma viene inviato dal Guicciardini a
sollecitare dai capi della lega una più decisa condotta di guerra contro Carlo
V. Ma nel frattempo le truppe della Lega devono abbandonare l'assedio del
castello di Milano, proprio per gli errori politici del papa, che nel mese di
maggio si deve umiliare col cardinale Pompeo Colonna che aveva sguinzagliato
per Roma le sue soldataglie facendosi interprete del risentimento della Curia
contro l'operato del papa, che a questo punto non può più tirarsi fuori dalla
politica filofrancese. Ma all'inizio del '27 si trova
solo, senza aiuti militari quando il duca di Ferrara si schiera al fianco di
Carlo V, con i Lanzichenecchi in marcia verso Roma, che neanche il comandante
Carlo di Borbone riusciva a tenere a freno. Il 6 maggio
1527 15.000 uomini assatanati saccheggiano Roma; così racconta Guicciardini (cit., lib. 18, cap. 8:
"Entrati dentro, cominciò ciascuno a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all'autorità e degnità de' prelati, ma eziandio a' templi a' monasteri alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre. Però sarebbe impossibile non solo narrare ma quasi immaginarsi le calamità di quella città, destinata per ordine de' cieli a somma grandezza ma eziandio a spesse direzioni; . Impossibile a narrare la grandezza della preda, essendovi accumulate tante ricchezze e tante cose preziose e rare, di cortigiani e di mercatanti; ma la fece ancora maggiore la qualità e numero grande de' prigioni che si ebbeno a ricomperare con grossissime taglie: accumulando ancora la miseria e la infamia, che molti prelati presi da' soldati, massime da' fanti tedeschi, che per odio del nome della Chiesa romana erano crudeli e insolenti, erano in su bestie vili, con gli abiti e con le insegne delle loro dignità, menati a torno con grandissimo vilipendio per tutta Roma; molti, tormentati crudelissimamente, o morirono ne' tormenti o trattati di sorte che, pagata che ebbono la taglia, finirono fra pochi dí la vita. Morirono, tra nella battaglia e nello impeto del sacco, circa quattromila uomini. Furono saccheggiati i palazzi di tutti i cardinali (eziandio del cardinale Colonna che non era con l'esercito), eccetto quegli palazzi che, per salvare i mercatanti che vi erano rifuggiti con le robe loro e cosí le persone e le robe di molti altri, feciono grossissima imposizione in denari: e alcuni di quegli che composeno con gli spagnuoli furono poi o saccheggiati dai tedeschi o si ebbeno a ricomporre con loro. . Sentivansi i gridi e urla miserabili delle donne romane e delle monache, condotte a torme da' soldati per saziare la loro libidine: non potendo se non dirsi essere oscuri a' mortali i giudizi di Dio, che comportasse che la castità famosa delle donne romane cadesse per forza in tanta bruttezza e miseria. Udivansi per tutto infiniti lamenti di quegli che erano miserabilmente tormentati, parte per astrignergli a fare la taglia parte per manifestare le robe ascoste. Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose piú vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a piú di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore. "
Una guarnigione imperiale penetra
in Castel Sant'Angelo e tiene prigioniero papa
Clemente per sette mesi fino al 6 dicembre, quando comincia , dopo lunghi
negoziati, l'evacuazione della fortezza; il giorno dopo , colla compiacenza di
alcuni ufficiali, potrà fuggire travestito da venditore ambulante, rifugiandosi
prima a Orvieto e poi a Viterbo, da cui farà ritorno a Roma solo nell'ottobre
dell'anno dopo.
La caduta di Clemente
VII provoca a Firenze la caduta dei Medici. Il 18 maggio una sollevazione
popolare rovescia il governo mediceo e ristabilisce la costituzione
repubblicana. Machiavelli, che si era recato a Civitavecchia per ispezionare la flotta di Andrea Doria, torna precipitosamente a Firenze, ma si trova di
fronte a una generale ostilità, determinata non solo dalla sua collaborazione
coi Medici, anche se di scarsa rilevanza, ma anche dalle interpretazioni
faziose che si cominciano a dare del Principe, raccogliendo quasi una
generale avversione, perché, come scrive Giovan
Battista Busini in una sua lettera a Benedetto
Varchi, "pareva che quel suo Principe fosse stato un documento da
insegnare al Duca di tor loro tutta la roba e a' poveri tutta la libertà; ai piagnoni pareva che e' fosse
eretico, ai buoni disonesto, ai tristi più tristo o più valente di loro; talché
ognuno lo odiava".
Machiavelli
viene escluso da tutte le cariche della nuova repubblica il 21 giugno, quando
ormai nulla più poteva interessargli delle cose di questo mondo e la sua opera
veniva affidata alla storia.
La missione presso
Francesco Guicciardini fu l'ultima azione importante
della sua vita. Tornato, come abbiamo detto, a Firenze tra la fine di maggio e
i primi giorni di giugno del 1527, pochi giorni dopo per un medicamento
semplicissimo di cui soleva far uso per i suoi frequenti mali allo stomaco,
morì tra feroci dolori il 22 giugno, munito dei soccorsi spirituali della
Chiesa ed assistito dai sacerdoti fino agli ultimi momenti della sua esistenza.
Le sue ultime ore ci sono raccontate dal figlio Pietro in una lettera inviata a
Francesco Nelli professore nello Studio di Pisa: "Carissimo Francescho. Non posso far di meno di piangere in dovervi
dire chome è morto il dì 22 di questo mese Nicholò nostro padre di dolori di ventre, cagionati da uno
medicamento preso il dì 20. Lasciossi confessare le
sue peccata da frate Mateo, che gl'a' tenuto
compagnia fino alla morte. Il padre nostro ci a'
lasciato in somma povertà, come sapete. Quando farete ritorno qua su vi dirò
molto a bocha. O' fretta e
non vi dirò altro, salvo che a voi mi raccomando. MDXXVII. Vostro parente.
Pietro Machiavelli." (Firenze 22 giugno 1527).
Così muore quasi
all'improvviso il Machiavelli, repubblicano cacciato
dai Medici e mediceo cacciato dalla repubblica, ma di per sé fiorentino
attaccato alla libertà della sua città, per la quale aveva vissuto e sofferto.
Muore lasciando i cinque figli in una povertà maggiore di quella che aveva
ereditato da suo padre.
Ma certamente Machiavelli lascia di sé un ricordo abbastanza buono, tanto
da superare ben presto quelle avversioni che lo avevano afflitto in vita.
"Si racconta, scrive Ettore Janni, che nella cappella ove egli fu sepolto
in Santa Croce, più tardi si seppellissero persone d'una certa compagnia che ne
aveva curati i restauri, e si continuasse questa promiscuità anche dopo il
seppellimento di messer Bernardo, il primogenito.
Questa parve sconvenienza a un frate guardiano, che andò a farne parola al
canonico Niccolò Machiavelli figlio di Bernardo. Ma il canonico, tranquillo, gli rispose: - Deh!
Lasciateli fare. Mio padre era amico della conversazione, e quanti più morti
andranno a trattenerlo tanto maggior piacere ne avrà. - Erano bene il nipote e
il figlio di messer Niccolò
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