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L'emancipazione femminile tra 800 e 900
La corsa alla conquista dei diritti
femminili favorita dalla rivoluzione francese e a cui l'illuminismo aveva
fornito un'inesauribile riserva di strumenti intellettuali, venne violentemente
arrestata, nel 1804, dall'emanazione del codice di Napoleone che diede corpo
all'idea che la donna fosse proprietà dell'uomo e il suo compito primario
quello di restare relegata in casa. Portalis, uno dei preparatori del codice,
in base al solito principio della legge di natura che, secondo lui, relega le
donne in una condizione di inferiorità, sostenne che "Non è quindi in una
nostra ingiustizia, ma nella loro naturale vocazione, che le donne devono
cercare il principio dei più austeri doveri che sono imposti a loro maggior beneficio
e a profitto della società". E nella prima metà dell'800 il movimento per
l'emancipazione che si era via via allargato fino a coinvolgere le classi meno
privilegiate, si ritirò, tornando ad essere appannaggio di un'élite politica e
culturale.Alla lotta veniva fornita una matrice a volte marcatamente socialista,
secondo le più diffuse teorie del dibattito filosofico in corso, altre volte di
tipo nazionale e democratica, secondo le aspirazioni degli stati europei a
partire dagli anni '20. In Italia troviamo Bianca Milesi, soprannominata dal
Cattaneo 'l'emancipata Milesi'; essa, dopo aver studiato in Austria e Svizzera,
tornò nel suo paese natio, diffuse le innovative tecniche educative che aveva
appreso, e creò scuole popolari di mutuo insegnamento, dando vita anche ad una
sezione femminile della carboneria per la diffusione delle idee mazziniane. Tra
le sue discepole predilette c'era Cristina Trivulzio principessa di Belgiojoso
la quale fu una vera e propria riformatrice sociale e promotrice, ovunque si recasse,
della causa dell'unità nazionale secondo le idee repubblicane di Mazzini e
sociali di Saint Simon.Nel 1849, durante l'assedio di Roma, sollecitata da
Mazzini, lei, colta, ricca e aristocratica, mise insieme un gruppo di
"scostumate" popolane e organizzò il pronto soccorso e il servizio
ospedaliero per i feriti. Di queste nobildonne che aprivano i loro salotti a
patrioti, letterati ed artisti permettendo la circolazione e lo sviluppo delle
idee e che si dedicarono in particolar modo alla causa dell'elevazione
culturale della donna, creando asili, circoli, scuole innovative, ve ne sono
tantissime. Ricordiamo Matilde Calandrini in Toscana, Emilia Peruzzi a Roma, la
quale tra l'altro indusse il marito, deputato del primo parlamento italiano, a
presentare un progetto di legge a favore delle donne, e Laura Mantegazza e
Clara Maffei a Milano:"Nel piccolo appartamento in via Bigli, dove la contessa Maffei
riceveva ogni sera, si incontravano persone serie, vecchi patrioti, uomini di
studio e di bella fama, ma vi intervenivano anche signore del mondo elegante,
artisti, giovani che vedremo poi nel 1859 varcare il Ticino e arruolarsi tra i
volontari. Nelle serate in casa della contessa si discorreva piacevolmente di
cose serie e di cose liete, si discorreva di politica, di letteratura, d'arte,
e dei fatterelli cittadini; si scherzava e si rideva, ma l'intonazione generale
era sempre altamente patriottica. La contessa Maffei, di natura indulgente e
mite, diventava fiera e intransigente ogni volta che fosse in questione il
Governo straniero. Si pensi con quanto entusiasmo essa e i suoi amici
prendesser 838i88i o parte, in quell'inverno del 1858, alla lotta contro l'arciduca
Massimiliano (d'Asburgo, ndr) che ferveva nella società milanese...".Tra
gli ospiti più rinomati di casa Maffei vi erano Giuseppe Verdi, che confidava
spesso i suoi pensieri alla contessa la quale possedeva la virtù rara e
preziosa di serbare i segreti, e Balzac che "rimase incantato dalla
piccola Maffei e non tardò a provarne un'amicizia dolce, tenera che si confondeva
con l'affetto... Egli voleva essere sempre aiutato dalla parola consolatrice
della donna gentile, dalla sua stretta di mano, dal suo sorriso. La poesia dei
suoi ideali strideva, peraltro, un po' troppo nel confronto della prosa del suo
corpo pesante col quale sfondava le poltrone del salotto Maffei... A lui
avvezzo a Parigi, non piaceva Milano; si mostrava querulo, rannuvolato, solo il
prestigio della Maffei... aveva il potere di ridestarlo dalla tetraggine"
(M.I. Palazzolo, I salotti di cultura nell'Italia dell'800, pp. 91,
109). Intanto in America, nella seconda metà del XVIII secolo, assistiamo
a decise ma individuali azioni di impronta femminista, come quella di Abigail
Adams che nel 1776 chiese ad un membro del Congresso di tenere conto, nel nuovo
Codice delle leggi, i diritti delle donne: naturalmente non venne ascoltata. Nel 1843 veniva redatto il
primo vero e proprio manifesto femminista americano da parte di Margaret
Fuller. Il manifesto fu pubblicato dapprima come saggio dal titolo L'uomo
contro gli uomini - La donna contro le donne, all'interno della
rivista The dial. Ma nel 1845 fu rielaborato e apparve col titolo La
donna nel XIX secolo.Verso la metà del secolo, smorzatosi l'ondata
maschilista che aveva messo a tacere le speranze nate con la rivoluzione, il
femminismo si rianimò, uscì definitivamente dai salotti, passò dalle
elaborazioni teoriche individuali ad un'organizzazione più solida. I giornali
fondati e diretti da sole donne si moltiplicarono e divennero tanto più
importanti quanto più dietro di essi prendeva corpo un'associazione
femminile.Nel 1832 in Francia, Desirée Verret e Marie-Reine Guindorf fondarono
la La femme libre espressione del femminismo sansimoniano della classe
operaia, che invitava tutte le donne, pagane e cristiane, a collaborare. In
seguito il giornale fu preso sotto la direzione di Suzanne Voilquin, un'operaia
ricamatrice di Parigi che, ottenuta la separazione dal marito, prese a
viaggiare e riuscì a studiare travestendosi da uomo. Essa cambiò sia il nome del
giornale con quello di La Tribune des Femmes, sia impostazione,
avvicinandosi di più alle dottrine fourieriste. Famose sono rimaste le
battaglie de La Tribune a favore dell'indipendenza delle colonie e
contro la prostituzione, quelle per l'indipendenza economica delle donne, per
l'educazione e la formazione paritaria a quella dell'uomo e il libero amore.Le collaboratrici si firmavano con il solo nome di battesimo per restare nell'anonimato, ma anche per
rifiutare il cognome del marito, simbolo della prepotenza maschilista. Nel 1834
la repressione politica mise fine a quest'esperienza editoriale. La Gazette
des Femmes invece dava voce alle aspirazioni delle donne della borghesia,
che come contribuenti, esse sostenevano, dovevano beneficiare degli stessi
diritti politici e civili. Erano tre le direzioni i cui si muoveva la
propaganda del giornale: il diritto di petizione, per concedere alle donne
un'esistenza legale, il diritto ad essere sostenute in tutte le iniziative da
loro intraprese e il diritto a che venissero condannati tutti i delitti
perpetrati contro di esse. Altro giornale importante fu Le Journal des
Femmes, di ispirazione borghese-cristiana diretto da Fanny Richomme, che
contro le teorie sansimoniane, ma anche contro l'ideale di donna austera auspicata
dalla Chiesa, sosteneva la teoria del giusto mezzo, promuovendo l'immagine di
una donna 'umana' con il diritto ad essere educata, di divorziare, di
rifiutarsi di sottostare a matrimoni combinati. Dopo il 1848, con la seconda
repubblica, il femminismo francese acquisì nuovo slancio e si può definire a
tutti i diritti di tipo socialista, caratterizzato com'era dalla lotta per il
miglioramento delle condizioni materiali e della propaganda delle idee. I più
famosi giornali femministi di questo periodo furono La Voix des Femmes
che esprimeva il suo slogan in questi termini: una nuova concezione
dell'esistenza implica una rivoluzione per tutti e per tutte, e La Politique
des Femmes, che assumerà la guida del movimento femminista. Nel giugno del
'48 ci fu una sanguinosa repressione che censurò tutti giornali femministi, ma
appena un anno dopo L'Opinion des Femmes denunciò tutti i soprusi
subiti.Era tra l'altro questo il periodo in cui scrittori e disegnatori famosi si dilettavano
nell'arte della derisione del personaggio della femminista. Flaubert con il
romanzo L'educazione sentimentale la mise alla berlina con non poca
cattiveria mentre Honoré Daumier e Paul Gavarni le dedicarono sarcastiche
caricature, esprimendo in questo modo il disagio di chi, non sapendo né
rinunciare ad una posizione da sempre assimilata, né come porsi di fronte agli
assalti al proprio secolare predominio, risolveva il problema con una
risata.
Nel 1849 abbiamo la fondazione di una rivista femminista tedesca Frauen
Zeitung ad opera di Louise Otto. La redazione del giornale assunse
un'importanza cruciale perché divenne il punto di incontro delle femministe
tedesche, ma fu soppresso nel '52 perché nelle associazioni politiche era stato
vietato introdurre le donne. Nel '65 la Otto insieme a delle collaboratrici
fondò "L'Unione generale delle donne tedesche" arrogandosi il diritto
di parlare e organizzarsi pubblicamente; l'"Unione", perseguendo
l'autonomia e il self-help femminile, durò fino all'avvento del nazismo.
Nel '59 in Inghilterra l'Englishwoman's Journal la cui redazione divenne
sede di molti dei più importanti gruppi femministi inglesi, si batté a lungo
per il miglioramento dell'educazione delle ragazze. Ma più interessante è dare
uno sguardo al femminismo di matrice protestante che nacque in Inghilterra
nella prima metà del XIX secolo.Un vigoroso impulso a questo femminismo lo diede il movimento
antischiavista promosso a Boston dal giornalista calvinista William Lloyd
George che fece appello alla sensibilità femminile perché prendesse a cuore la
causa per la liberazione delle donne di colore. L'appello arrivò in un momento
storico propizio, quando cioè schiere di donne nel mondo occidentale
scalpitavano perché venisse loro offerta l'occasione giusta, anzi, un'occasione
qualunque, per poter dare voce alle proprie rivendicazioni: in pochissimo tempo
vennero fondati tre gruppi antischiavisti femminili protestanti in cui
operavano all'unisono donne nere e donne bianche.
Davanti alle chiese e in mezzo alle piazze queste donne protestavano e indottrinavano
gli ascoltatori sulle ingiustizie perpetrate ai danni delle popolazioni di
colore con il benestare della chiesa. L'azione dei pastori protestanti non
tardò a farsi sentire e per mezzo di una lettera pastorale, con l'ausilio di
citazioni tratte dal Nuovo Testamento, si avvertirono le donne di non
occuparsi di affari pubblici. Ma queste prontamente risposero per bocca di
Angelina Grimké: "Non è soltanto la causa degli schiavi che noi
difendiamo, ma quella della donna come essere morale e responsabile".
Detto fatto, e nel 1838 la sorella di Angelina, Sarah, pubblicò il primo
manifesto del femminismo protestante contemporaneo, Letters on the Equality
of the Sexes, and the Condition of Woman. Ricordiamo che queste donne erano
ferventi cristiane e nella loro azione contavano sull'appoggio di Dio. Proprio
per questa ragione esse cominciarono a portare avanti un attento studio sulla
Bibbia, una vera e propria esegesi biblica femminile, per riscontrare nella
Sacra Scrittura tutti i punti in cui veniva ribadito il principio che entrambi
i sessi hanno stessi diritti e stessi doveri. Il motto più famoso del
femminismo protestante del XIX secolo rimarrà questo: "Pregate Dio, Esso
vi esaudirà".Da questo movimento prenderanno corpo tutta una serie di opere
sociali finalizzate al recupero delle prostitute, delle carcerate e degli
ospedalizzati. Tornando in Francia, è la rivoluzione del 1871 che instaurò la
"Comune" di Parigi, l'altra occasione offerta alle donne per
rinsaldare il loro spirito di corpo; Louise Michel, Léodile Champseix, Paule
Minck scrivevano sui giornali e viaggiavano di città in città per parlare
dell'importanza di difendere la Comune: "Se Parigi cade - dichiaravano -
il giogo della miseria vi resterà sul collo e passerà sulla testa dei vostri figli...
La terra al contadino, l'arnese all'operaio, il lavoro a tutti".L'11
aprile un gruppo di donne, tra cui Nathalie Lemel, creò l'"Unione delle
donne". Formato in prevalenza da operaie, l'"Unione" si
prefiggeva compiti di tipo assistenziali e, costituendo in ogni quartiere
circoli e club, dava a tutte le donne la possibilità di esprimersi liberamente
sui problemi che le tormentavano. Ma, solo dopo pochi mesi, le truppe di
Thiers, diedero inizio ad una vera e propria guerra contro i rivoluzionari per riprendersi
il potere.
Nemmeno in questo momento le donne rinunciarono all'azione e, se da una parte
imbracciarono i fucili come la Michel, dall'altra portarono avanti una poderosa
opera di propaganda per sostenere gli animi: il 6 aprile del '71 comparvero su
tutti i muri di Parigi mille manifestini dell'"Unione delle donne"
che recitavano così: "In nome della rivoluzione sociale che acclamiamo, in
nome della rivendicazione dei diritti al lavoro, all'uguaglianza e alla
giustizia, l'"Unione delle donne" per la difesa di Parigi e per i
soccorsi ai feriti protesta con tutte le sue forze contro l'indegno proclama
alle cittadine apparso l'altro ieri a cura di un gruppo anonimo di reazionarie.Il suddetto proclama invita
le donne di Parigi ad appellarsi alla generosità di Versailles e a chiedere la
pace a qualsiasi prezzo. La generosità di vili assassini! Una cooperazione tra
libertà e dispotismo, tra il popolo e i suoi boia! No, non è la pace, ma la
guerra a oltranza che i lavoratori di Parigi reclamano! Oggi una conciliazione
sarebbe un tradimento!... Sarebbe rinnegare tutte le aspirazioni operaie che
hanno acclamato la rivoluzione sociale assoluta, l'annientamento di tutti i
rapporti giuridici e sociali ora esistenti, la soppressione di tutti i
privilegi, di ogni genere di sfruttamento, la sostituzione del regno del lavoro
con quello del capitale, in una parola la liberazione del lavoratore da parte
del lavoratore!... Unite e risolute, cresciute e illuminate dalle sofferenze
che seguono sempre le crisi sociali, profondamente convinte che la Comune,
testimonianza dei principi internazionali e rivoluzionari dei popoli, porti in
se stessa i germi della rivoluzione sociale, le donne di Parigi proveranno alla
Francia e al mondo che anch'esse, nel momento del pericolo supremo - sulle
barricate, sulle mura di Parigi, qualora la reazione forzasse le porte -
sapranno donare come i loro fratelli il sangue e la vita per la difesa e il
trionfo della Comune, cioè del Popolo!" A tali parole il capitano Jouenne,
nella requisitoria durante il processo contro le 'incendiarie', rispose:
"L'orribile campagna cominciata il 18 marzo scorso contro la civiltà... doveva portare davanti a voi non solo gli uomini dimentichi dei loro doveri più sacri, ma anche, ahimè! delle creature indegne che sembrano aver assunto l'impegno di essere l'obbrobrio del proprio sesso e di ripudiare il ruolo immenso e magnifico della donna... Ecco dove conducono tutte le pericolose utopie! L'emancipazione della donna predicata da dottori che non sapevano quale potere fosse loro dato esercitare e che, nei momenti della sommossa e della rivoluzione, volevano arruolarsi come ausiliari. Non si è fatto di tutto per tentare queste miserabili creature, facendo scintillare dinanzi ai loro occhi le più incredibili chimere? Delle donne avvocato! Magistrato! Membro del foro! Sì, deputato forse! E chi sa? Comandanti! Generali d'armata!".
Il femminismo che scaturì in seguito all'esperienza della
Comune fu di tipo liberale, sulla scia di quello inglese imperniato sul
principio: "chi non è rappresentato in parlamento non paga le tasse"
e fu interpretato dal giornale repubblicano La Fronde di Marguerite
Durand. La Fronde, tra l'altro, aprì un ufficio gratuito di collocamento
e una delle sue più importanti collaboratrici, Caroline Rémy, fu la prima donna
giornalista a vivere del proprio lavoro. In Italia nella seconda metà del XIX
secolo vi fu un risveglio in senso femminista. A differenza della Francia,
erano soprattutto le intellettuali borghesi che si impegnavano in campo sociale
e con la loro opera costituivano movimenti di sensibilizzazione. Alessandrina Ravizza nel 1868 si introdusse nella "Associazione generale di mutuo soccorso delle
operaie di Milano" e fondò, in insieme a Laura Mantegazza, le scuole
professionali femminili.
Nel 1879 costituì la cucina per ammalati poveri a cui si aggiunse, grazie anche
ad Anna Kuliscioff, un ambulatorio medico ed un magazzino cooperativo benefico
che doveva offrire lavoro e generi alimentari a basso prezzo.
Ben presto la Ravizza si accostò a gruppi di femministe impegnandosi in una
serie di iniziative di opposizione ai tentativi reazionari di fine secolo. Come
la Ravizza, le femministe italiane di fine secolo erano perlopiù donne senza
figli, animate da ideali romantici e populisti, vicine agli ambienti socialisti
e anarchici. Come lo fu Sibilla Aleramo, al secolo Rina Faccio. Di formazione
positivista, perseguiva l'ideale di un socialismo unitario e interclassista e
si impegnò in particolar modo per l'alfabetizzazione della popolazione.Parallelamente
al femminismo di ispirazione socialista se ne sviluppò uno di ispirazione
cattolica che si differenziava dal primo per i motivi ispiratori: mentre quello
socialista rivendicava parità giuridica economica e sociale, l'altro
riconosceva una comune vocazione soprannaturale dell'uomo e della donna e cioè
una uguale partecipazione alla missione della Chiesa nel mondo.
Luisa Anzoletti si batté a lungo per contrastare il tipo di educazione frivola
e superficiale riservata alle donne e proponeva l'immagine della donna forte
della Bibbia che si impegna in prima persona per il progresso civile. I mensili
Azione muliebre e La donna del popolo, si proponevano la
diffusione di queste stesse idee.
Risulta chiaro che era principalmente il problema dell'educazione che stava a
cuore e sollecitava le varie iniziative: verso la fine del secolo l'immagine
della donna istitutrice che riesce a mantenersi da sola, era diventata una
specie di immagine femminista ideale.Ma anche la donna
nubile, cittadina, viaggiatrice e
colta costituiva un modello altrettanto idealizzato. Christabel Pankhurst
dichiarò che il nubilato per lei assumeva un significato politico, una chiara
scelta contro la schiavitù sessuale. Ricordiamo che le rivendicazioni sessuali
femministe, cioè quelle che riguardano specificamente il corpo, presero piede
solo nell'ultimo quarto del XIX secolo. Prima di allora una specie di pudore o
di convenienza sociale aveva fatto sì che ci si fermasse a rivendicare diritti
in materia di divorzio e matrimonio. Ed è solo al volgere del nuovo secolo che
le proteste contro gli abusi sessuali si scatenarono con violenza, in special
modo in Inghilterra e in America dove i progressi giuridici sulla proprietà,
sul divorzio, l'educazione e il voto erano maggiori. Due tra le femministe
ottocentesche nostrane che hanno segnato un'epoca, sono Anna Maria Mozzoni e la
già citata Anna Kuliscioff. La Mozzoni, donna di grande cultura, apprese le
tesi socialiste di Saint-Simon e Fourier e condivideva l'atteggiamento critico
di Cattaneo nei confronti della soluzione piemontese data al problema
dell'unità d'Italia. Secondo la Mozzoni le cittadine lombarde con l'annessione
al Piemonte, erano regredite socialmente. Nel 1868 fondò la rivista cosmopolita
La donna, nel 1881 aderì al partito operaio indipendente e insieme alla
Kuliscioff costituì la "Lega per la promozione degli interessi
femminili". Partecipò alla formazione del partito socialista ma non vi aderì, con grande rammarico della
Kuliscioff che non glielo perdonò mai.
Quest'ultima, proveniente dalla Russia, laureata in medicina e di cultura
marxista, era più attenta agli aspetti storici delle questioni sociali. Portò
avanti un serrato lavoro redazionale che culminò con la creazione della Rivista
Internazionale del Socialismo nel 1881. Il suo impegno è contenuto e
spiegato nella sua più famosa conferenza tenuta a Milano il 27 aprile 1890 dal
titolo "Il monopolio dell'uomo". Fu soprannominata la 'dottora dei
poveri' per il suo impegno a favore di tutte le donne operaie e contadine
umiliate senza fine con martirio ignoto. In La Mozzoni, la
Kuliscioff e tante altre, Ludi Cavalli parla di due poli della lotta
della donna, in Italia, alla fine del secolo scorso: le istanze del femminismo,
rappresentate dalla Mozzoni e la questione sociale, di cui è maggiore esponente
la Kuliscioff. Per la prima infatti la democrazia non avrebbe apportato nulla
se non si fosse risolto il problema della donna, mentre per la seconda
prioritario rimase sempre il problema del proletariato femminile e quindi il socialismo.
Comunque sia è da sottolineare che né il movimento socialista né quello
marxista fecero propria la causa femminista in modo spontaneo. I teorici del
marxismo sposarono la causa dell'emancipazione femminile grazie all'opera lunga
e faticosa di femministe come Clara Zetkin, la quale riuscì a fare adottare, ma
senza un grande impegno, lo slogan 'uguale salario ad uguale
lavoro'. Nella II Internazionale socialista infatti, e ancora meno nella
I, le richieste femminili furono totalmente ignorate o trattate con
superficialità. Nel 1870 intanto a Ginevra si era tenuto il primo congresso
internazionale delle donne in cui si era discusso prioritariamente
dell'inutilità del conflitto franco-prussiano allora in corso e naturalmente
dell'ingiusta discriminazione sessista. Nel '78 a
Parigi si tenne un altro
congresso internazionale a cui parteciparono francesi, tedesche italiane,
svedesi, russe e polacche e inglesi, le più agguerrite, che alla guida di
Josephine Butler stavano combattendo la battaglia contro la prostituzione
legalizzata. La Butler si batteva contro il controllo amministrativo e medico
delle prostitute, sostenendo che tale controllo costituiva un 'sacrificio delle
libertà femminili' alla 'schiavitù del desiderio maschile' e nei comizi
indugiava a descrivere nei dettagli lo 'stupro meccanico della visita
ginecologica'. La regolamentazione, secondo le femministe, proteggeva e
autorizzava il vizio maschile e non risolveva il problema delle prostitute
spesso spinte sulla strada dal sistematico sfruttamento sociale ed economico
imposto dallo stato a tutte le donne.
La Butler propugnava allora un'opera di recupero di queste donne, ma sempre
riconoscendo loro una fondamentale libertà di gestire la propria vita.
L'entusiasmo della Butler trascinò molti altri paesi europei nella lotta per
l'abolizionismo della regolamentazione, anche se in ogni paese tale lotta
assunse tinte specifiche. In Germania ad esempio, si formò un gruppo di donne
che oltre ad accusare il governo di farsi complice dello sfruttamento della
prostituzione, portò avanti una vera e propria lotta di repressione morale
della prostituzione stessa. Relativamente all'aborto invece le femministe
ottocentesche erano schierate pressoché tutte contro questa pratica e lottavano
perché venisse messa fuori legge.Esse sostenevano che
l'aborto facesse parte dello
sfruttamento sessuale e del degrado delle donne, così come la contraccezione,
altra pratica messa al bando. Secondo Judith Walkowitz (Sessualità
pericolose) le cause di queste prese di posizione che si ribalteranno
completamente nel secolo seguente, sono da individuare nella diffidenza delle
femministe verso i medici accusati di esercitare un'autorità illegittima sul
corpo della donna.
D'altra parte le stesse femministe erano contrarie alla separazione della
sessualità femminile dalla riproduzione, convinte che la contraccezione e
l'aborto rendessero le donne impure, simili a prostitute e vulnerabili alle
richieste maschili. Anche il gruppo di neo-malthusiane, che si costituì in
Europa alla fine del secolo, se considerava la contraccezione un metodo
onorevole, continuava a ritenere invece l'aborto una faccenda da bassifondi. In
quegli anni uno dei centri più importanti per lo sviluppo del femminismo
europeo, era Zurigo. Grazie alla sua posizione strategica al centro dell'Europa
e a causa del fatto che la sua università, comprese le facoltà tecniche, era
aperta alle donne, non erano poche coloro che lasciavano il proprio paese,
spesso clandestinamente per approdare in Svizzera. Vi troviamo tra le altre
Anna Kuliscioff, Clara Zetkin, Vera Figner, Louise Kautski, Aleksandra
Kollontaj e Rosa Luxemburg che arrivò dalla Polonia nel 1889 nascosta in un
carro di fieno. Franziska Tiburtius racconta: 'I capelli tagliati corti, gli
enormi occhiali blu, il rotondo e lucido matelot, i vestiti tanto corti da
sembrare fodere di ombrelli, la sigaretta, l'atteggiamento cupo e altezzoso,
tutti questi divennero i dati caratteristici della
studentessa'. Caratteristico aspetto del femminismo zurighese fu la
rivendicazione del 'libero amore' e la lotta contro il matrimonio considerato
borghese. Sempre nella seconda metà del XIX secolo bisogna far risalire la
storia della lotta per il diritto di voto alle donne. Il primo convegno sui
diritti delle donne si ebbe nel 1848 a Seneca Falls, in America, vicino a New
York. Vi si radunarono 300 persone e alla fine fu redatto ad opera di alcune
suffragiste come Susan B. Antony, Elizaberth Cady Stanton e Lucy Stone, una Declaration
of sentiments dove si sanciva l'uguaglianza di diritti fra i sessi e ci si
proponeva la lotta per il voto. Interessante è notare che in occasione di
questo congresso fu sancito, forse per la prima volta, la fine del monopolio
maschile della predicazione dal pulpito nelle chiese cristiane.
In America, intorno al 1869, il movimento suffragista si articolava in due
organizzazioni: la "National Women Suffrage Association" e
l'"American Women Suffrage Association". Entrambi impegnati per lo
stesso scopo, il suffragio, si proponevano però di raggiungerlo con metodi
diversi. Il primo, più moderato e riformista, agiva soprattutto nella zona di
Boston e di esso ne fu il portavoce il foglio Women's Journal; il
secondo, più aggressivo e radicale, si muoveva soprattutto nell'area di New
York.
Solo nel 1890 le due si fusero nell'"American National Women Suffrage Association" a cui si unirono anche piccoli gruppi femminili e religiosi. In Inghilterra è nel 1860 che si forma la prima "Associazione per il suffragio alle donne" a cui aderirono Emily Davies, le sorelle Garrett e Barbara Bodichon.Nel 1866 affidarono al deputato e filosofo John Stuart Mill una petizione da presentare alla Camera dei Comuni che però non venne approvata dal primo ministro Gladstone. Solo coll'inizio del nuovo secolo il movimento prese impeto e violenza. Il primo stato nel mondo ad ottenere il suffragio allargato alle donne, anche grazie all'appoggio di gruppi di ispirazione religiosa, fu, nel 1893, la Nuova Zelanda. In Italia già nel 1863, su proposta dell'onorevole Peruzzi, la Camera dei deputati disputò la questione giuridica delle donne; e ancora avvenne nel 1871, su proposta dell'onorevole Lanza, nel '76 grazie a Nicotera e nell'80 e '82 fu la volta di Depretis, anche se il movimento suffragista italiano non ebbe mai la forza e la determinazione di quello inglese o americano.
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