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LO SCENARIO ITALIANO - LA SINISTRA AL POTERE (1876)

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LO SCENARIO ITALIANO

LA SINISTRA AL POTERE (1876)

Anche l'Italia risentì dei mutamenti che si andavano verificando nella seconda metà del secolo e registrò un riordinamento del suo assetto politico. La Destra storica aveva dedicato il massimo impegno al risanamento delle pubbliche finanze. Nel 1876 passarono in primo piano nuovi problemi coi quali non era in grado di confrontar 434c29e si. Occorreva promuovere lo sviluppo della nascente industria nazionale, rendere più efficiente l'apparato statale e irrobustire le fragili istituzioni, estendendo un consenso ancora precario e limitato. A raccogliere le attese di rinnovamento si candidò la Sinistra storica, che conquistò la maggioranza parlamentare nel 1876. La sosteneva un'aggregazione eterogenea composta dagli industriali settentrionali, dai ceti agrari meridionali, da imprenditori e professionisti. La guidava Agostino Depretis: riforma in senso democratico del sistema elettorale, decentramento amministrativo, lotta all'analfabetismo, infine controllo del meccanismo fiscale con la soppressione della tassa sul macinato. I governi della Sinistra delusero le attese dei progressisti e tranquillizzarono i timori dei conservatori, riducendo la rivoluzione parlamentare del 1876 a poco più di una tempesta in un bicchiere d'acqua. Con crescente frequenza la formazione dei governi si affidò ad intese contingenti con gruppi influenti o con singole personalità.Era questo il cosiddetto trasformismo, indice di una degradata gestione del potere, che la Sinistra praticò oltre ogni limite e contro cui si batté duramente la piccola parte parlamentare dell'estrema sinistra rappresenta dal Partito radicale, dai repubblicani e più tardi dai socialisti.

LE RIFORME A META'



Depretis lasciò cadere ogni progetto di decentramento e puntò al rafforzamento del potere centrale, sotto il cui controllo operare alcune innovazioni di carattere amministrativo. Nel 1877 fu varata una riforma scolastica, ma non incideva in particolar modo nel Mezzogiorno sulla piaga dell'analfabetismo, né avvicinava minimamente l'Italia al livello dei maggiori paesi europei. Fu condotta un'inchiesta parlamentare, da essa emergeva tutta l'arretratezza dei sistemi produttivi, nonché la miseria delle masse rurali alle prese talvolta con la malaria o con la pellagra. Ad essa però non fece seguito alcun significativo intervento pubblico per risolvere i problemi dell'agricoltura e dei contadini. Soltanto nel 1884 fu definitivamente eliminata la tassa sul macinato, compensata però dall'innalzamento delle imposte gravanti sui generi di prima necessità. Già nel 1882 era stata attuata la riforma elettorale, triplicando il numero dei cittadini aventi diritto di voto (7%). Ne derivò il rafforzamento dei tradizionali centri di potere clientelari, specialmente nelle regioni meridionali, dove i notabili pilotavano le scelte degli elettori verso quei candidati che garantivano le protezioni e i favori ricavabili dal loro controllo dell'amministrazione pubblica.

INDUSTRIA E AGRICOLTURA

I governi della Sinistra offrirono il loro sostegno alla nascente industria nazionale, che muoveva i suoi primi passi entro il triangolo Torino-Milano-Genova. Depretis e i successivi esponenti della Sinistra s'impegnarono ad incrementare la rete dei trasporti e delle comunicazioni e adottarono sbarramenti doganali in grado di tenere lontana l'industria straniera. Tariffe protezionistiche e apprezzabili tassi d'incremento produttivo, Le commesse militari, in crescente aumento negli ultimi anni del secolo con lo sviluppo di una politica colonialistica. L'agricoltura risultò penalizzata dalla linea economica sostenuta dalla Sinistra e obbligata in pratica a farsi carico dei processi d'industrializzazione localizzati nel settentrione. Il mondo contadino subì, infatti, la concorrenza straniera senza coperture doganali. Le masse contadine furono spinte all'esodo dalle campagne e una parte di loro diventò la manodopera operaia a basso costo dalla quale derivano le fortune dell'industria nazionale. Altri invece tentarono la via dell'immigrazione verso il Belgio, l'America e l'Australia, da dove spedivano alle famiglie i loro risparmi in valuta pregiata, contribuendo così alla solidità della moneta italiana, necessaria per consentire allo stato il sostegno dell'industria.

LA POLITICA COLONIALE

Riallineamento della politica estera italiana. Si indebolirono i rapporti con la Francia. Una seconda crisi franco-italiana si verificò nel 1888, a seguito della guerra doganale generata dalle misure protezionistiche della Sinistra e si ventilarono persino attacchi navali francesi su Genova. Si rafforzarono invece i legami con la Germania di Bismark, e implicitamente con l'Austria sua alleata, da cui scaturì nel 1882 la stipulazione della Triplice alleanza. L'accordo mirava negli intendimenti italiani a contrastare l'egemonia francese sul Mediterraneo e a proteggere l'avvio di una politica coloniale. L'iniziativa italiana puntò sull'Eritrea, ma il progetto colonialistico subì una battuta d'arresto a causa di una brutta sconfitta sul territorio africano.

L'ETA' DI CRISPI

Alla morte di Depretis, la sua eredità fu accolta da Crispi. Crispi sembrava l'uomo più adatto a tutelare il prestigio nazionale e a fare dell'Italia una grande potenza mediterranea (la TERZA ITALIA), proprio come chiedevano il nuovo re Umberto I e gli ambienti di corte. Seguace del riformismo dall'alto alla maniera di Bismark, Crispi tuttavia recuperò parti disattese dell'originario programma della Sinistra. Fu realizzato un certo decentramento amministrativo. Nel 1889 fu introdotto un nuovo codice penale approntato dal ministro Zanardelli che aboliva la pena di morte, concedeva un limitato diritto di sciopero e consentiva un minimo di legittimità alle leghe sindacali, alle Camere del Lavoro, alle cooperative. Infine fu tollerato il Partito socialista. Anche la Chiesa era scesa in campo sul terreno sociale nel timore che i lavoratori fossero attratti dal programma rivoluzionario del socialismo. A tale scopo il pontefice Leone XIII aveva pubblicato nel 1891 l'enciclica Rerum Novarum, con cui si avanzava la proposta di una stretta collaborazione tra imprenditori e lavoratori dipendenti, in base ai valori cristiani e secondo una visione interclassista della società. In Italia crescevano le tensioni sociali, toccando il livello più alto in Sicilia, dove le masse popolari si organizzarono nei FASCI. La loro lotta fu stroncata nel sangue proprio da Crispi. Il rilancio dell'iniziativa coloniale in Africa orientale fu fallimentare e decretò la fine della carriera politica di Crispi.

COLPO DI STATO

Dopo l'allontanamento di Crispi la crisi economica si aggravò ancora, causando ulteriori inasprimenti sociali e forti tensioni politiche. A Milano l'esercito affrontò i manifestanti che chiedevano pane e lavoro (maggio 1898). Non ritenendo le misure di polizia sufficienti a fermare la protesta sociale, la grande borghesia, in accordo con l'ambiente della corte, chiese la trasformazione delle istituzioni in senso autoritario. Sebbene giuridicamente ineccepibile, la proposta di ritornare allo Statuto si configurava, di fatto, come un autentico colpo di stato, perché concentrava il potere nelle mani dell'esecutivo e della monarchia, scardinando il sistema democratico-parlamentare. Per concretizzare la svolta autoritaria fu chiamato al governo il generale Pelloux che cercò di far approvare in parlamento i provvedimenti politici con cui sarebbe diventata ordinaria la legislazione repressiva prevista temporaneamente in circostanze eccezionali. L'opposizione bloccò le misure liberticide e quando Pelloux tentò di aggirare l'ostruzionismo ricorrendo a un decreto regio finì per scontrarsi con la stessa Corte costituzionale che lo giudicò illegittimo e lo respinse. Il governo Pelloux dovette assegnare le dimissioni.




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