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LA MODA

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LA MODA


Le trasformazioni degli stili di vita e del costume caratterizzano la moda negli anni venti e trenta. Gli uomini e  le donne dell'epoca mostrano nuove sensibilità estetiche che li inducono a sperimentare le più originali forme dell'apparire. La crescita della società di massa porta con sè la diffusione degli stili, fino ad allora circoscritti solo agli ambienti d'èlite: è il caso del decò che si impone nella metà degli anni venti. Anche nell'arredamento si è registrano novità che prendono spunto dall'architettura moderna. Il conflitto mondiale non interrompe del tutto l'adozione degli stili e della moda, ma durante la guerra si dovrà fare i conti con le innumerevoli restrizioni e dare spazio all'arte di arrangiarsi.

Gli effetti della prima guerra mondiale nelle trasformazioni della società e del costume si fanno sentire anche nell'ambito della moda. Le donne, nel loro lungo e faticoso cammino verso l¹emancipazione, assumono un ruolo più consapevole dei propri diritti e della propria funzione. Ne sono un segnale significativo la tendenza ad abbandonare, nel modo di vestire, le costrizioni più fastidiose come l'uso del busto rigido e, più tardi, l'appropriazione di abitudini "maschili".

Dopo il 1920 la sarta parigina Coco Chanel promuove le ves 656h71g ti a vita lunga, fluttuanti sino ai fianchi dove si restringono per ondeggiare poi nella breve sottana. Il corpo femminile, liberatosi del busto rigido (busto steccato con ossi di balena e stretto con le stringhe), è fasciato così da una veste morbida che ne lascia intravedere le forme. L'affermazione delle vesti lunghe rappresenta anche un'altra novità, unica nel suo caso: il passaggio da una moda adottata prima per le bambine e poi per le adulte; nella storia della moda si verifica generalmente il contrario.



Al posto del busto rigido in questi anni si afferma il reggipetto: molto diverso da quello attuale, assomigliava più a uno strumento ortopedico. Vengono poi i reggicalze, con giarrettiere munite di bottoni gommati che si infilano in asole metalliche, e le guaine.

Negli anni trenta si impone una radicale trasformazione dell'abbigliamento femminile fondata sulla provocatoria emulazione del maschio, addirittura del militare. I capelli lisci e tagliati corti, detti a la garçonne, le spalle dei vestiti rigidamente imbottite, non soltanto nelle giacche dei tailleurs, ma in tutti gli abiti, in modo da imprimere una soldatesca quadratura della persona.

Un'altra novità che lascia un segno indelebile è l'accorciamento delle sottane, a partire dal 1928: ciò consente di mostrare arditamente fino al ginocchio le calze. Queste ultime, fino ad allora considerate un curioso lusso di pochissime donne, diventano di uso comune anche grazie all'adozione di materiale sintetici, come il rayon, al posto della costosa seta.

Ancora un dato di novità è rappresentato dall'adozione, sin dalla fine degli anni venti, delle profonde scollature sul dorso negli abiti da sera. Scollature che arrivano fino alla vita lanciando una moda che non era stata mai vista.

Anche nel campo del maquillage si registrano nuove abitudini. Ancora nel primo dopoguerra il trucco al viso è limitato, per le signore bene, a un velo di cipria. Nel 1923 si diffonde la moda di abbronzarsi la pelle, ancora una volta lanciata, ma questa volta inconsapevolmente, da Coco Chanel, tornata abbronzata da un viaggio sulla costa azzurra. Diventa irresistibile la voga di lucidarsi le unghie con unguenti, strofinati con uno spazzolino coperto di pelle scamosciata: il polissoire.

Per quanto riguarda la moda maschile, più statica nel tempo, la maggiore novità si registra dopo il 1924 con l¹introduzione dell¹uso della tuta. Questo indumento intero, generalmente di tela, adottato inizialmente dagli operai, diventa d'uso comune per gli sportivi e si diffonde di pari passo all'estensione degli sport.

Nel 1925 si inaugura a Parigi  una Esposizione di arti decorative e applicate aperta agli industriali che producono oggetti artistici di

«tendenza moderna». Questa manifestazione, apprezzata dal pubblico parigino che accorre numeroso, si può considerare l'inizio dell'Art Decò. All'Esposizione di Parigi si possono ammirare i raffinati ambienti di arredamento, gli accessori, i gioielli disegnati, fra gli altri, da E.J. Ruhlmann, L. Sue, F. Jourdain, P. Chareau, R. Mallet-Stevens.

Mentre negli anni precedenti la guerra la maggior parte del pubblico doveva accontentarsi di guardare e lasciare soltanto ai più ricchi la possibilità dell'acquisto, nel dopoguerra l'estensione della produzione industriale agli oggetti d'arte e la loro vendita nei grandi magazzini permette un accesso più ampio e crea delle tendenze di massa e, come si dice, "alla moda". Così il gusto modernista si diffonde diventando, per una clientela sempre selezionata ma non più ristrettissima, un vero e proprio status symbol.

L'Art Decò trova espressione in ogni settore della progettazione creativa caratterizzando la cosiddetta «età del Jazz» e contrapponendosi alla contemporanea diffusione del razionalismo. Il suo è un modernismo non funzionale che nel campo dell'architettura viene interpretato dal francese R. Mallet-Stevens e si diffonde negli Stati Uniti con la costruzione di alcuni famosi grattacieli come il Chrysler Building di New York (1929) o di edifici come la Radio City Music Hall, sempre a New York.

Il Decò trova espressione anche nel campo della moda, tra i i molti modelli ricordiamo quelli di Sonia Delaunay-Terk.

Fino ai primi anni del novecento, quando si parla di uno stile di arredamento delle case si fa generalmente riferimento a un fenomeno esclusivo che riguarda una ristretta élite di aristocratici e di borghesi.

Nel corso dei primi anni del novecento e in particolare negli anni venti, si assiste invece a un'estensione del fenomeno a larghi strati delle popolazioni dei paesi industrialmente più avanzati. Ciò è permesso da una serie di condizioni: innovazioni tecnologiche, diffusione del benessere, crescita della classe media, ecc., che si possono riassumere nell'espressione di «processo di modernizzazione». Una tappa di questo fenomeno è rappresentata dall'Esposizione internazionale di arti decorative tenutasi a Parigi nel 1925, dove si impone lo stile Decò, questa volta, a differenza del passato, alla portata di un numero maggiore di acquirenti.

Si afferma il «gusto modernista»: vengono semplificate le forme dei mobili i cui volumi sono più solidi e massivi, così come l'arredamento della stanza che passa dal "ricco" ingombro degli anni precedenti alla presenza di pochi pezzi. La ricerca del bello non si coniuga ancora però in modo sistematico con quella della funzionalità: prevale un geometrismo decorativo che rappresenta l'omaggio, tutto formale, al mondo industriale, sicuramente sofisticato ma privo di calore e talvolta anche cupo. Si perde insomma la vivacità allegra che caratterizzava l'Art Noveau. Sul piano dei materiali si affermano i legni scuri e massicci, lussuosi e dalle forme allusive, colori composti e accostamenti tonali ricercati.

L'arredamento è strettamente collegato all'architettura e al design; ne sono quasi un simbolo le numerose progettazioni di sedie che impegnano i maggiori esponenti del movimento moderno. La «macchina per sedersi», come la definisce Le Corbusier, in questo periodo viene liberata da ogni fronzolo e costruita con nuovi materiali. Nel 1925 il designer olandese Mart Stam utilizza mensole d'acciaio e metallo tubolare e l'idea viene ripresa e rielaborata negli anni successivi prima da Marcel Breuer, direttore del Bauhaus, poi da Mies van der Rohe e da Le Corbusier. Tra le più note creazioni ricordiamo la sedia ideata da Marcel Breuer, la «Wassily», così denominata per l'ammirazione che ne ebbe Kandinsky, e quella di Mies van der Rohe, la «Barcelona», ideata nel 1929 per l'Esposizione di Barcellona. Sono oggetti che hanno scarsa diffusione ma che influiscono sensibilmente sulla produzione di massa. Oggi quelle sedie raggiungono quotazioni di mercato altissime nelle  versioni originali: per esempio una «Barcelona» originale viene messa all'asta da Christie's intorno ai cento milioni di lire italiane.

E' improprio parlare di una «moda» nel periodo del conflitto mondiale, tuttavia la guerra impone una propria specificità anche nella foggia del vestire o dell'acconciarsi. L'industria dell'abbigliamento, come quella degli altri settori, viene in buona parte convertita nella produzione bellica: divise, coperte e vari capi di abbigliamento per i militari. Il rifornimento dei vestiti civili, anche a causa dell'interruzione dei normali flussi commerciali internazionali, si riduce drasticamente e i negozi espongono pochi articoli. Nella fase più difficile della guerra il razionamento si estende anche all'abbigliamento e alle calzature: ogni categoria di cittadini, a secondo del sesso, dell'età e della mansione svolta, riceve una tessera con dei bollini che danno diritto ad acquistare, entro una certa data e a un prezzo imposto, un numero prestabilito di capi di abbigliamento. In Italia, per esempio, ogni adulto dispone di 120 punti all'anno (90 i ragazzi, 72 i bambini)  da dividere per i fazzoletti (3 punti) le calze (10 punti) fino ad arrivare ai cappotti (80 punti per uno di lana). Anche i vestiti fanno la loro comparsa sul mercato nero: un mercato clandestino che infrange i divieti del razionamento.

Per fare fronte a questa situazione ci si "arrangia" con la fantasia e i mezzi a disposizione. Molte donne che non possono permettersi di acquistare le calze dipingono sul retro delle gambe una linea nera in modo da simularle; un semplice fiocco diventa un prezioso e ricercato acconciamento; si estende la pratica di riciclare i vecchi vestiti, già diffusa tra le famiglie più povere. Talvolta la possibilità di indossare un vestito alla moda assume anche un significato simbolico, di carattere morale e politico: nei paesi occupati dai nazisti chi se lo può permettere generalmente è un "collaborazionista", uno cioè che collabora con gli occupanti ottenendo in cambio favori e privilegi. Per questo attira il rancore e il giudizio critico di chi invece rifiuta, passivamente o attivamente, la collaborazione con il "nemico".




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