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ARCHEOLOGIA - Definizioni e storia dell'archeologia

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ARCHEOLOGIA


Scienza dell'antichità che ha come obiettivo la ricostruzione delle civiltà antiche attraverso lo scavo e lo studio della varia documentazione monumentale, dei prodotti artistici, delle iscrizioni e delle testimonianze materiali in genere. (A seconda dell'ambito storico interessato, si distinguono un'archeologia orientale, biblica, cristiana, ecc. In senso assoluto, il termine si riferisce generalmente all'antichità classica.)


Definizioni e storia dell'archeologia


I concetti ai quali si può riferire il termine archeologia non sono i medesimi attraverso le varie epoche. La parola greca corrispondente (archaiología) indica semplicemente la storia antica e si trasferisce nella lingua latina con il termine antiquitates. In tale accezione, a indicare le antichità in senso storico-letterario o antiquario-erudito, la parola archeologia restò fino al XVIII sec., e solo nel XIXvenne a significare lo studio dei monumenti antichi. In seguito assunse l'accezione, poi mantenuta fino a tempi recenti, di disciplina che interpretava storicamente i risultati dello studio dei resti monumentali: la scienza, quindi, che ricercava e studiava i resti antichi, ma che aveva come ultimo scopo la ricostruzione della storia dell'arte antica (pressappoco fino ai secc. V-VId. C.). Accanto all'archeologia hanno di conseguenza una posizione propria e definita le altre discipline che nei secoli passati si erano identificate in pratica con essa, e che sono poi divenute scienze complementari e indispensabili, quali l'epigrafia, la paleografia, la numismatica, la papirologia, ecc.



Le scoperte casuali di resti o oggetti appartenenti a epoche passate, o la loro ricerca, sono sporadicamente testimoniate già in età antica (Tucidide, Diodoro, Cicerone, Strabone, Svetonio); e interesse storico-artistico ebbero alcune opere letterarie dell'età classica, come quelle di Diodoro di Atene, di Vitruvio, di Plinio il Vecchio e di Pausania. Ma fu necessario giungere all'epoca rinascimentale per la riscoperta e lo studio del monument 131d32b o antico. Tale interesse fu però riservato alle sole opere d'arte e con finalità più che altro pratiche, quali lo studio delle forme, dei temi e dei motivi da parte degli stessi artisti, indipendentemente da una ricerca di valutazione storica. Nei secc. XVII e XVIII l'interesse per l'antico passò agli eruditi e si esplicò nell'attività antiquaria delle corti e delle accademie, di cui furono tipici esponenti Scipione Maffei e Ludovico Antonio Muratori.

Verso la fine del Settecento, con la figura di Winckelmann, nacque l'archeologia concepita come disciplina che tende, come ultimo scopo, alla storia dell'arte. L'opera del Winckelmann (Storia dell'arte dell'antichità, 1764), se oggi appare superata e in molti casi addirittura errata, resta tuttavia fondamentale nella storia dell'archeologia, proprio perché rappresenta il primo tentativo di ricostruire, attraverso le opere conosciute, un coerente svolgimento delle manifestazioni artistiche dell'antichità.

Al rinnovamento degli studi parteciparono, dopo il Winckelmann, Ennio Quirino Visconti, Carlo Fea e Antonio Nibby, e si cominciarono a conoscere, seppure in copie romane, alcuni tra i capolavori dell'arte greca. Lungo tutto il XIX sec. si collocano grandi campagne di scavo, condotte con rigoroso metodo scientifico, soprattutto a opera dei Tedeschi e dei Francesi: Egina, Olimpia, Delfi, Delo. I nomi più illustri di questo periodo sono quelli del Brunn, del Friedrichs, del Collignon, del Curtius e soprattutto di Adolf Furtwängler. Questi, attraverso un metodo che fu poi detto "filologico", sulla base delle testimonianze letterarie e del confronto di tipi e motivi, curarono una attenta ricostruzione di opere che portò a un quadro abbastanza puntuale degli artisti e dei momenti diversi dell'arte greca, e che fu fecondo di risultati anche nei decenni successivi.

Frattanto, l'affermarsi delle teorie e della mentalità positivistica portava a una serie importantissima di pubblicazioni: cataloghi e corpora che permettevano il diffondersi della conoscenza dei singoli monumenti. Alcune di queste opere sono, a tutt'oggi, insuperate. Alla fine del XIXsec. e all'inizio del XX la scuola di Vienna, i cui maggiori esponenti furono Franz Wickhoff e Alois Riegl, segna a sua volta un punto fondamentale nella storia dell'archeologia, da un lato reagendo in modo netto al positivismo e rivalutando dall'altro l'arte romana e l'arte "barbarica" che, sulla scia del neoclassicismo ottocentesco, imperniato sul concetto dell'assoluta perfezione del "bello ideale" greco, erano guardate come fenomeni affatto secondari.

Ai primi decenni del secolo appartengono anche studiosi come Loewy, allievo del Semper e del Conze, che riaffermò i princìpi del positivismo e ricostruì la personalità del pittore greco Polignoto; come Carlo Anti, cui si deve lo studio fondamentale sulla figura e l'opera di Policleto; come Alessandro Della Seta e Giulio Emanuele Rizzo.

Più recentemente gli studi si sono svolti ancora su una base di lontana ascendenza positivistica (Picard, Beazley, Rumpf), o seguendo un nuovo indirizzo, che trae origine dal movimento idealistico crociano e che potrebbe chiamarsi "storicistico" (Ranuccio Bianchi Bandinelli, Guido Kaschnitz Weinberg). L'interesse degli studi archeologici si è progressivamente spostato dai problemi di carattere generale dell'arte classica o di ricostruzioni di personalità, verso un affinamento della conoscenza specifica in singoli settori. Così per l'arte greca è stata dedicata particolare attenzione allo studio delle diverse scuole dell'arcaismo e alla classificazione delle varie produzioni della ceramica. E sempre maggiore interesse suscita lo studio dell'arte provinciale e delle arti minori o artigianali (gemme, vetri, oreficerie, ecc.).

Negli ultimi anni però l'archeologia è andata ampliando i propri orizzonti, perdendo la sua connotazione di scienza interessata unicamente o, quanto meno, prevalentemente ai fenomeni artistici per dedicarsi alla ricostruzione delle antiche civiltà in tutti i loro molteplici aspetti, venendo così a collocarsi nell'ambito delle scienze umane. Di conseguenza tutto il complesso dei manufatti che si riferiscono all'unità di studio vengono presi in considerazione per il confronto con determinati modelli socioculturali o per la ricostruzione dei modi di produzione. La cosiddetta nuova archeologia tende a superare il procedimento intuitivo del singolo ricercatore per formalizzare piuttosto i dati archeologici in relazione alla loro specifica oggettività di manufatti e contemporaneamente, attraverso procedimenti analitici che utilizzano largamente strumenti matematici e informatici, per ricostruire e distinguere le unità più ampie, la cultura, il gruppo culturale, il complesso tecnologico cui i manufatti si riferiscono. Per tali modelli di analisi è divenuto indispensabile l'uso di procedimenti statistici e di calcolatori elettronici. Questa tendenza a considerare gli oggetti artistici soprattutto come fonte di informazione, sottovalutando le componenti espressive, si è ulteriormente accentuata relegando in secondo piano i problemi tradizionali legati a giudizi di valore o a gerarchie fra opere e artisti. Anche la linguistica e la semiotica hanno influenzato la ricerca verso la comprensione dei reperti di valore artistico come testimonianze di segni con una loro funzionalità nei diversi ambiti sociali. In Italia questo complesso di tendenze ha favorito gli studi e le ricerche sul campo riguardanti i cosiddetti momenti di transizione, quali le origini di Roma e le popolazioni coinvolte nel suo iniziale sviluppo, i contatti fra gli Etruschi e le culture italiche periferiche, e in generale tutti i problemi connessi ai rapporti fra le culture emergenti e quelle subalterne. Sotto questa angolazione vengono attualmente studiati sia il problema dell'apporto del mondo miceneo sul suolo italico, sia i rapporti fra il mondo greco (le sue influenze dapprima, la colonizzazione poi) e l'Italia meridionale. Un capitolo a parte è costituito dallo studio della colonizzazione fenicia che procede con eccezionali risultati sulla via tracciata dal suo maggiore studioso, l'archeologo Sabatino Moscati.

Un altro fondamentale momento di transizione oggetto di una grande fioritura di studi è costituito dal passaggio dal mondo tardoantico al medioevo. Qui lo spostamento dalle indagini sui caratteri stilistici a quelli più propriamente "materiali" ha portato all'affermazione dell'archeologia medievale quale disciplina autonoma, oggetto d'insegnamento universitario, volta al recupero sistematico di testimonianze materiali della cultura e dell'ambiente postclassici. Mediante scavi di villaggi abbandonati e lo studio di chiese, monasteri, palazzi, fortificazioni, ecc. ciò permetterebbe di estendere gli studi anche ai manufatti dei secoli a noi più vicini fino alla cosiddetta archeologia industriale. Le più recenti tendenze dell'archeologia medievale europea si sono rivolte, soprattutto nell'Europa orientale, allo studio dei beni culturali ebraici come cimiteri, sinagoghe e ghetti.

Per l'Italia l'esempio più significativo è Roma dove, da un nuovo ciclo di scavi finanziati dal 1981, sono emersi dati rilevanti sulle attività che nel corso di un millennio hanno trasformato radicalmente la città eterna. Ad esempio, le indagini svolte nell'ambito del progetto di ricerca della Crypta Balbi, hanno rivelato, sul lato sud di via delle Botteghe Oscure, i resti dei nuclei abitativi sorti dai secoli XI- XII.

In connessione con questi sviluppi si considera superata la funzione dell'archeologo inteso soltanto come braccio tecnico dello storico. L'archeologo è diventato lo storico del sito e dei problemi determinati prima con la scelta dello scavo e poi con il suo studio, il restauro e la conservazione. Inoltre il suo lavoro si inserisce sempre più in quello di un vero e proprio team di ricerca, dove collaborano esperti con aree di competenza diverse.

L'ulteriore allargamento della funzione dell'archeologia a scienza che deve fornire risposte ai quesiti di altre diversificate ricerche quali, ad esempio, la storia del clima, quella delle miniere e dei metalli, fino alla salute umana, pone ormai l'accento sulle tecniche di registrazione e classificazione dei dati. Su queste linee si muovono le ricerche soprattutto nelle aree tradizionali dell'indagine archeologica quali il Medio Oriente antico, il mondo classico, il mondo asiatico e l'Europa barbarica. Per quanto riguarda l'Oriente e le altre civiltà extraeuropee, più che di rinnovamento si deve parlare di progresso nelle conoscenze su aree sterminate, comprendenti popoli e civiltà noti solo a una ristretta cerchia di specialisti occidentali. Il fatto più rilevante è il grande incremento della ricerca archeologica gestita direttamente da questi paesi con la conseguente formazione di una archeologia indigena non più legata soltanto ai modelli culturali occidentali.

A partire dalla metà degli anni Ottanta la scelta antropologica di fondo della "nuova archeologia" si è rivelata feconda. Ad esempio, la scoperta degli archivi amministrativi di Ebla ha consentito una rivalutazione dal punto di vista istituzionale e amministrativo delle regioni semiaride nei confronti dell'area mesopotamica. Anche gli studi sui Sassi di Matera, dove insediamenti umani si perpetuano dall'età neolitica, hanno assunto una prospettiva più ampia.

Inoltre, l'applicazione di strumenti informatici si è rivelata di grande interesse nell'ambito di questa tendenza. La ricostruzione virtuale di intere aree archeologiche non solo consente una visualizzazione rigorosa e attendibile, ma si presta facilmente anche all'ambientazione di scene di vita quotidiana assolutamente realistiche. Se da un lato questo risulta essere un inestimabile aiuto per gli studiosi, non possiamo dimenticare il fascino che esercita sul grande pubblico. Il rinnovato interesse nei confronti dell'archeologia è testimoniato anche dal vasto successo di pubblico che le mostre di Venezia (1988: i Fenici; 1991: i Celti; 1996: i Greci d'Occidente) hanno registrato e dal consenso positivo ottenuto da pubblicazioni inerenti la storia d'Egitto e del faraone Ramses.


La scienza e la tecnica dell'archeologia


Esistono una scienza e una tecnica archeologiche, valevoli, con varianti, per tutte le epoche. Tale unità si concretizza negli scavi, con i quali si rinnova e si arricchisce l'archeologia. Bisogna tenere conto che, in primo luogo, portare alla luce tratti di muro od oggetti già protetti da metri di terra significa esporli a un deterioramento progressivo; per cui l'archeologo deve fare opera di conservazione, di mantenimento e talora - per salvare come per presentare i suoi ritrovamenti - di restauro. In secondo luogo vanno considerati i dati che sono per così dire incorporati al suolo stesso; la vicenda che vi si è svolta durante i secoli è presente nei più piccoli particolari; così lo strato, o meglio il complesso o il contesto nel quale è stato trovato un coccio di vaso o una statua mutila, la stessa mutilazione della statua, il ripostiglio di un tesoro di monete, sono altrettanti elementi che permettono di individuare le tappe di una vita millenaria. Ovviamente in uno scavo non è tutto chiaro, né leggibile, per cui è necessario che chi opera direttamente lo scavo non sia il solo a conoscere i reperti, né, per conseguenza, a interpretarli. Suo dovere è quello di fare in modo che si possa conservare nei resoconti di scavo la traccia di tutto ciò che si fa sparire sul terreno.

Nella tecnica archeologica, quattro sono le fasi che vanno principalmente considerate: l'organizzazione della campagna di ricerca; lo scavo e la registrazione di tutti i dati forniti dalle varie situazioni del terreno; la conservazione delle rovine e degli oggetti posti in luce; lo studio del materiale con particolare riguardo alla datazione e, nel caso di opere d'arte, all'interpretazione e classificazione.


La campagna di ricerca


Molte scoperte archeologiche sono dovute a fattori imponderabili, quali l'intuizione o la sottigliezza dei ricercatori oppure il favore della sorte. Ma la maggior parte delle scoperte, e in particolare la loro rielaborazione, si deve alla preparazione professionale degli archeologi, e a ben organizzati piani di lavoro. Concorrono quindi a una campagna di ricerca, oltre a quella che si può chiamare preparazione remota degli scavatori, i documenti storici, le tradizioni locali, lo studio dei toponimi, la ricognizione sul terreno. La solidità metodica del lavoro archeologico moderno trova la sua ragione soprattutto nella sua interdisciplinarità, ossia nella collaborazione tra gli studiosi, nell'organizzazione collettiva delle ricerche, nell'affiancamento costante di archeologi, geografi, architetti, fotografi, talora naturalisti, fisici e chimici. Assai diffusa è ormai la prospezione topografica con fotografie aeree, che ebbero inizio a partire dal 1930, soprattutto a opera dell'inglese Bradford. Con l'aerofotografia, verticale od obliqua, è possibile cogliere, di una vasta superficie, la diversa colorazione del terreno e la varia disposizione e sviluppo della vegetazione: elementi che possono testimoniare la presenza o meno di ruderi o sostanze particolari nel sottosuolo. Ugualmente la fotografia aerea può indicare, attraverso il gioco delle ombre delle cavità e dei fossati, reticolati urbani sepolti, mura, lastricati, come pure rivelare resti sottomarini. L'interpretazione dei dati è affidata a metodi capaci di determinare la cronologia relativa di elementi sovrapposti o affiancati. In Italia le fotografie aeree sono oggetto di studio e di archiviazione a opera dell'Aerofototeca archeologica del ministero per i beni culturali. Accanto ai metodi geofisici, basati sullo studio della resistività elettrica e delle variazioni dei campi elettromagnetici dei terreni, anche l'analisi chimica di questi può servire a una campagna di ricognizione archeologica; la presenza di elementi organici e la percentuale di biossido di carbonio nei campioni prelevati da varie zone possono essere di valido aiuto per l'individuazione di insediamenti umani. Negli ultimi anni si è rivelata di grande interesse anche l'analisi della diffusione di determinati materiali come per esempio l'ambra (dall'Europa all'Asia e all'Africa) e il rame (dall'Asia all'Europa).

Un altro metodo di indagine assai sfruttato, specialmente nella ricerca delle tombe etrusche, è quello ideato e applicato dalla Fondazione Lerici del politecnico di Milano. Dopo aver individuato la tomba con strumenti elettromagnetici o con fotografie aeree, viene introdotta in essa una speciale sonda munita di apparecchio fotografico che permette di vedere, prima dello scavo, tutto ciò che nella tomba è conservato, e di procedere quindi al lungo lavoro di sterro solamente se i risultati saranno proporzionati alle fatiche e alle spese da sostenere. Naturalmente, anche questo metodo di indagine, come gli altri sopra ricordati, ha limiti d'impiego ben precisi, e non tutti i sistemi possono venire applicati indiscriminatamente.


Lo scavo


Dopo il lavoro di preparazione e di ricognizione, si procede allo scavo. Questo può distinguersi in via generale in due tipi: topografico e stratigrafico. Lo scavo topografico procede alla messa in luce di interi complessi (urbanistici, sacrali, ecc.) e riporta alla superficie un centro monumentale come era nell'ultima fase della sua storia. (Es. tipici: Olimpia, Pompei, l'Agorà di Atene.) Lo scavo stratigrafico è di più recente introduzione, ed è stato applicato in archeologia dopo essere stato sperimentato con successo in geologia e nell'ambito delle ricerche preistoriche. Con questo metodo si scava in profondità con osservazioni e studio particolari ai vari strati che si alternano e che testimoniano diverse epoche. In tal modo, tenendo naturalmente conto di possibili sconvolgimenti del terreno o movimenti di assestamento dello stesso che portano a inversione degli strati, è possibile fissare una cronologia relativa del materiale, che poi si può trasportare, mediante studi e confronti, in sede di cronologia assoluta. (Es. classico: lo scavo della "colmata persiana" dell'Acropoli di Atene.)

A questi tipi fondamentali di scavo, vanno aggiunti lo scavo di sondaggio, lo scavo occasionale, dettato da rinvenimenti casuali e sporadici, e infine lo scavo clandestino, riprovevole perché viene condotto in via del tutto empirica (e non offre quindi la stessa possibilità di studio degli scavi organizzati scientificamente) e in secondo luogo perché si presta alla speculazione più indiscriminata. Un altro tipo di indagine si ottiene mediante lo "scavo elettronico", utilizzato per l'antica Viroconium in Inghilterra.

Il computer è in grado di evidenziare la pianta dell'intera città cosicché lo scavo vero e proprio viene limitato, almeno inizialmente, alle zone ritenute di primaria importanza. I risultati sono registrati nelle relazioni di scavo e pubblicati tempestivamente nelle riviste specializzate. Sono in via di costituzione nei vari paesi banche di dati per la registrazione dei reperti e per la rapida individuazione delle loro caratteristiche mediante elenchi e analisi selettive.


Conservazione delle rovine e salvaguardia degli oggetti


A partire dal momento in cui vedono la luce, molti monumenti e oggetti richiedono cure particolari per la loro conservazione (ad es. i muri di mattoni crudi, e talvolta di tufo, si disgregano; i pavimenti di pietra gessosa si frantumano e si scagliano, ecc.). Da ciò deriva la necessità del restauro. Il restauro architettonico può essere di consolidamento (semplice intervento per garantire la stabilità e la protezione: è il tipo più comune); di ricomposizione (ricostruzione del monumento con i soli pezzi antichi sicuri: gli esempi più importanti sono quelli del tempio di Atena Nike, dell'Eretteo, dei Propilei e parzialmente del Partenone sull'Acropoli di Atene, nonché i templi di Selinunte in Sicilia); di reintegrazione (completamento dell'edificio antico con parti moderne: è il tipo più delicato di restauro e ne sono esempi famosi l'arco di Tito a Roma e l'arco dei Gavi a Verona). Per il restauro delle strutture ci si limita, secondo i criteri più moderni, a interventi assai modesti, con lo scopo unico di garantire la solidità e l'integrità, o a saldature di pezzi sicuri. La ceramica viene restaurata con un paziente lavoro di ricomposizione mediante resine e inserzione di pezzi (generalmente in gesso) che siano assolutamente necessari e la cui natura di materiale moderno sia chiaramente visibile anche a occhio profano.

Gli altri materiali (metalli, osso, avorio, Iegno, nei rarissimi esemplari conservati) seguono procedimenti specifici di restauro, spesso per via chimica.


Archeologia sottomarina


Già in passato importanti ritrovamenti furono fatti nelle acque del mare, come l'Apollo di Piombino (1832) [Parigi, Museo del Louvre], l'Atleta di Anticira (1900) [Atene, Museo nazionale], i bronzi ellenistici di Mahdia, al largo delle coste orientali della Tunisia (1907) [Tunisi, Museo del Bardo], l'Efebo di Maratona(1925) [Atene, Museo nazionale], il Posidone di Capo Artemisio(1926-1928) [Atene, Museo nazionale]. Nel 1927, abbassando il livello del lago di Nemi mediante la costruzione di un canale, fu possibile recuperare le due celebri navi di Caligola: il legno infatti si conserva sott'acqua, cosa che non avviene sottoterra.

Solo negli ultimi decenni, parallelamente al diffondersi della pesca subacquea, si è diffusa ed è divenuta popolare la ricerca archeologica sottomarina, affermatasi come un ramo particolare della ricerca archeologica. Organizzatasi sistematicamente su basi scientifiche con l'ausilio di navi appositamente attrezzate e di strumenti di indagine sofisticati, l'archeologia sottomarina ha registrato eccezionali recuperi. Il fondale marino è esplorato con lo scandaglio ultrasonoro e il magnetometro; la comunicazione tra il sommozzatore e la nave o piattaforma d'appoggio è assicurata da televisioni a circuito chiuso e telefoni a cavo o a ultrasuoni; il recupero dei reperti avviene mediante gru e palloni gonfiati, dopo che telai metallici hanno consentito la misurazione e la suddivisione dei fondali, con l'apporto di fotografia e stereofotogrammetria. Le esplorazioni, compiute prevalentemente nel Mediterraneo, definito il museo di antichità più ricco del mondo, sono state estese anche ai laghi e ai fiumi con notevoli risultati, dovuti soprattutto allo stato di conservazione degli elementi organici sommersi, come legno, semi e cuoio. È sorta infine anche una archeologia navale per lo studio di antiche imbarcazioni, conservazione di battelli in disuso, reperimento di raffigurazioni e registrazioni di vocabolario marino.


Archeologia industriale


Disciplina che studia le testimonianze (edifici, macchine, tecniche, organizzazione) delle passate forme di produzione. Nata in Gran Bretagna, dove ha da decenni solide radici e può contare su una letteratura scientifica e divulgativa ormai vasta e su pratiche consolidate di censimento, catalogazione e conservazione dei materiali, si è recentemente sviluppata anche in Italia, dove dal 1976 sono attivi gruppi regionali di studio, riunitisi nel 1977 nella Società italiana di archeologia industriale. Le analogie di metodo di questa disciplina con l'archeologia tradizionalmente intesa non si limitano a quella più superficiale consistente nel fatto che entrambe si occupano di "antichità", oggetti e pratiche non più in uso nel mondo contemporaneo; più sostanzialmente l'archeologia industriale si muove anch'essa, come la moderna archeologia, nell'ambito della cosiddetta "cultura materiale": tende cioè a ricostruire sulla base delle testimonianze reperibili (monumenti industriali: edifici, impianti, ferrovie, macchine) i rapporti tra l'uomo e la realtà nella loro globalità. Tende cioè a occuparsi dei resti fisici di queste culture, ma anche a indagare quale modo di vita, quale rapporto con queste strutture materiali avevano gli uomini che tra esse vivevano. L'archeologia industriale nasce con una spiccata caratteristica di interdisciplinarità, essendo necessario, per riunire il maggior numero possibile di testimonianze e per poterle correttamente collegare, rivolgersi a campi tradizionalmente separati della scienza contemporanea, quali la storia dell'architettura, la geografia e la storia economica, ma anche la storia politica e quella letteraria: non è raro infatti che, se una fabbrica abbandonata dei primi anni del secolo può fornire con l'osservazione della sua struttura elementi fondamentali, il ricordo o la descrizione del processo produttivo che vi si svolgeva sia stato affidato alle pagine di un romanzo dell'epoca, che viene ad arricchirsi di un valore extraletterario di documentazione.

Seconda caratteristica rilevante dell'archeologia industriale nella sua attuale impostazione è il carattere di servizio pubblico cui tendenzialmente mira, al di là degli scopi scientifici: il carattere di globalità nella ricerca che la contraddistingue la rende particolarmente adatta a coinvolgere i cittadini nella ricostruzione della storia e delle caratteristiche del territorio sul quale vivono: dal livello didattico minimo, in cui a gruppi di studenti opportunamente sensibilizzati viene affidato il compito di segnalare l'esistenza nei luoghi dove vivono di monumenti industriali, al livello specialistico del censimento di tali monumenti (per il quale la Società italiana di archeologia industriale ha preparato un modello standard di scheda, adatta alla catalogazione elettronica), fino al livello massimo, in cui gli elementi forniti dall'archeologia industriale possono contribuire a individuare quali siano i punti sui quali intervenire ai fini di un risanamento e di uno sviluppo armonico del territorio in questione (generalmente un territorio fortemente urbanizzato). Il "riuso" degli edifici industriali abbandonati è infatti uno degli sbocchi più promettenti, in questi anni, verso cui l'archeologia industriale indirizza i suoi sforzi pratici, tentando di collegarsi con le autorità locali e fornendo dati utili alla programmazione del territorio. In questo senso esempi di prestigio sono la Gare d'Orsay a Parigi, e, in Italia, il Lingotto di Torino e la fabbrica di birra Dreher a Venezia.

Negli ultimi anni l'impegno principale è teso alla documentazione del patrimonio esistente (per quanto riguarda l'Italia questo è l'obiettivo di una commissione apposita istituita nel 1994 presso il ministero per i beni culturali e ambientali) nell'intento di promuovere diverse iniziative volte alla conservazione.

La tutela del patrimonio storico-industriale si può realizzare sia attraverso la monumentalizzazione di singole macchine (ad esempio il maglio nelle acciaierie di Terni), sia preservando interi complessi (ad esempio il villaggio cotoniero di Crespi d'Adda che con Schio e Campione del Garda rappresenta la prima fase dell'imprenditoria liberale). Un'altra soluzione è data dalla creazione di musei all'aperto che consentano la salvaguardia non solo dei resti materiali dell'industrializzazione, ma anche del territorio rurale e urbano, insostituibile retroterra culturale della nascita e dello sviluppo dell'attività lavorativa dell'uomo moderno (ad esempio il museo all'aperto nei pressi di Vipiteno). L'urbanistica, che dagli anni Ottanta si propone come strumento per comprendere l'organizzazione del tessuto cittadino, impegna l'archeologia industriale in un confronto continuo, dovuto soprattutto all'identità dei luoghi del lavoro industriale e del vivere sociale.


Archeologìa sperimentale


Tale disciplina indaga tecniche e situazioni dei popoli antichi; vengono riprodotti archi, selci scheggiate, aghi per cucire, profumi; in Francia e negli Stati Uniti sono stati edificati capanne e interi villaggi preistorici. È stato possibile valutare quale impiego di uomini si sia reso necessario per trasportare un dolmen o sperimentare la reale possibilità degli spostamenti dei popoli da un continente all'altro. Vengono compiuti censimenti di fornaci, fattorie, giacimenti minerari. Ricostruzioni fisionomiche sono state operate attraverso i dati forniti dal rinvenimento delle ossa del cranio.





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