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Le geometrie non euclidee
Il problema delle geometrie non euclidee e la rivoluzione che innescarono in tutti i campi del pensiero umano si basa essenzialmente su di una "premessa": il V postulato della geometria di Euclide. La storia di questa proposizione costituisce uno degli argomenti più interessanti del pensiero scientifico e costituisce un elemento fondamentale per comprendere come, la presa di coscienza del significato di questo singolo asserto, abbia modificato nelle sue fondamenta la struttura del pensiero occidentale.
Grazie al rigore logico che contraddistingue l'opera di Euclide, il suo trattato di geometria è stato considerato il migliore fino alla pubblicazione alla fine del secolo scorso dei "Fondamenti di Geometria" di Hilbert.
Gli "Elementi di geometria" di Euclide, databili intorno al 300 a.C., si aprono con l'elenco di tre gruppi di proposizioni: i termini, le nozioni comuni e i postulati.
I "termini" costituiscono le definizioni degli enti geometrici.
Alcuni di essi sono:
T 1 punto è ciò che non ha parti
T 2 linea è una lunghezza senza larghezza
T 5 superficie è ciò che ha soltanto larghezza e lunghezza
T 23 Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall'una e dall'altra parte, non si incontrano tra di loro in nessuna delle due parti
(i numeri si riferiscono all'ordine con cui appaiono negli Elementi)
I cinque assiomi, o nozioni comuni, sono proposizioni che tutti devono accettare in quanto intuitivamente vere in sé.
A 1 Cose uguali ad una stessa sono uguali anche tra loro
A 2 Se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali
A 5 Il tutto è maggiore della parte
Ad essi sono aggiunti quattro postulati, proposizioni che si chiede al lettore di accettare per intraprendere lo studio della geometria, ma che risultano essere evidenti, anche se non ad un livello di generalità come quello degli assiomi.
I quattro postulati sono:
P 1 da un punto si può condurre una retta ad ogni altro punto
P 2 una linea retta finita si può prolungare continuamente per dritto
P 3 per ogni centro e ogni distanza si può condurre una circonferenza
P 4 tutti gli angoli retti sono uguali
Con queste premesse Euclide riesce a dimostrare 28 teoremi, ma, incorre nella difficoltà di dover dimostrare l'unicità della retta parallela ad una retta data passante per un punto esterno ad essa.
Con i teoremi 27 e 28 era riuscito a dimostrare l'esistenza di almeno una retta parallela, ma non la sua unicità. Per fare questo è costretto ad introdurre un nuovo postulato
P 5 se una retta, segante altre due, forma con queste da una parte due angoli interni minori in somma di due retti, quelle due rette prolungate si taglieranno dalla parte ove la somma è inferiore a due retti.
Grazie a questo postulato aggiuntivo Euclide può continuare le dimostrazioni e raggiunge i risultati che tutti conoscono. Con il teorema 29 inizia perciò la geometria euclidea vera e propria
L'assunzione della proposizione 5 però, pone problemi che erano evidenti allo stesso Euclide. Questo postulato risulta infatti molto meno intuitivo dei primi quattro e la sua evidenza può venire messa facilmente in dubbio. Molti matematici tentarono perciò di dimostrarlo a partire dalle premesse iniziali, senza successo.
Tra i tanti che cercarono di trovare una soluzione per 212g65c questo problema ci fu il gesuita Girolamo Saccheri che nel 1773 pubblicò l'opera "Euclides ab omni naevo vindicatus..." nella quale, utilizzando un ragionamento per assurdo, pretende di aver dimostrato il quinto postulato di Euclide.
Saccheri argomenta la sua tesi dicendo che, prendendo un quadrilatero birettangolo isoscele, e considerando gli angoli A e B retti possono verificarsi tre possibilità:
C = D = angolo retto (tesi della geometria euclidea)
C = D = angolo ottuso (non esistono parallele)
C = D = angolo acuto (esiste più di una parallela)
Dimostrando l'assurdità delle ultime due ipotesi l'unica possibile sarà la prima.
Per quanto riguarda l'ipotesi dell'angolo ottuso la dimostrazione della sua assurdità si rivela elementare.
Per dimostrare l'assurdità dell'ultima tesi invece Saccheri dimostra numerosi teoremi fino ad arrivare ad un punto che lui definisce assurdo, ma che in realtà, non presenta alcuna illogicità. Preso dal desiderio di dimostrare il quinto postulato di Euclide non si accorge dell'errore commesso e liquida la tesi dell'angolo acuto.
Saccheri è stato di fatto , anche se inavvertitamente, il primo a sviluppare una geometria non euclidea
La tesi dell'angolo acuto non presenta nessun assurdo e sarà quella ripresa, con più cognizione di causa, da Lobacevskij, nei suoi "Nuovi principi di geometria".
Successivamente anche Gauss, forse il più grande dei matematici, ebbe l'intuizione delle geometrie non euclidee, ma ebbe paura di rivelare la sua scoperta per l'enorme scandalo che questa scoperta avrebbe provocato.
Finalmente nel 1830 il matematico russo Nicolaj Ivanovic Lobacevskij pubblicò la sua opera "Nuovi principi di geometria" che modificò radicalmente l'assiomatica classica e conseguentemente tutta la matematica.
Lobacevskij nega il V postulato di Euclide affermando che, prendendo una retta r ed un punto P fuori di essa, esistono più parallele ad r passanti per P. Egli prende il fascio di semirette originato da P e divide quelle che secano r da quelle che non la attraversano. Le secanti sono separate dalle non secanti da due rette che Lobacevskij chiama parallele. Nella geometria euclidea queste semirette hanno inclinazione uguale a due retti e sono identificate con l'unica retta di cui si parla nel V postulato di Euclide. Nella geometria iperbolica invece queste rette hanno tra loro una inclinazione minore.
Un modello per tale geometria è stato fornito da Klein. Egli definisce:
Piano: l'insieme dei punti interni ad un cerchio euclideo (K)
Rette: le corde di K
Punti: i punti interni a K
Punto improprio o all'infinito: i punti della circonferenza di K
Rette parallele: le corde di K che si incontrano in un punto della circonferenza di K
La definizione di retta sembra contrastare il P 2 in quanto la retta iperbolica, con la metrica euclidea, non è prolungabile all'infinito. Questo inconveniente si risolve definendo una nuova metrica che soddisfi le seguenti condizioni:
d(X,Y) = 0 se X Y
d(X,Y) = d (Y,X)
d(X,Y) d(X,Z) + d(Z,Y)
in cui d(X,Y) è la funzione distanza tra due punti.
Definiamo distanza tra due punti X, Y il valore assoluto del birapporto dei quattro punti euclidei X,Y,I,J dove I e J sono i punti della circonferenza di K.
Questa metrica rispetta le premesse che ci eravamo imposte.
Per verificare che la retta XY è infinita basta calcolare il limite di XY per Y che tende all'infinito, cioè al punto I.
La retta risulta infinita; il modello non contraddice i restanti postulati ed è quindi valido per visualizzare la geometria iperbolica. Inoltre può essere considerato coerente poiché si basa sul modello euclideo, la cui coerenza, che non può essere dimostrata in assoluto (2° teorema di Gödel), viene assunta poiché in migliaia di anni non si è mai verificato alcun assurdo.
Successivamente Bernhard Riemann costruisce una nuova geometria non euclidea riprendendo la tesi "dell'angolo ottuso" e postulando quindi che data una retta r e un punto P fuori di essa, non esiste alcuna parallela a r passante per P. Per poter affermare questo Riemann modifica il P 2 postulando che le rette non sono prolungabili all'infinito. Il P 2 ha infatti valore quanto il P 5 e perciò può essere modificato a piacimento con la consapevolezza che la geometria risultante sarà diversa da quella originale e che non è garantita la sua coerenza.
La nuova geometria si definisce ellittica ed un possibile modello per il suo studio può essere quello della superficie di una sfera.
Riemann definisce:
Piano: la superficie di una sfera (K)
Punti: ogni coppia di punti euclidei della superficie di K) diametralmente opposti
Retta: il cerchio massimo della superficie di (K)
Questo tipo di geometria era studiata da secoli per calcolare le coordinate terrestri (latitudine e longitudine) ma nessuno si era mai posto il problema che questa geometria fosse non euclidea. Anche questa geometria, come la precedente, basandosi sul modello euclideo può considerarsi non contraddittoria.
A questo punto può nascere una domanda: quale di esse è la geometria vera? Non è detto, infatti, che una teoria falsa sia per ciò stesso anche contraddittoria, poiché la contraddizione è senza dubbio una condizione sufficiente per generare falsità, ma non è una sua condizione necessaria. Le affermazioni false che ci capita di incontrare nella vita di ogni giorno, infatti, sono per lo più semplicemente false, ma non contraddittorie. Prese dunque le tre geometrie e considerando, ad esempio, quanto esse affermano del triangolo, vediamo che una di queste gli attribuisce somma degli angoli uguale a due retti, un'altra stabilisce che questa somma è sempre minore e la terza afferma che essa è sempre maggiore di due retti. Perciò indipendentemente dal fatto che non si intraveda una possibilità empirica di discriminare quale di queste tre possibilità sia vera di fatto, è chiaro che esso, il triangolo, ha una ben precisa somma degli angoli e che, pertanto, una sola delle tre geometrie è la vera, mentre le altre due sono false, benché non contraddittorie.
Nonostante la sua apparente impeccabilità, questo ragionamento è ricco di presupposti, per scoprire i quali è utile analizzare in senso più generale la nozione di verità in matematica. A tal fine possiamo esaminare le ragioni che storicamente sono state addotte per giustificare la convinzione comune secondo cui le proposizioni matematiche sono universalmente e necessariamente vere. (La matematica non è un'opinione...)
Una prima giustificazione di questo fatto consiste nel sostenere che esistono degli enti matematici, certamente di natura non empirica, ma non per questo privi di una loro realtà autonoma rispetto al nostro pensiero e al nostro modo di descriverli; essi godono di proprietà e relazioni oggettivamente sussistenti, e il compito della matematica è quello di scoprirle e descriverle progressivamente. Un simile modo di pensare caratterizza l'assiomatica classica, ma in modo implicito o esplicito, esso ha rappresentato una convinzione tacita di tutti i matematici fino al secolo scorso. Fu, invece, proprio la scoperta delle geometrie non euclidee che, con un processo graduale pose in netta crisi il punto di vista platonista. Incominciò tacitamente a farsi strada l'idea che, se anche gli enti matematici esistono di per sé, noi non possediamo a loro riguardo una percezione di valore apprezzabile; tant'è vero che non riusciamo, basandoci sull'intuizione geometrica che dovrebbe metter capo a essi, a discriminare fra teorie che contengono affermazioni su tali enti fra loro incompatibili.
Una prima conseguenza fu pertanto questa: si incominciò a dire che queste geometrie erano "tutte e tre vere", dove, con quel "vero" non era ben chiaro che cosa si intendesse. Non bisogna dimenticare che il concetto di verità è una questione tipicamente semantica, ossia risulta definito soltanto quando si possa porre un rapporto tra un linguaggio e un universo di oggetti a cui esso intende riferirsi. Stando così le cose, è chiaro che la nozione di verità, non meno che quella di dimostrabilità, è relativa: quest'ultima è relativa alle premesse che si assumono. Ne segue che, come non ha un senso preciso dire che una proposizione è dimostrabile senza menzionare le premesse da cui essa risulta dimostrabile, così non ha senso preciso dire che una preposizione è vera, senza precisare a proposito di quali oggetti essa è vera.
Il senso comune ha l'impressione che tutte le proposizioni possibili parlino di un "unico mondo", ma questo non può essere il punto di vista della scienza, la quale dovrebbe essere consapevole che ogni teoria scientifica si riferisce a un suo ben determinato campo di oggetti e solo su questi intende compiere le sue affermazioni. Possiamo facilmente riconoscere che non è la stessa retta quella di cui si dice, una volta, che ammette una sola parallela, un'altra, che ne ammette due. Per convincersene basta tener conto che il modello da noi ottenuto è un modello euclideo e che, in esso, la retta non è identificabile con la retta euclidea usuale. Nonostante in apparenza noi diciamo che "scegliamo" un modello adatto per i nostri assiomi, in realtà noi ce lo costruiamo proprio su misura: sono gli assiomi a determinare il modello, e non viceversa. Perciò, quando andremo a costruirci, non importa entro quale universo di oggetti, dei modelli per le nostre geometrie, possiamo star certi che queste non potranno mai venire in collisione. Le teorie matematiche non sono sistemi di proposizioni vere, ricavate a partire da proposizioni iniziali vere, bensì soltanto sistemi di proposizioni che si ricavano come conseguenza logica di altre ammesse ipoteticamente. Si venne di conseguenza sviluppando, tra la fine del secolo scorso e l'inizio del nostro, una posizione di convenzionalismo circa i fondamenti della geometria, la quale è spesso compendiata nella frase di Jules Henri Poincarè, secondo cui "non esistono geometrie più o meno vere, ma soltanto geometrie più o meno comode". Il suo significato implicito è la negazione dell'esistenza di enti matematici specifici, a proposito dei quali le geometrie dovrebbero sforzarsi di produrre proposizioni "vere". Può così diventare naturale affermare, ad esempio, che i numeri naturali sono ciò che è determinato dagli assiomi di Peano, o che gli enti geometrici sono ciò che è determinato dagli assiomi di Hilbert. Ora, essendo per i sistemi assiomatici, come sappiamo, una sola la condizione di legittimità veramente insopprimibile, cioè la non contraddittorietà, è facile su questa strada attribuire alla non contraddittorietà la funzione di una sorta di garanzia dell'esistenza matematica. Come si vede, spunta qui il problema dei rapporti fra matematica ed esperienza: queste strutture di oggetti di cui abbiamo detti, sono attingibili attraverso una esperienza di tipo non matematico e proprio per questo fatto si possono pensare come date esternamente rispetto ai sistemi matematici. Riguardo a esse, tuttavia risulta che i sistemi matematici possono "parlare" purché siano opportunamente interpretati. Una volta operata questa interpretazione, la teoria matematica risulterà vera in quel dato modello empirico e pertanto potrà risultare comoda per condurre i ragionamenti su quella struttura di oggetti. Per questa via, il problema della varietà delle teorie matematiche si è trasformato: è inevitabilmente passato in secondo piano lo stesso concetto di verità matematica che, senza una esatta precisazione circa tali oggetti, risulta intrattabile. Al suo posto è emerso invece un punto di vista diverso, ossia quello della possibilità per una teoria matematica di avere interpretazioni empiriche soddisfacenti.
Dal punto di vista fisico, e in particolare per quanto concerne la spiegazione dei fenomeni, la geometria euclidea era considerata la "geometria" in senso assoluto, cioè l'unica esistente e l'unica possibile. In realtà, anche la scoperta delle geometrie non euclidee ha lasciato inalterata, per molti decenni, la posizione di privilegio della geometria euclidea come teoria capace di descrivere lo spazio fisico; la sua posizione è stata scossa soltanto quando Einstein ha introdotto per la prima volta, in una teoria fisica, una geometria non euclidea. Il passaggio da una geometria intesa in senso matematico a quella che possiamo chiamare una geometria fisica consiste nel fatto che i concetti primitivi della teoria geometrica vengono interpretati su oggetti fisici e che, grazie a tale interpretazione, le preposizioni della teoria geometrica appaiono in gradi di descrivere con fedeltà il comportamento di tali oggetti nello spazio fisico. I fisici hanno sempre saputo che, nel condurre le misurazioni, sono necessarie delle precauzioni che comportano l'introduzione di fattori correttivi. Fino al secolo scorso, questi erano pensati in dipendenza da condizioni sperimentali quali variazioni di pressione, di temperatura, di umidità e simili; Einstein ha scoperto che un altro fattore correttivo di cui bisogna tener conto è la presenza di campi gravitazionali. Una nota conseguenza è l'incurvarsi dei raggi di luce in presenza di campi gravitazionali. Di fonte a questi fenomeni, si possono adottare due atteggiamenti distinti, la cui confusione ha determinato numerosi fraintendimenti nella teoria della relatività. Il primo atteggiamento consiste nel mantenere la descrizione euclidea dello spazio, introducendo però, nelle misurazioni fisiche, ulteriori fattori correttivi per tener conto che la luce non si muove più in linea retta, e così via. L'altro atteggiamento, che è quello adottato nella teoria della relatività generale, consiste invece nell'abbandono della descrizione euclidea dello spazio, per passare ad una descrizione non euclidea. La geometria adottata è di tipo riemanniano e variante da luogo a luogo, in funzione della concentrazione delle masse, la cui influenza si esercita nella data zona di spazio.
Il vantaggio di questo diverso atteggiamento sta nel fatto che non occorre più introdurre fattori correttivi e i raggi di luce, come tutti i corpi, percorrono delle linee rette, cioè le geodetiche, della geometria riemanniana dello spazio-tempo. In altre parole, non è vero che Einstein abbia scoperto " che la geometria dello spazio è non euclidea ", ma più semplicemente ha proposto una teoria fisica che partiva da una geometria non euclidea perché complessivamente le leggi fisiche risultavano più semplici. Si abbandonano infatti i concetti di forza e di campo di forze ( che coinvolgevano vecchi e complicati problemi riguardanti l'azione a distanza e la natura dei campi ) in favore di una descrizione fisica più semplice. Ad esempio, non si dice più che la Terra ruota intorno al Sole perché quest'ultimo esercita una forza su di essa, ma che la Terra percorre la geodetica dello spazio-tempo nella geometria determinata dalla massa del Sole. Analogamente, non si dice più che i campi gravitazionali incurvano i raggi di luce, ma che essi pure percorrono le geodetiche dello spazio-tempo. In definitiva, la scelta di quale geometria valga nello spazio fisico non è una questione geometrica, ma neppure una questione puramente fisica. E' infatti possibile constatare come nella scelta dell'una o dell'altra entrino necessariamente in gioco in misura determinante anche alcune concezioni a priori di natura filosofica sullo spazio e sul tempo, nessuna delle quali è eliminabile o privilegiabile sulla base di semplici considerazioni empiriche.
Metodo assiomatico deduttivo
Il metodo utilizzato dal matematico e filosofo greco Euclide nella sua opera, gli Elementi, è assiomatico-deduttivo. Questo metodo si serve del procedimento di deduzione in un percorso logico che parte da poche affermazioni molto generali, gli assiomi, per arrivare ad affermazioni, teoremi, che riguardano le proprietà particolari delle figure geometriche. Ogni teorema ha inizio da affermazioni note, che costituiscono le ipotesi, e giunge a dimostrare la tesi, mostrandone il collegamento con le diverse ipotesi attraverso catene di sillogismi. L'ipotesi è costituita da affermazioni che sono state dimostrate in precedenza, come tesi di altri teoremi, oppure direttamente da assiomi.
Per applicare questa catena di teoremi è necessario un punto di partenza: l'avvio è dato proprio dagli assiomi. Un assioma è una proposizione che non viene dimostrata ma viene considerata vera senza ulteriore giustificazione: la sua verità è evidente. A partire da un numero limitato di assiomi si deduce l'intero apparato della geometria.
Euclide enuncia negli Elementi quattro assiomi e da essi deduce ben 28 proposizioni (dimostra quindi 28 teoremi). Solo a questo punto enuncia un quinto assioma, oggi noto come assioma di Euclide, che può essere espresso in questo modo: data una retta, per un punto non appartenente ad essa passa una ed una sola parallela alla retta data .
Geometria iperbolica
A tutti i matematici, però, compreso forse lo stesso Euclide, questo assioma sembrava un po' meno fondamentale dei quattro assiomi precedenti: sembrava cioè possibile dimostrare questa affermazione come teorema, a partire dai primi quattro assiomi. Per secoli i matematici hanno tentato di dimostrare l'assioma di Euclide. Soltanto a partire dalla fine del XVIII secolo si cominciò a ragionare in modo diverso. Alcuni matematici, invece di accettare il quinto assioma come tale, o cercare di dimostrarlo, provarono a negarlo, cioè ad accettare come assioma una proposizione in contrasto con l'assioma di Euclide, e a dedurre da questa tutte le conseguenze logiche relative a essa.
I primi a valutare questa ipotesi furono, quasi nello stesso periodo, i matematici Gauss (1777-1855), Bolyai (1802-1860) e Lobacevskij (1793-1856). Invece di una sola parallela, essi ammisero la possibilità di due, e quindi, dedussero, infinite rette parallele, tutte passanti per lo stesso punto non appartenente alla retta data. Il loro lavoro costruisce una geometria perfettamente valida, nota come geometria iperbolica.
Le relazioni tra le figure in questa geometria corrispondono a quelle che si ottengono disegnandole, invece che su un piano, su una superficie curva, chiamata pseudosfera. Questa superficie non assomiglia assolutamente a una sfera: assomiglia invece a due "trombe" (infinite) affacciate; si può ottenere una pseudosfera facendo ruotare attorno all'asse y il grafico di una doppia iperbole equilatera.
Linee geodetiche
Sulla pseudosfera, le rette sono le linee geodetiche. La geodetica, su una qualunque superficie, è la linea che collega due punti secondo la minima distanza. Le geodetiche sono simili alle rette proprio per l'assioma che caratterizza queste ultime: per due punti distinti del piano passa una e una sola retta: bene, per due punti di una pseudosfera (ma anche per due punti di una sfera, per esempio) passa una e una sola linea geodetica. Naturalmente le geodetiche del piano sono proprio le rette.
Due geodetiche sono parallele quando non si intersecano, anche se magari un po' si avvicinano e un po' si allontanano tra loro. Sulla pseudosfera, data una particolare geodetica, si possono trovare infinite altre geodetiche che non la intersecano e che passano tutte per uno stesso punto, non appartenente alla prima linea presa in esame.
Geometria ellittica
Esiste però un altro modo per negare l'assioma di Euclide. Secondo il matematico Riemann (1826-1866) invece di una, o infinite parallele, non esiste alcuna parallela passante per un punto preso fuori da una retta data. La geometria costruita da Riemann è nota come geometria ellittica. Le rette della geometria ellittica si comportano come le geodetiche della superficie di una sfera (che sono le circonferenze di raggio massimo). Queste rette sono tutte curve chiuse e non vanno all'infinito .
Rette geometria ellittica
La geometria riemanniana non ha solo un'importanza teorica. Le rotte di navigazione transoceaniche e le rotte dei voli transcontinentali sono linee tracciate su una superficie curva: la superficie terrestre è infatti, con buona approssimazione, la superficie di una sfera, con un raggio di circa 6400 km. Se si volesse tracciare le rotte con la geometria euclidea del piano, sarebbe molto difficile arrivare nel posto giusto: solo per distanze molto brevi è possibile usare le cartine geografiche piatte come modelli del territorio da percorrere.
Rotta dei navigatori
Un problema che hanno tutti i navigatori è quello della scelta della rotta. Una prima possibilità è quella di mantenere fissa la direzione della bussola (rotta ortodromica): se la nostra nave (o il nostro aereo) deve andare in un punto che si trova esattamente a est del luogo nel quale ci troviamo, basta dirigerci verso est, e prima o poi giungeremo a destinazione. Questa non è però la rotta più breve: la linea che viene percorsa non è una linea geodetica. La rotta più breve, che segue una linea geodetica, è detta rotta lossodromica ed è molto più complicato trovarla: è necessario effettuare continue correzioni della rotta in modo da allontanarsi il meno possibile dalla geodetica. In alcuni casi però è più semplice. Tutti i meridiani e anche l'equatore, ma non gli altri paralleli, sono circonferenze di raggio massimo della sfera terrestre. Queste linee sono casi particolari nei quali la rotta ortodromica coincide con quella lossodromica: se vogliamo andare esattamente verso nord, o verso sud, dobbiamo tenere fissa la direzione indicata dalla bussola. Questa non solo è una rotta sicura, ma anche la più breve. Diventa invece evidente la differenza tra le due rotte se ci troviamo su un aereo nelle vicinanze del Polo (Sud o Nord). Se dobbiamo andare in un punto che si trova esattamente sul nostro stesso parallelo, la rotta ortodromica (che comunque ci porta a destinazione) ci dice di volare sempre verso est (o verso ovest). Così facendo, però, facciamo un percorso più largo: volando sopra il Polo, faremmo sicuramente una strada molto più breve.
Rotte intorno alla terra
Per comprendere meglio questi concetti, è opportuno verificarli su un mappamondo, o disegnare le rotte su un pallone di plastica con dei pennarelli, facendo uso di materiali facilmente cancellabili per ovviare ai possibili errori.
Esempi di geometrie non euclidee a più dimensioni
Una particolare attenzione alle geometrie non euclidee a più dimensioni si è successivamente sviluppata in rapporto a due particolari fenomeni. In primo luogo i progressi della fisica nell'infinitamente piccolo (particelle subatomiche) e nell'infinitamente grande (astronomia) si sono accompagnati all'impiego di geometrie non euclidee, le sole in grado di rendere ragione delle torsioni dello spazio in rapporto alla quantità (dunque alla massa) e alla velocità. In secondo luogo, più di recente, la grande potenza ormai raggiunta dagli elaboratori elettronici ha permesso di sviluppare modelli di spazi non euclidei sufficientemente precisi da poter compiere tramite essi efficaci simulazioni ed esperimenti innovativi..
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