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Le origini
Se per medicina si intende qualsiasi atto o procedimento finalizzato all'allontanamento
di un agente patogeno, di un sintomo morboso, di un qualsivoglia elemento che
turbi lo stato di salute, allora si può certamente dire che l'origine di questa
scienza coincida con l'origine stessa dell'uomo e che sia strettamente legata a
risvolti di carattere religioso, filosofico, paleontologico ed etnologico.
Inoltre è molto difficile fare un'adeguata ricostruzione scientifica dei primi
atti curativi in età preistorica, poiché i reperti di medicina vera e propria a
nostra disposizione non sono sufficienti (si tratta solamente di crani
trapanati e ossa con fratture consolidate risalenti a non prima di 100.000 anni
fa). In realtà si possono solo fare semplici supposizioni basate sull'osservazione
di graffiti, pitture murali o di sculture. Potrebbe venire spontaneo il
paragone nel campo medico tra l'uomo della preistoria e le moderne popolazioni
selvagge (ad esempio i pigmei africani), ma non bisogna dimenticare che anche
il popolo più primitivo di oggi ha già subito millenni di evoluzione.
Durante il corso dei secoli la medicina ha attraversato diversi stadi che,
secondo gli storici, sono i seguenti: medicina istintiva, medicina sacerdotale,
medicina magica, medicina empirica, medicina scientifica.
Per medicina istintiva si intende
quella serie di accorgimenti ed azioni proprie della natura degli animali
superiori ed insite nel loro comportamento, quali ad esempio il leccamento
della ferita, la posizione antalgica di un arto dopo un trauma, l'eliminazione
dei parassiti dal corpo, il disbrigo delle occorrenze del parto.
La medicina sacerdotale nacque quando
l'uomo primitivo, davanti alla potenza e all'imponenza dei fenomeni naturali che
trascendono ogni possibilità umana, ebbe la sensazione della presenza di uno o
più esseri superiori responsabili di qualsiasi manifestazione della natura,
anche di quelle relative alle patologie da cui veniva colpito. Le uniche vie di
guarigione risultavano quindi essere la preghiera, l'implorazione e il
sacrificio.
Solo in un secondo tempo, con la corruzione del puro sentimento religioso, si
ebbe la concezione magica della medicina,
in base alla quale l'uomo credette di poter intervenire sui fenomeni e
addirittura di poterli comandare, sostituendosi così alla divinità: fin dalle
più antiche testimonianze documentali di epoca storica in nostro possesso si
evince il fatto che la figura dello stregone o del mago è opposta ed in
contrasto con quella del sacerdote. Ciò significa che nel concetto di medicina
magica è inclusa una ben definita connotazione di empietà: chi si occupa di
fatture e sortilegi avvalendosi delle forze occulte viene temuto come un essere
malefico e diabolico.
Non si può però non rilevare nell'operato di maghi e stregoni un primo abbozzo
di scienza in quanto essi seguivano principi sempre uguali che, pur basandosi
su correlazioni completamente sbagliate tra causa ed effetto, costituivano
comunque un ragionamento guidato da un'apparente logica. Se quindi per scienza
si definisce lo studio dei fenomeni naturali al fine di stabilirne le leggi e
di poterli riprodurre applicando le leggi stesse, allora bisogna riconoscere
che la magia tende allo stesso scopo pur partendo da presupposti errati e
utilizzando mezzi inadeguati.
Quando poi l'uomo, ampliando le sue conoscenze ed approfondendo gli studi su di
esse, si rese conto di non potere più sostituire la divinità pur comprendendo
la natura dei fenomeni intorno a lui, iniziò una prima discriminazione tra
magia e scienza.
Anche nella medicina empirica
possiamo vedere una forma embrionale di scienza: è vero che non si preoccupa di
risalire al perché dei fatti osservati, ma è pur sempre la prima constatazione
tra una causa ed un effetto che permette la formulazione di successive ipotesi,
quindi il punto di partenza del ragionamento scientifico.
La medicina primitiva
medicina nella preistoria.
Come detto in precedenza, gli unici reperti di paleopatologia a nostra
disposizione sono relativi a lesioni dello scheletro: si tratta di fratture
(spesso ben consolidate), affezioni dentarie, problemi reumatici, rachitismo.
Da ricordare il rinvenimento di crani trapanati che presentano processi di
rigenerazione ossea, per cui si può affermare che l'intervento venne effettuato
su un individuo vivo.
la medicina primitiva presso i selvaggi.
I popoli primitivi attualmente viventi uniscono l'interpretazione
soprannaturale a un empirismo spesso assai progredito. Tutte quelle patologie
che sono causate da agenti ben definibili (traumi, morsi di animali,
parassitosi ecc.) sono trattate con rimedi naturali dettati da una ricerca
empirica, mentre quelle la cui causa non è evidente (qualsiasi patologia
interna) sono attribuite all' influenza di divinità, maghi o stregoni. In ogni
caso è sempre l'elemento magico ad avere il sopravvento nella diagnosi e nella
cura che sono esclusiva competenza dei guaritori.
L'eziologia di qualsiasi patologia è spesso associata a un peccato commesso,
anche involontariamente, dal paziente contro divinità, stregoni, individui o
oggetti dichiarati tabù (re, gurrieri, persone in lutto, donne mestruate,
puerpere, chiunque abbia a che fare con cadaveri, alcuni animali) con i quali è
proibito ogni contatto. Lo stregone ha poi la facoltà di causare la malattia in
moltissimi modi se ha a disposizione parti del corpo della vittima (unghie,
capelli ), oggetti o avanzi di cibo; in mancanza di ciò può ricorrere ad altri
procedimenti come l'infissione di chiodi o spilli in feticci. Anche i demoni e
le anime dei morti sono ritenuti in grado di provocare malattie.
Per difendersi dalle malattie si fa ricorso ad abluzioni, all'uso di amuleti,
alla somministrazione di erbe medicamentose oppure anche a cerimonie e riti
collettivi a cui partecipa tutto il villaggio con a capo lo stregone: talvolta
si cerca di scacciare il demone responsabile della malattia spaventandolo,
talvolta allettandolo, altre volte ancora si ricorre al sacrificio o all'allontanamento
di un capro espiatorio.
la medicina popolare.
E' un miscuglio di medicina primitiva, empirismo, magia e religione.
Riconosce a determinate persone, quasi sempre donne (le streghe), la capacità
di fare il male e di toglierlo. Per provocare le più svariate patologie si
ricorre alle fatture che possono essere eseguite indirettamente (operando un
transfert della vittima designata su figure, statuette o oggetti che la
rappresentano) oppure direttamente gettandole addosso o facendole ingoiare,
senza che se ne accorga, sostanze di vario genere di solito di carattere macabro
e ripugnante (ossa umane polverizzate, sperma, sangue mestruale). Spesso si
usano anche spilli, nodi e altri oggetti che vengono posti nel letto e nei
vestiti. Le malattie possono infine essere causate anche dalla semplice invidia
e dal malocchio, un fluido che viene emanato talvolta inconsapevolmente dagli
occhi delle persone che lo posseggono. C'è poi la magia del bene sia per le
malattie provenienti da fattura, sia per le affezioni più comuni: nel primo
caso se ne occupano le streghe, nel secondo invece persone dotate di
particolari virtù (settimini, appartenenti a certe famiglie ecc.) mediante
toccamenti ed enunciazione di determinate formule e preghiere.
Da non dimenticare infine il ricorso alla sfera religiosa che talvolta,
nonostante il divieto della Chiesa, sconfina in un senso di magismo e
superstizione quando arriva a far ingoiare polvere di intonaco di alcune
cappelle o immagini di santi.
La medicina nelle antiche civiltà
La medicina ebraica (1200 a.C.-550 a.C.).
E' sicuramente il migliore esempio del concetto assolutamente teurgico della
medicina: Dio è l'unica fonte di malattia e di risanamento, per cui solo il
sacerdote, cioè l'uomo scelto dal Signore, è considerato strumento di
guarigione. E' pur vero che il medico viene tenuto in grande considerazione, ma
alla base di tutto sta il fatto che è la divinità ad aver creato le piante e
tutti i medicamenti (fiele di pesce, il cuore, il fegato ecc.). Il concetto
igienico risulta quindi molto marginale rispetto al precetto religioso.
La medicina assiro babilonese (1792
a.C.-323 a.C.).
Rappresenta il punto di passaggio tra il concetto teurgico e quello magico: la
parte religiosa sta essenzialmente nell'eziologia in quanto l'ira di una
divinità verso una persona permette ai demoni maligni di aggredirla causando in
tal modo la malattia (c'è un demone per ogni patologia); il concetto magico ha
invece risalto nella parte terapeutica, nell'attuazione cioè degli esorcismi.
Nella fase diagnostica le due concezioni vanno di pari passo e un ruolo
preponderante è giocato dall'ispezione del fegato, ritenuto l'organo più
importante in quanto fonte di sangue. Bisogna poi ricordare la parte dedicata
alla chirurgia compresa nel Codice di Hammurabi: vi è una vera e propria serie
di norme deontologiche in cui sono riportati compensi e pene per chi esercita
questa attività.
La medicina egiziana (3000 a.C.-1000 a.C.).
Si passa da una fase teurgica-magica ad un empirismo estremamente illuminato:
notevoli sono la concezione biologica (concetto umorale sanguigno e concetto
pneumatico), la conoscenza dei vari quadri sintomatologici e la farmacologia.
Gli elementi che costituiscono la sapienza medico empirica vengono trattati
solo in libri sacri accessibili unicamente agli iniziati. Nonostante quello che
si potrebbe ipotizzare alla luce delle pratiche di imbalsamazione in cui gli
egiziani erano maestri, l'anatomia non appare particolarmente progredita. Al
contrario risultano molto precise le indicazioni relative alla terapia (nel
solo papiro di Ebers sono menzionati 500 diversi medicamenti) ed alle sue varie
forme di confezionamento e di somministrazione: polveri, tisane, decotti,
macerazioni, pastiglie erano perfettamente conosciuti. Assai progredita era
inoltre la chirurgia e la sutura delle ferite.
Da notare infine la presenza di medici specialisti nelle malattie urinarie,
nelle patologie delle orecchie, degli occhi e della pelle.
La medicina mesopotamica (3000
a.C.-2000a.C.).
E' un tipo di medicina magico-teurgica dotata di un certo grado di empirismo
interpretato però sempre in senso mistico ed occulto. La malattia è sinonimo ed
effetto di impurità per cui le cure consistono in lavacri e abluzioni, oltre
che in sacrifici espiatori. Nonostante ciò vi sono accenni riguardo al medico
che cura con le piante (Aura Mazda, la divinità del bene, ha creato almeno una
pianta per guarire ogni malattia) e a quello che cura con il "ferro".
La medicina indiana (2500 a.C.-1500 a.C.).
Ancora oggi vi sono scuole che studiano l'antica medicina indiana nella sua
forma originale, così come viene trattata negli antichi testi sacri (i Veda):
la loro completezza ed organicità ha fatto sopravvivere questa concezione fino
ai giorni nostri. Trattano molto accuratamente di grande e piccola chirurgia,
della cura delle malattie del corpo, di demonologia (è presente una certa
sfumatura di magia e religiosità), della cura delle malattie infantili, della
tossicologia, della preparazione di elisir e di afrodisiaci.
Notevoli la perfezione e la varietà dello strumentario chirurgico, le tecniche
di medicazione, l'attenzione negli esami diagnostici e la particolare abilità
negli interventi di litotomia e rinoplastica.
La medicina cinese.
I testi più antichi risalgono al 3500 a.C. e, come nella medicina indiana,
vengono ancora consultati e tenuti in considerazione. La malattia e la salute
sono determinate dall'armonia o meno dei due principi fondamentali: lo Yang (il
principio maschile) e lo Yin (quello femminile). I medici cinesi introdussero
per primi la rilevazione del polso: ne conoscevano 200 tipi differenti tra cui
21 erano considerati indice di esito letale; la farmacologia è senza dubbio la
più avanzata tra tutte le medicine antiche: comprende oltre 2000 farmaci e ne
include molti ufficialmente usati nella moderna terapia occidentale (ferro
contro l'anemia, l'oppio, il solfato di sodio come purgante ecc.). Da ricordare
inoltre il primo tentativo di immunizzazione attiva contro il vaiolo
insufflando polvere di croste disseccate nelle narici dei pazienti. Anche la
chirurgia era praticata a un buon livello: caratteristici gli interventi di
castrazione e quelli per limitare gli effetti della deformazione dei piedi.
Non si può tralasciare infine un accenno riguardo l'agopuntura: è l'arte di
penetrare con aghi di diversi materiali determinati canali che sono in contatto
con gli organi interni al fine di ottenere particolari benefici. Essa fu
introdotta nel 2700 a.C. ed è ancora in auge ai giorni nostri sostanzialmente
immodificata.
CAPITOLO 2
La medicina in Grecia
Anche se la nascita del pensiero scientifico si può far risalire alla comparsa
delle prime scuole mediche in Italia (Scuola di Crotone e Scuola di Sicilia), è
in Grecia che avviene la completa e definitiva emancipazione del medico sul
sacerdote con la costituzione del concetto di "clinica".
Nell'antica Grecia la medicina veniva praticata nei ginnasi, nelle palestre e
negli jatreia: il ginnasio era il luogo in cui i giovani venivano formati
culturalmente e fisicamente, mentre nella palestra si allenavano gli atleti
veri e propri. L'uno e l'altra consentirono un certo sviluppo della chirurgia
in seguito alle non infrequenti lesioni in cui gli atleti incorrevano nell'esecuzione
degli esercizi fisici. Tutti coloro che lavoravano in queste strutture avevano
conoscenze abbastanza approfondite di traumatologia e massoterapia; i medici,
che solitamente visitavano in strutture pubbliche o private (jatreia), venivano
chiamati dal ginnasiarca solo nei casi più gravi.
Le scuole mediche
Scuola di Cnido.
Particolare fu l'interesse di questa scuola per l'anatomia; il concetto di
patologia appare invece piuttosto rudimentale in quanto ogni malattia era
considerata un fenomeno completamente isolato e relativo al singolo organo che
ne veniva colpito. Anche la terapia era poco sviluppata: si basava essenzialmente
su latte, siero e succhi di alcune piante (euforbio, elleboro come cardiotonico
e diuretico, scammonea e coloquintide come purganti drastici, oltre ai semi di
dafne, detti anche granelli cnidici come revulsivo).
Scuola di Coo.
C'è il passaggio all'osservazione diretta del malato eseguita con grande
larghezza di vedute ed ottime intuizioni che distinguono indiscutibilmente
questa scuola da tutte le altre: nasce qui il vero concetto di clinica e della
conseguente diagnosi. Il medico è uomo, e la sua opera non ha sfumature
soprannaturali, mistiche, astratte o filosofiche. La medicina deve essere una
ricerca continua, serena e disinteressata alla quale bisogna dedicarsi solo per
amore di essa e della natura umana.
Fondatore della scuola di Coo e personaggio di maggior spicco fu Ippocrate (460
a.C.): egli apparteneva a una famiglia di medici che, secondo la tradizione,
discendeva direttamente da Esculapio (una divinità minore che eccelleva nell'arte
medica); dopo aver trascorso la giovinezza viaggiando allo scopo di
approfondire le conoscenze e perfezionare la sua istruzione soprattutto in
campo medico, tornò in patria per dedicarsi all'insegnamento e per mettere a
frutto tutto ciò che aveva appreso.
L'insieme dei libri che sono attribuiti ad Ippocrate va sotto il nome di Corpus
Hippocraticum o Collectio Hippocratica: si tratta di 53 opere per un totale di
72 libri che furono raccolti dai bibliotecari alessandrini nel III° sec. a. C..
Notevole senza dubbio lo stile molto incisivo e diretto, senza troppi fronzoli,
divagazioni filosofiche o circonlocuzioni contorte, anche se talvolta l'eccessiva
laconicità del pensiero può rendere difficile la giusta interpretazione. E'
proprio questo, comunque, che distingue le vere opere del caposcuola di Coo da
quelle scritte probabilmente in seguito da qualche suo parente, allievo o
successore. Da non dimenticare anche vari tentativi di falsificazione
commerciale delle opere ippocratiche quando si sparse la voce che la Biblioteca
di Alessandria stava inviando ricercatori e studiosi in tutto il mondo allora
conosciuto al fine di raccogliere qualsiasi materiale scritto lasciato dal
maestro di Coo. La questione sulla genuinità delle opere di Ippocrate
appassionò da subito i critici e i cultori dell'antica medicina: Eroziano prima
e Galeno in seguito compilarono un glossario delle voci ippocratiche che venne
riesaminato poi in epoca umanistica e, a più riprese, anche da autori del
nostro secolo.
Le opere del Corpus possono essere divise a seconda del loro contenuto in
diversi gruppi:
libri a contenuto etico
libri di clinica e patologia
libri di chirurgia
libri di ostetricia, ginecologia e pediatria
libri di anatomia e fisiologia
libri di terapeutica e dietetica.
La figura del medico.
E' l'unione del perfetto uomo con il perfetto studioso: calma nell'azione,
serenità nel giudizio, moralità, onestà, amore per la propria arte e per il
malato sono i cardini della personalità del medico così come era concepito da
Ippocrate. Ogni interesse personale passa in secondo piano. Non è certo un
essere superiore ed infallibile come i sacerdoti degli antichi templi, ma deve
sopperire alla sua fallacità con il massimo dell'impegno e della diligenza in
modo da commettere solo errori di lieve entità. Deve inoltre essere filosofo,
ma non tanto da farsi distogliere dalla vera scienza che è quella che si
appoggia su solide basi pratiche. Il suo abito, infine, deve essere decoroso ed
il suo aspetto denotare salute.
Con il passare dei secoli questa concezione rimase sostanzialmente immutata al
punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal 1523 al 1534), in una sua bolla,
stabilì che il laureato in medicina si impegnasse solennemente ad osservare il
testo del giuramento ippocratico.
L'anatomia.
Non fu molto approfondita dalla scuola di Coo per due motivi principali: da una
parte Ippocrate era più indirizzato verso il lato pratico della medicina, aveva
cioè una maggiore propensione per la clinica; dall'altra la cultura greca aveva
un rispetto assoluto per i corpi dei morti, quindi non c'era la possibilità di
studiare l'anatomia esercitandosi direttamente sui cadaveri.
Si avevano nozioni di osteologia, soprattutto riguardo la struttura delle ossa
del capo, delle vertebre e delle costole; molto poco si sapeva di miologia,
anche se si conoscevano i principali muscoli del dorso e degli arti; vene ed
arterie venivano confuse, così come nervi e legamenti. Di cuore e cervello
erano note le principali caratteristiche morfologiche ma non le reali funzioni.
Gli organi di senso erano probabilmente oggetto degli studi più accurati,
soprattutto per quanto riguarda la struttura dell'occhio.
La patologia.
Alla base della medicina ippocratica stava l'integrazione tra una concezione
pneumatica della vita ed una umorale, ma quest'ultima rivestiva senza dubbio un
ruolo più importante. Gli umori erano quattro: sangue (caldo umido) che
proveniva dal cuore, una sorta di muco detto flegma (freddo umido) dal
cervello, bile gialla (caldo secco) dal fegato, bile nera (freddo secco) dalla
milza. Lo stato di salute si aveva quando questi umori erano perfettamente
bilanciati tra loro; se invece la crasi era alterata per l'eccesso, la
corruzione o la putrefazione anche di un solo componente, allora insorgeva la
malattia. Era la natura stessa con la sua capacità curativa ad intervenire nel
tentativo di ristabilire l'equilibrio tramite l'espulsione degli umori in
eccesso per mezzo di urina, sudore, pus, espettorato e diarrea. Se invece la
malattia risultava più forte del processo autoriparativo dell'organismo il
paziente moriva. Per poter essere eliminati gli umori, dovevano prima essere
modificati con un processo che Ippocrate definiva di "cottura". Il
periodo intercorrente tra questo processo e la guarigione prendeva il nome di
"crisi".
Il predominio di uno dei quattro umori conferiva anche particolari
caratteristiche all'individuo (principio della costituzione e dei
temperamenti): si avevano così i temperamenti sanguigno, biliare, flemmatico e
atrabiliare.
Motivi dell'alterazione degli umori potevano essere le intemperie, la dieta o,
concezione nuova in assoluto, cause fisiche correlate all'ambiente di vita.
Altra novità fondamentale introdotta dalla dottrina di Ippocrate fu il fatto di
considerare le patologie come fenomeni generali per l'organismo e non relativi
ad un singolo organo; quelle più conosciute dalla scuola di Coo furono: la
polmonite, la pleurite, la tubercolosi (ma con un concetto ben differente da
quello attuale), la rinite, la laringite, la diarrea, alcune malattie del sistema
nervoso, l'epilessia, il tetano.
La clinica.
L'epoca ippocratica segna la nascita della clinica intesa come studio dei segni
e dei sintomi osservabili sul paziente. Vi sono 406 aforismi che racchiudono in
frasi brevi e coincise tutte le osservazioni e le esperienze del maestro di
Coo; la sua sapienza fu poi diffusa presso tutti i popoli allora più evoluti
attraverso traduzioni in arabo, ebraico e latino. Da essi si evince che l'esame
effettuato dal medico doveva essere il più approfondito possibile e comprendeva
non solo l'ascoltazione, la palpazione e, forse, la percussione, ma anche
qualsiasi piccolo indizio che avrebbe potuto essere utile per la diagnosi:
diverse sfumatore di colore, variazioni di comportamento, insolite contrazioni
muscolari, quantità e qualità di qualsiasi escrezione e secrezione ecc.. Da
ricordare l'accuratezza con cui veniva esaminata l'urina, valutata come
quantità, colore, sedimento e torbidità. Assai particolareggiata e minuziosa
era inoltre l'anamnesi, pur essendo rivolta essenzialmente a conoscere solo la
situazione presente del malato. La prognosi si basava sullo studio degli esiti
delle varie patologie: essa era considerata infausta se si notavano fattori
quali disturbi visivi, sudore freddo, anemizzazione delle mani, cianosi delle
unghie e stato di agitazione, mentre il polso non veniva tenuto in nessuna
considerazuione.
La chirurgia.
La scuola di Ippocrate disponeva di uno strumentario abbastanza fornito
comprendente coltelli e bisturi di varie forme e dimensioni. Gli interventi più
frequentemente eseguiti erano la riduzione di lussazioni (con particolari
macchine) e di fratture (con stecche e fasciature), la trapanazione del cranio
in seguito a fratture delle ossa del capo e la cura dei piedi torti. Assai
particolareggiata era inoltre la tecnica delle fasciature. Nella cura delle
ferite era raccomandato il riposo e l'applicazione di calore senza ricorrere ad
olii o balsami vari.
Limitati erano invece gli interventi in ginecologia e ostetricia: tra questi è
notevole il trattamento della deviazione del collo dell'utero con obliterazione
e soppressione delle mestruazioni. Era vietata la pratica dell'interruzione
volontaria della gravidanza.
La terapia.
Varie erano le piante usate come farmaci; tra le più importanti ricordiamo: l'elleboro
nero e la scilla (cardiotonici e diuretici), la coloquintide (purgante
drastico), il veratro bianco (antireumatico, ipotensivo, contro le affezioni
cutanee), l'issopo (espettorante), il giusquiamo (antidolorifico, sedativo), l'oppio,
la mandragora e la belladonna (narcotici, analgesici locali), la ruta
(abortivo), la menta (stomachico). Pur conoscendo i principali gruppi di
medicamenti, la scuola di Ippocrate li usava con moderazione in quanto riponeva
molta fiducia nelle capacità autocurative del corpo umano. Venivano inoltre
praticati salassi, cure idroterapiche, inalazioni, irrigazioni e lavaggi
vaginali. Notevole l'uso di ventose come antiflogistico: creando una
depressione nella zona infiammata si provoca una vasocostrizione da suzione che
riduce la quantità di essudato e trasudato. Interessante infine l'uso di
vesciche introdotte nelle ferite toraciche allo scopo di tamponare la lesione e
contenere l'emorragia.
Il principio terapeutico seguito però varia: a prescindere dal fatto che è
preferibile sconfiggere la malattia in modo indiretto invece che drasticamente
e violentemente, si passa dal concetto del similia similibus (provocare
fenomeni simili alla sintomatologia del paziente per guarirlo) a quello
certamente più sensato del contraria contrariis (avvalersi di mezzi ritenuti
contrari alla causa della patologia). La febbre è un ottimo mezzo per
raggiungere la guarigione: il suo calore facilita infatti l'evacuazione degli
umori in eccesso accelerandone la "cottura".
La dietetica.
Ippocrate considerava la dieta come il complesso di regole e prescrizioni che
il malato era tenuto a seguire non solo relativamente al suo regime alimentare
che, comunque, era di fondamentale importanza. Lo scopo ultimo era il
ripristino dell'equilibrio degli umori tramite la prescrizione di cibi che, a
seconda dei casi, erano umidi, caldi, freddi, o asciutti. Il principio
generale, come già accennato in precedenza, era quello di aiutare le difese
naturali dell'organismo a liberarsi degli umori corrotti o in eccesso, per cui
nella fase acuta della malattia erano maggiormente indicati cibi leggeri e
bevande poco nutrienti al fine di non distrarre le forze dell'organismo dalla
"cottura" degli umori verso quella degli alimenti.
Assai famose erano la tisana, cioè un decotto di orzo macinato, e l'idromele,
una bevanda data dalla fermentazione di acqua e miele.
Il dogmatismo post-ippocratico.
Da una parte è il riconoscimento della validità delle teorie e del pensiero di
Ippocrate, dall'altra è invece il ritorno a una concezione che sembrava ormai
superata: c'è nuovamente una certa quale sacralità nel concetto di medicina,
anche se l'elemento divino è sostituito da quello umano, cioè dalla dottrina
del maestro di Coo.
La scuola dogmatica, che vide come maggiori esponenti Diocle di Caristo (grande
studioso di anatomia) e Prassagora di Coo (famoso per i suoi studi di
semeiotica), ebbe tuttavia il merito di riconoscere il valore di un nuovo
sintomo fino ad allora tenuto in scarsa considerazione: l'esame del polso. Tra
i dogmatici va ricordato anche il filosofo Platone che in due delle sue opere
(il "Timeo" e il "Simposio") traccia una visione d'insieme
sul livello della medicina a quei tempi. La fine di questa scuola si può
collocare intorno al 310 a.C., quando la filosofia stoica vi si infiltrò
alterandone i principi e mutandone la fisionomia: la dialettica e la
speculazione astratta sostituirono infatti l'osservazione dei reali fenomeni
patologici.
La scuola di Alessandria.
Dopo l'era della clinica rappresentata dalla scuola di Ippocrate, si apre
quella caratterizzata dall'esperimento biologico: iniziano studi sistematici su
sezioni anatomiche e comincia la pratica della vivisezione su animali. Prima
della scuola di Alessandria fu però il filosofo Aristotele, definito da molti
come il fondatore dell'anatomia comparata, ad intraprendere questo genere di
studi fondendo scienza e filosofia in ragionamenti basati sui suoi famosi
sillogismi: studiò a fondo l'anatomia con particolare attenzione per il sistema
nervoso e per il cuore.
Alessandria fu indubbiamente il più importante centro culturale del IV° sec. a.
C., e la medicina, come tutte le altre scienze e discipline, raggiunse un
elevato grado di specializzazione grazie alla scuola che sorse appunto nella
città fondata da Alessandro Magno. Partendo dalla dottrina di Ippocrate approfondì
gli studi sull'anatomia e sulla fisiologia anche attraverso vivisezioni per
conoscere meglio la struttura e la funzione degli organi dando così il primo
impulso all'anatomia patologica. Nel periodo di massimo splendore riuscì ad
integrare perfettamente la parte clinica e quella scientifica tentando di
colmare le lacune che entrambe presentavano.
Erasistrato fu uno dei più famosi esponenti di questa scuola: mise per primo in
dubbio la teoria umorale e ipotizzò che la causa delle malattie fosse da ricercarsi
in un'alterazione dei vasi o dei tessuti; dette particolare valore all'esame
del polso e fu inoltre assai rinomato per l'accuratezza delle diagnosi; scoprì
per primo i vasa vasorum, studiò le valvole atriali e vasali, la vena e l'arteria
plomonare, il fegato (notò la correlazione esistente tra cirrosi epatica ed
ascite).
Altro caposcuola fu Erofilo, che si distinse per le precise descrizioni del
cervello, dell'occhio e del nervo ottico. Fu inoltre famoso come ginecologo e
ostetrico.
La scuola empirica.
Si sviluppò tra il 270 e il 220 a. C. grazie all'iniziativa di Filino di Coo e
Serapione di Alessandria all'interno della stessa scuola alessandrina. Sorse
come risposta sia allo sterile dogmatismo in cui erano caduti molti dei
successori di Erasistrato ed Erofilo, sia all'eccessivo indirizzo sperimentale
che aveva fatto almeno in parte trascurare l'attuazione pratica della medicina:
gli empirici ponevano infatti le cognizioni frutto della loro diretta
esperienza in contrapposizione a quelle acquisite da altri.
L'esperienza si basava essenzialmente su tre punti: l'autopsia (cioè la diretta
osservazione), l'historicon (la storia delle osservazioni proprie e altrui), l'analogia
(il confronto).
Gli esponenti di questa scuola si distinsero nella chirurgia (soprattutto cura
di lussazioni e fratture, cataratta e calcoli), nel trattamento delle ferite e
nella tecnica delle fasciature, anche se tralasciarono completamente lo studio
dell'anatomia e della fisiologia poichè le ritenevano di secondaria importanza rispetto
al problema del malato. Persero quindi di vista il concetto di malattia come
espressione di un generale malessere dell'organismo, considerando solo la
particolarità e la localizzazione della singola patologia.
Poi, anche per il fatto che la ricerca e lo studio delle leggi naturali
sembravano giungere a conclusioni spesso troppo difficili da spiegare in
confronto alle teorie mistiche ed occultistiche che da sempre avevano trovato
terreno fertile in Egitto, tornò la tendenza a rivolgersi alla sfera soprannaturale
e magica che si sarebbe manifestata in Occidente con il periodo
alessandrino-romano.
CAPITOLO 3
La medicina nell'antica Roma.
Lo sviluppo della medicina in Roma si può dividere in tre periodi: il primo è
quello della medicina detta autoctona, di antica origine italica; il secondo è
caratterizzato dalla coesistenza dell'elemento autoctono e di quello greco che
andava infiltrando il mondo romano (fase di transizione) ed il terzo consiste
nel definitivo trapianto della medicina greca nel mondo romano (periodo delle
scuole).
Medicina autoctona.
Comprende almeno i primi seicento anni di vita della città di Roma, in cui più
che di medici veri e propri si può parlare di persone (curatores) in grado di
prestare occasionalmente una sorta di servizio sanitario in condizioni di
straordinaria emergenza come ad esempio guerre o pestilenze. Due sono le
espressioni della medicina in questa fase: quella empirica e quella
sacerdotale.
La prima si basa su nozioni desunte dall'esperienza (erbe medicamentose,
infusi, decotti ecc.) unite a elementi di magia ed ha come massimo esponente
Catone il censore (234 a.C.-149 a.C.) che, pur non essendo medico, era famoso
per la conoscenza di parecchi medicinali e per la pratica con apparecchi per
ridurre lussazioni e fratture.
La seconda è testimoniata dalla presenza di una serie di divinità, ognuna delle
quali proteggeva una parte del corpo o era preposta a singoli aspetti
(patologici e non) della vita fisiologica.
Da non dimenticare inoltre l'emanazione di leggi a sfondo igienico-sanitario
fin dai tempi dei sette re, e la figura del pater familias (rappresentante
della medicina domestica) che era deputato alla tutela della salute di tutti i
componenti del nucleo famigliare, dei dipendenti e del bestiame.
Fase di transizione.
E' caratterizzata dall'arrivo a Roma di parecchi medici greci, molti dei quali
erano per la verità di scarsa abilità tecnica e di dubbia moralità: si
occupavano infatti principalmente di esecuzione di aborti, della produzione e
della vendita di filtri amorosi. Erano quasi tutti schiavi o liberti, per cui
inizialmente non godevano di grande prestigio.
Con Arcagato, arrivato dal Peloponneso intorno al 219 a.C., inizia invece la
pubblica professione medica esercitata in luoghi a metà strada tra ambulatori,
farmacie e scuole detti tabernae medicinae che ricordavano molto da vicino gli
jatreia greci descritti da Ippocrate.
Periodo delle scuole.
E' il momento di maggiore splendore della medicina a Roma: non a caso coincide
con l'età imperiale. Sotto l'influenza delle varie scuole che tuttavia
degeneravano spesso in vere e proprie sette in aperta contraddizione tra loro,
comincia a prendere forma un pensiero medico vero e proprio.
Questo periodo abbraccia tre fasi ben distinte che hanno come punto di
riferimento la figura di Galeno: la fase pre-galenica, quella galenica e quella
post-galenica.
Medicina pre-galenica.
Si estende quasi fino alla metà del II° sec. d.C. (dall'arrivo a Roma di
Asclepiade fino alla nascita di Galeno) ed ha come principale caratteristica la
presenza di una moltitudine di scuole, dottrine e tendenze varie tra cui vanno
ricordate la scuola metodica, quella pneumatica, quella eclettica e l'enciclopedismo.
La scuola metodica prese questo nome
perchè si proponeva di razionalizzare e semplificare la propria dottrina per
renderla accessibile anche alle menti meno brillanti. L'effetto che ottenne fu
invece quello di togliere scientificità alla medicina e di avvilirne il
significato. Ebbe come ispiratore Asclepiade di Bitinia (50 a.C. circa) il cui
pensiero si basava sul fatto che la materia fosse composta da atomi che
unendosi lasciavano tra loro dei pori attraverso i quali si muovevano altri
atomi. Lo stato di salute era dato dalla perfetta proporzione tra atomi e pori;
la malattia era data invece dall'eccessiva larghezza o strettezza degli stessi
(status laxus che provocava pallore, flaccidità e astenia e status strictus che
era caratterizzato da rossori, calori e sete ardente). Negava inoltre il
principio ippocrateo della natura guaritrice che non poteva in alcun modo
restringere o allargare i pori causa di malattia. Abbandonando poi la teoria
umorale ridusse anche l'uso dei medicinali incentrando il suo modello di
terapia su massaggi, idroterapia, passeggiate e musica. A questa scuola non
mancarono comunque validi esponenti come Sorano d'Efeso e Celio Aureliano: essi
andarono oltre la concezione degli atomi e dei pori occupandosi di patologia,
di clinica, di terapia e di igiene.
La scuola pneumatica rappresentò una
reazione a quella metodica e il ritorno ad alcuni principi cari ad Ippocrate.
Deve il suo nome al fatto che individuava il pneuma, cioè il respiro, come la
base dell'economia vitale dell'organismo anche se riteneva molto importante l'equilibrio
degli umori sia per la costituzione fisica che per il temperamento. Fu fondata
intorno al 50 d.C. da Ateneo di Attaleia, famoso per i suoi studi di semeiotica
e sul polso, che considerava indice dello stato del pneuma nelle arterie.
La scuola eclettica (dal 90 d.C.)
tolse al sistema metodico la sua parte più ipotetica e assoluta mettendo invece
in evidenza ciò che aveva di positivo e sperimentale, riprendendo inoltre la
parte osservatrice di Ippocrate. Agatino da Sparta fu il suo fondatore; tra gli
altri va citato Areteo di Cappadocia, famoso per l'accuratezza di alcune
descrizioni anatomiche e di vari quadri patologici.
L'enciclopedismo consisteva nella
trattazione di argomenti o tematiche di qualsiasi genere. La medicina, essendo
un settore ancora relativamente inesplorato, attirò molti tra i più famosi
scrittori romani tra cui Cicerone, Vitruvio, Marco Terenzio Varrone, Lucrezio,
Plinio il Vecchio, Gellio e Seneca che, pur non essendo medici, se ne
occuparono comunque in maniera abbastanza approfondita.
Un discorso a parte merita per la portata dei suoi studi e della sua opera
Celso, uno tra i pochi medici originari di Roma; egli fu fondamentalmente
ippocratico anche se non disdegnò altre dottrine quando spiegavano in modo
sensato i fenomeni da lui presi in esame. Nelle sue opere trattò approfonditamente
di patologia, di clinica, di igiene, ma soprattutto di chirurgia: da ricordare,
tra tutte le altre cose, la legatura dei vasi nelle emorragie più imponenti, la
sutura delle ferite profonde, la toracotomia, le ernie inguinali, ombelicali e
scrotali, l'intervento per l'eliminazione dei calcoli vescicali, la tecnica
delle operazioni di emorroidi e varici, la chirurgia plastica e ben 24 tipi
procedure chirurgiche in oculistica.
Galeno (138-201).
Si battè con decisione contro l'imperversare delle scuole che, in ultima
analisi, stavano portando la medicina verso un periodo di decadenza ergendosi
ad arbitro di tutto lo scibile medico: tentò di separare il vero dal falso,
indipendentemente dalla fonte di provenienza, riunificando i vari sistemi di studio
con la raccolta di tutto il materiale a sua disposizione, esaminandolo e
vagliandolo a fondo e cercando di perfezionare il metodo sperimentale che stava
alla base del suo pensiero. Dal momento che dette anche particolare valore alla
clinica ed alla patologia, si può certamente dire che fu l'artefice della più
completa forma di medicina mai concepita fino a quel momento.
In anatomia non si limitò a sterili descrizioni morfologiche: cercò di capire
la funzione e la finalità di ogni singolo parte dell'organismo, anche se
sezionò più che altro corpi di animali (principalmente maiali, cani e scimmie).
La parti più minuziosamente trattate sono l'osteologia e la neurologia.
In fisiologia quasi ogni studio fu suffragato dalla parte sperimentale: scoprì
la differenza tra nervi motori e sensitivi, distinse le lesioni degli emisferi
cerebrali da quelle del cervelletto, valutò la funzione escretrice dei reni, la
circolazione fetale e si occupò particolarmente degli organi di senso. Si
soffermò inoltre a lungo sulla funzione circolatoria che, nonostante grossolani
errori, avrebbe formato un caposaldo della fisiologia medioevale fino al
rinascimento; i suoi punti fermi erano i seguenti: il fegato è il centro del
sangue venoso e il cuore di quello arterioso; il cuore destro e quello sinistro
comunicano tra loro; il sangue si esaurisce negli organi; le vene polmonari
portano sangue sporco ai polmoni e lo riportano purificato al cuore.
In patologia non raggiunse invece livelli di eccellenza in parte per la
costante preoccupazione di voler classificare ogni malattia, in parte per una
venetura di filosofismo che emergeva nei casi in cui non riusciva a risalire
alle reali cause del male. Partendo da due teorie abbastanza semplici, e cioè
da quella dell'alterazione dei pori che si trovano tra gli atomi e da quella
umorale, inserì nella sua dottrina una gran quantità di termini astrusi,
suddivisioni spesso artificiose, cause e concause, portando talvolta la
formulazione della diagnosi in un campo puramente astratto tramite sillogismi
aristotelici senza dar luogo all'esame diretto del malato.
In clinica fu invece assai minuzioso: grazie alla diretta osservazione del
malato, alla profonda conoscenza dell'anatomia ed all'esperienza accumulata
durante i suoi studi di fisiologia era in grado di spiegare fatti e fenomeni
che sfuggivano ai medici della sua epoca. Degna di essere ricordata è la
diagnosi differenziale tra emottisi, ematemesi e sputo sanguigno da epistassi;
descrisse inoltre vari tipi di febbre, i sintomi dell'infiammazione e
sottolineò l'importanza dell'esame delle urine e della valutazione del polso di
cui distinse non meno di 40 varietà.
Galeno fu poi il primo vero esperto di medicina legale: si occupò di morti vere
ed apparenti, iniziò la pratica della docimasia idrostatica polmonare per
constatare, in caso di sospetto infanticidio, se il feto avesse o no respirato,
e delle simulazioni delle malattie.
In terapia partì dal concetto ippocratico della forza medicatrice della natura
basandosi sulla regola del contraria contrariis. Ogni medicamento doveva poi
essere di provata efficacia e prescritto per una ragione plausibile; conosceva
quasi 500 sostanze semplici di origine vegetale e una vasta gamma di origine
animale e minerale. Tra quelli composti i più famosi erano la picra (purgante
amaro a base di aloe) e la hjera (purgante sacro a base di coloquintide).
Frequente era anche il ricorso al salasso.
Medicina post-galenica.
Generalmente con la morte di Galeno si rappresenta la chiusura del periodo
aureo della medicina romana, anche se per almeno altri tre secoli la scienza
medica sarebbe stata ancora sulla cresta dell'onda. Dopo Galeno, ad ogni modo,
si sviluppò una sorta di dogmatismo e uno sterile canonismo portato avanti da
figure a volte degne di nota che tuttavia non aggiunsero nulla di nuovo a
quanto già era noto.
Oltretutto iniziò la tendenza allo sconfinamento del conoscibile nel campo dell'inconoscibile,
caratteristica peculiare della medicina nel medioevo. Da ricordare Leonida di
Alessandria (studiò la filaria e fu esperto negli interventi su ernia e gozzo),
il famoso chirurgo Filagrio e suo fratello Poseidonio (si occupò delle malattie
del cervello descrivendo molto accuratamente i deliri acuti, gli stati
comatosi, quelli catalettici, l'epilessia e la rabbia).
Condizioni igienico-sanitarie nell'epoca
romana.
Una delle caratteristiche più peculiari della psicologia romana fu senza dubbio
la preoccupazione per le norme igieniche allo scopo di formare buoni soldati e
proteggere la salute di tutti i cittadini: fin dai tempi della repubblica
iniziò la costruzione di acquedotti, bagni e piscine, si presero provvedimenti
atti a risanare luoghi malsani, si fecero studi per scegliere oculatamente i
luoghi dove costruire insediamenti urbani, vennero emanate vere e proprie ingiunzioni
legali al fine di moderare l'alimentazione e di evitare malattie. Celso, ad
esempio, si dilunga parecchio su questo argomento nelle sue opere evidenziando
particolarmente l'importanza della dieta, della moderazione nei rapporti
sessuali, della necessità di scegliere un clima conveniente e di dedicarsi all'esercizio
fisico ed ai bagni. Tra gli aspetti di maggior rilievo trattati dall'igiene
romana vanno ricordati l'igiene dell'acqua, quella mortuaria, quella alimentare
e l'esercizio fisico.
L'acqua.
Fu probabilmente l'argomento principale in tutti i suoi aspetti: sia come
elemento di insalubrità (nei luoghi paludosi), sia come bisogno primario di
ogni agglomerato urbano, sia come elemento di pulizia e di ritempramento delle
forze fisiche, sia come sussidio terapeutico.
Già gli Etruschi iniziarono il risanamento di alcune zone malariche attraverso
canali di drenaggio che favorivano lo scolo delle acque stagnanti, e cunicoli
muniti di lastre di piombo bucherellate per filtrare e depurare l'acqua. I Romani
proseguirono queste opere di bonifica iniziando con la costruzione della Cloaca
Massima all'epoca di Tarquinio Prisco e con la canalizzazione delle acque
urbane reflue nel Tevere.
La sorveglianza dello smaltimento delle acque di rifiuto e delle rive del fiume
era ritenuta di fondamentale importanza ed era pertanto affidata a particolari
autorità civili: in un primo momento se ne occupavano Edili e Censori, poi fu
invece creato un vero e proprio apparato burocratico al cui vertice stava il Comes Cloacarum da cui dipendevano i Consulares Aquarum che arrivarono anche
al numero di 700. Altra figura di primo piano era il Curator Aquarium, responsabile della sorveglianza degli acquedotti
deteriorati e di quei tratti di terreno nei quali scorrevano le condutture
sotterranee; egli vigilava per impedire che si costruissero case, che si
piantassero alberi o che si accumulassero immondizie nelle loro immediate
vicinanze.
Fu Anco Marzio a portare per la prima volta l'acqua verso Roma attraverso un
sistema di incanalamento, ma il primo vero e proprio acquedotto (che misurava
11 miglia romane) fu costruito dal censore Appio Claudio nel 312 a.C.. Con il
passare degli anni nella sola città di Roma si arrivò al numero di 14
acquedotti per un totale di 600 Km con una portata di ben 1,5 milioni di metri
cubi giornalieri, e tantissimi altri ne furono costruiti in tutte le città più
importanti dell'impero (Nimes, Tarragona, Segovia, Parigi, Cartagine...).
Come accennato in precedenza gli acqedotti erano in parte sotterranei e in
parte scorrevano sopra strutture composte da arcate. Nel primo caso, ad
intervalli regolari, vi erano aperture dette putei che servivano per la ventilazione e lo spurgo del canale. Il
condotto che portava l'acqua era detto specus
ed era dotato di un rivestimento impermeabile. In tratti nei quali l'acqua non
era limpida venivano costruite infine alcune vasche dette piscinae limariae allo scopo di far sedimentare il fango.
Altro segno tangibile della cultura romana e della sua attenzione all'igiene
pubblica sono le terme, costruzioni di cui l'Urbe fu ricchissima, tanto che
nell'epoca di maggior splendore se ne contavano circa 800 nella sola area della
città. Anche se in seguito sarebbero state probabilmente una tra le cause della
decadenza della civiltà romana a causa dell'uso smodato che si finì per farne,
il principio che le aveva ispirate era senza dubbio positivo. I romani erano
soliti bagnarsi nel Tevere già fin dai primi tempi dopo la fondazione della
città; poi cominciarono ad essere costruite piscine artificiali, pubbliche e
private . I lavaggi quotidiani si limitavano alle braccia e alle gambe, mentre
ogni nove giorni veniva lavato tutto il corpo.
Vitruvio codificò il sistema architettonico delle terme romane: a prescindere
dal fatto che l'orientazione della struttura doveva essere tale da poter
ricevere il sole in certe ore piuttosto che in altre e che si doveva tenere
nella giusta considerazione anche l'esposizione ai venti, i tre elementi
essenziali erano le vasche di acqua tiepida, calda e fredda, ovvero il tepidarium, il calidarium e il frigidarium,
mentre quelli accessori il laconicum
(la sauna) e gli apodicteria (gli
spogliatoi). Poi, a seconda della maggiore o minore lussuosità, si potevano
aggiungere anche altri ambienti totalmente estranei al concetto igienico come
ad esempio la biblioteca, lo stadio o la palestra.
Le donne potevano accedere alle terme di mattina, gli uomini invece da
mezzogiorno fino a dopo il tramonto; gli ammalati potevano entrare anche prima
dell'orario di apertura. Solitamente il trattamento iniziava con esercizi
fisici, bagni di sole e massaggi; poi si passava nella vasca calda, in quella
tiepida, e per ultimo in quella fredda. Infine la seduta alle terme prevedeva
un ulteriore massaggio, la unzione con balsami ed oli profumati.
Numeroso era il personale che lavorava alle terme: a parte il conductor (appaltatore) e il balneator (amministratore), vi erano
parecchi schiavi addetti a vari servizi come l' arcarius (guardarobiere), il
capsarius (cassiere), l'unctor (untore),
il tractator (massaggiatore), l'alipiles (depilatore).
L'esercizio fisico.
Uno dei caposaldi fondamentali nell'organizzazione sanitaria di Roma fu
l'educazione fisica che veniva impartita nei ginnasi e nelle palestre al fine
di irrobustire la gioventù e dare alla patria cittadini sani e soldati forti.
Da ricordare la Iuventus,
un'associazione a carattere ginnico premilitare a cui potevano iscriversi i
giovani dai 6 ai 18 anni di età. Nei ginnasi il sistarca si occupava di dirigere gli esercizi coadiuvato dal gymnasta il quale non era un vero e
proprio medico, ma doveva avere anche nozioni di traumatologia ed ortopedia.
L'igiene mortuaria.
Molte erano le leggi riguardo le sepolture e i funerali, ma probabilmente vanno
intese più in senso rituale che igienico.
Inizialmente i cadaveri venivano bruciati e le ceneri raccolte in urne che
venivano depositate in ampie tombe comuni, mentre con l'avvento del
cristianesimo iniziò l'uso di seppellire i morti: sia la cremazione che la
sepoltura dovevano essere effettuate fuori dalla città per impedire il
diffondersi di esalazioni provenienti dai corpi; l'inumazione si eseguiva
chiudendo la salma in una bara di marmo o di metallo. Gli schiavi, i poveri e
gli avanzi del circo venivano invece gettati in sorta di fosse comuni a cielo
aperto nei pressi del colle Esquilino (i
puticoli) e spesso diventavano cibi per corvi e cani randagi, almeno finchè
Mecenate non decise di bonificare tutta quella zona.
L'igiene alimentare.
Esistevano leggi per la morigeratezza dei banchetti che stabilivano persino la
quantità dei cibi da usarsi a seconda delle persone presenti; era punita
inoltre l'ubriachezza, ma solo quella delle donne. Abbastanza attenta era la
vigilanza sui generi alimentari: gli Edili erano responsabili del controllo sulla
qualità dei prodotti in vendita all'interno dei mercati ed avevano anche la
facoltà di elevare contravvenzioni. Particolare cura era riservata la
sorveglianza sul grano e sulle carni.
Altre norme igieniche.
Apposite leggi regolavano il servizio di nettezza urbana e altre disposizioni
riguardavano la manutenzione delle strade, dei luoghi dove sorgevano le terme,
delle fognature e delle latrine: ad esempio vi erano disposizioni ben precise
sugli appalti per lo svuotamento dei pozzi neri e non era consentita la
circolazione all'interno della città durante il giorno ai carri che
trasportavano i materiali di rifiuto.
Da ricordare la legge contro il celibato (sia per scopi demografici che per
motivi igienici) e quella sulla prostituzione: le "case chiuse" potevano
essere aperte fuori città e solo di sera; inoltre le meretrici dovevano essere
iscritte in un apposito registro controllato dagli edili.
L'epidemiologia.
Il concetto di epidemiologia non si discostò molto da quello che già esisteva
in epoca greca: si pensava cioè alla costituzione epidemica dell'atmosfera
causata dagli eccessi di calore, umidità, secchezza e freddo; si sospettava poi
che una qualche sostanza velenosa non bene identificata (ma che si pensava
provenire dalla putrefazione dei cadaveri insepolti) potesse penetrare
nell'organismo principalmente attraverso le vie respiratorie.
Non mancavano però interpretazioni assolutamente fantastiche: le pestilenze
potevano avere origine tellurica (il veleno esalava dalla terra dopo i
terremoti), religiosa e astrologica. Contro di esse si accendevano grandi
fuochi in cui venivano bruciati fiori profumati ed unguenti aromatici in modo
tale da rinnovare e purificare l'aria.
L'ospedalità a Roma.
Non si può certo parlare di vere e proprie cliniche o strutture di stampo
ospedaliero nell'antica Roma, tuttavia bisogna ricordare la presenza dei valetudinaria, cioè infermerie private
dove i patrizi erano soliti curare i propri famigliari e gli schiavi. Qui
trovavano impiego sia medici che infermieri (servi a valetudinario). Inoltre erano famose le medicatrinae adiacenti al tempio di Esculapio, sull'isola
Tiberina, dove gli ammalati erano tenuti sotto la diretta osservazione di
medici e dei loro discepoli.
L'insegnamento della medicina.
Ai tempi della medicina autoctona l'istruzione in questo ambito era affidata al pater familias; nel periodo di
transizione si apprendeva l'arte medica, principalmente per imitazione, nelle tabernae; nel periodo imperiale sorsero
infine varie scuole private. Naturalmente non era previsto nessun esame di
idoneità alla professione: l'abilitazione veniva attestata dal giudizio
insindacabile del maestro. Solo in seguito lo stato iniziò ad occuparsi dell'ordinamento
degli studi stabilendo una parte di insegnamento teorica ed una pratica. La teoria
era trattata nelle biblioteche e nelle scholae
medicorum, mentre le lezioni pratiche in cui si apprendevano i rudimenti
della semeiotica, della clinica e della chirurgia venivano impartite nei
valetudinari e durante le visite private che il maestro faceva nelle case dei
suoi clienti. L'imperatore Vespasiano istituì uno stipendio per coloro che si
dedicavano all'insegnamento, Adriano in seguito decise che spettava loro anche
una sorta di liquidazione una volta cessata l'attività didattica. Quest'ultimo
fece inoltre costruire un grande edificio scolastico (atheneum) dove si tenevano pubbliche lezioni, probabilmente anche
di medicina. In realtà la prima testimonianza di una cattedra statale di
medicina si ebbe sotto l'impero di Alessandro Severo nel III° sec. d.C., e in
seguito Giuliano l'apostata decretò nel IV° sec. d.C. la legge sull'idoneità
dei medici stabilendo un programma di studi comprensivo di frequenze
obbligatorie.
La medicina militare.
Nell'esercito romano c'era un medico per ogni coorte e due per quella in prima
linea. Dipendevano dal praefectus
castrensis e da un medico capo che spesso era anche il medico personale
dell'imperatore, ma non potevano passare al rango di ufficiali in quanto non
partecipavano direttamente alle battaglie. L'assistenza ai feriti veniva
prestata direttamente sul campo, all'aperto; per i casi più gravi c'era il valetudinarium in castris, una sorta di
ospedale da campo che poteva contenere fino a 200 pazienti e in cui trovavano
impiego anche infermieri, massaggiatori ed inservienti.
CAPITOLO 4
Il Medioevo
La scuola salernitana.
E' considerata la più antica ed illustre istituzione medievale medica del mondo
occidentale; in essa confluirono tutte le grandi correnti del pensiero medico
fino ad allora conosciuto: la leggenda narra infatti che nacque dall'incontro
di un medico romano, uno greco, uno ebreo ed uno arabo. Le prime testimonianze
storiche certe risalgono all'inizio del IX° sec.: in quel tempo lo studio della
medicina a Salerno era principalmente pratico e, anche se la tendenza di questa
scuola è spiccatamente laica, erano i monaci che tramandavano oralmente gli
insegnamenti.
Una delle novità più importanti di questa scuola sta nel fatto di non accettare
passivamente la malattia: non solo non si arrende di fronte ad essa, la
combatte e la cura, ma soprattutto cerca di prevenirla con ben precisi
strumenti medici; si oppone inoltre alla teoria secondo la quale è inutile
curare il corpo in quanto la vera salvezza non appartiene al mondo terrestre.
Alla base del concetto di medicina della scuola di Salerno stanno approfonditi
studi anatomici sul corpo umano, l'importanza dell'armonia psico-fisica e il
valore di una dieta corretta ed equilibrata, principi che ancora oggi sono
ripresi e riaffermati dalla medicina psicosomatica e dalla scienza
dell'alimentazione.
Altro grande progresso è il fatto che i maestri salernitani sono disposti a
scendere dalla cattedra per avvicinarsi al letto del paziente e discutere con
gli allievi degli aspetti clinici delle malattie. Non era comunque facile
diventare medico a Salerno: prima bisognava studiare la logica per tre anni,
poi altri cinque erano di scuola medica (non solo la teoria sui classici greci,
ma anche la pratica con autopsie per poter riconoscere i vari organi e capirnela
funzione) ed infine si sosteneva un esame sia con il maestro del corso, sia
alla presenza di un collegio composto da altri medici. Se l'esame veniva
superato il giovane medico riceveva un attestato davanti al quale il re
rilasciava la licenza per esercitare la professione non prima però di avere
trascorso un anno come tirocinante presso un medico anziano. Da notare infine
che la scuola era aperta indistintamente a uomini e donne che tuttavia
esercitavano soprattutto la ginecologia.
I precetti fondamentali della scuola salernitana sono raccolti nel Flos Medicinae Salerni (detto anche Regimen sanitatis salernitanum o Lilium medicinae): è un trattato
igienico-profilattico a carattere divulgativo che espone una serie di norme
scritte in versi che individuava una serie di elementi esterni all'organismo
(alimentazione, luoghi, fattori climatici, attività fisica...) che andavano
controllati e regolati al fine di conservare e migliorare la salute
dell'individuo. Veramente notevole era la conoscenza delle erbe medicinali; tra
gli innumerevoli esempi può essere ricordato l'issopo contro le bronchiti e le
affezioni respiratorie, la ruta per la vista (favorisce la microcircolazione
oculare), il colchico come antireumatico. Non si può poi dimenticare
l'importanza che ebbe la chirurgia: nella Practica
chirurgiae di Ruggero Frugardi (il primo chirurgo salernitano) sono
menzionate tecniche come la sutura dei vasi sanguigni usando fili di seta, le
metodiche per la trapanazione del cranio, una sorta di rudimentale anestesia
effettuata con sostanze estratte dalla Spongia
somnifera e il consiglio di adoperare nella terapia medica del gozzo spugne
ed alghe contenenti iodio.
Le università.
Le prime università sorsero a partire dal XIII° sec. dove già esistevano centri
di studio sia laici, sia di ispirazione religiosa, famosi per l'abilità o per
il valore didattico di determinati insegnanti. Queste istituzioni erano molto
ben viste dai comuni e dai loro regnanti perché contribuivano alla loro fama:
c'erano vere e proprie gare per avere i migliori insegnanti e il maggior numero
di studenti. Ai primi erano riservati lauti compensi, onori, privilegi ed
esenzioni; i secondi erano attirati non solo dall'amore per la conoscenza, ma
anche dalla possibilità di godere delle occasioni di bella vita e di piacere
offerti dall'ambiente goliardico. La prima università in Italia fu quella di
Bologna (1088) e i primi corsi di medicina partirono nel XII° sec. dando a chi
li frequentava le qualifiche prima di Magistri, poi di Medici fisici, quindi di
Professori ed infine di Dottori. L'ufficialità alla facoltà di medicina (all'interno
di quella degli artisti) fu concessa dal papa Onorio III nel 1219 provocando
non poche proteste da parte degli universiatari giuristi che fecero forti
pressioni per impedire il riconoscimento di uguali diritti ai nuovi arrivati,
cercando di allontanarli il più possibile verso altre città. Fu così che all'università
di Bologna fecero ben presto seguito quelle altrettanto famose di Padova (1222)
nata da un gruppo di insegnanti e studenti provenienti da Bologna, e di Napoli
(1224).
Da ricordare all'estero l'università di Montpellier, che risentì molto sia dell'influenza
ebraica, sia di quella della scuola salernitana e l'università di Parigi,
riconosciuta ufficialmente nel 1200, entrambe sotto la diretta dipendenza dell'autorità
ecclesiastica; dall'esperienza di quest'ultima nacquero poi le università di
Oxford e Cambridge.
Le pestilenze.
Con la parola pestilenza si indicava qualsiasi genere di malattia epidemica
rapidamente diffusibile anche per cause diverse dal contagio vero e proprio
(intossicazioni, carenze alimentari...). Per spiegare queste morie l'epidemiologia
medioevale ricorse ad interpretazioni naturali e soprannaturali: l'opinone più
diffusa era la presenza nell'aria di vapori nocivi contenenti un veleno
pestilenziale; un'altra ipotesi era quella di giganteschi incendi scoppiati in
oriente che producevano fumi velenosi, oppure il morbo poteva provenire anche
dalle viscere della terra o dal cielo a causa di maligne congiunzioni astrali.
Ci fu poi anche chi pensava all'avvelenamento dei pozzi da parte di ebrei o di
lebbrosi, scatenando così vere e proprie persecuzioni soprattutto in Francia,
credenza che rimase radicata nella storia dando luogo alle dicerie sugli "untori"
in epidemie posteriori.
A partire dal XII° sec. si può fare in Europa un conto approssimativo di una
pestilenza più o meno grave in media ogni 10-15 anni. Senza contare la lebbra,
una delle malattie più conosciute fin dall'antichità e di cui si parlava già
nella Bibbia, le patologie che più frequentemente causavano queste morie erano:
la malaria, il fuoco di S. Antonio, il vaiolo, il tifo, lo scorbuto e
soprattutto la peste bubbonica. Quest'ultima raggiunse il massimo della
mortalità nel 1348 manifestandosi nella forma polmonare che dava esito letale
già nel terzo o quarto giorno di malattia: il contagio cominciò nel 1333 in
Asia, si diffuse verso l'India ma colpì anche la Crimea e le altre zone intorno
al Mar Nero da una parte e la Mesopotamia, l'Arabia e l'Egitto dall'altra; nel
1347 arrivò in Italia penetrando attraverso la Sicilia e le repubbliche
marinare; si diffuse poi in Olanda, in Inghilterra, in Germania, in Polonia ed
in Russia per estinguersi nel 1353 sulle rive del Mar Nero, suo punto d'origine,
probabilmente perchè lì trovò i superstiti dell'episodio di 20 anni prima ormai
immunizzati. Solo in Italia morirono 60000 persone a Napoli, 40000 a Genova,
100000 a Venezia, 96000 a Firenze e 70000 a Siena: tenuto conto di queste cifre
e dei decessi in tutte le altre città, complessivamente la nostra penisola
perse la metà della sua popolazione totale. Nel resto dell'Europa, in soli tre
anni (dal 1347 al 1350) si ebbero ben 43 milioni di vittime a causa dell'epidemia.
Le difese adottate dai vari comuni contro le pestilenze furono inizialmente
dettate dal bisogno immediato, poi vennero codificate in leggi da applicarsi
nei casi di necessità: fin dall'inizio i malati di peste venivano espulsi dalle
città; venne impedita l'usanza di accompagnare i funerali e tutto ciò che
comportava un eccessivo agglomerato di gente; venne fatto obbligo di seppellire
i cadaveri fuori dalla città anziché nelle chiese come era consuetudine;
vennero stabiliti cordoni sanitari tra le città colpite dalla pestilenza e
quelle limitrofe che ancora ne erano immuni; le persone che avevano assistito i
malati dovevano stare lontano dalla città per almeno dieci giorni senza avere
rapporti con nessuno; le case e le suppellettili degli appestati dovevano
essere distrutte; i sacerdoti avevano l'obbligo di denunciare tutti i malati di
cui avevano conoscenza; si obbligarono le navi che provenivano da regioni
sospette a trascorrere un periodo di 40 giorni fuori dai porti prima di
permettere loro l'attracco (da questa pratica nacque il termine "quarantena").
Si dovette però aspettare fino al 1403 per l'istituzione di particolari luoghi
di ricovero, costruiti a spese dello stato e grazie a donazioni private, dove
si potevano isolare i malati di peste (lazzaretti): la prima città a dotarsi di
tali strutture fu Venezia, in particolare sull'isola di S. Maria di Nazareth
dove i frati dell'ordine di S. Agostino avevano edificato un monastero. Il
termine "lazzaretto" deriva infatti in parte dall'errata pronuncia di
Nazarethum, con cui si identificava il suddetto monastero ed in parte dal fatto
che su un'isola poco distante (S. Lazzaro degli Armeni) già esisteva una sorta
di ospedale per i pellegrini.
Rapidamente tutte le altre città seguirono l'esempio di Venezia seguendo
particolari norme: anzitutto un'adeguata distanza dal centro abitato per
impedire il contagio, ma non eccessiva lontananza perché non fosse troppo
disagevole il trasporto degli ammalati; poi una cura particolare era riservata
all'orientamento al fine di evitare l'esposizione ai venti occidentali ritenuti
nocivi (erano detti anche "putridi"); era infine consigliata la separazione dei
lazzaretti dai centri abitati tramite acqua di mare dove possibile, di fiume
(come a Roma per quello istituito sull'isola Tiberina) o di fossato (come a
Milano). Senza dubbio i lazzaretti più funzionali erano quelli per la
quarantena portuale che consistevano di quattro edifici isolati tra loro: uno
serviva per il personale superiore (ispettori, commissari, medici, speziali,
sacerdoti ed ufficiali), uno per il deposito di merci non sospette, per i
malati comuni e per gli infermieri, un terzo per i malati sospetti e per la
merce proveniente da luoghi infetti, l'ultimo, che era costruito ben più
lontano dagli altri tre, per coloro che venivano colpiti manifestamente dalla
malattia in questione.
Accanto ai mezzi sopra enunciati che potrebbero essere definiti di profilassi,
va ricordato l'unico metodo utilizzato per tentare di debellare i morbi che
causavano le varie pestilenze e cioè l'accensione di grandi fuochi. In essi
venivano gettati unguenti, resine ed erbe aromatiche per depurare l'aria dai
miasmi che si riteneva diffondessero il male in quanto si contrapponevano al
tanfo proveniente dai corpi abbandonati in putrefazione. Tra le sostanze più
usate vanno menzionate la resina di pino bruciata su legno di larice, lo zolfo,
l'aceto ed anche materiali maleodoranti che comunque erano in grado di coprire
il fetore dei miasmi come ad esempio lo sterco di bovini, corna e peli di
svariati animali. Fu poi introdotto l'uso di tenere alle narici sostanze
odorose per purificare l'aria direttamente inspirata: si trattava di spugne
imbevute di aceto in cui erano stati tenuti in infusione chiodi di garofano,
cannella ed altre spezie.
Molti furono gli autori che in questo periodo si dedicarono alla stesura di
opere che dettavano regole e norme per preservarsi dalle varie pestilenze, in
particolare dalla peste; tra essi va ricordato Dionisio Colle che enumerò e
descrisse nella sua opera molti dei sintomi ai quali andavano incontro gli
appestati, consigliando parecchi farmaci tra cui i suffumigi di pino e larice.
L'ospedalità medioevale.
Già poco tempo dopo la nascita della religione cristiana iniziò la pratica dell'assistenza
caritativa agli ammalati e ai poveri in appositi ospizi e ricoveri: si
chiamavano xenodochia quelli
riservati agli stranieri, ptochia
quelli per i poveri, gerontocomi
erano dette le strutture per gli anziani, brefitrofi
erano i luoghi dove si curavano i bambini e orfanotrofi
quelli destinati a chi aveva perso i genitori.
Sorsero praticamente allo stesso tempo delle associazioni dette ordini
ospedalieri; essi avevano in realtà una triplice natura, e cioè erano
ospedalieri, militari e religiosi, visto che spesso svolgevano la loro attività
in terre straniere, tra gli infedeli e i nemici del cristianesimo.
La situazione di questo genere di strutture non era certamente rosea sotto il
profilo del rispetto delle norme igieniche o della qualità dell'assistenza
prestata: soprattutto il personale stipendiato lasciava piuttosto a desiderare
per comprensione e carità. Anche il tipo di costruzione, sebbene impreziosito
da sculture, pitture ed opere d'arte, non appariva certo funzionale alle reali
esigenze.
Il primo ospedale sorto in Italia fu quello di S. Spirito in Sassia, fatto
costruire dal papa Innocenzo III nel 1201 a Roma. A questo seguirono poi gli
ospedali di Pistoia (1271), quello di Firenze (1288) epoi via via tutti gli
altri nelle maggiori città della penisola.
CAPITOLO 5
Il rinascimento scientifico (sec. XVII°).
In questo periodo iniziarono ad essere gettate le fondamenta di un nuovo tipo
di scienza che fosse libera dal retaggio del medioevalismo galenico e diretta
alla formulazione di leggi e principi generali attraverso l'esperimento, più
che all'osservazione scolastica dei fenomeni. Sarebbe veramente troppo lungo
ricordare anche solo le principali scoperte di questa epoca, ma, per far capire
lo spirito che la animava, è sufficiente menzionare gli studi con cui Galileo
Galilei, tra lo scandalo generale, contestò la teoria del geocentrismo, la
determinazione della legge di gravitazione universale da parte di Isacco
Newton, le prime leggi sulla pressione atmosferica stabilite da Pascal e la
dimostrazione da parte di Keplero che le orbite dei pianeti sono regolate da
leggi matematiche. Tutto questo fermento era inoltre supportato dal punto di
vista filosofico dalle teorie razionalistiche di Cartesio, Francesco Bacone,
Tommaso Campanella e Giordano Bruno: mettendo il ragionamento al di sopra della
pura sensazione, essi contribuirono ad aprire la strada al metodo sperimentale.
Nonostante tutto non si registrarono inizialmente grandi scoperte né in
patologia, né in terapia, anche perché era difficile mettere ordine nel
calderone delle innumerevoli dottrine mediche e scuole di pensiero: troppo
lontane erano le posizioni dei seguaci della teoria umorale, di chi si affidava
alle capacità autoguaritrici dell'organismo umano, degli interventisti, di chi
propendeva per farmaci di origine animale o vegetale. Un tentativo di applicare
il principio sperimentale anche alla medicina fu quello della sua
interpretazione iatromeccanica e iatrochimica: entrambe tentavano di applicare
ai processi fisiologici leggi e regole proprie dei corpi inorganici.
La prima cercava la spiegazione di tutti i fenomeni biologici in regole di
meccanica e di matematica, formule e calcoli numerici. Da ricordare la figura
di Santorio Santorio (1561-1636) che condusse approfonditi studi sul
metabolismo: grazie a una bilancia di straordinarie dimensioni (era in grado di
sorreggere una stanza con tanto di letto e scrivania) calcolava la variazione
del peso del corpo dovuta non solo alle normali attività di vita, ma anche alla
perdita dei materiali eliminati attraverso cute e polmoni. Introdusse anche l'uso
di strumenti che aiutassero il medico nella formulazione della diagnosi quali
il pulsimetro (o pulsilogio) che misurava il ritmo e la frequenza del polso, ed
il termometro ad aria.
La seconda interpretava la malattia come un'alterazione chimica, uno squilibrio
tra acidi e basi, sconfinando talvolta nel campo dell'alchimia. Francesco de la
Boe (1614-1672), meglio conosciuto come Sylvius, ne fu il fondatore. Egli
vedeva nella fermentazione la chiave di volta di tutti i processi fisiologici.
Tra i personaggi di spicco di questa scuola va inoltre ricordato Giovanni Battista
Van Helmont che teorizzò la presenza di tre tipi di entità nel corpo umano: gli
archei, ovvero i principi spirituali
che danno la vita ai vari organi; il gas, termine coniato dallo stesso
scienziato belga, che rappresentava la materia aeriforme derivante dai processi
fermentativi che si svolgono nell'organismo; il blas, cioè il movimento che accompagna ogni trasformazione di
energia. La malattia era causata dal cattivo funzionamento degli archei e si
manifestava con anomale fermentazioni.
Una ventata di novità arrivò grazie a personaggi come Marcello Malpighi
(1628-1694) che, utilizzando i primi rudimentali microscopi, potè compiere
indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la struttura cellulare e
scoprendo tra l'altro la prova della comunicazione tra vene ed arterie a
livello degli alveoli polmonari. Grazie agli studi condotti sugli insetti
contribuì poi alla demolizione della dottrina della generazione spontanea, un
vero e proprio dogma proveniente dal pensiero aristotelico: la loro struttura
appariva infatti troppo complessa e perfetta nel suo funzionamento perché
derivassero semplicemente dalla putrefazione di sostanze organiche come si era
sempre pensato.
Da ricordare infine la nascita del concetto della natura vivente del contagio:
Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio, individuò la vera eziologia della
scabbia con la scoperta del ruolo dell'acaro nella malattia, anche se la
medicina ufficiale ignorò i suoi studi fino quasi alla metà del sec. XIX°.
CAPITOLO 6
Il sec. XVIII°.
In questo secolo la scienza medica fu caratterizzata dall'affermazione delle
dottrine dei "sistemi", cioè una serie di principi fisiologici, patologici e
terapeutici tenuti insieme da una solida base filosofica che continuava a
rivestire una certa importanza nel tentativo di spiegare alcuni fenomeni
naturali di non immediata comprensione. Nonostante le numerose proposte portate
avanti da alcuni autori che di volta in volta sembravano fornire chiavi di
lettura esatte e definitive su svariati argomenti, limitati furono i riflessi
pratici in campo medico-chirurgico: il ruolo trainante spettava infatti ancora
alle teorie filosofiche come quelle di Leibniz e Kant.
I principali sistemi urono quelli elaborati da Friederich Hoffmann (1660-1742)
e da Georg Ernst Stahl (1660-1734). Hoffmann teorizzò un sistema medico che
poggiava su basi essenzialmente meccaniche: l'intero organismo era composto da
fibre che si contraevano e rilasciavano a seconda di un fluido regolatore
contenuto nel cervello. Le malattie erano dovute alla modificazione del tono
normale e si manifestavano con una quantità eccessiva di sangue a livello dello
stomaco o dell'intestino, organi sui quali venivano così concentrate le
maggiori attenzioni terapeutiche.
Stahl sottolineava invece l'importanza dell'anima che ordinava ed equilibrava
ogni processo fisiologico; la morte dell'anima portava alla putrefazione del
corpo.
Altre teorie ebbero un discreto seguito in questo secolo: William Cullen
(1710-1790) sosteneva che l'origine della vita fosse da ricercare nel sistema
nervoso il cui equilibrio corrispondeva allo stato di salute.
Secondo John Brown (1735-1788) la vita era uno stato mantenuto da continui
stimoli che agivano sulla eccitabilità degli organi. Ogni altro sintomo era da
tralasciare, tanto che egli vedeva l'unica via di terapia in sostanze
stimolanti.
La concezione del Vitalismo della scuola di Montpellier (De Bordeu, Barthez)
propugnava invece l'esistenza di una via intermedia tra materia ed anima: ogni
singolo organo aveva in sé una forza vitale.
Franz Anton Mesmer (1734-1815) era convinto che l'energia guaritrice proveniva
dallo stesso organismo umano (teoria del magnetismo animale). Celebri sono i
suoi studi sull'ipnotismo o sonnambulismo artificiale.
In conclusione i reali progressi in questo periodo furono davvero pochi e si
possono elencare brevemente: Edward Jenner (1749-1823) studiò il vaiolo ed
osservò che le persone infettate una volta dalla forma vaccina non contraevano
più quella umana; decise quindi di produrre artificialmente la prima infezione
come misura profilattica ottenendo così l'immunizzazione da una delle patologie
in quel tempo più pericolose.
Paolo Mascagni (1755-1815) scoprì il sistema linfatico.
Leopold Auenbrugger (1722-1809) introdusse il metodo della percussione per
individuare le alterazioni del polmone. Da ricordare infine, anche se in campo
non prettamente medico, gli studi di Carlo Linneo (1707-1778) che concepì il
metodo binomiale (genere e specie) nella classificazione di animali e piante.
CAPITOLO 7
Il sec. XIX°.
Progressi.
Questo periodo è caratterizzato da importanti scoperte scientifiche e tecniche.
La medicina fu condizionata in modo senza dubbio positivo dalle acquisizioni di
altre scienze quali la chimica, la fisica e la matematica. Decisivo fu inoltre
il sempre maggiore perfezionamento degli strumenti di ingrandimento ottico
grazie anche agli studi del modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863).
Grandi progressi si ottennero nel campo dell'elettrologia in seguito alla
diatriba sugli studi di Luigi Galvani (1737-1798) ed Alessandro Volta
(1745-1827). Il primo per mezzo di un arco bimetallico faceva contrarre le
zampe di una rana stabilendo un circuito con il sistema di innervazione
concludendo così che il movimento era prodotto dall'elettricità dei muscoli; il
secondo sosteneva che era l'arco stesso, costituito da due metalli differenti,
a fornire l'elettricità.
Anche la statistica fece il suo ingresso sulla scena della medicina: si
iniziava a capire l'importanza di raccogliere, esaminare e classificare dati e
informazioni riguardo salute e malattia per poter disporre di sempre più
elementi al fine di studiare e sconfiggere le diverse patologie. Certamente all'inizio
i metodi usati non erano perfetti e completamente attendibili, ma grossi passi
in avanti furono fatti grazie all'opera dell'inglese William Farr (1807-1883) e
di Melchiorre Gioia (1767-1829).
Pietra miliare del progresso in medicina fu poi la teoria cellulare portata
avanti da Mathias Jacob Schleiden (1804-1881) e da Theodor Schwann (1810-1882)
che scoprì la cellula nucleata del tessuto animale rendendola di pubblico
dominio con le sue osservazioni nel 1839. Poco più tardi Robert Remak
(1815-1885) formulò la teoria della proliferazione cellulare.
Da questo momento in poi la medicina iniziò a concentrare i suoi sforzi sull'osservazione
microscopica applicando le nuove scoperte al campo della fisiologia e della
patologia; Rudolf Virchow, considerato il primo patologo moderno, fu la figura
di maggior spicco in questo settore della ricerca. Louis Pasteur (1822-1895)
con i suoi studi abbattè definitivamente le teorie della germinazione spontanea
dimostrando che i microrganismi erano la causa delle infezioni e non un loro
prodotto. Tra gli altri furono isolati il pneumococco, il bacillo della
tubercolosi, l'agente responsabile della difterite, il vibrione del colera, il
gonococco, l'agente causale della lebbra, del tetano, della peste, della
sifilide...insomma, prima del 1900 la lista degli agenti infettivi era
praticamente completa.
Anche la fisiologia conobbe un rapido sviluppo: si chiarì la struttura del
sangue, il ritmo e l'origine del battito cardiaco, i meccanismi della
respirazione, della digestione, del sistema nervoso.
Più lento fu invece lo sviluppo della farmacologia anche se è da ricordare il
brevetto da parte dalla Bayer dell'aspirina, messa in commercio nel 1899.
Verso la fine del secolo vennero poi introdotti strumenti importantissimi come
il laringoscopio, l'esofagoscopio, l'otoscopio, l'oftalmoscopio, il
gastroscopio, il cistoscopio. Da non dimenticare lo sfignomanometro proposto
nel 1896 da Scipione Riva Rocci (1863-1937).
Rivoluzionari furono infine gli studi di Wilhelm Conrad Roentgen (1845-1923)
che nel 1895 scoprì i raggi X.
Gli ospedali e lo sviluppo della
chirurgia.
In questo clima di fermento scientifico anche i vecchi asili e tutti gli altri
luoghi di cura iniziarono a trasformarsi in strutture con servizi di assistenza
sempre migliori grazie anche all'ingresso dei laboratori per le indagini
chimiche e delle sale per le operazioni chirurgiche. I nuovi ospedali, come il
Policlinico Umberto I di Roma progettato da Guido Baccelli (1832-1916),
venivano progettati poi secondo le regole dell'igiene e dell'ingegneria
ospedaliera calcolando con precisione i rapporti aeroilluminanti necessari per
ogni singolo letto.
Si cominciò a distinguere tra sintomatologia, che si occupava degli effetti
percepibili della sofferenza degli organi, e semeiologia, intesa come studio
dei segni, cioè gli indicatori che permettono di giungere alla diagnosi; si
iniziarono a contare e misurare i segni clinici: pulsazioni, atti respiratori,
temperatura; si esaminava il malato secondo metodiche precise: ordine anatomico
(sistema testa-piedi) o fisiologico (apparato per apparato); si affacciava
infine anche la diagnostica differenziale.
La figura del chirurgo, fino a questo momento in posizione assolutamente
subalterna rispetto a quella ritenuta più nobile del medico, iniziò a
conquistare una maggiore dignità. Mentre prima il dolore aveva sempre limitato
la sua azione, tanto che il paziente doveva essere immobilizzato da aiutanti
robusti, poiché l'uso dell'alcol, dell'oppio, della radice di mandragora, delle
spongie soporifere non erano sufficienti a diminuire adeguatamente la sua
sensibilità, in questo periodo, grazie ad alcune scoperte della chimica,
vennero introdotte sostanze gassose come i cosidetti gas esilaranti, l'etere,
il cloroformio, che aprirono nuove frontiere al progresso della chirurgia. In
seguito si cercò di studiare nuove vie di somministrazione (via rettale) e
nuove sostanze (morfina, cocaina...), ma l'uso dei gas dominò la scena fino al
nostro secolo quando si arrivò all'anestesia endovenosa. Un grande aiuto allo
sviluppo di nuove tecniche chirurgiche fu dato da tutte le sanguinose guerre di
questa epoca: moti rivoluzionari, guerra di Crimea, guerra di secessione
americana, guerre coloniali...: i chirurghi si impratichirono molto nelle
amputazioni, nelle resezioni articolari, nell'arresto di emorragie e nella
legatura dei vasi.
Il salto di qualità decisivo per la chirurgia fu infine dato dalla conquista
dell'asepsi e dell'antisepsi. Nella seconda metà del secolo, pur tra pareri
discordanti, qualcuno iniziò a notare prognosi postoperatorie migliori se prima
dell'intervento si fosse utilizzata acqua di cloro per lavarsi le mani; nel
1878 si introdusse la bollitura degli strumenti e nel 1891 la sterilizzazione a
secco; sempre in quegli anni apparvero sui campi operatori i primi guanti di
gomma a coprire le mani dei chirurghi e a cavallo dei due secoli la
preparazione della cute da incidere veniva effettuata con pennellature di
tintura di iodio. Grazie a tutti questi passi in avanti si superò il rischio
delle febbri e delle infezioni postoperatorie.
CAPITOLO 8
Il sec. XX°.
Nel primo novecento furono oggetto di studi e ricerche soprattutto la
batteriologia, la parassitologia e la sierologia: si iniziavano a capire le
vere cause di molte malattie e le modalità con cui si trasmettevano.Grande fu
anche lo sviluppo della radiologia; purtroppo si ignorava ancora la
pericolosità delle radiazioni ionizzanti e di conseguenza vi si faceva ricorso
indiscriminatamente e senza protezioni.Laparoscopie, pleuroscopie, biopsie
muscolari e spirometrie erano prassi normale negli ospedali già nei primi dieci
anni del secolo. Negli anni venti si affermò l'elettroencefalografia, nei
trenta il microscopio elettronico, nei quaranta la diagnostica ecografica, la
registrazione continua degli ECG secondo Norman Jeffers Holter (1914-1983); dal
punto di vista farmacologico si scoprirono i primi antibiotici, alcuni
antistaminici e anticoagulanti; negli anni cinquanta James Watson e Francis
Crick descrissero la struttura del DNA; apparvero inoltre diuretici, cortisone,
psicofarmaci, ipoglicemizzanti ed antiparkinsoniani. La chirurgia, resa sempre
più sicura ed affidabile grazie anche ai nuovi farmaci, arricchiva sempre di
più il suo strumentario (pinze emostatiche, elettrocauteri, fili assorbibili,
lampade scialitiche, placche, viti e chiodi di acciaio...) iniziando così a
suddividersi in vari rami: tra le prime scuole specialistiche si annoverano l'oculistica,
l'urologia, la traumatologia, l'otorinolaringoiatria.Sarebbe infine arduo
descrivere in modo organico e compiuto anche solo i principali progressi degli
ultimi cinquanta anni, visto il susseguirsi di studi, ricerche e scoperte in
ogni settore della medicina, tali da rendere superate ed obsolete le nuove
acquisizioni anche a distanza di pochi anni.
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