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Il linguaggio secondo Nietzsche. Rapporti con la concezione aristotelica

comunicazione



IL LINGUAGGIO E LA DEMISTIFICAZIONE DELLA CONOSCENZA IN NIETZSCHE






La concezione del linguaggio di Friedrich Nietzsche rappresenta una critica esplicita al positivismo scientifico e alla validità di tutti i campi della conoscenza umana. Sulla base del testo Su verità e menzogna fuori del senso morale, è possibile valutare in quale misura l'atteggiamento di Nietzsche nei confronti della conoscenza possa avere un legame con la concezione aristotelica, e delineare la crisi del positivismo scientifico e dell'antropocentrismo moderno apertasi sul finire dell'Ottocento.






1 - Il linguaggio secondo Nietzsche. Rapporti con la concezione aristotelica.



Il breve ed antichissimo trattato di Aristotele, Dell'Espressione, offre diversi spunti di riflessione in riferimento alla concezione del linguaggio di Nietzsche. Le forme, le emissioni foniche dell'uomo "sono simboli delle affezioni dell'anima", le parole scritte sono simboli delle "(cose che sono) nella voce" e, sebbene i segni grafici e le singole forme foniche non siano gli stessi per tutti, "le stesse per tutti sono le affezioni dell'anima, e le cose, di cui queste (affezioni sono) immagini similari, altresì sono le stesse ( per tutti )" . Il linguaggio dunque, secondo la concezione aristotelica, è una scrittura dell'anima, rappresenta, in un certo senso, i contenuti dell'anima, i pathèmata thès psukès. Per Aristotele la lingua è un vastissimo insieme di elementi che riflettono gli elementi costitutivi di una realtà unica ed universalmente riconosciuta e, per quanto di arcaico e di primitivo vi possa essere in questa concezione, Nietzsche sembra riproporre questa distinzione tra natura e linguaggio, tra "cose" e "parole". Sempre nel Dell'Espressione, Aristotele afferma che le forme del linguaggio verbale sono state foggiate dall'uomo come uno strumento, esistono "ex instituto, in forza d'una convenzione istituzionale delle società umane" .

Anche per Nietzsche l'uomo ha bisogno di un "trattato di pace" che stabilisca univocamente che cosa sia la verità, inventando una designazione delle cose universalmente valida e riconosciuta. Ma "come stanno le cose con le convenzioni del linguaggio? Sono esse forse prodotti della conoscenza, del senso di verità: le cose e le designazioni delle cose coincidono? La lingua è l'espressione adeguata di tutta la realtà? " . Una parola non dovrebbe essere altro che una raffigurazione in suono di uno stimolo nervoso ma, come osserva Nietzsche, parlando non è possibile ricondurre in ogni caso questo stimolo ad una causa esterna, bisogna ricorrere ad una designazione particolare dell'oggetto al quale ci si riferisce, facendo a meno dell'impulso che l'oggetto stesso è in grado di provocare. L'uomo utilizza le parole indipendentemente dal manifestarsi di uno stimolo esterno, come se ogni singola parola gli fosse nota altrimenti e non in relazione ad un "impulso del tutto soggettivo". Tutto questo significa che inizialmente lo stimolo nervoso viene trasposto in immagine e successivamente tale immagine viene riformulata in suono, quindi il "plasmatore della lingua" si limita a designare "le relazioni delle cose in rapporto agli uomini e per esprimerle ricorre all'aiuto delle metafore più ardite" , senza seguire una logica precisa.

E' bene osservare che potrebbe essere fuorviante tentare di assimilare il concetto di "impulso nervoso" a quello di "affezione dell'anima", per quanto sembrino giocare lo stesso ruolo nel processo di formazione delle "leggi del linguaggio". In realtà l'aspetto più interessante di quest'accostamento, apparentemente improbabile, fra due filosofi così distanti tra loro nel tempo, è che se Aristotele non può dimostrare il principium identitas, ma ne riesce a cogliere l'indispensabilità per l'uomo, Nietzsche nega esplicitamente che "il vocabolo designa o l'essere o il non essere di una data cosa, sicché ogni cosa può essere in un dato modo e non in questo modo" . E' qui che si può misurare effettivamente la distanza che c'è tra i due filosofi.

Indubbiamente l'idea del parallelismo tra parole, concetti e cose ha un'importanza fondamentale per Aristotele, che vede nel linguaggio il punto di partenza della costruzione della scienza. Nietzsche sembra partire da un'analoga concezione del linguaggio per muoversi in una direzione diametralmente opposta, verso una profonda critica del positivismo e della conoscenza in genere, massima espressione dell'arte della finzione umana. La concezione di Aristotele, soprattutto attraverso l'aristotelismo linguistico, è stata proposta nel corso dei secoli come il fondamento di ogni interpretazione razionale della realtà sia sul piano ontologico sia su quello gnoseologico; quella di Nietzsche si è proposta, e si propone tuttora, come "strumento" di demistificazione della conoscenza.












2 - Il linguaggio e la conoscenza: l'uomo, la "volontà di verità" e le "menzogne millenarie". 



"In qualche angolo remoto dell'universo, riverso nello scintillio d'innumerevoli sistemi solari, c'era una volta un astro, sul quale degli animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più presuntuoso e più bugiardo della "storia del mondo": tuttavia fu soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura l'astro si rapprese, e gli animali intelligenti furono costretti a morire" . Così Nietzsche racconta la nascita della conoscenza umana e non a caso questa breve favola, con la quale si apre Su verità e menzogna., sembra quasi voler preannunciare e riassumere quella che sostanzialmente è la conclusione alla quale si può arrivare portando alle estreme conseguenze la sua concezione del linguaggio.

Il "trattato di pace" tra gli uomini manifesta l'esigenza di soddisfare un comune "impulso di verità", il linguaggio costituisce un sistema di "leggi della verità" fondamentale per la costruzione e lo sviluppo della conoscenza: è a questo punto che nasce il contrasto tra verità e menzogna. Nella conoscenza, consapevolmente o inconsapevolmente, attraverso l'intelletto l'uomo porta al suo apice l'arte della finzione e dell'autoingannamento. L'uomo può pensare di possedere la verità, attraverso la conoscenza, solo con la dimenticanza: egli crede di sapere qualcosa delle cose stesse ma non possiede altro che metafore delle cose che non corrispondono minimamente alle essenze originarie. Il concetto in sé che si pretende di designare con una parola per Nietzsche non esiste: il concetto deriva dall'elusione di ciò che è individuale ed effettivamente reale, quindi non è altro che il residuo di una metafora.

"Che cos'è allora la verità?" - la risposta di Nietzsche a quest'interrogativo connaturato all'esistenza stessa dell'uomo è emblematica e sconcertante allo stesso tempo ma drammaticamente attuale - "un esercito in movimento di metafore, metonomie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane, che sono state poeticamente e retoricamente ingigantite, trasposte, ingioiellite, e che, per essere state usate a lungo, appaiono ad un popolo fisse e vincolanti: le verità sono illusioni, di cui si è dimenticato che sono tali" . Pertanto, l'uomo è inconsapevolmente obbligato a mentire secondo convenzioni prestabilite ed in questo senso, attraverso la dimenticanza, soddisfa l'impulso alla verità. Con il termine "sentimento di verità" o "volontà di verità" Nietzsche si riferisce polemicamente a quella naturale ricerca di una verità assoluta che l'uomo realizza anzitutto attraverso il linguaggio: "la presunta verità della quale la filosofia si è considerata di volta in volta, indagatrice, depositaria, profeta non è altro che la volontà di conferire un significato assoluto, non smentibile, definitivo, ad una realtà che, di per sé, si presenta invece come caoticità inesauribile, irriducibile a qualsivoglia forma per mezzo della quale la ragione pretenda di catturarla" .

Con il linguaggio "egli pone ora il suo agire di essere razionale sotto il dominio delle astrazioni", inizia a costruire un ordine piramidale di gradi e caste, un mondo dominato da leggi universali, una costruzione di concetti che ha la rigida regolarità di un colombario romano, come se fosse "un potente genio costruttore, al quale riesce di innalzare, su fondamenti instabili e quasi a dire sull'acqua corrente, la guglia di una cattedrale di concetti infinitamente complicata;.una costruzione, come fatta di ragnatela, così morbida che si lasci trasportare insieme dalle onde, così ferma da non essere tirata dal vento da una parte all'altra" . La conoscenza non è che un'architettura di concetti, un insieme di millenarie menzogne vitali, la cui origine va individuata nel linguaggio, strumento essenziale per il raggiungimento della certezza, della verità, che conseguentemente ha "istituito" la menzogna.

L'uomo fa della finzione e della menzogna la sua verità e questa verità, rendendolo dimentico di essere un soggetto artisticamente creativo, sembra dargli calma, sicurezza e coerenza, ma il linguaggio non può cogliere le manifestazioni della realtà nella loro essenza, perché l'uomo conosce la realtà solo in funzione di quelle forme che egli vi ha immesso designandole.

3 - La critica del positivismo e la demistificazione della conoscenza umana nella prospettiva nietzschiana.



A questo punto risulta evidente che la concezione del linguaggio di Nietzsche riflette un intento demistificatorio nei confronti della conoscenza e rappresenta una critica al positivismo scientifico. Ogni definizione della realtà attraverso il linguaggio risponde ad una verità predeterminata e antropomorfica, nel senso che dipende dall'uomo e non ha nulla in sé di universalmente valido. Lo scienziato, il "ricercatore della verità", non fa altro che comprendere il mondo a dimensione d'uomo, come se l'uomo fosse misura di tutte le cose, ma nel mondo empirico non c'è l'effettiva possibilità di individuare l'essenza delle cose. In questa prospettiva Nietzsche rifiuta l'ideale positivistico di un sapere oggettivo e "scevro di presupposti extra-scientifici", secondo una dottrina che tende ad asservire l'uomo a qualcosa di già dato indipendentemente da lui, come il linguaggio. Lo sviluppo della conoscenza implica un ordinamento di tutto il mondo empirico, ovvero antropocentrico, attraverso una costruzione di concetti originariamente intrapresa dal linguaggio e successivamente portata avanti dalla scienza, che ha la funzione di consolidare la verità e di contenere entro dei limiti quell' "impulso a formare metafore" che necessariamente spinge l'uomo verso il mito, verso l'arte, verso il mondo del sogno.

La demistificazione della conoscenza si realizza nella misura in cui l'uomo riesce a trasvalutare i suoi valori rendendosi conto che quella "tremenda verità", custodita e perpetuata dal linguaggio e dalla conoscenza, non è nient'altro che una menzogna dalla quale bisogna tentare di liberarsi, reinterpretando la realtà stessa. Il linguaggio, a seconda di come è concepito e utilizzato, resta comunque un potenziale strumento di trasmissione e di creazione di qualsiasi forma di verità e può comportare "remissione e dominio sugli altri o liberazione e potenza di sé": una valutazione più che mai attuale, confermata dalla storia dell'umanità.

Massimiliano Lauriello




- BIBLIOGRAFIA



- F. Nietzsche, Su verità e menzogna fuori del senso morale(1873), edizione a cura di G. Ferraro, Filema, Napoli 1998.

- T. De Mauro, Introduzione alla semantica, Editori Laterza, Roma-Bari 1965.

- G. Brianese (a cura di), La volontà di potenza di Nietzsche e il problema filosofico del superuomo, Paravia, Torino 1989.

- N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia (volume terzo), Paravia, Torino 1996.








Aristotele, De Interpretatione.

De Mauro, Introduzione alla semantica, p. 45.

F. Nietzsche, Su verità e menzogna., p. 35.

F. Nietzsche, ibidem, p. 39.

Aristotele, Metaphisica.

F. Nietzsche, ibidem, p. 23.

F. Nietzsche, ibidem,  p. 45.

Brianese, La volontà di potenza di Nietzsche e il problema filosofico del superuomo.

F. Nietzsche,  ibidem, pp. 47-51-53.






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