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Antropologia delle città - L'antropologia di fronte alle società complesse

comunicazione



Antropologia delle città

Sobrero


Dalla fine degli anni '60 si afferma, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, l'antropologia delle società complesse o antropologia urbana.

A un estremo c'è chi ritiene che l'antropologia dovrà necessariamente diventare antropologia delle società complesse; all'estremo opposto molti continuano a mantenere un certo scetticismo sul fatto che l'antropologia possa contribuire alla comprensione di quanto accade in società non tradizionali.

La complessità per sua natura oppone resistenza agli strumenti tradizionali della semplificazione antropologica. L'emergere di un oggetto nuovo, la città, l'emergere di comportamenti, di modi di vita, di forme di pensiero nuove e non comprensibile nelle categorie classiche dell'antropologia, e, per un altro verso, la conseguente messa in crisi in antropologia di un metodo sempre più riduttivo e incapace di rappresentare realtà non semplici.


PARTE PRIMA - IL DIBATTITO TEORICO

1. L'antropologia di fronte alle società complesse.

1.1 La scoperta della complessità

Fra i due secoli l'antropologia finì per coincidere con lo studio dei popoli "diversi da noi", mentre fu riservato alla sociologia il compito di indagare sulle modernità. Mentre la sociologi 737b11h a metteva a punto tecniche e strumenti di analisi destinati alle grandi unità di indagine, la ricerca antropologica elaborava nozioni (cultura) e raffinava strumenti di osservazione e descrizione fondati sull'esperienza diretta della vita di piccole comunità tradizionali.



Università di Chicago: utilizzare le procedure e le categorie specifiche elaborate per studiare i primitivi per la conoscenza della nostra società e in particolare per la conoscenza dei nuovi grandi agglomerati urbani.

1925 - programma di Park:

a.   l'antropologia è scienza dell'uomo in generale e anche "l'uomo civile è oggetto di indagine altrettanto interessante";

b.  la cultura delle società moderne è nei suoi moventi fondamentali identica a quella delle società semplici o tradizionali;

c.   i metodi utilizzati dall'antropologia per lo studio delle società semplici "possono essere impiegati ancora più vantaggiosamente" nello studio delle nostre società.

Park e i suoi allievi si limitarono a trarre dall'antropologia il gusto per l'osservazione diretta, minuta, partecipante, nonché la capacità di cogliere la differenza.

Margareth Mead: "L'esperienza di un'altra cultura ... in una società moderna può riuscire complementare al lavoro delle altre discipline".

Alla nascente società urbana gli antropologi erano chiamati ad offrire essenzialmente due cose:

a.   l'esperienza etnografica, le capacità descrittive, messe alla prova attraverso il metodo partecipativo;

b.  la tradizione comparativa.

Quando ne sono oggetto le società moderne, l'antropologia non ha sistemazioni teoriche da offrire; tuttavia sembra capace di lavorare ai confini tra saperi diversi, di indagare su unità poco codificate, di sperimentare metodi diversi di osservazione e di rappresentazione.

Più di quanto non fosse ieri, la società è oggi società simbolica, e questo non perché sia più ricca di simboli, ma perché più forte è l'autonomia e l'efficienza del piano simbolico e sempre più difficile è ridurre il processo di significazione al piano delle cose, al piano della produzione, dello scambio reale. Benjamin individuerà bene il rendersi autonomo del processo di produzione di senso, che caratterizza la società postmoderna: una società destinata ad inventare continuamente le proprie regole, a riproporsi senza sosta la questione delle propria legittimità.

Nel caso inglese, all'origine delle società complesse vi è l'irrompere nella stessa antropologia sociale dei problemi legati alla crisi dell'equilibrio e alle trasformazioni in atto nelle colonie e nelle aree depresse della madrepatria. Evans-Pritchard ha pensato l'antropologia applicata alle società complesse specialmente in termini di governo dei processi di modernizzazione, ma ha criticato quegli aspetti del metodo antropologico che condannano l'antropologia allo studio delle società semplici.

In Francia (Leroi-Gourhan) ed in Italia studio allora condotto quasi esclusivamente in chiave marxista, sulla subalternità urbana e in genere sulla condizione e sulla concezione del mondo delle classi subalterne. In questo caso l'antropologia delle società complesse tende a presentarsi come un rinnovamento politico delle tradizioni popolari e in genere dello studio della cultura e della mentalità subalterna in ambiente urbano.

1.2 Lo scetticismo di Lévi-Strauss

Alle radici di un'antropologia delle società complesse, abbiamo tre ordini di problemi: l'ascesa e la crisi della città americana nei primi decenni del secolo, la rapida trasformazione del mondo coloniale, "la scoperta di quel miliardo di uomini che l'etnologia dimenticava".

Per molti antropologi studiare la società moderna (complessa) significa di fatto studiarne gli aspetti tradizionali (semplici).

Lévi-Strauss: opposizione semplice/complesso: le società semplici sono caratterizzate da regole meccaniche. Vi è un rapporto diretto fra microvariazioni (singolo elemento) e macrovariazioni (sistema). Le società complesse sono sistemi termodinamici, cioè dipendono anche dall'ambiente esterno: minor prevedibilità del loro funzionamento. Il variare del sistema non dipende direttamente dal variare di ogni singola particella, né vi è un rapporto trasparente tra causa ed effetto, fra il sommarsi delle microvariazioni e il modificarsi dei valori macroscopici. Le prime sono autentiche, nel senso che ogni individuo sa sempre chi è l'individuo che gli sta davanti. Al contrario, della società complessa possiamo parlare come società inautentica: inautentiche e artificiali sono le relazioni che l'attraversano, nessuno sa quale effetto la propria azione possa produrre sull'equilibrio generale.

La differenza appare chiara: le relazioni tra elementi in un sistema meccanico possono essere rappresentate perché i rapporti di causa-effetto sono determinati dalla stessa posizione e dall'interazione tra i singoli elementi. In un sistema complesso (termodinamico), il fenomeno in quanto tale si presenta con un grado di disordine che ne rende inutile la rappresentazione del valore delle sue singole variabili. Bisognerà procedere per medie statistiche e per grandi aggregati di valori.

Non per vocazione, né per scelta, ma per necessità interna al rapporto tra oggetto e metodo, l'antropologia è lo studio del mondo primitivo, o al massimo del primitivo nel mondo moderno e in ciò mostra "i limiti della sua prospettiva", ma anche la sicurezza del suo fondamento teoretico. La complessità risulta "irriducibile" agli strumenti e alle categorie classiche dell'antropologia.

1.3 Tra scienza e letteratura

Quel che distingue la prima dalla seconda antropologia non è, per Lévi-Strauss, tanto la differenza dell'oggetto, quanto la corrispondenza a un oggetto diverso di un metodo diverso. Il titolo di scienza è attribuibile solo all'antropologia prima, che si imparenta con le scienze esatte. L'antropologia seconda non riesce a ridurre a forme elementari, si limita a descrivere, ma non riesce a spiegare e si imparenta con la psicologia, la letteratura e l'arte.

Sobrero: trovo l'idea delle due discipline errata, ma non scandalosa. Bisogna domandarsi in che misura il successo dell'antropologia prima dipenda dalla reale elementarità e riducibilità delle forme del mondo primitivo e in che misura quel mondo sia stato ingabbiato e offerto all'interpretazione dei moderni attraverso uno sguardo che comunque non poteva coglierne che i livelli di semplicità.

L'antropologia delle società complesse non può giustapporsi all'antropologia delle società tradizionali, né si può risolvere la questione parlando di due antropologie, due oggetti e due metodi. La difficile e innegabile specificità del rapporto tra antropologia e società complessa costringerà o a negare il mondo contemporaneo all'antropologia o a riformulare il quadro unitario dell'antropologia riguardo all'oggetto, al metodo e principalmente al rapporto tra oggetto e metodo. Sarà così possibile ripensare le specificità delle forme culturali al di là di opposizioni schematiche quali semplice/complesso, primitivo/moderno, o descrizione/spiegazione.

1.4 Nadel: osservazione e spiegazione

Per Nadel, come per Lévi-Strauss, "il fine dell'antropologia corrisponde perfettamente a quello delle scienze naturali, cioè tenta di comprendere fatti ed eventi particolari in regole o leggi generali". Per Nadel, diversamente da Lévi-Strauss, la rilevazione sperimentale, la ricerca sul campo sono ciò che caratterizzano l'antropologia e ne determinano la specificità rispetto ad ogni altra scienza sociale.

Problematica nadeliana: la diversa natura delle tecniche e degli scopi, la tensione epistemologica fra l'empatia e la spiegazione di carattere scientifico, tra descrizione e costruzione di modelli, fra etnografia e antropologia sociale.

Sia nel caso delle società tradizionali, sia nel caso delle società moderne, l'antropologo deve essere al tempo stesso etnografo e antropologo sociale, osservatore attento del particolare e produttore di astrazioni. L'antropologia, come scienza, prevede sia l'uno che l'altro momento, sia lo sguardo dall'interno, che la capacità di prendere le distanze dal proprio oggetto di studio. Nelle conclusioni di Nadel, come in quelle di Lévi-Strauss, la cultura della modernità continua a restare irriducibile all'antropologia. La complessità sembra rendersi estranea alla comprensione antropologica per l'impossibilità stessa di coglierla come "dato". La società complessa sembra assumibile e riducibile solo in forma statistica.

1.5 Un primo panorama degli studi

Sembra che l'antropologia debba filiare specializzazioni in grande abbondanza. Perché i vari approcci possano costituirsi sul piano scientifico in specializzazioni autonome, è necessario che a una peculiarità dell'oggetto si accompagni una peculiarità del metodo d'indagine (elaborazione di concetti e categorie nuove).

Processo attraverso cui una disciplina acquista autonomia:

presentarsi di un oggetto non riducibile e non comprensibile attraverso le tradizionali categorie d'analisi della scienza-madre;

tentativi di riduzione di questo oggetto all'universo noto e tentativi di dilatazione delle categorie fino ad allora utilizzate;

elaborazione di categorie interpretative nuove, specifiche, adeguate alla novità dell'oggetto individuato, e definizione della nuova disciplina;

ridefinirsi di tutti i campi attigui della conoscenza in rapporto all'imporsi di quest'ultima specializzazione.

Uno dei fini del libro: ricostruire la storia dell'antropologia delle società complesse come progressivo definirsi di una specializzazione autonoma nell'ambito dell'antropologia generale. Siamo ancora ben lontani dalla quarta fase.

Il merito principale dell'incontro tra antropologia e modernità è stato forse proprio quello di creare scompiglio nelle certezze degli antropologi, di riproporre problemi metodologici che credevano risolti e riproporre la ricerca sul campo come momento interno essenziale del discorso antropologico.

1968 appare negli Stati Uniti il primo sistematico volume sull'argomento. 1972 rivista "Urban Anthropology". Negli anni Ottanta la produzione aumenta.

I diversi saggi hanno in comune l'abitudine di iniziare osservando quanto grave sia il ritardo della riflessione teorica e quanto incerti siano ancora i confini e i metodi della materia. Sembra che questo settore fatichi a trovare una propria identità.

L'interesse per un'antropologia delle società complesse nasce in Gran Bretagna, principalmente come effetto della crisi coloniale e post-coloniale: lavori sullo stesso ambiente urbano inglese (Firth), ma in particolare studi sui processi di trasformazione nel Terzo Mondo. E in questa prospettiva la città è il dato centrale, il simbolo del continente che cambia: l'Africa.

E' importante sottolineare il ruolo iniziale avuto dalla scuola di Manchester (Gluckman) nel valutare pienamente il problema dell'antropologia delle società complesse: lunghe monografie; l'aspetto teorico è affidato al fittissimo richiamarsi di un testo con l'altro. Vi era la consapevolezza di fare un lavoro nuovo, che l'antropologia, nata a Londra per studiare i primitivi, iniziava a Lusaka a riflettere sui civilizzati.

Produzione italiana anni '60-'70: tentativi di ricerca scarsi.

Se in Francia la nascita dell'antropologia urbana è databile agli inizi degli anni '80, in Italia bisogna attendere almeno la seconda metà del decennio: nel 1987 Tentori organizza il 1. convegno nazionale di antropologia delle società complesse e nel 1990 cura la pubblicazione del primo volume degli Atti. Riviste specializzate: "l'Uomo", "Problemi del socialismo", "MicroMega".

Motivi di resistenza alla nascita dell'antropologia urbana: in Inghilterra la tradizionale prospettiva evoluzionistica; in Francia l'influenza dello strutturalismo; in Italia tradizione meridionalistica e folklorica, sorta di complesso di inferiorità nei confronti di conduceva le proprie ricerche in terre lontane.

L'antropologia interpretativa va intesa non come un discorso antropologico sulla modernità, ma come un discorso antropologico a partire dall'esperienza della modernità, un discorso che elabora un metodo valido tanto per le società moderne, quanto per le società tradizionali.

Trattando i temi del passaggio da una cultura tradizionale a una cultura moderna (scuola di Manchester) abbiamo preferito la dizione di antropologia delle società complesse, mentre trattando i temi che si accompagnano allo sviluppo delle grandi città americane ed europee, abbiamo preferito parlare di antropologia urbana.


PARTE SECONDA - PREMESSE STORICHE

2. La prima e la seconda rivoluzione urbana.

2.1 "La mia città è molto strana"

1925 L'ambiente urbano costituiva lo sfondo comune a tutta la letteratura americana (Sherwood Anderson, Scott Fitzgerald, Dos Passos).

La città si manifesta subito come affascinante fucina di follia, come intreccio di ogni contraddizione. La città americana è subito metropoli.

Robert Park => l'idea della città come campo etnologico gli veniva da Balza, Hugo, Zola, che avevano l'immagine della città moderna come luogo di barbarie per eccellenza.

La popolazione europea, malgrado le ripetute epidemie che colpiscono i grandi centri (colera Parigi 1832), malgrado le guerre e le carestie, passa durante il 1800 da 190 a 400 milioni circa; l'Inghilterra quadruplica la sua popolazione.

La rivoluzione demografica riguarda quasi esclusivamente la città. La trasformazione fondamentale si produce nella natura delle attività economiche: rapido e radicale processo di proletarizzazione. L'incremento demografico nelle grandi città riguarda quasi esclusivamente la massa operaia. Per lo più, nelle città capitali, questa popolazione è concentrata nei vicoli del centro storico, in spazi sempre più ridotti, malsani. In altri casi, nelle città che la rivoluzione industriale ha prodotto quasi dal nulla, i nuovi concentramenti operai sono relegati alla periferia urbana.

2.3 Chicago: the City

America degli anni Venti e Trenta. Rispetto a Parigi o Londra, a New York o a Chicago non vi sono sottosuoli e non vi sono palazzi e tradizioni nobiliari. In compenso le differenze di cultura, razza e censo sono consistenti.

L'Americano ama la città; anch'egli come l'europeo ne rimane abbagliato, affascinato, allucinato, ma nel caso americano l'amore supera sempre l'odio.

Nel romanzo americano degli anni Venti vi è il progressivo dilatarsi dell'immagine di città. Un abitato che non ha ormai più confini, una città che ha risucchiato la natura.

Nel 1925 Park e gli altri pubblicavano The City.

Chicago è un crocevia di tribù: gli scontri razziali del 1919 furono vere e proprie battaglie urbane con decine di morti e centinaia di feriti.

Fondata artificialmente nel 1836 in occasione dello scavo di un canale e cresciuta ancora più artificialmente, come nodo ferroviario, Chicago ha dovuto più volte frenare e poi rilanciare la sua crescita a seconda della congiuntura economica.

Città Patchwork.

Idea minima di città, Chicago, non ha centro, oppure il centro è un "incrocio" stradale e ogni incrocio stradale può essere il centro, perché da ogni incrocio si può entrare nella "rete".

La metropoli americana, e Chicago prima di ogni altra, rappresenta una novità assoluta nella storia dell'umanità; qui per la prima volta si forma un ambiente diverso, un individuo diverso, un modo di vita diverso; qui per la prima volta ci si rende conto che è in atto una rivoluzione antropologica e non solo economica o sociale.

2.4 Il discorso di Rabbit

L'antropologia urbana non avrebbe mai potuto nascere all'interno della tradizione umanistica europea:

perché nella percezione europea la città era una malattia, un'entità contro natura;

perché non si coglieva mai la città nella sua totalità, ma sempre come incontro-scontro tra l'aristocrazia morente, la nuova borghesia, le masse;

perché, comunque, se la si coglieva come totalità, l'interprete di questa totalità era la "folla", e della folla si dava sempre un giudizio negativo.

Per ragioni storiche ed economiche, la città americana ha caratteristiche opposte: è un'entità vivente, un corpo unitario che emana energia.

Park: "la città è un insieme funzionale teso verso il successo".

La città è lo spazio e l'immagine stessa del progresso. La città è lo spazio nel quale l'individuo celebra il proprio trionfo.

Park: "Ogni individuo trova il tipo di ambiente in cui può sentirsi a proprio agio ... In breve trova il clima morale da cui la sua peculiare natura trae gli stimoli che conferiscono un'espressione completa e libera alle sue disposizioni innata".

Park non si distaccava di molto da quelle che erano le opinioni del cittadino medio della nuova America delle città: Babbit, venditore immobiliare della città di Zenith nel romanzo di Sinclair Lewis.

La distanza tra la nuova città-civiltà americana e lo scenario delle capitali europee è enorme: mentre quest'ultime affrontano i problemi del primo dopoguerra, della disoccupazione di massa, delle crisi economiche a ripetizione, nelle città americane trionfa l'era del "più grande": "il più alto grattacielo come il più alto numero di condanne a more".

3. La scuola di Chicago.

3.1 Le premesse europee

In Europa la città era stata da decenni al centro dell'interesse di storici, economisti e sociologi. Non è azzardato affermare che la città è l'oggetto primo di studio e la ragione di origine della sociologia come disciplina autonoma. Da Tocqueville a Weber tutti i "classici" si sono confrontati con il problema della città.

Per la dominante posizione critica nei confronti dell'urbanizzazione, la teoria sociologica sulla città della seconda metà del secolo scorso e dei primi due decenni di questo, trova la sua sintesi più compiuta nel lavoro di Töennies. La città è per Töennies lo spazio della Gesellschaft (società) per eccellenza, non solo perché nata in opposizione fisica alla Gemeinschaft (comunità) rurale, ma principalmente perché al suo interno progressivamente distrugge tutti i legami di tipo comunitario. La famiglia è destinata a perdere rilevanza, e le funzioni che le erano proprie sono destinate ad essere assunte da strutture pubbliche. I legami di parentela, di vicinato e d'amicizia, sono destinati a passare in secondo piano rispetto ai rapporti strumentali fondati sulla compatibilità degli interessi, sullo scambio (mercato) e sul diritto formale (contratto). Il lavoro creativo è destinato a lasciare il posto al commercio, la cui unica e universale misura è il denaro..

La centralità di Töennies non è legata alle sue conclusioni critiche nei confronti della società borghese; sta piuttosto nella produttività sociologica dell'opposizione che ne costituisce il fondamento: nella capacità che questa opposizione ha avuto di generare diverse interpretazioni. Sul rapporto fra Gemeinschaft und Gesellschaft si ricalca l'opposizione fra solidarietà organica e solidarietà meccanica in Durkheim, fra folkways e mores in Sumner, fra il modello meccanico e il modello termodinamico di Lévi-Strauss.

3.2 L'ecologia umana

L'impostazione antiurbanistica della sociologia europea risultava del tutto inutilizzabile nella realtà americana. Gli americani hanno sempre concepito il progresso civile come una crescita dei rapporti e dei luoghi di aggregazione. Il passaggio dal modello rurale a quello urbano coincideva in America con il passaggio dalla barbarie alla civiltà. In questa prospettiva statunitense, la nascita della stessa sociologia coincide con lo sviluppo urbano.

I motivi di Durkheim e di Simmel legati alla divisione del lavoro, agli squilibri di classe, alla competizione sociale, o al ruolo del denaro nella Gesellschaft urbana, ritornano nei lavori di Park o di Wirth, ma vi ritornano depurati da ogni intenzione negativa, anzi, vi ritornano come momenti funzionali allo sviluppo e al progresso della società. A proposito del denaro: Simmel ("Il denaro, con la sua anonimità e indifferenza, diventa il denominatore comune dei valori e inevitabilmente esso estrania gli oggetti dalla loro essenza"), Park ("Il denaro è lo strumento principale per mezzo del quale i valori sono stati razionalizzati e i sentimenti sono stati sostituiti dagli interessi").

I principali esponenti della antropologia urbana sono Robert Park, Ernest Burgess, Roderick McKenzie.

Secondo la definizione di McKenzie, l'ecologia umana è lo studio del rapporto fra l'uomo e l'ambiente. L'ecologia umana si interessa di come il modificarsi (nel tempo e nello spazio) delle relazioni tra gli individui e fra le comunità, influenzi le istituzioni e il comportamento umano.

L'ecologia umana nelle intenzioni dei suoi fautori si presenta come una scienza del tutto nuova alla cui formazione contribuiscono la sociologia, l'antropologia, l'economia, l'urbanistica, la psicologia sociale, la biologia umana.

La città è solo uno degli scenari possibili dell'ecologia umana. Per l'ecologia umana degli anni '30 la città va trattata come un qualsiasi altro habitat vegetale o animale. Come per le piante e per gli animali, il meccanismo di fondo che imprime dinamicità all'intero sistema e ne garantisce gli equilibri è la competizione per l'appropriazione del massimo di risorse disponibili.

Quel che caratterizza la città rispetto ad habitat analoghi (villaggio, accampamento) non è tanto la sua dimensione, ma la necessaria presenza di densità. Il rapporto fra spazio e presenza umana deve produrre densità, e precisamente un "grado di densità" compreso fra un minimo, necessario a spezzare l'autonomia delle cellule familiari e a produrre divisione del lavoro (eterogeneità), e un grado massimo, al di là del quale l'eterogeneità diventa confusione e sconfina nell'anarchia.

3.3 Area naturale urbana

L'area naturale è una dimensione urbana in cui i fattori di coesione (sociali, economici o culturali) hanno prevalso sui fattori di differenziazione (specializzazione dei processi lavorativi, economici, fattori razziali, convinzioni religiose, etc.). All'interno di quella singola area i meccanismi di competizione e di disgregazione individualistica lasciano lo spazio a processi di identificazione, di coesione e di comune interesse. L'equilibrio raggiunto è sempre instabile e richiede di essere continuamente difeso attraverso meccanismi sociali e culturali di autoidentificazione. Un'area naturale è "sana" quando, nel suo rapporto con altre aree, risultino opportunamente dosate omogeneità e differenziazione, identità e alterità. Il principio identità-differenziazione nel rapporto città-area naturale, è lo stesso che soggiace al rapporto fra io e gli altri ed è lo stesso che fonda la possibilità di culture.

Il programma di Park appare realizzato: l'antropologia è scienza dell'uomo in generale, la cultura nei suoi moventi fondamentali è simile tanto in una società semplice quanto in una società urbana e i modi di analisi antropologica possono essere gli stessi.

Quel che caratterizza la città moderna rispetto ad ogni altra città preindustriale, è la varietà, oltre che la quantità, di aree naturali che si addensano in uno spazio relativamente limitato.

Il programma dell'ecologia umana applicata allo studio delle città si riassume nella costruzione della mappa generale delle aree naturali della città e nello studio della dinamica identità-differenziazione all'interno di ogni singola area.

Esempio: mappa delle aree naturali di Chicago costruita da Burgess in The City.

3.4 L'innesto dell'antropologia

Critiche. Nella definizione di area naturale si ritrova immutato il dualismo che ci si proponeva di superare. Nelle singole monografie l'area naturale si riduce spesso alla semplice distribuzione statistica di questo o quel fattore di superficie; invece l'individuazione di un'area culturale e naturale non si esaurisce nelle sue caratteristiche esterne, ma rimanda ai meccanismi di rappresentazione, agli atteggiamenti di appartenenza e di rifiuto, ai sentimenti di identità e di estraneità.

Quel che nella mappa di Burgess definisce ogni singola area, sono elementi come la distanza dal centro, il costo e la qualità delle abitazioni, il reddito medio dei suoi abitanti, la loro origine etnica, indipendentemente dal modo in cui questi tratti vengono percepiti, rappresentati e inseriti nella cultura della città.

Il merito teorico di Park e in parte dei suoi colleghi, sta nell'aver compreso tutto la novità del fatto urbano e quanto di nuovo e di originale rappresentasse nell'organizzazione umana. Il limite sta semplicemente nel non esservi riusciti. 

3.5 Urbanism as a Way of Life

Lavoro di Wirth, tentativo di sistemazione teorica. Afferma che l'urbanesimo è in primo luogo "un modo di vita, un insieme di atteggiamenti e comportamenti nei confronti dell'ambiente". La città ha prodotto un nuovo tipo di uomo: il cittadino, che tende ad essere identico in qualunque area urbana; inoltre tutto il mondo si sta trasformando in un grande ambiente urbano.

1920 The Ghetto: definizione di ambiente urbano in base ai tre criteri indicati dall'ecologia urbana: il numero, la densità di stanziamento e il grado di eterogeneità della popolazione. Il Ghetto è un coacervo di popoli, di lingue, di condizioni sociali, di religioni. Per chi provenga dall'esterno, la prima impressione è quella di un mondo compatto. Il fatto discriminante è percepirsi ed essere percepito come un abitante.

Dell'originalità e delle intuizioni più felici di The Ghetto non vi è traccia alcuna 10 anni dopo (1938) in Urbanism as a Way of Life: il saggio avrebbe dovuto rappresentare una nuova sistemazione teorica degli studi, la fondazione di un'antropologia urbana.

Critiche: Wirth ha definito il processo di urbanizzazione essenzialmente come processo di disarticolazione, di riduzione della società ai singoli individui e degli individui alla massa. "Al contrario - aggiunge Lewis - la vita sociale non è un fenomeno di massa. Si svolge in gran parte nei piccoli gruppi, all'interno della famiglia, delle case, dei quartieri ... ".

4. La scuola di Manchester e l'analisi situazionale

4.1 L'urbanizzazione in Africa

Tra il 1950 e il 1975 i paesi in via di sviluppo sono stati investiti da un processo di urbanizzazione esplosivo ed originale:

il mondo subsahariano, a differenza di altre aree del Terzo Mondo, ha forse conosciuto concentrazioni demografiche di una qualche consistenza, ma certo non ha mai conosciuto l'idea di città;

l'urbanizzazione africana, sia quella fisica che quella mentale e culturale, è del tutto indotta dagli interessi dell'espansione coloniale.

Dal 1960 al 1985 la popolazione delle grandi città è aumentata di 5-6 volte. All'inizio degli anni '60 si continuava a lavorare sul modello europeo e non ci si era resi conto che il movimento demografico africano seguiva un andamento e delle regole del tutto originali rispetto alla storia occidentale.

l'incremento in termini assoluti della popolazione urbana si deve ad un eccezionale tasso di crescita della popolazione nel suo complesso. Sembra che più alta sia la percentuale della popolazione urbanizzata, più alto sia il tasso di crescita. Di anno in anno la popolazione delle città sembra aumentare a ritmi incontrollabili, malgrado manchi tutto: strutture, case, lavoro;

l'incremento della popolazione urbana nei paesi in via di sviluppo non si associa necessariamente, come è avvenuto in Europa, a una crescita dell'impresa manifatturiera;

rapidità e radicalità con cui in ambiente urbano si consuma la rottura con la tradizione di villaggio; la non corrispondenza tra urbanizzazione e sviluppo della forza lavoro industriale comporta l'instabilità della posizione sociale ed economica del cittadino africano e, quindi, il suo apparente non radicarsi nella vita della città (piccolo commercio, piccolo servizio). E l'instabilità sociale ed economica diventa spesso instabilità esistenziale, precarietà del sistema di valori, assenza di riferimenti e di progetti.

Il processo di urbanizzazione europeo è stato caratterizzato da:

incremento della popolazione urbana come effetto dello spopolamento delle campagne;

forte corrispondenza fra inurbamento della popolazione e sviluppo dell'apparato produttivo;

tendenziale diminuzione del tasso di natalità e quindi progressivo addolcimento della curva generale di urbanizzazione.

4.2 Il Rhodes-Livingstone Institute

In alcuni casi il processo di urbanizzazione era già iniziato tra le due guerre. All'inizio degli anni trenta il boom del rame produsse nello Zambia una concentrazione di popolazione senza uguali. Era uno stravolgimento senza precedenti ed era una situazione nuova anche per i funzionari dell'amministrazione inglese. Per quanto riguarda il sistema lavorativo, in pochi anni i meccanismi dell'ordinamento e della rappresentanza tribale, sollecitati e organizzati inizialmente dalle autorità coloniali in base ai principi del "governo indiretto" avevano perso ogni credibilità e nella vita della miniera erano emerse forme di leadership del tutto nuove. I sistemi di parentela e i tradizionali sistemi di solidarietà economica erano posti definitivamente in crisi dal rimescolamento urbano.

Il Rhodes-Livingstone Institute di Lusaka fu costruito nel 1938 su iniziativa del Ministero delle Colonie. Evans-Pritchard non sostenne mai la costituzione di istituti autonomi di ricerca dipendenti dal Governo e non dalle università.

1940: Max Gluckman assume la direzione del Rhodes-Livingstone Institute; Evans-Pritchard pubblica il suo lavoro sui Nuer.

Rispetto agli evoluzionisti e i diffusionisti, la sterzata era netta: l'antropologia muta metodo, oggetto e collocazione disciplinare; veniva a cadere l'ansia di costruzioni teoriche generali. L'avvento della ricerca sul campo (funzionalismo) aveva dimostrato che più si scendeva in profondità nella conoscenza e nella comprensione di un singolo popolo, più ci si accorgeva di quanto inconsistenti fossero le precedenti generalizzazioni e di quanto approssimato fosse l'uso del metodo comparativo sul quale tali generalizzazioni si fondavano.

Rispetto ai funzionalisti e agli struttural-funzionalisti, si trattava di superarne il paradigma delle società "fredde", chiuse, senza storia, immobili nei propri interni equilibri.

La svolta più importante doveva darsi, tuttavia, sul piano del metodo: nell'approccio alla società come sistema sociale e non come sistema naturale, e nelle questioni di metodo e di collocazione disciplinare che ne conseguivano. Di conseguenza ne veniva un ripensamento sul modo di legittimare la funzione e l'autorità dell'antropologo, sul modo di concepire il rapporto tra antropologo e mondo osservato. Nel "i Nuer", all'ideale malinowskiano di una descrizione oggettiva, Evans-Pritchard oppone la figura di uno scienziato che sente quanto la propria soggettività sia parte stessa della ricerca, e quindi la osserva continuamente, la misura, la controlla e sente quanto il mondo osservato faccia resistenza attiva all'intrusione di un estraneo, metta in atto strategie di controllo, di ostruzione, di inganno.

Evans-Pritchard: enorme capacità di costruire rappresentazioni visualizzabili dei fenomeni culturali: diapositive antropologiche. E' continuamente alla ricerca di prospettive originali di rappresentazione, dall'illustrazione al disegno, alla fotografia, allo schizzo, al diagramma.

Si trattava di mantenere fermo il principio che la comprensione teorica, almeno per alcuni aspetti, non può non anticipare i dati e procedere per astrazioni su di essi, ma senza per questo giungere a confondere il metodo con la realtà, lo strumento con l'oggetto della ricerca.

Per tutti gli anni '50 l'asse Lusaka-Manchester rappresentò gran parte dell'antropologia sociale inglese.

Le ragioni dell'esaurirsi della scuola di Manchester, in quanto realtà separata di ricerca e di elaborazione teorica, vanno cercate nel mutato panorama antropologico della fine degli anni '60: per quanto riguarda il contenuto, nel forte sviluppo degli studi sull'urbanizzazione nel terzo mondo; per quanto riguarda il metodo, nelle nuove tendenze dell'antropologia inglese, con particolare riferimento ad un approccio simbolico. Al gruppo di Gluckman apparteneva un numero limitato di ricercatori, che non poteva trasformarsi in "indirizzo". E proprio per questo atteggiamento di "scuola" e non di "indirizzo", Gluckman e i suoi colleghi non hanno mai sentito il bisogno di lasciarci una riflessione sistematica sulle teorie soggiacenti alle proprie ricerche sulla nascita dell'ambiente urbano in Africa.

Tre aspetti caratterizzano il pensiero della scuola di Manchester negli anni '50:

lo stesso Gluckman parlò delle "procedure di definizione dell'oggetto della ricerca";

il metodo utilizzato è quello dell'analisi situazionale (tre concetti ne sono alla base: campo sociale, situazione, rete);

caso particolare di analisi situazionale: il "tribalismo urbano": non si intende il persistere in ambito urbano di modelli rurali di comportamento, ma si tratta di trovare per la città "qualcosa che ordini, che classifichi, che codifichi il comportamento, come l'appartenenza a una tribù ha permesso di fare nelle società che solo ora, dopo che le abbiamo ordinate, ci sembrano semplici".

4.3 I limiti della semplificazione

Closed Systems and Open Minds (Gluckman): discorso di metodo sulla legittimità dell'applicazione dell'antropologia alla società moderna.

Gluckman afferma che è necessario partire dalla considerazione che il rapporto semplice-complesso non pertiene all'oggetto, ma alla comprensione dell'oggetto: non ci sono società semplici e società complesse; ci sono società (o parti di esse) di cui abbiamo compreso i meccanismi e che quindi sono diventate semplici ai nostri occhi, e società (o parti di esse) che non riusciamo a comprendere e che quindi continuano ad apparirci come complesse.

Le diverse scienze sociali e comportamentali si distinguono tra loro non per gli eventi che assumono come oggetto del loro studio, ma per il tipo di relazioni tra gli eventi che cercano di stabilire. L'antropologia sociale cerca di definire le relazioni fra gli eventi che saldano i sistemi mentali all'ambiente circostante.

La questione non è più se sia legittimo o meno applicare alla complessità del mondo moderno una prospettiva antropologica. Per Gluckman si tratta di un problema di "scala". Quanto più una società è interamente omogenea e integrata in tutte le sue parti (e quanto minore è la disponibilità di dati), tanto più lo scarto tra le diverse prospettive tende a ridursi e le immagini che si ottengono attraverso le diverse scale di osservazione tendono a sovrapporsi, fino a provocare l'illusione ottica di un piano unico della realtà, perfettamente coincidente con il modello di osservazione dell'antropologo.

Per altro verso, una società a grandi dimensioni come la nostra si presta ad essere compresa e rappresentata attraverso una gradualità di scale molto ampia, dalle grandi sintesi ecologiche fino alle grandi sintesi psicanalitiche sul caso di un singolo individuo.

Il punto importante sul quale Gluckman insiste, è che la distinzione tra i due tipi di società - e fra oggetto e modalità della conoscenza - è di grado e non di natura.

Alla fin fine la legittimità dell'antropologia sociale a operare nel mondo moderno può derivare in pratica solo dai suoi risultati; gli antropologi devono dimostrare che, nelle società moderne come in quelle tradizionali, è possibile ridurre la complessità nella prospettiva della relazione tra sistemi mentali ed eventi circostanti.

La scuola di Manchester non inventa nuove categorie per studiare la modernità, né nuovi strumenti di rilevazione. Lo stesso metodo quantitativo viene giudicano non necessario.

4.4 Circoscrivere il campo

Comprendere significa in primo luogo "circoscrivere il campo" e "produrre semplificazione", e verificare quanto la prospettiva di scala scelta riesca a semplificare la complessità del reale.

tre procedure astrattive:

circumscription: definire il campo di osservazione;

incorporation: accettare come dati certi fatti che esercitano una forte influenza sulla ricerca;

abridgment: fondare la propria analisi su ipotesi e teorie elaborate da un'altra disciplina.

La prima operazione di astrazione è la più difficile e decisiva.

Per quanto riguarda le società tradizionali si può concordare con Nadel: "Nelle società primitive il campo dei fatti sociali è più facilmente controllabile".

Devons e Gluckman: "Bisogna lavorare con sistemi chiusi di variabili, con un numero di eventi che non permetta il gioco del rinvio all'infinito". L'errore non sta nel chiudere i sistemi, ma nel dimenticare di averli chiusi, nel confondere il laboratorio con la realtà.

Open Minds si oppone a Closed Systems in altro senso: come memoria continua dell'astrazione operata e quindi come consapevolezza del fatto che la chiusura del sistema deriva dal metodo con il quale si opera sulla realtà e non dalla realtà stessa.

Epstein: "Basta introdurre due sistemi isolati in una dimensione comparativa per avere subito la sensazione dell'artificialità delle operazioni di astrazione eseguite". Isolare e comparare singoli eventi è cosa ben diversa che comparare fra loro due classi di eventi.

4.5 L'approccio situazionale

La struttura sociale di un popolo, aveva scritto Evans-Pritchard, è un sistema di strutture separate, ma interrelate. Tutti i "classici" del Rhodes-Livingstone Institute devono essere letti come un'estensione dei principi e del metodo elaborati da Evans-Pritchard. Studiare una società vuol dire studiarne i singoli sistemi e le relazioni fra i sistemi (o struttura sociale). La struttura di un gruppo è data dal rapporto fra i suoi sistemi (a volte sottosistemi). Esempio Nuer: sistema territoriale, parentale, classi di età.

La comprensione di una società complessa attraverso la sua dinamica segmentaria, diventa per Gluckman e colleghi un modello valido per ogni tipo di società. Ciò vale anche in ambiente urbano; la città si presenta come una società segmentaria per eccellenza.

In ambiente tradizionale, la struttura sociale è un insieme di relazioni fra gruppi e per gruppo Evans-Pritchard intende "un insieme di persone che si considerano un'unità distinta in rapporto ad altre unità e tali sono considerate dai membri delle altre unità, tutte avendo obbligazioni reciproche in virtù della loro appartenenza al gruppo".

In ambiente urbano, invece, ogni individuo costruisce una rete originale di rapporti, e solo una parte di questi si traduce in sistema (sentimento di appartenenza, rappresentazioni simboliche, obbligazioni reciproche).

Epstein: quel che caratterizza la società tradizionale rispetto alla società moderna, non è tanto quel che nel linguaggio dell'analisi situazionale si definisce come la tendenziale coincidenza tra rete e sistema, quanto il fatto che questi due piani vengano quasi a coincidere. La coincidenza è conseguenza del modo in cui le dimensioni, le caratteristiche interne e, principalmente, la distanza dell'oggetto influiscono sulla nostra scala di osservazione.

Distinzione fra concetto di rete e concetto di sistema: nelle società tradizionali la rete tende a coincidere con il sistema; in ambiente urbano la rete è lo strumento analitico intermedio, strumento che tendenzialmente può condurre ad ordinare in sistemi le relazioni che lo attraversano.

4.6 La regola e il conflitto

L'oggetto di studio della scuola di Manchester è sicuramente il social change.

L'oggetto di studio dell'analisi situazionale sono gli insiemi relativamente autonomi e coerenti che compongono il sistema complessivo. Quel che interessa non è tanto l'equilibrio interno a questi sottoinsiemi, ma i punti di frizione, di scontro, di conflittualità. In quanto "struttura di insiemi relativamente autonomi" (Evans-Pritchard), la società è per sua natura conflittuale, è per sua natura una "struttura di tensioni". E' in questa prospettiva che tutti i lavori della scuola di Manchester riguardano il problema della conflittualità all'interno del sistema sociale.

Tutte le società in quanto struttura di insiemi relativamente autonomi sono dinamiche, il problema è vedere come risolvono la loro interna dinamicità. Tre casi:

nella norma la conflittualità è funzionale all'equilibrio di un più vasto insieme del sistema sociale (Gluckman in Custom and Conflict);

quando è in atto un mutamento sociale, la società mette in atto meccanismi di riassorbimento dei livelli non fisiologici di conflittualità (Turner in Schism and Continuity in situazioni tradizionali di villaggio; Mitchell nel suo lavoro sulla Kalela Dance in situazioni di rapido mutamento rurale-urbano);

quando il mutamento assume ritmi non contenibili, la conflittualità finisce per modificare la struttura complessiva del campo sociale (Epstein nel suo lavoro sulla politica in una comunità africana).

4.7 "Il tribalismo urbano"

Constatazione della vitalità del tribalismo, ben al di là dell'ambiente tradizionale delle campagne.

Lucy Mair decretava la fine degli etnicismi in ambiente urbano (teoria dell'assimilazione, teoria del crogiolo). Fallimento della sua previsione per quanto riguarda l'immigrazione negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale: non solo l'assimilazione etnica non avviene in tempi brevi, ma persiste il sentimento etnico, delle origini.

L'errore, secondo Epstein, sta nel confondere i due aspetti dell'etnicità: "Le categorie etniche hanno un duplice aspetto: sono insieme e contemporaneamente tanto oggettive, cioè esterne e indipendenti rispetto all'attore, quanto soggettive, cioè interne all'attore, vale a dire contribuiscono a costruire la percezione del sé".

Nella prospettiva antropologica, l'etnicità è un problema di classificazione, consistente nel separare e aggregare la popolazione in una serie di categorie definite in termini di noi e loro.

Tendenzialmente, studiando l'identità etnica solo in ambiente tradizionale, gli antropologi erano portati a naturalizzare il fenomeno, a sottolinearne solo l'aspetto oggettivo, a far coincidere l'identità etnica con il tribalismo. L'estensione dell'analisi e la constatazione che l'etnicismo è più che vivo e operante anche in ambiente urbano, modifica necessariamente questa tendenza interpretativa, e impone un nuovo livello di riflessione. Quindi il mondo tribale ci risulta meno semplice di quanto si potesse pensare, si scopre che anche nella società tribale "l'identità implica sempre un certo grado di scelta". Può sembrare paradossale, ma in questa prospettiva uno dei primi risultati a cui conduce un'antropologia delle società moderne è la necessità di rivedere l'idea di società tradizionale.

5. Benjamin: la città invisibile

5.1 Grandi città / popoli morenti

Alla letteratura fra il 1925 e il 1940 dobbiamo la prima grande riflessione sul carattere urbano, sulla condizione urbana come forma culturale autonoma.

La città è il segno esterno della decadenza, diventa non afferrabile per la letteratura. Roth: "Mentre scrivo queste parole, Marsiglia ha già cambiato aspetto".

5.2 I Passages

Il rapporto fra città e scrittura etnologica diventa centrale nella teoria e nella pratica del surrealismo.

Breton alterna alla scrittura fotografie, disegni, riproduzioni di manifesti per "descrivere" ciò che sta vedendo.

Benjamin - Parigi, capitale del XIX secolo: illusione che finalmente abbia preso corpo l'idea di una città piazza universale, teatro di tutte le possibilità, fiera dei beni infiniti (moda, catacombe, il collezionista, il flaneur, prostituzione e gioco, le strade di Parigi).

A volte Benjamin ricopia interi brani di pubblicazioni minori del secolo passato, calendari, guide di Parigi, insegne di negozi, scritte murali, orari delle corse del tram. La stessa forma del testo rimanda all'idea di città, come realizzazione dell'antica immagine del labirinto. L'unico modo vero per conoscere la città è riprodurla. La città moderna ha colto pienamente la necessità di segnalare, di rappresentarsi, di specchiarsi, di attrarre lo sguardo. L'esposizione diventa l'anima della città. L'atto di fondazione della Parigi moderna coincide con il sorgere dei Passages, tra il 1820 e il 1835.

I Passages come luogo del contrasto tra privato e pubblico, come luogo di nascita dell'arte borghese, dell'arte riprodotta e riproducibile, come origine dei grandi magazzini, come utopia.

Quel che salta definitivamente nella società urbana è l'ordine degli sguardi, la prevedibilità degli sguardi. La dimensione pubblica coincide con l'atto di esporsi allo sguardo: il cittadino pubblico per eccellenza è il commerciante; la dimensione privata coincide con il nascondersi, con il trasformare la merce in feticcio personale: "il collezionista è il vero inquilino dell'interiore". La storia della città diventa storia dello sguardo: dai panorami alla fotografia, al cinema, strumento per eccellenza di questa autorappresentazione. C'è per Benjamin un nesso strettissimo fra la nascita della Metropoli e la nascita del Cinema. Le stesse sensazioni percettive richieste allo spettatore del film sono analoghe a quelle necessarie a chi si muove nel traffico urbano: un'immagine dopo l'altra, con un ritmo imposto dall'esterno, che richiede sempre una forte capacità di adattamento della selezione percettiva. La nascita dei Passages coincide con la nascita dell'osceno, perdita dell'ordine degli sguardi. E il cinema è il suo massimo trionfo: il buio della sala garantisce l'anonimato, il vedere senza essere visti, senza esporsi.

5.3 Il flaneur

Di fronte all'incalzare degli stimoli esterni, l'uomo metropolitano per un verso subisce un'intensificazione dell'agitazione nevrotica, per altro verso mette in atto una sorta di indifferenza emotiva, elabora una percezione selettiva che gli permette di non "essere distratto dai particolari". L'atteggiamento blasé, indifferente, disincantato, è quello che ci permette di sopportare la logica urbana. Il cittadino di Benjamin è il flaneur. La flanerie coincide con l'essenza della merce e ha le caratteristiche della merce, per empatia, rimanda alla disposizione interiore del flaneur. La città del flaneur è la città-mercato, lo spazio del consumo, un insieme di oggetti vendibili e acquistabili e comunque principalmente da vedere. Il flaneur non conosce il lavoro, la fatica, la produzione. La flanerie è ozio, è la parte festiva delle giornate e della settimana. Il flaneur ama lo sguardo, ama la città, non potrebbe vivere lontano da essa. Il flaneur odia la folla, o per lo meno odia essere considerato folla, fare massa con la folla. Egli attraversa la folla ponendosene sempre al di fuori; il massimo timore è quello di sentirsi omologato, ma la gioia massima è di avere molti spettatori. Il flaneur non ama la politica.

5.4 Modelli di urbanizzazione


PARTE TERZA - ATTUALI TENDENZE

6. Indirizzi recenti di antropologia urbana: the network analysis

6.1 Premessa

Il territorio urbano segna per l'antropologia classica il limite delle proprie sicurezze di metodo; è difficile parlare di scuole o di prospettive teoriche generali. Possiamo dire di trovarci di fronte a prospettive di metodo, tendenze, ipotesi di lavoro; i nuovi settori sono ateorici.

L'unica impostazione che in parte si sottrae a queste incertezze è quella fondata sulla Network Analysis: i punti teorici sono l'analisi situazionale della scuola di Manchester e la teoria dei ruoli che ha privilegiato l'analisi dei rapporti sociali in quanto tali e quindi ha inteso il sistema sociale come campo di azioni e interazioni tra individui (agenti) che occupano un certo status e svolgono un certo ruolo (Linton, Nadel, Parsons, Merton). Studiano l'urbanizzazione nel mondo occidentale e nel terzo mondo - stretto rapporto con la scuola di Manchester.

Anthony Leeds: indirizzo della interactional approach: "L'obiettivo dell'approccio interazionale è di studiare le linee che di volta in volta informano il rapporto fra città e intera società. Studiano le culture complesse indipendentemente dalla realtà urbana" - stretto rapporto con la scuola ecologica di Chicago.

The Ghetto Approach: l'interesse verte per lo più su comunità etniche, su minoranze, su quartieri particolarmente poveri. Studiano le culture urbane della povertà e le minoranze culturali - stretto rapporto con il lavoro di Benjamin. Sempre più ricorrente è la definizione di ghetto come "luogo di interpretazioni, non più luogo fisico, ma costruzione mentale"..

6.2 Network Approach

Il saggio di Southall, The Density of Role-Relationships as a Universal Index of Urbanization, costituisce il tentativo più sistematico di proporre l'utilizzazione della teoria dei ruoli nell'antropologia urbana.

Si tratta di individuare i "tipi di ruoli e relazioni" che in ogni società collocano l'individuo; i "domini d'azione" entro cui un individui deve sempre collocarsi. Southall distingue i tipi naturali (generatori naturali di ruoli) dai ruoli-relazioni dai tipi sociali (generatori sociali di ruoli).

Generatori naturali: il sesso, l'età, la parentela (procreazione), la produzione; perché i ruoli che essi generano sono interni alla stessa naturalità della condizione umana e indipendenti dalle differenze culturali. La funzione del rito è di rendere sociali e culturalmente accettabili i ruoli naturalmente generati, marcare le differenze fra i sessi, il passaggio tra le età, definire lo scambio parentale e produttivo. I riti hanno una funzione de-naturalizzante, si tratta di dare impronta culturale a un evento naturale, di permettere, attraverso l'appropriazione, il controllo del dato naturale. I riti dunque intervengono laddove i ruoli sono deboli, dove lo status sociale è ancora strettamente incorporato nell'evento biologico.

Generatori universali: 5 opposizioni: noi-altri, servo-padrone, individuo società, sacro-profano, libertà-necessità, festivo-quotidiano. La funzione del rito è di svolgere, nelle società moderne come nelle società tradizionali, un'azione di riconduzione delle funzioni a un piano oggettivo, una funzione di ri-naturalizzazione. Si tratta di dare un'impronta naturale a un evento culturale, di ri-naturalizzare lo scorrere della vita e degli eventi.

Duplice funzione del rito: dare impronta culturale a un evento dato e fare apparire come naturale ciò che è posto; ordinatore sociale e erogatore di identità e certezze.

In ogni società il network sociale lavora su tutto l'ordito dei ruoli, componendo, incrociando, evidenziando o nascondendo e, in base a queste nove relazioni-opposizioni colloca ogni uomo, ne definisce la condizione e i limiti.

Southall individua 4 fattori dai quali dipende l'estensione e l'intensità del sistema sociale nel suo complesso:

a.   l'Area (A), estensione spaziale della società, l'area coinvolta nelle relazioni sociali;

b.  il Numero (N), numero dei membri della società, da considerarsi in relazione ai singoli ruoli;

c.   i Ruoli (R), il numero dei ruoli disponibili sui vari piani della società, a prescindere da quante siano le persone che li assumono;

d.  le relazioni fra i ruoli e le regole di queste relazioni (r).

6.3 Il concetto di complessità

La differenza tra le nozioni di densità, quella di Durkheim e quella di Nadel: per un verso la società moderna produce più ruoli e quindi è più densa; per altro verso, i ruoli sono vissuti in gran parte attraverso relazioni esclusivamente bilaterali e occasionali, e quindi la società moderna appare come meno densa.

Quando parliamo di densità - dice Southall - in realtà parliamo di tre cose diverse:

densità demografica, rapporto tra A e N, fra lo spazio e il numero di abitanti;

densità sociale, rapporto tra N e R, fra numero di individui e ruoli;

densità culturale, rapporto fra R e r, fra il numero dei ruoli e quantità delle relazioni e delle regole che li determinano.

Quel che caratterizza una società tradizionale rispetto a una società moderna è il numero limitato e la struttura fortemente prescrittiva e rigida dei suoi ruoli. Il ruolo precede l'individuo e lo contiene. Le anomalie (omosessuali ...) vengono di forza collocate nella categoria più prossima. Da qui la maggior rilevanza che nelle società tradizionali risulterebbe avere il ruolo festivo-carnevalesco come reazione ritualizzata alla rigidità dei suoi meccanismi.

Nella prospettiva del rapporto fra N e R (densità sociologica), il processo di modernizzazione è caratterizzato dall'aumento del numero dei ruoli e del venir meno di una struttura rigida del loro sistema e quindi della tensione che a ciò si accompagna.

La densità culturale è tanto maggiore quanto più fitta è la rete delle relazioni tra i ruoli e delle regole che determinano queste relazioni. In una società ad alta densità culturale (società tradizionale) ogni individuo tende ad estendere i "terminali" del proprio ruolo verso tutti gli altri individui, attraverso un complesso incrocio di rapporti, regole, cerimonialità, simboli. Nella società moderna, al contrario, i ruoli si moltiplicano, si frantumano, si specializzano e sembrano perdere gran parte della loro "densità culturale". L'elasticità delle regole di ruolo permette ad ogni individuo di rivestire più ruoli, di adattarli alla propria personalità.

Southall: la differenza tra le due società non è di natura, ma di grado, e principalmente di conoscibilità.

6.4 La definizione di città

Gulick ha tentato di riproporsi l'annosa questione della definizione di città; per evitare il rischio di riproporre il modello città-campagna, assume come materiale della propria indagine 6 ricerche su insediamenti certamente non grandi ... L'unica cosa che questi insediamenti hanno in comune è la percezione che i loro abitanti hanno di "vivere in città".

Ciò che caratterizza la città è il suo ruolo di mediazione lungo la scala delle entità territoriali e istituzionali, la sua posizione nella rete di relazioni impersonali e finalizzate che attraversano il territorio nel suo complesso e che congiungono i punti centrali con la periferia. E' certamente più importante la posizione nella rete che non la dimensione del centro abitato. Tutti gli insediamenti studiati appaiono al loro interno divisi (mantengono all'interno caratteri di comunità primaria) ma a rendere urbano il piccolo insediamento non è l'eterogeneità in quanto tale (come avrebbe voluto la scuola di Chicago) quanto piuttosto, il fatto che questa divisione sia funzionale allo stabilire relazioni di vario tipo in altri insediamenti. In questo senso la network analysis supera l'opposizione bipolare folk-urban (società etnologiche - società sociologiche) ma tende a considerare come non eccezionale la presenza di elementi comunitari in ambito urbano o viceversa. La specificità del network approach non sta nello studiare il permanere di forme tradizionali di rapporto in ambiente urbano o l'emergere di forme di rapporto nuove in ambiente rurale, ma proprio nel superare questa logica, come nel caso dell'analisi del "tribalismo urbano". Ciò permette di ripensare la società moderna in termini antropologici, costruire una teoria del rito e della cerimonialità nella società moderna, rintracciare in essa percorsi iniziatici, o reti di scambio, che pensavamo relegati necessariamente al mondo tradizionale.

Predicando la finis anthropologiae per mancanza di primitivi, si predicava in realtà la fine di ogni cultura.

7. Il paradigma postindustriale.

7.1 Castells: La question urbaine

Interactional approach: Fox e Leeds.

Castells, marxista, La questione Urbana. Rifacendosi a Park, afferma che la città non è un'entità sociale autonoma in sé comprensibile. La struttura urbana è definibile come parte di un più vasto sistema socio-produttivo. La città è "un'unità di consumo collettivo". Il punto debole di tutto il libro sta nella stessa definizione di città come spazio del consumo. E' possibile che la struttura del consumo possa essere in alcuni casi criterio di codificazione sociale, ma questo può accadere sia in ambiente urbano che in ambiente non urbano. Lo stesso Castells nei suoi successivi lavori è costretto a rivedere radicalmente le sue posizioni. Sono importanti due prospettive di ricerca: in primo luogo lo spostamento dell'attenzione dalla città al territorio; in secondo luogo il venir meno nella società postindustriale del nesso capitalistico produzione-potere e la sua progressiva sostituzione con il nesso consumo-potere, inteso in primo luogo come informazione-potere, come possibilità di controllo sui luoghi di formazione e sulle modalità di espressione dei bisogni.

Questo approccio risponde alla mutata realtà del paesaggio urbano rivolgendosi alla letteratura surrealista, al genere fantascientifico.

7.2 Interactional approach

Nel 1973 appare l'articolo di Leeds su Urban Anthropology: critica dell'unità d'analisi assunta di solito dall'antropologia classica, secondo cui "una comunità è una realtà sociale (tribù, piccolo paese) che si assume nella sua totalità di microcosmo. Questo "principio olistico" della comunità-totalità ha finito per costituire uno degli assiomi fondanti il criterio di analisi per eccellenza dell'antropologia. Leeds intende liberarsi dalla nozione di comunità, o per lo meno intenderla come caso particolare di una categoria più vasta, che comprenda sia il piccolo villaggio rurale che la grande città, sia il clan che la banda giovanile urbana. Questa categoria è la locality. "La località è un luogo caratterizzato da una più o meno stabile presenza umana e, nel caso la presenza umana sia stabile, da insediamenti abitativi, generalmente circondati da spazi vuoti o non utilizzati". Sono località una città come un villaggio, ma lo sono anche un quartiere, una piattaforma per la ricerca petrolifera e una sperduta fattoria. Il termine locality può essere inteso in senso ancora più astratto: il "luogo dell'interazione": una famiglia, un condominio, gli studenti di un corso universitario. Ci si trova sempre di fronte a una "gerarchia di luoghi di interazione": una famiglia è una località interna a un condominio, e il condominio è parte del quartiere, e il quartiere della città e così via, così come il clan è parte della tribù e questa dell'etnia. Cade così anche quell'impuntatura olistica dell'antropologia.

Anche in questa prospettiva, la differenza fra una società tradizionale e una società moderna è di grado e non di natura.

L'obiettivo dell'interactional approach è di esaminare le modalità interattive attraverso cui l'uomo si adatta al proprio ambiente, i legami che attraversano la società nel suo complesso, le ragioni che determinano il formarsi di località antropologiche e il loro sviluppo rispetto alla dinamica sociale più generale. La città va intesa come un prodotto dell'intera struttura sociale ed è solo a partire dall'analisi di quest'ultima che si può intendere l'origine e la funzione della città. Una società è tanto più urbana, quanto più sviluppato è il sistema di scambio e comunicazione fra le sue località, quanto più marcata è la divisione del lavoro e quanto più sviluppato è il sistema amministrativo. L'urbanizzazione è una questione di grado e il "grado di urbanizzazione" è misurato "dall'indice integrato di queste tre forme di specializzazione". La differenza rispetto a Gulick è che il prius dello studio di Leeds o di Fox non è la città, ma eventualmente il rapporto (le diverse forme di integrazione) fra questi centri e la società di cui fanno parte.

7.3 Una possibile tipologia urbana

1954 Redfield e Singer propongono un primo schema antropologico di tipologia urbana.

grado zero: società non-urbane, caratterizzate da bassi e bassissimi livelli di differenziazione interna; non sentono il bisogno di tradurre il sentimento religioso in una struttura complessa di architetture devozionali, di trasferire la memoria civile nei monumenti, di passare dai semplici calcoli del loro commercio a sistemi economici e di conto più elaborati, non sentono il bisogno dello stato come organizzazione stabile del potere, distinta e specifica rispetto all'organizzazione sociale. Per lo più si tratta di società di villaggio, a base tribale e con una struttura sociale molto semplice.

la prima fase di urbanizzazione è nella maggior parte dei casi una estensione della cultura tradizionale: trasformazione di tipo ortogenetico, ossia "città destinate a espandere in modo sistematico e riflessivo la vecchia cultura". Esempio. società yoruba e società classiche di tipo schiavistico, caratterizzate da una forte base economica di tipo agricolo e dalla presenza di uno o più centri urbani di grandi dimensioni.

le città possono nascere anche in un ambiente culturale disomogeneo ed esse stese porsi come punto di accordo tra più culture: trasformazione di tipo eterogenetico, in cui la città tenderà a modificare la società nella quale è inserita, a produrre modelli originali di pensiero, a proiettarsi verso il futuro piuttosto che ritrovare nei miti del passato la propria legittimazione.

Le città espressione di una società fortemente eterogenea, al contrario delle altre, sono piccole e tendono ad essere longeve: è l'organizzazione sociale e del territorio a definirne il "grado di urbanizzazione" e non la presenza o la grandezza di singoli insediamenti urbani in quanto tali. La città non è dunque solo prodotto della moderna società mercantile.

Opposizione tra ortogenetico-eterogenetico: le città di primo tipo sono le città-capitale, le città-amministrative, le città-cerimoniali, che ricevono dall'esterno la loro forza e per lo più svolgono una funzione di ordine e di tradizione. Al contrario, città di secondo tipo sono le città-commerciali, le città-produttive, le città ad alto scambio culturale.

L'estrema variante della tipologia di Redfield e Singer dovrebbe essere una società totalmente urbanizzata, una società costituita solo da città, come nel caso del pianeta-città Trantor. L'idea di una società solo urbana si imparenta sempre all'idea di decadenza culturale e di morte.

Gli autori criticano l'ansia olistica dell'antropologia classica, il principio di comunità-totalità. Per quanto riguarda l'oggetto dell'analisi il merito di questo approccio è di aver colto i caratteri generali dell'urbanizzazione nella società postindustriale. Limiti: di fronte all'obiettiva difficoltà di un'analisi antropologica della città, rinviare a località sociali di scala sempre maggiore sembra una facile soluzione. Difficile stabilire quanti il richiamo continuo a considerare le località minori come parti di località maggiori sia funzionale a una effettiva realtà delle cose, o quanto sia funzionale a una incapacità di analisi delle località minori.

8. The Ghetto Approach e oltre.

8.1 The-City-as-a-Tribe

La scuola di Chicago si prolunga attraverso la stessa categoria di "area naturale urbana" e i lavori di Warner e Hawley, nell'indirizzo "antropologia del ghetto".

Warner: "Applicare le tecniche e gli approcci metodologici in uso nelle ricerche sulle società primitive allo studio di una moderna comunità". Si trattava di studiare le enclaves urbane, le minoranze, i ghetti, gli slums con i criteri e con i metodi utilizzati per studiare "popoli primitivi". The City as a Tribe: studio del "nativo urbano". All'interno dello spazio urbano è possibile delimitare unità di analisi culturale, compiute ("microcosmi ritenuti in qualche modo autosufficienti, dotati di una peculiare struttura") e significative, cioè efficienti, in quanto effettivamente producono cultura, stabiliscono una relazione originale fra sistemi mentali e ambiente circostante.

Il paradigma The City as a Tribe non riguarda solo la descrizione olistica dei piccoli gruppi e dei microeventi della povertà urbana: si può ad esempio studiare la vita delle classi agiate. Da sempre tuttavia oggetto privilegiato di questa impostazione sono le enclaves della povertà.

Il concetto di cultura nasce strettamente articolato al paradigma Gemeinschaft-Gesellschaft, elaborato dalla divaricazione ottocentesca fra tradizione e sviluppo, nella sua opposizione a civiltà costituisce il tentativo estremo di conciliare la scoperta del mondo tradizionale e la scoperta del progresso.

L'antropologo spiega la cultura a partire dalla cultura stessa: la cultura gli appare caratterizzata non solo dal suo forte potere sistematico, nel senso che ordina e attribuisce significato e coerenza a tutto l'ambiente circostante, ma principalmente dalla sua capacità produttiva, nel senso che si autoalimenta.

La cultura si presenta come una seconda natura, determinata dai fattori acquisiti con la nascita e attraverso i processi primari di inculturazione.

Questo duplice passaggio costituisce la grande tentazione di ogni antropologia delle società tradizionali e in alcuni casi ne costituisce la ragione disciplinare. Così, circoscritto l'oggetto, si può procedere alla naturalizzazione dello stesso. E questo duplice passaggio costituisce la premessa per un terzo: dalla naturalizzazione dell'oggetto all'obiettivazione del metodo di osservazione e di analisi.

Il punto di vista etico dell'antropologia (in opposizione a quello emico), la convinzione che la verità di una spiegazione antropologica sia del tutto estranea a quel che ne pensa l'attore e dipenda, invece, in tutto e per tutto dall'adeguarsi delle affermazioni interpretative ai codici della comunità scientifica degli osservatori. E' il trionfo della rappresentabilità: l'oggetto finisce per esaurirsi tutto nel suo modello.

8.2 L'antropologia interpretativa

E' bene parlare di "antropologia del presente". Nessun luogo urbano e nessun microevento può essere isolato nello spazio e nel tempo e considerato perfettamente organico, tale cioè per cui tutte le sue parti corrispondano a una "unità culturale". La natura dell'ambiente urbana è il contatto, il cambiamento, l'eterogeneità, il divenire.

La via suggerita da Park e Warner si rivela impossibile da percorrere.

Non vi può essere una cultura della città se per cultura si intende una forma totalizzante di interpretazione e di pratica della realtà che faccia perno su sistemi di identità-alterità, noi-altri. La cultura urbana è la cultura dell'io e della folla opaca e indistinta. Da queste considerazioni prende le mosse l'antropologia interpretativa di Clifford Geertz e l'antropologia iperinterpretativa di James Clifford, George Marcus, Paul Rabinow.

Geertz: saggio Common Sense as a Cultural System: il punto di partenza è la città, come luogo di produzione dei discorsi sul presente. E in primo luogo lo strutturalismo è prodotto dalla cultura urbana. La città moderna, la città dei sobborghi è la grande allegoria dei modelli astratti, dei modelli simmetrici, divora individui e riproduce sistemi, trionfano i segni senza storia.

In questa prospettiva, lo strutturalismo è l'ultima e più astratta espressione dell'antropologia tradizionale, di una antropologia che prende atto della crisi dell'idea durkeimiana di comunità (e quindi di cultura) e la sostituisce con l'idea di struttura. L'atteggiamento di Lévi-Strauss che visita San Paolo, New York e Chicago è ambiguo: per un verso è certamente vero che la città lo affascina, lo interessano le sue possibili combinazioni; per altro verso, è vero che Lévi-Strauss detesta la città. Riproporre il concetto di cultura attraverso quello di struttura è operazione plausibile e possibile quando l'oggetto è un popolo di cultura tradizionale, ma improponibile quando l'oggetto è la città, o comunque una cultura moderna. Il modo caotico della città gli sembra inevitabilmente destinato a volgere verso l'inerzia totale, un meccanismo destinato a lungo andare ad annullare ogni differenza e quindi ogni cultura.

Anche l'antropologia interpretativa è figlia dell'ambiente urbano. Il punto di partenza è la presa d'atto dell'impossibilità di continuare a palare in termini di cultura come proiezione della comunità. Lo strutturalismo ha superato la difficoltà di definire nel mondo moderno il rapporto fra il piano della struttura e il piano dei valori, ritirandosi verso realtà più semplici e in queste realtà intendendo la cultura come realizzazione automatica delle regole della struttura.

L'antropologia interpretativa (Geertz) non supera il concetto di cultura, ma l'idea che sia possibile distinguere la struttura sociale dalla cultura, l'idea che la prima preceda la seconda, che prima esistano i modelli, la grammatica dei testi culturali e poi l'interpretazione degli stessi. Geertz contesta la nozione di struttura (codice, regola, sistema sociale) assunta come autonoma e antecedente rispetto alle sue realizzazioni. Gli eventi sono al tempo stesso il risultato del loro aspetto oggettivo (determinato da ragioni ecologiche, sociali, economiche) e del loro aspetto soggettivo, dell'interpretazione che gli uomini attribuiscono agli eventi e la cultura è il punto di incontro fra questi due termini.

8.3 Il viaggio urbano

La struttura teoretica del viaggio antropologico è essenzialmente quella della "scoperta", non conferma dei propri schemi interpretativi, ma shock continuo. Il vero paradosso è che la storia recente dell'antropologia è stata storia di una progressiva riduzione di una sua capacità di viaggiare. Con lo strutturalismo questo rifiuto del viaggio raggiunge il suo punto più manifesto. Non è tanto l'odio verso la pratica del viaggio, quanto il disprezzo verso la sfida teoretica che ciò comporta.

Gli antropologi hanno riscoperto il viaggio come marca strutturale e specifica del loro modo di conoscere. L'antropologia urbana ha stimolato tutto ciò. L'alterità di casa nostra per lo più non la si vede, in altri casi la si percepisce come fastidiosa, nei casi estremi la si rifiuta. Quanto più la destinazione del proprio viaggio è fisicamente vicina al punto di partenza, tanto più l'alterità è stridente, banale e più cruda, neanche nobilitata e giustificata dalla lontananza.

 8.4 Tuhami

Tuhami di Vincent Crapanzano è il fedele resoconto delle lunghe conversazioni con Tuhami, un analfabeta marocchino ... sua vita immaginaria. Crapanzano dialoga con Tuhami; il modello è quello psicanalitico.

Geertz parla degli iperinterpretativisti come del peggior prodotto "dell'eredità malinowskiana di etnografia immersionista". Il rischio è quello di perdersi, di annullarsi nella nuova esperienza, di non riconoscere più la "distanza etnografica", la diversità e quindi la ragione stessa del proprio viaggio. L'ideale diventa quello di "mascherarsi", di "assumere i panni dell'altro", di "pensare con la testa dell'altro". Il libro è scritto in prima persona, ma da Tuhami; l'informatore diventa l'autore stesso del libro. Il modello è quello psicanalitico, ma assunto nella sua forma patologica.

Nei suoi esiti estremi l'antropologia interpretativa è passata dalla giusta esigenza di superare l'idea di cultura come qualcosa di esterno e precedente all'esperienza individuale, alla riduzione della cultura all'esperienza individuale, come se quest'ultima fosse il solo e l'ultimo termine concesso alla conoscenza.

L'errore è simmetrico a quello levistraussiano: si confonde la realtà con i percorsi di metodo che conducono alla sua conoscenza. L'antropologia rinuncia a priori al proprio linguaggio di scienza, diventa non comunicabile o comunicabile solo per immagini, per sensazioni intraducibili; la ricerca sull'alterità e la ricerca sul sé finiscono per coincidere.

8.5 La rappresentazione urbana

Sia nella prospettiva strutturalista che in quella iperinterpretativista, il problema della rappresentabilità dell'oggetto si riduce al problema della rappresentabilità del metodo.

L'analisi antropologica del presente ha prodotto una piena liberazione delle forme del metodo e della rappresentazione. I punti di vista si arricchiscono a vicenda (es. Calvino: città di Dorotea). Nell'istanza geertziana, rispetto alla descrizione monologica, si rimette in gioco la possibilità di uno scambio continuo fra gli aspetti oggettivi e quelli soggettivi della conoscenza, fra la realtà e la interpretazione della realtà da parte dei nativi, e fra questa interpretazione e il sapere dell'antropologo. Da ciò deriva la necessità di moltiplicare i punti di vista teoretici. Nell'antropologia di Crapanzano tutto si riduce a dialogo fra l'antropologo e il nativo; non al confronto fra il sapere dell'antropologo e il sapere del nativo ma fra la soggettività dell'uno e la soggettività dell'altro.

Della realtà non vi è più traccia. E' inevitabile che rendendo autosufficiente il versante soggettivo dell'interpretazione, dall'antropologia si torni verso la letteratura.

Nessuno scenario più di quello urbano si presta ad essere iperinterpretato.

Le diverse etichette sono motivate da diverse modalità di approccio al problema:

network analysis: antropologia urbana, marcando la possibilità di trovare nello spazio urbano l'unità e la specificità della propria analisi;

l'approccio che ruota intorno al paradigma postmoderno preferisce la dizione antropologia delle società complesse;

l'antropologia del ghetto tenderà a parlare di antropologia applicata alle società complesse, di antropologia della città;

di antropologia senza ulteriori specificazioni tenderà a parlare un approccio di tipo interpretativista (geertziano).

8.6 Nuove tendenze della sociologia urbana: the home areas

Rivitalizzazione dell'idea che la città possa essere studiata come "mosaico di comunità". All'immagine della città-deserto, della città senza confini, della città senza sentimenti, si sostituisce la riscoperta del quartiere, del vicinato, della subcultura.

Il paradigma della nuova sociologia urbana si caratterizza nei seguenti punti:

il passaggio da una dimensione macroscopica degli avvenimenti (la città come grande macchina) a una dimensione microscopica (la città come mosaico, come insieme di subculture);

la rinuncia a capire le subculture a partire dalle caratteristiche ecologiche (ambientali, economiche, razziali) dei sottosistemi urbani;

la convinzione che le ragioni per cui si aderisce ad una subcultura siano da ricercare più nei "microambienti della vita quotidiana" che non nelle grandi determinanti della vita sociale.

In questa prospettiva i ruoli si ribaltano e la sociologia assume le fattezze stesse del procedere antropologico (il viaggio/testimonianza, l'osservazione partecipante, la scrittura come memoria, il diario), tanto che le differenze di oggetto, di metodo e di scrittura tra l'una e l'altra diventano difficilmente individuabili.

Scoperta dell'alterità, ben più vicina di quanto non si creda.

1960 Lynch: Image of the City: opera originalissima per la competenza con la quale si muove attraverso discipline diverse (urbanistica, architettura, antropologia, sociologia urbana, psicologia); per il metodo utilizzato (interviste in profondità, i test proiettivi, l'immersione del ricercatore nell'ambiente); e principalmente per il programma di lavoro (studiare il rapporto tra l'esperienza quotidiana di orientamento e la percezione del proprio ambiente).

Il metodo di rilevazione adottato da Lynch: "Domandavamo alla gente cosa gli venisse in mente quando pensava alla città, o di farci una piccola pianta della città o di immaginare un viaggio intorno a essa"... Lynch cominciò a notare come dietro quelle "mappe mentali", dietro gli errori, le distorsioni, le fantasie dei suoi informatori, si disegnassero regolarità sorprendenti: "Cominciavamo a concludere che l'immagine mentale della città era coerente e relativamente dettagliata e principalmente che era il risultato di un'interazione tra l'individuo e il suo spazio". Nelle intenzioni di Lynch la mental map doveva permettere a urbanisti, architetti e operatori sociali di capire come i cittadini percepiscano lo spazio urbano, doveva essere strumento operativo per migliorare la condizione della vita urbana.

8.7 Le voci che corrono

Massimo Cacciari: "la nostra vita urbana non sarà mai più "terranea". La sua dimensione è mentale". Proprio perché apparentemente solo mentale, la dimensione della differenza riesce a celarsi, a simularsi, fino al punto di negare in ambito urbano la stessa esistenza dell'alterità .

Quel che ci spaventa è l'altro, il diverso, il ruolo che non conosciamo e che non è previsto dalle regole del gioco. Le leggende urbane, "le voci che corrono" assumono dignità emblematica, ed hanno un solo personaggio, il diverso, l'altro, lo straniere, il tossicodipendente, qualcosa di sconosciuto o un estraneo che entra in casa. Le leggende urbane viaggiano oggi soprattutto nell'immensa classe media. Di questa classe raggruppano le piccole e grandi paure e a questa classe trasmettono precisi messaggi, attenti a ciò che è fuori la porta di casa, ma attenti anche a ciò che è entrato in casa, e soprattutto attenti ai diversi. Il pericolo viene dagli stranieri, da ogni mondo non addomesticato, esotico, selvaggio.

8.8 Gli antieroi del nostro tempo

La difficoltà dell'analisi sociologica sta nel fatto che su ogni area possono pesare i fattori più minuti, come i fattori macrodimensionali, dai microeventi dell'ambiente quotidiano a eventi che accadono a migliaia di chilometri di distanza; così la difficoltà antropologica sta nella stessa misura della densità e dell'eterogeneità culturale di ogni area.

La città sollecita le fughe interpretative. Dalla rinnovata consapevolezza che il piano dell'interpretazione è un piano obbligato attraverso cui passare per comprendere la novità e l'originalità dell'organizzazione del mondo contemporaneo, si è scivolati, nella scienza come nel senso comune, verso la convinzione che la regola non ci sia, che tutto sia possibile, che i beni siano infiniti, che si tratti solo di una questione di scelte, che volendo si possa tornare indietro, che la stessa dimensione del tempo, dello spazio e della vita sia solo una questione mentale.

A pensare a fenomeni quali lo squilibrio tra nord e sud del pianeta, alle rivolte delle nuove generazioni, al ritorno di tutti gli irrazionalismi, dalle pratiche magiche al razzismo, sembra davvero che il sogno dei beni illimitati e delle interpretazioni infinite sia giunto al termine.

Sobrero doppiamente d'accordo con Crapanzano: sia quando parla della politicità dell'antropologia ("come antropologi abbiamo una responsabilità verso i popoli che studiamo e forse anche verso i nostri lettori"), sia quando sottolinea come a questo riconoscimento di politicità non debba necessariamente corrispondere una "posizione radicale" o di pretesa rifondazione antropologica.




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