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La grande diga e la grande estinzione

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Un Articolo Di Giornale:

La grande diga e la grande estinzione    

È stata inaugurata in Cina la diga delle Tre Gole. Gli alti costi umani ambientali ed ecologici valgono i benefici economici?

 

E' la più grande diga del mondo. Ed è considerata anche la più pericolosa. Perché è stata costruita lì, nel cuore della Cina, a interrompere e a frammentare in mille pezzi un "hot spot" di biodiversità. Un luogo ove è massima la diversità della vita.



Stiamo parlando della grande diga delle Tre Gole, inaugurata a inizio giugno 151g65b nella provincia cinese dello Hubei per interrompere il flusso, che ormai in prossimità della pianura sta per diventare placido, dello Yangtze, il grande Fiume Azzurro. Lunga 2.335 metri e alta, nel suo punto massimo, 185, chiuse le paratie a tenuta, la diga ha iniziato ad allagare un invaso che, a regime, si estenderà per oltre 436 chilometri di lunghezza, coprirà una superficie superiore ai mille chilometri quadrati e conterrà 22,15 miliardi di metri cubi di acqua.

Il più grande bacino artificiale del pianeta ad agosto inizierà a produrre i primi chilowattora. Ma intanto ha già iniziato a inghiottire 13 città, 116 villaggi e uno dei paesaggi più belli del paese della seta. Da sempre, fonte di ispirazione obbligata per nugoli di artisti amanti della pittura en plein air. Sono già 724.000 i cinesi che hanno dovuto abbandonare le loro case e spostarsi sulle alture che orlano il bacino. Tra poco saranno un milione e centomila. Ma alcuni sostengono, forse esagerando, che gli sfollati potrebbero diventare dieci volte tanto.

Chi non esagera è Jianguo Wu, biologo cinese in forze al Department of Plant Biology dell'Arizona State University di Tempe. Che nelle scorse settimane su Science, la rivista dell'American Association for the Advancement of Science (AAAS) ha firmato, insieme ad alcuni suoi collaboratori dell'Istituto di botanica dell'Accademia cinese delle scienze, un articolo piuttosto preoccupato. Il fatto è che la Grande Diga sorge proprio dove c'è la Grande Riserva: la riserva delle Tre Gole, che si estende per 58.000 chilometri quadrati, una superficie grande quanto l'intera Italia meridionale (isole escluse). L'area è, manco a dirlo, la più ricca in biodiversità dell'intera Cina. E una delle più ricche, per genere e famiglie, del mondo.

E' la più grande diga del mondo. Ed è considerata anche la più pericolosa.

 

Ospita, per esempio, 6.388 specie di piante superiori, che appartengono a 1.508 diversi generi e a 238 diverse famiglie. Insomma, la riserva pur coprendo solo lo 0,6 per cento del territorio cinese ospita oltre il 20 per cento di tutte le piante produttrici di semi della Cina. Il 57 per cento di queste piante è considerato in via di estinzione. Il paesaggio della riserva non è affatto omogeneo. Esso è costituito da una serie enorme di piccoli ecosistemi, dove trovano il loro habitat centinaia di specie animali d'acqua dolce e terrestri piuttosto rari e spesso a rischio estinzione.

Che ne sarà di tutto ciò? La domanda costituisce il motivo principale per cui il botanico americano di origine cinese, Jianguo Wu, e i suoi collaboratori di Pechino, hanno scritto l'articolo su Science. Il bacino che sta nascendo dietro la grande diga delle Tre Gole non sommergerà l'intera riserva. Non ne coprirà che una frazione (al massimo il 2 per cento). Tuttavia quella riserva si estende su un territorio collinare e montano.

Cosicché quando il bacino ne occuperà la parte più bassa, a una quota compresa tra 60 e 240 metri sul livello del mare, quello che succederà è che dozzine, forse centinaia di colline e montagne si trasformeranno in altrettante isole, più o meno legate tra loro da esilissimi istmi di terra. A questo punto, sostengono Wu e i suoi colleghi, ci troveremo di fronte al più grande esperimento (senza rete) nella storia dell'ecologia. Perché molte teorie ecologiche sostengono che l'isolamento e la frammentazione degli habitat è il metodo più efficace per abbattere la diversità biologica. Per ridurre il numero delle specie che vivono in un area.

La Grande Diga determinerà una grande estinzione? Alcuni indizi ci portano a credere di sì. Molte isole formate da bacini artificiali hanno sono andate incontro a una rapida perdita di biodiversità. L'isola di Barro Colorado, la più grande che si è formata nel lago Gatun dopo che nel 1913 è stata creata una diga sul fiume Chagres, in meno di 50 anni ha perso il 45 per cento delle sue specie di uccelli. E lo studio delle piccole isole (con estensione inferiore a un ettaro) che disseminano il lago Guri, creato da una diga costruita nel 1986, ha dimostrato che in appena 15 anni hanno perso il 75 per cento delle specie biologiche che le abitavano. E che, nel giro di appena 4 anni, hanno perduto il 100 per cento dei grandi predatori.



Dal punto di vista ecologico, dunque, la grande diga delle Tre Gole costituirà, appunto, un inedito esperimento. Che, sostengono Wu e colleghi, converrà monitorare con grande interesse e grandi mezzi. Non solo perché oggi nel mondo esistono 45.000 grandi dighe e ogni anno ne vengono costruite di nuove a un ritmo compreso tra 160 e 320 senza grande attenzione alle conseguenze ecologiche.

Uno sviluppo a cui l'80% dell'umanità ha sacrosanto diritto.


 

Ma anche perché lo studio della frammentazione dell'ecosistema delle Tre Gole potrà dirci molto sugli effetti della frammentazione, in qualunque modo effettuata, degli ecosistemi in tutto il mondo. E, quindi, sulle cause di quella che gli ecologi ormai chiamano la "Sesta grande estinzione" nella storia della biodiversità. Quella oggi in corso, causata (anche) dall'uomo.

Capire gli effetti di un'azione umana sugli ecosistemi è necessario. Ma occorre anche avere ben chiare le cause. Perché la Cina ha deciso di costruire quella che è considerata la peggiore tra le 20 dighe peggiori del mondo?

La prima risposta è, ovviamente, quella più banale. Per ottenere energia elettrica. Un'energia necessaria a sostenere la più dinamica economia del pianeta, che da qui a qualche anno trasformerà un paese povero nella più grande economia del mondo. Con 26 turbine da 700 Megawatts a regime, nel 2009, il sistema delle Tre Gole produrrà 84,7 miliardi di kilowattora ogni anno. Più o meno quanto una ventina di centrali nucleari. Si tratta solo di una frazione dell'energia necessaria alla Cina. Ma una frazione significativa, che si inquadra nel tentativo cinese di aumentare la sua indipendenza energetica. Che, come tutti sanno, significa anche autonomia geopolitica.

Il progetto della grande diga delle Tre Gole persegue almeno altri due antichi obiettivi. Ricercati sin dall'inizio del Novecento dal padre della patria, Sun Yat-sen: migliorare la navigazione interna del paese e prevenire le periodiche inondazioni del Fiume Azzurro. Nei prossimi mesi il primo obiettivo potrà essere raggiunto e navi fino a 10.000 tonnellate di stazza potranno navigare dal Pacifico fino alla città di Chongqing, almeno nella stagione umida che è quella estiva, risalendo in tre ore le cinque chiuse del bacino. Il secondo è tutt'altro che certo.

Perché, dicono i critici della grande diga, per quanto titanico il bacino delle Tre Gole non tratterrà che il 10 per cento della portata che ha lo Yangtze nella stagione della piogge. Sia perché a produrre le inondazioni non è tanto il Fiume Azzurro, quanto i suoi tributari che si trovano a valle delle Tre Gole e, quindi, della Grande Diga.

Valgono questi tre obiettivi (più energia e, quindi più opportunità economiche, e, quindi, più autonomia geopolitica; aumento della rete di comunicazione interna e prevenzione contro le calamità naturali) gli alti costi ambientali (distruzione del paesaggio), ecologici (erosione della biodiversità) e umani (trasferimento di centinaia di migliaia di persone) pretesi dalla grande diga delle Tre Gole?

Rispondere a questa domanda, forse, non è semplice. Ma, certo, è necessario. Perché anche da questa risposta dipende la qualità dello sviluppo dell'intero Terzo Mondo. Uno sviluppo a cui l'80% dell'umanità ha sacrosanto diritto. Ma che l'intera umanità, presente e futura, ha interesse a indirizzare verso modalità socialmente ed ecologicamente sostenibili.


Pietro Greco






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