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cicerone - Dal De officiis , Il fine non giustifica i mezzi

latino



cicerone

Dal De officiis , Il fine non giustifica i mezzi


Temistocle, dopo la vittoria in (=di) quella guerra che ci fu coi Persiani, disse nell'assemblea che egli aveva un progetto vantaggioso per lo Stato, ma che era necessario che esso non fosse conosciuto; richiese che il popolo gli assegnasse qual 717e48h cuno al quale lo potesse comunicare (=lo comunicasse).

Gli fu assegnato Aristide.

Egli disse a questi che la flotta degli Spartani, che era stata spostata nei pressi di Gizio, poteva essere incendiata di nascosto: fatto ciò, era necessario che la forza degli Spartani fosse indebolita.

Aristide, avendo udito ciò, giunse all'assemblea fra grandi aspettative e disse che il piano di Temistocle era molto utile, ma per nulla onesto.

Gli Ateniesi, quindi, non ritennero neppure utile ciò che non era onesto e rifiutarono tutta quella faccenda che non avevano neppure ascoltato, essendo (loro) guida Aristide.





Dal De officiis , L'anello di Gige,

Gige, essendosi la terra aperta per delle piogge abbondanti, scese in quella voragine e vide, come raccontano le leggende, un cavallo di bronzo, nei cui fianchi c'erano dei fori; aperti questi (= nesso relativo), vide il corpo di un uomo morto di straordinaria grandezza e un anello d'oro sul (suo) dito; come glielo tolse, lo mise egli stesso (al dito), poi si recò all'assemblea dei pastori- egli era un pastore del re.

Quando in quel luogo egli aveva girato il castone di quell'anello verso la palma (della mano), non era visto da nessuno, ma egli stesso vedeva ogni cosa; lui stesso poi era visto quando aveva rivoltato l'anello nella posizione naturale.

Perciò, servendosi di questa opportunità (offerta da..) dell'anello, recò violenza alla regina, uccise il re (suo) signore, essendo quella (sua) complice e tolse di mezzo (quelli) che pensava essere (a lui) d'ostacolo: e durante questi delitti nessuno fu in grado di vederlo.

Così all'improvviso per i servigi di un anello diventò re della Lidia.



Dalle Tusculanae disputationes, Il temperamento di Posidonio,

Pompeo era solito raccontare che egli, essendo diretto a Rodi, allontanandosi dalla Siria (= mentre si allontanava..), desiderò ascoltare Posidonio, ma,  (pur) avendo sentito che egli era ammalato, poiché le sue membra erano gravemente colpite dall'artrite, volle tuttavia far visita a (quel) famosissimo filosofo; quando lo vide, lo salutò, gli si rivolse con parole onorevoli e gli disse che sopportava a malincuore il fatto che non potesse ascoltarlo, ma quello disse: Tu in verità puoi (ascoltarmi) e non farò in modo che il dolore fisico (= del corpo) faccia sì che un uomo così importante sia giunto inutilmente da me.

Perciò raccontava che quello, stando sdraiato, discusse profondamente ed abbondantemente riguardo proprio a questo problema (=cosa), che nulla è bene se non ciò che è onesto e facendosi sentire a lui per così dire delle fitte di dolore, spesso ripeteva: O dolore, non ottieni nulla! Benché sei molesto, mai io ammetterò che sei un male.






Dalle Tusculanae disputationes,

Dionisio, il tiranno dei Siracusani, mostrò quanto sentisse la mancanza delle amicizie (=degli amici), la cui infedeltà egli temeva, a proposito di quei due Pitagorici (= in), dei quali uno, avendo accettato l'altro come garante della (sua) morte, era stato a disposizione (del boia) all'ora prestabilita per la morte (= della morte) e disse : Oh se io fossi aggiunto a voi come terzo amico!

Quanto era triste (= cosa triste) essere privo della abitudine di avere amici (= degli amici) per costui, per un uomo soprattutto colto fin dalla fanciullezza (= fin da fanciullo) ed istruito nelle arti degne di un uomo libero!

Egli era privo di ogni modo di vivere e di ogni tenore di vita tipico di un uomo; viveva con (uomini) fuggiaschi, con malfattori, con barbari; egli non riteneva a lui amico nessuno che o fosse degno della libertà o volesse essere del tutto libero.

Io non paragonerò più la vita di Platone e di Archita, uomini dotti e certamente sapienti con la vita di costui, della quale non posso pensare nulla di più terribile, di più misero.





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