|
|
LIBRO PRIMO
Se c'è tra voi chi non conosca ancora
l'arte d'amare, legga il mio poema
e fatto esperto colga nuovi amori!
Solcano l'onde con le vele o i remi,
sospinte ad arte, l'agili carene;
con arte noi guidiamo il lieve cocchio:
con arte dunque è da guidarsi Amore!
Esperto Automedonte era sul carro
alle briglie flessibili e pilota
Tifi fu un tempo sulla poppa emonia.
Me volle guida Venere e maestro
al più tenero amore: ch'io d'Amore
sia detto dunque Tifi e Automedonte!
S'è vero ch'è selvaggio e che sovente
scalpita e freme, Amore è ancor fanciullo:
docile età ch'è facile a guidarsi.
Educava il Filliride col canto
Achille giovinetto, dominando
con tenera arte quel cuore selvaggio:
e quegli che più volte fu terrore
agli amici e ai nemici, innanzi al vecchio
carico d'anni, dicono tremasse.
Quella mano che avrebbe Ettore un giorno
duramente provato, egli l'offriva,
quando richiesta, ai colpi del maestro.
Dell'Eacide fu guida Chirone,
io lo sono d'Amor: fanciulli entrambi,
tremendi figli entrambi d'una dea.
Se con il giogo la cervice al toro
noi possiamo gravare, e con i denti
morde il cavallo generoso il freno,
anche per me piegherà il collo Amore,
benché con l'arco il cuore mi ferisca
e m'agiti sugli occhi la sua fiamma.
Quanto più Amore mi trafisse, quanto
più crudelmente m'arse, su di lui
tanto più grande prenderò vendetta.
Non io, o Apollo, mentirò, dicendo
che tu m'ispiri; non mi detta il canto
voce d'aerei uccelli, né mai vidi,
seguendo il gregge, Clio e le sorelle
nelle tue valli, o Ascra! A dirmi il carme
è l'esperienza. Seguitate dunque
il vate esperto. Ciò ch'io canto è il vero!
E tu, madre d'Amore, a quant'io tento
scendi propizia! Via le tenui bende,
insegne del pudore, ed ogni stola
lunga a coprire fino a mezzo il piede!
Io canto amori certi e furti leciti,
nessun delitto toccherà il mio carme.
Prima fatica, o tu che vieni all'armi,
soldato nuovo per la prima volta,
è cercare colei che vuoi amare;
quindi piegarla con le tue preghiere;
per ultimo, far sì che il vostro amore
possa durare a lungo. Ecco al mio canto
quali limiti pongo, ecco l'arena
che solcherà il mio carro: ecco la meta
che sfioreranno le mie ruote ardenti!
Finché ti sarà lecito e dovunque
potrai libero andare a briglie sciolte,
scegli la donna cui tu possa dire:
« A me piaci tu sola! ». Ella ai tuoi piedi
non ti verrà a cader come dal cielo;
dovrai cercarla tu, con i tuoi occhi.
Il cacciatore sa dove va tesa
la rete al cervo; sa dove dimora
e in quale valle l'ispido cinghiale;
chi cerca uccelli ben conosce i rami,
chi getta l'amo ben conosce l'acque
dove nuotano i pesci. Ed anche tu,
che cerchi donna e per un lungo amore,
scegli dapprima i luoghi dove in folla
tu ne possa trovare. Ma non voglio
che tu per questo innalzi vele al vento:
per ciò che cerchi, credimi, non serve
far molta strada. Se condusse Perseo
dall'Indie nere Andromeda, e di Frigia
venne l'eroe che rapì
Roma può darti tante e tali donne,
che puoi ben dire: "Ciò ch'è bello al mondo,
è tutto qui". Ché quante biade ha Gargare,
quanti Metimna ha grappoli ai vigneti,
quanti son pesci in mare e tra le fronde
nidi ed uccelli, quante stelle ha il cielo,
t'offre altrettante donne la tua Roma!
E non fu qui, nella città d'Enea,
che sede eterna stabilì sua madre?
Se mai ti prende voglia d'anni teneri,
subito avrai davanti agli occhi, intatta,
qualche fanciulla; se vuoi donna giovane,
saranno mille giovani a piacerti:
sarai costretto a non saper chi scegliere.
Se poi ti piacerà già più matura,
già fatta esperta, credimi, ne avrai
solo per te eserciti. Passeggia
sotto i portici ombrosi di Pompeo,
quando cavalca il sole sopra il dorso
dell'erculeo Leone, o dove aggiunse
la madre i doni ai doni del figliolo,
ricco lavoro di stranieri marmi;
rècati sotto i portici, adornati
di antichi quadri, quelli che da Livia
che li ordinò prendono il nome, o quelli
dove con le Belidi, che ai cugini
prepararono morte, sta feroce
con snudata la spada il padre loro.
Né trascurare Adone che da Venere
ebbe onore di pianto, o dei Giudei
le cerimonie ad ogni sette giorni,
né i templi egizi e la giovenca adorna
di puro lino: ella fa sì che molte
si mutino in ciò ch'ella fu 545j92f di Giove.
Persino il Foro (e chi potrebbe crederlo?)
è propizio ad Amor: più d'una fiamma
nel rumoroso Foro alta riarse.
Presso il tempio marmoreo di Venere,
dove all'aperto un getto la ninfa Appia
fa irromper d'acqua, spesso l'avvocato
cade in braccio d'amore: nonché d'altri,
spesso si scorda di curar se stesso.
Qui anche al più facondo le parole
mancano a un tratto: è da aggiornar la causa:
non è più cosa altrui, è cosa sua!
Dal tempio accanto Venere sorride.
Guardalo, era avvocato, ora vorrebbe
essere egli il cliente.
Ma i teatri,
siano riservati alle tue cacce:
ce n'è da soddisfare ogni capriccio.
Tutto vi troverai: amore e scherzo,
quella che ti godrai solo una volta,
quella che val la pena mantenere.
Come, portando il loro cibo insieme,
vengono e vanno a schiera le formiche,
o come l'api, scelti i loro boschi
e i campi profumati, alle corolle
volan dei fiori e dei fragranti timi,
così, tutta agghindata, corre ai giochi
la donna là, dove la folla è densa.
E quante sono! A me sovente accadde
di non saper chi scegliere. A vedere
viene la donna e per esser veduta:
luogo fatale, questo, al suo pudore.
Fosti Romolo tu, primo, a instaurare
giochi eccitanti, quando maritasti
i tuoi celibi eroi con le Sabine!
Non c'erano ancor veli sul teatro
non c'eran marmi, e sulle scene il croco
non si spargeva rosso e profumato.
Semplici fronde ornavano la scena,
tagliate dal boscoso Palatino,
e nessun'arte; gli uomini accalcati
stavano sulle erbose gradinate,
riparando dal sole, con i rami,
le teste irsute. Ciascuno quel giorno,
fisso con gli occhi, scelse la ragazza,
e per un pezzo in sé tacitamente
rinfocolò l'ardore. Sulla scena
un ballerino intanto saltellava
battendo a terra il piede per tre volte
al rude ritmo d'una piva etrusca.
Quando infine, nel mezzo d'un applauso
(un applauso sincero d'una volta),
Romolo dette il segno sospirato
alla sua gente di buttarsi a preda,
tutti in piedi balzarono in un grido
rivelatore, e con bramose mani
furono sulle donne. Come un volo
di timide colombe fugge l'aquila,
od una fresca agnella fugge il lupo,
tremarono così quelle alla furia
di tanti maschi. Non serbò nessuna
il colore di prima: eguale in tutte
era il timore, ma appariva in loro
nei modi più diversi: ché qualcuna
già si strappava nel dolor le chiome,
altra sedeva come inebetita;
altra mesta taceva, altra la madre
con alti strilli reclamava invano;
questa piangeva, quella si stupiva;
l'una fuggiva, l'altra era di sasso.
E mentre erano tutte trascinate
verso il vicino letto maritale,
in mezzo a loro ce ne fu più d'una
cui la paura accrebbe la vaghezza.
Se poi qualcuna fu ribelle troppo
e si negò al compagno, egli la strinse
più forte a sé con più bramoso amplesso,
e: « Perché », disse, « questi begli occhioni
te li sciupi così? Sarò soltanto
per te ciò che tuo padre è per tua madre! ».
O Romolo, tu solo ai tuoi soldati
sapesti dare gioie così grandi:
a questo patto, son soldato anch'io!
Certamente è per questo che i teatri,
da quel solenne esempio, sono ancora
tanto insidiosi ad ogni bella donna.
Non ti scordare mai, questo è importante,
le corse dei cavalli. Il vasto circo,
quante comodità con tanta folla!
Non bisognano cenni alla ragazza
per dir cose segrete, né ti occorre
che lei ti mandi a gesti la risposta.
Basta che tu ti sieda accanto a lei,
se nessuno lo vieta, e che al suo fianco
tu stringa il tuo quanto più tu puoi.
E' facile, del resto, ché a teatro
siete costretti l'uno accanto all'altro
anche s'ella non vuole: è il luogo in sé
che fa che tu la tocchi ad ogni modo.
Subito cerca d'attaccar discorso,
le solite parole da principio:
infórmati con cura, premuroso,
di chi sono i cavalli nella pista,
poi favorisci, senza perder tempo,
quello che piace a lei, qualunque sia.
Se appariranno poi le statue eburnee
dei grandi numi, allora applaudi forte
a Venere signora. E se per caso,
come succede, le si posa in grembo
un granello di polvere, tu, pronto,
cogli con le tue dita quel granello;
se non c'è nulla, coglilo lo stesso.
Mostrale sempre quanto sei gentile.
Se la sua veste striscia troppo in terra,
chìnati premuroso a sollevarla,
che non debba sporcarsi. E tu, in compenso,
potrei dare un'occhiata alle sue gambe
senza ch'ella protesti. Stai attento
che qualche spettatore dietro voi
non prema coi ginocchi le sue spalle.
Son le piccole cose a conquistare
testoline leggere; a molti infatti
bastò disporre con attenta cura
e mano pronta dietro a lei un cuscino,
o darle un po' di fresco, sventolando
semplice tavoletta, o porle ai piedi
un concavo sgabello. A nuovi amori
il circo t'aprirà sempre la strada,
e la tragica arena, con la folla
intenta e ansiosa. Quivi quante volte
ha combattuto il figlio della dea!
e chi s'aspetta le ferite altrui
quante volte è ferito! Mentre parla,
od una mano stringe, od al vicino
chiede il programma, poiché già ha scommesso,
per sapere chi vinca, colto al volo
geme ferito e sente a fondo in sé
l'aerea freccia dell'alato iddio:
da spettatore è fatto attore anch'egli!
Se tu sapessi quel che accadde ai giochi
che Cesare ordinò, or non è molto,
quando pose di fronte navi greche
contro navi persiane! Quanta gente,
che bella gioventù! Uomini e donne
da un mare all'altro: il mondo intero a Roma
venne in quei giorni. Chi tra tanta gente
non trovò donna che l'innamorasse?
Quanti e quanti soffrirono le pene
d'un amor forestiero! Ed ora Cesare
s'appresta a conquistare quanto avanza
al dominio del mondo. O estremo Oriente,
tu sarai nostro, finalmente! O Parto,
tu questa volta sconterai la pena!
0 bandiere di Crasso, rallegratevi,
voi che doveste sopportare affronto
dalle barbare mani: ecco, s'avanza
vendicatore un Cesare fanciullo:
è appena giovinetto, ma già guida
guerre non da fanciullo. O gente sciocca,
non contare più gli anni degli dèi:
è precoce nei Cesari il valore!
Divino, il genio gli anni suoi precorre,
non tollera l'ignavia dell'attesa.
Bimbo ancora, il Tirinzio con le mani
i due serpenti strangolò, già degno
fin dalla culla di suo padre Giove.
E tu che ancora sei fanciullo, o Bacco,
quanto già fosti grande allorché l'India
tutta tremò alla vista dei tuoi tirsi!
Ora, o giovane Cesare, la guerra
sotto gli auspici condurrai del padre,
e con pari coraggio, e vincerai
con l'animo e gli auspici di tuo padre!
A tanto nome devi tanto inizio,
principe ora dei giovani e domani
principe degli anziani. Ogni ferita
vendica dei fratelli. Di tuo padre
rivendica i diritti. Fu tuo padre,
padre a noi tutti, che ti diede l'armi:
occupa invece un regno il tuo nemico
al padre suo con frode rapinato.
Armi sante tu porti; scellerate
sono le sue saette: le tue insegne
hanno a sostegno la pietà e il diritto.
Ormai Giustizia vuole vinti i Parti,
siano vinti dall'armi! Tu, mio duce,
reca al Lazio le prede dell'Oriente!
O padre Marte, o tu, Cesare padre,
siate propizi a lui ch'alza le vele!
Voi lo potete: ché già l'uno è dio,
l'altro lo diverrà. Ecco, lo sento,
tu vincerai; ed io ti canterò
carmi votivi e con più forte voce
t'innalzerò la lode. Le tue schiere
precederai sul campo e col mio carme
le inciterai; e che non sia da meno,
di fronte al tuo valor la mia parola!
Schiene di Parti io canterò fuggenti
e il petto dei Romani e l'armi aguzze
che dietro sé saettano i nemici
volgendosi sul dorso dei cavalli.
Tu, che fuggi per vincere, che lasci,
o Parto, al vinto? Già t'incombe Marte
con funesto presagio. Verrà il giorno
in cui, Cesare, tu, fulgente d'oro,
bellissimo tra tutti, al tuo trionfo
verrai coi quattro candidi cavalli.
Davanti a te, con le catene al collo,
saranno i duci, e non potranno più
fuggire a scampo: giovani e fanciulle
correranno a vederti lietamente;
a tutti questo giorno aprirà il cuore.
Se qualche donna allora chiederà
i nomi di quei re, i luoghi, i monti
e quali fiumi righino le terre,
tu rispondi su tutto; se nessuna
ti chiede nulla, e tu parla lo stesso;
e se qualcosa non saprai, tu dilla
come tu la sapessi. « Ecco », dirai,
« questo è l'Eufrate dalla fronte cinta
di verdi canne; e quello a cui discende
lunga la chioma azzurra è il fiume Tigri;
ecco, ecco gli Armeni ». E dirai questa
una città dell'achemenie valli;
quel prigioniero o l'altro tutti duci:
e i nomi che dirai saranno veri,
se li saprai, o almeno verosimili.
Mille occasioni ti daranno poi
mense e banchetti, ove potrai cercare
oltre al solito vino i tuoi capricci.
Sovente Amore qui, rosso di fiamma,
poté umiliare tra le molli braccia
le dure corna a Bacco ebbro di vino;
ma quando il vino poi l'ali ad Amore,
sempre assetato, ha intriso, allora il dio
soggiace greve e non sa più volare:
scrolla invano da sé l'umide penne,
ed è rischioso l'esserne spruzzati.
Appresta il vino i cuori e alla passione
li fa più pronti: sfumano i pensieri;
nel molto vino ogni penar si stempra.
Risorge allora il riso, ed anche il povero
alza la fronte: dalla fronte fugge
ogni ruga, ogni affanno, ogni dolore.
Sincerità spalanca a tutti i cuori,
oggi tra noi sì rara; ogni menzogna
scuote da noi il dio. Sovente allora
ai giovani rapì la donna il cuore,
e fu nei vini come fiamma Amore
dentro la fiamma. Ma non ti fidare
troppo d'un lume incerto di lucerna:
la notte e il vino nuocciono al giudizio
della. vera bellezza. In piena luce
guardò le dee Paride, allorquando
disse a Venere: " Tu, Venere, vinci
e l'una e l'altra!". Sfuma nella notte
ogni difetto e non ha peso alcuno:
le donne al buio sono tutte belle.
Chiedi alla luce se una gemma è pura,
se ben tinta di porpora è una lana;
al giorno chiedi se una donna vale.
Impossibile dirti i mille luoghi
per la caccia di femmine. Più facile
sarebbe in mare numerar la rena.
Pensa a Baia, la bella, al vasto mare
che cinge Baia ed alle sue sorgenti
che fumano di zolfo. Il cor ferito
portando via di là, disse più d'uno:
« Non era tanto salubre quest'acqua
come si dice! ». Oppure, in mezzo al bosco,
al suburbano tempio di Diana,
dove s'acquista con la spada onore:
quivi la dea, ch'è vergine ed i dardi
odia d'Amore, tra i fedeli ha sparso
e spargerà molte ferite ancora.
Fin qui, sul carro dei miei versi alterni
t'ha insegnato Talia donde tu scelga
la donna che amerai, chi devi amare,
e dove hai da gettare le tue reti.
Ora m'accingo a dirti in quale modo
tu prenderai colei che più ti piacque:
opera questa d'arte più sottile.
Uomini, chiunque siate, ovunque siate,
ascoltatemi attenti; tutti insieme
porgete orecchio a ciò che vi prometto!
Per prima cosa, dunque, sii ben certo
che non c'è donna al mondo che non possa
divenire la tua: e tu l'avrai,
purché tu sappia tendere i tuoi lacci.
Zittiranno gli uccelli a primavera,
le cicale in estate; volgeranno
alle lepri la schiena i can menatici,
prima che donna sappia rifiutarsi
a chi la sa coprire di carezze:
cede e più cede quando par non voglia.
Come l'uomo, così gode la donna
il piacere furtivo: l'uomo finge,
ma malamente; meglio sa la donna
nascondere l'ardore. Se per primi
non chiedessimo più pietà di baci
la donna, vinta, chiederebbe lei.
Nei molli prati al toro alza la femmina
il suo muggito; leva la polledra
il nitrito al cornipede stallone.
Più trattenuta in noi, né tanto fiera
è la passione: ha un limite nell'uomo
l'ardor virile. Che. dirò di Biblide,
ch'arse d'insano amore del fratello,
punendo in sé l'infamia con un laccio?
Mirra suo padre amò, ma non d'amore
dovuto a un padre: ed ora sta nascosta
sotto dura corteccia. Noi ci ungiamo
con quanto ella distilla col suo pianto
giù dal tronco odoroso, ed ogni goccia
tramanda ancora agli uomini il suo nome.
Lungo le valli ombrose ed i pendii dolci
dell'Ida, v'era un bianco toro,
la gloria dell'armento, appena tocco
da un tenue ciuffo nero tra le corna;
una sola la macchia, ogni altra parte
candida tutta. Avrebbero voluto
le giovenche di Cnosso e di Cidone
sentirlo ardente sopra il loro dorso.
Per lui d'amore adultero riarse
Pasife allora, ed invidiosa odiava
le giovenche formose. Ciò che canto
è noto a tutti né lo può negare,
benché bugiarda, Creta, che sostiene
cento città. Raccontano che al toro
recasse ella medesima tremante
foglie novelle e teneri virgulti;
ecco, ella va compagna dell'armento
né la trattiene l'onta del marito:
ecco, da un toro è vinto il re Minosse.
Perché t'adorni, Pasife, di vesti
tanto preziose? Il tuo amato ignora
questi gioielli. Che ti val specchiarti
quando l'armento cerchi lungo i monti?
Perché ti lisci, folle, tante volte
i bei capelli già ravviati tanto?
Credi almeno allo specchio: esso ti dice
che giovenca non sei. Come vorresti
che in fronte ti spuntassero le corna!
Non cercare adulterio, se Minosse
ti piace ancora; o se lo vuoi tradire,
offriti a un uomo! Ella per selve e boschi
è trascinata folle e delirante
lontana dal suo letto maritale:
come Baccánte corre infuriata
dal dio aonio. Ah, quante volte allora
guardando una giovenca alzò lamento:
« Perché piace costei al mio signore?
Guarda come davanti a lui sull'erba
gioca felice! Crede forse, stolta,
d'apparirgli più bella? ». E volle ingiusta
che quella fosse trascinata via,
lontano dall'armento, e sotto il giogo
la fece porre senza colpa alcuna,
o volle che cadesse sull'altare
per falso sacrificio: e nelle mani
strinse felice i visceri immolati
della rivale. E di rivali quante
ne trascinò agli altari degli dèi
per trovare la pace, e quante volte,
quei visceri stringendo, urlò: « Andate,
piacete a lui ch'io amo! ». Ora chiedeva
d'essere Europa, o almeno essere Io,
questa perché giovenca, e perché l'altra
fu rapita dal toro. Finalmente,
tratto in inganno dalla lignea vacca,
il toro la copri, e fu dal parto
ben noto il padre. Se la donna egea
non fosse arsa d'amore per Tieste
(ma troppo duro è amare un uomo solo),
non avrebbe interrotto il suo cammino
e, volto il carro, non avrebbe Febo
spinto verso l'Aurora i suoi cavalli.
Il purpureo capello al padre Niso
strappò la figlia ed ora ha in sé rinchiusi
cani feroci e latra ora dal pube.
E il re ch'era sfuggito in terra a Marte
ed in mare a Nettuno, il grande Atride,
in patria cadde per la man funesta
della sua sposa. Chi l'amor non pianse
dell'efirea Creusa, e quella madre
che si bagnò del sangue dei suoi figli?
Pianse il figlio d'Amintore, Fenice,
gli occhi perduti, e voi straziaste Ippolito,
o atterriti cavalli! E tu, Fineo,
perché ai figli innocenti strappi gli occhi?
La stessa pena incombe sul tuo capo.
Questo è quanto scatena amor di donna.
E' più ardente del nostro, ha più furore.
Avanti, dunque, ardito e senza dubbi:
puoi sperare per te tutte le donne.
Una potrai trovarne, a mala pena,
tra molte, che si neghi. Solamente,
che si diano o no, amano sempre
d'esser pregate. E se fallisci, è nulla.
E poi non fallirai: fa troppa voglia
ogni nuovo piacere, e ciò ch'è d'altri
afferra il cuore più di ciò chè proprio;
nel campo altrui la messe è assai più bella,
poppe più gonfie ha il gregge del vicino.
Ma prima cura è quella di conoscere
l'ancella di colei che vuoi amare.
Ti renderà più facili gli approcci.
E scegli quella che le sta più accanto,
quella che più dell'altre le è più fida,
che più ne sa le più segrete voglie.
Con promesse corrompila, a te solo
con le preghiere piegala: costei
ti guida a ciò che vuoi solo che voglia.
Ella saprà per te cogliere a tempo
il momento fatale (è cosa questa
cui tiene pure il medico!), e da lei,
solo da lei saprai se la signora
sarà disposta a scioglierti le braccia.
Ella verrà più pronta ad ogni amplesso
quando sarà più lieta e spensierata,
come la messe che germoglia pingue
in un grasso terreno. Quando il cuore
è colmo d'ogni gioia e non lo stringe
dolore alcuno, s'apre per sé solo:
Venere in lui s'insinua dolcemente.
Fin che fu triste, Troia si difese
con armi pronte; libera. e festante,
lasciò che entrasse dentro le sue mura,
pieno d'armi, il cavallo. Ed anche allora
tu la dovrai tentare, quando offesa
piangerà d'un amante: eccoti pronto:
per mezzo tuo avrà la sua vendetta.
E quando in sul mattino la sua schiava
le scioglierà col pettine i capelli,
ne ravvivi la pena astutamente,
dia vele e remi all'opra; e sospirando,
dica tra sé, sommessa: « Ahimè, ho paura
che non potrai così farlo soffrire
come tu soffri! ». E poi parli di te,
e aggiunga parolette persuadenti
e giuri che per lei muori d'amore.
Ma corri e presto, prima che le vele
cadano flosce e passi la tempesta:
l'ira si scioglie come brina al sole!
Mi chiedi se ci porti giovamento
violar l'ancella. E' un po' gioco d'azzardo.
C'è quella che diventa più sollecita,
quella che s'impigrisce. L'una è pronta
a regalarti tutto alla padrona,
l'altra ti vuol per sé. L'evento è incerto.
A volte può servirti a meraviglia.
Per me, io ti consiglio tuttavia
ad astenerti da siffatte imprese.
A me non piace andare per burroni
tra scogli aguzzi, e sotto la mia guida
non voglio che nessuno cada in trappola.
Se tuttavia colei, mentre ti porta,
o da te viene a prendere messaggi,
ti mette in corpo voglia, e non soltanto
perché così fedele e diligente,
ma perché bella ancora e appetitosa,
bevi prima il piacer dalla padrona,
poi pensa a lei: ma questo venga dopo.
Ogni tuo nuovo amore non cominci
mai dall'ancella. Ed ecco il mio consiglio
(se mai tu credi all'arte mia d'amare
né vorrà il vento sperdere sull'onde
le mie parole): o non tentar neppure,
o vai a fondo! Ché ogni rischio è un nulla,
quando con la padrona anche l'ancella
è complice e partecipe alla colpa.
L'ali impaniate inutilmente scuote
l'uccello per scampare; dalle reti
non fugge più il cinghiale, e il pesce invano
si dibatte dall'amo che l'ha colto.
Tentata che tu l'abbia, devi averla;
lasciala, se tu vuoi, ma dopo avuta.
che nessuno sappia il tuo segreto:
così conoscerai della tua donna
ogni parola sempre ed ogni gesto.
Erra chi pensi che soltanto all'uomo
premuroso dei campi e ai marinai
tocchi guardare il cielo e la stagione;
ché non si può affidare ciecamente
la semente alla terra ingannatrice,
né la concava poppa ai verdi flutti.
Ma nemmeno sarai sempre sicuro
di giungere alla donna; quante volte
un medesimo assalto ha più fortuna
perché sferrato nel momento giusto!
Se è il suo giorno natale o le calende
che fanno seguitar Venere a Marte,
o se nel circo fanno bella mostra
non le solite statue, ma esposte
le ricchezze dei re, rimanda allora!
Il triste inverno incombe con le Pleiadi,
s'immerge mollemente il Capricorno
dentro l'acqua del mare. Meglio allora
non pensarci neppure; ad affidarsi
a mar furioso, riportò più d'uno
la nave a stento e ormai ridotta a pezzi.
Comincia il giorno infausto in cui si tinse
l'Allia col sangue della nostra gente
e causa fu così di tanto pianto;
o il giorno, il meno adatto ad ogni affare,
in cui ricade, ad ogni sette giorni,
la festa. dei Giudei di Palestina.
Ma nutri sacro orrore per il dì
ch'è il suo natale, e sian per te funesti
quelli in genere in cui si fanno doni.
Quante cose otterrà tuttavia,
per quanto tu le sfugga: è un'arte questa,
di spremer oro allo smanioso amante,
scoperta dalla donna. Avrà in quei giorni
qualche sozzo mercante per la casa:
davanti a lei, bramosa di comprare,
e a te che le sarai seduto accanto,
sciorinerà tutta la mercanzia.
Ella vorrà che tu l'osservi bene,
che tu mostri buon gusto, e quanti baci
perché tu compri! E giurerà, stai certo,
che ne sarà contenta per molti anni,
che ne ha proprio bisogno, che è un affare,
un'ottima occasione. E se dirai ‑
che non hai soldi in casa, non fa nulla,
basteranno due righe; e tu, in cuor tuo,
ti pentirai d'essere andato a scuola.
Come potrai scampare, se ti chiede,
con tanto di focaccia natalizia,
il dovuto regalo, e in caso urgente
è pronta a dir ch'è nata un'altra volta?
O quando verserà fiumi di pianto
per qualche guaio assurdo e inesistente,
o fingerà d'aver dall'orecchino
perduto il suo gioiello? Oh, quante cose
ti chiedono che poi non san più rendere!
Così le perdi ed al tuo danno, in cambio,
non avrai grazia alcuna. Se volessi
l'arti maligne delle male femmine
narrarti ad una ad una, non potrei
con dieci bocche e dieci lingue insieme.
La cera, sparsa sulle tavolette,
dia inizio ai tuoi passi; ti preceda
coi tuoi pensieri; porti le carezze
ed imiti le frasi degli amanti,
e tu, chiunque sia, non risparmiare
le implorazioni. Achille, alle preghiere,
ridette il corpo d'Ettore a suo padre;
si piega un nume irato a chi l'invoca.
E fai promesse, ché finché prometti,
non soffri danno alcuno: promettendo
diventa ogni cialtrone un milionario.
Una speranza si mantiene a lungo,
una volta creduta. Anche se falsa,
speranza è nume che fa sempre comodo.
Se le avrai fatto un dono, abbandonarti
non le sarà di peso; quanto è stato,
è stato ormai: non può più perder nulla.
Ma se non dài, potrai far sempre credere
d'essere pronto a dare: un campo sterile
inganna cosi spesso il suo padrone;
così, per l'ansia di ciò ch'ha perduto,
a perdere continua il giocatore
e spesso il dado attira le sue mani.
Questa è l'impresa, questa la fatica:
giungere fino a lei senza alcun dono.
Quando avrà dato quel che t'avrà dato
senza chiedere nulla, stai pur certo
che sempre sarà lei a dare ancora.
E dunque vada e di parole dolci
sia incisa la tua lettera; il suo cuore
ella esplori per prima e tenti i passi.
Fu una lettera incisa su di un pomo
che, lanciata a Cidippe, l'ingannò:
fu presa inconscia la fanciulla al laccio
di quelle due parole. E dunque impara,
o gioventù romana, l'arti belle,
e non soltanto per salvar nel Foro
i trepidi accusati. Come il popolo
e i giudici severi e i senatori,
cosi dall'eloquenza sarà vinta
e cederá la donna. Ma nascondi
questa tua forza, non far pompa inutile
della facondia; fugga la tua voce
ogni espressione vana che l'annoi.
Chi, se non uno sciocco, a dolce amica
declamerebbe? Spesso anche una lettera
può suscitare un impeto di sdegno.
Sian le tue parole le più semplici
e credibili sempre, quando scrivi;
tenere, tuttavia, sì che sembri
che tu le pàrli. Se non letta ancora
respinge la tua lettera, persisti:
verrà quel giorno che la leggerà.
Col tempo anche il giovenco più scontroso
viene all'aratro ed il cavallo impara
a poco a poco a tollerare il morso.
Un anello di ferro si consuma
con l'uso assiduo, il vomere ricurvo
si logora nel fendere la terra.
Nulla è più duro d'una rupe, nulla
è più molle dell'onda; e tuttavia
morbida l'onda scava anche la rupe.
A cogliere il momento, se persisti,
vinci pure Penelope; e fu Pergamo
presa, è vero, assai tardi, ma fu presa.
E dunque leggerà, e da principio
non ti vorrà rispondere. Pazienta.
Fa' solamente in modo che ti legga
e senta come l'ami. Se avrà letto,
poi ti vorrà rispondere. Ma a questo
arriverà per gradi, un po' per volta.
E forse da principio la sua lettera
sarà un rifiuto e insieme la preghiera
che tu la lasci in pace. Ella ha paura
di ciò che chiede, e vuol ciò che non chiede,
cioè che tu continui. E tu continua!
Presto sarai padrone del tuo bene.
Frattanto, se l'incontri per la via
portata mollemente sui cuscini
della lettiga, fatti, come a caso,
più presso a lei, e perché orecchie odiose
quel che dici non odano, tu, astuto,
vélati più che puoi con frasi ambigue;
o se passeggia sotto i vasti portici
oziosamente, ozia tu pure e perdi
dietro di lei il tuo tempo; ed ora avanzala,
ora segui i suoi passi; ora vai svelto,
ora più adagio. E non aver vergogna
di seguitarla in mezzo alle colonne
o metterti al suo fianco; e non sia mai
ch'ella senza di te possa sedersi,
bella e piacente, tra la gente in folla
nel concavo teatro. Lo spettacolo
te l'offra lei con le sue belle spalle.
Quivi potrai guardarla ed ammirarla
quanto vorrai; e parlarle con gli occhi!
Sia, ogni tuo cenno, una parola!
Applaudi se una mima sulla scena
danza, grida a gran voce il tuo favore
a chi reciti scene di passione.
E quando s'alza, lévati tu pure,
siedi finch'ella siede: a suo capriccio
per lei consuma tutta la giornata.
E non ti piaccia troppo d'arricciare
col ferro i tuoi capelli e non raschiarti
con la mordace pomice le gambe.
Lasciale, queste cose, a chi ululando
alla maniera frigia canta cori
alla madre Cibele. A te conviene
una bellezza un poco trascurata.
Teseo rapì la figlia di Mínosse
senza ornamento alcuno tra i capelli,
e Fedra amò le chiome irte d'Ippolito.
Adone, nato tra le selve e i boschi,
fu l'amor d'una dea. Sii piuttosto
lindo, pulito; abbi la pelle bruna
per le lotte nel Campo, e la tua toga
ti cada bene indosso e senza macchie.
Abbi la lingua sempre liscia e netta,
sian bianchi i denti e non cariati, e il piede
non nuoti in una scarpa troppo larga,
né ti faccia i capelli come stecchi
un barbiere inesperto, ma la chioma
sia ben tagliata e ben rasa la barba.
Non portar unghie troppo lunghe o sozze,
dalle narici non ti spunti il pelo,
il fiato non ti sia troppo sgradevole;
sotto le nari altrui, tu non putire
come un caprone. In quanto agli altri vezzi,
lasciali a donna impudica o a cinedo
che cerchi, uomo a mezzo, amor dai maschi.
Ed ecco, Bacco chiama il suo poeta:
soccorre sempre ogni altro cuore amante,
esca è alla fiamma di cui brucia anch'egli.
Errava folle per ignote spiagge
la fanciulla di Cnosso, dove Dia
sente sul lido flagellato l'onda,
e come s'era scossa dal suo sonno
velata appena dalla veste, e ancora
tutta discinta, a piedi nudi, sciolte
le bionde chiome, il nome di Teseo
gridava al mare sordo e indifferente,
d'indegno pianto risolcando invano
le sue tenere guance. Grida e lacrime
insieme mescolava, e l'une e l'altre
le accrescevano grazia, ché quel pianto
non deturpava quel suo dolce viso.
E già più volte percotendo il seno,
il suo morbido seno con le mani:
"Perfido ", disse, « perché m'hai lasciata,
qui, così sola? Che sarà di me? ».
Quando udì intorno i cembali sonanti
rimbombar sulla spiaggia,
e rintronare sotto mani frenetiche i tamburi.
Per il terrore s'accasciò sul lido,
lasciando a mezzo l'ultime parole:
esanime restò, senza più sangue.
Ed ecco le Baccanti, coi capelli
sparsi dietro le spalle, ed ecco i Satiri
venir leggeri ad annunziare il dio;
ecco il vecchio ubriaco, ecco Sileno
cavalcare a sbilenco il somarello
e abbracciarglisi al collo: le Baccanti
insegue al trotto, e quelle un poco fuggono,
ora insieme lo assalgono; egli sprona
col bastone il quadrupede e traballa,
pessimo cavaliere; e poi stramazza
dall'orecchiuta bestia a capo in giù.
E tutti in coro i Satiri: « Sù, padre,
àlzati, padre! ». Ma sul carro il dio
le briglie d'oro allenta alle sue tigri,
alto tra l'uve e i pampini d'intorno.
Ella mancò, le fuggi via la voce,
disparve ogni ricordo di Teseo;
cercò tre volte invano di fuggire,
tre volte la trattenne la paura.
Tremò, come nel vento lieve spiga,
come nel fango le palustri canne.
E a lei il nume: « Son qui io, amante
ben più fedele », disse. « Non temere,
o Cnossia, tu sarai sposa di Bacco.
Mio dono è il cielo: chiara tra le stelle
t'ammireranno nuova stella in cielo.
La corona di Creta ai naviganti
guiderà spesso il corso ». Disse, e scese
d'un balzo giù dal carro (sull'arena
lasciò l'orma il suo piede) onde le tigri
ella più non temesse, e sul suo petto
stretta che l'ebbe (né valeva in lei
forza a vincere il dio), la possedette.
Tutto può un nume e sempre ciò che vuole.
E intanto intorno il grido d'Imeneo
alto s'udiva e il coro: « Evoè, Bacco! »;
e s'unirono insieme il dio e la sposa sul sacro letto.
Così tu, se i doni
dal nostro nume avrai felicemente
e la tua donna ti sarà daccanto
compagna a mensa, il gran padre Nictelio
e i sacri riti della notte invoca,
perché non nuoccia il vino alla tua mente.
Allora ti sarà facile dirle
mille cose segrete a bassa voce,
ch'ella udrà dette tutte per lei sola,
o tenere lusinghe lievemente
tracciar col vino, sì che sulla mensa
legga ch'è tua padrona, o dentro agli occhi
con gli occhi tuoi fissarla innamorati.
Spesso, tacendo, il volto per sé parla.
Fa' di toccare primo quella tazza
ch'ella con le sue labbra abbia toccata,
e bevi dalla parte ond'ella bevve,
e d'ogni cibo ch'ella sfiori appena
con le sue dita, prendine anche tu,
tocca quel cibo insieme e la sua mano.
Cerca poi di piacere a suo marito:
l'averlo amico può giovarvi assai,
Se, tratto a sorte, dovrai ber per primo
cedigli il privilegio; la corona
di cui t'hanno ricinto, offrila a lui.
Pari o inferiore a te, comunque sia,
fa' che si serva primo; e quando parli
conferma con le tue le sue parole.
E' vecchia strada e spesso la più certa
tradire altrui fingendoglisi amico:
strada battuta e certa, anche se strada
lastricata di colpa. Così accade
che chi riceve incarico l'estenda
più del previsto e cerchi di vedere
più cose assai di quante non dovrebbe.
Giusta misura al bere io ti darò,
questa: che la tua mente ed il tuo piede
sian sempre pronti. E soprattutto schiva
le tante liti cui dà forza il vino,
né usare mani facili alla rissa.
Eurizione morì bevendo stolto
il troppo vino offertogli: più adatti
sono la mensa e il vino al dolce scherzo.
Canta se hai voce; se ti senti, danza;
con tutto ciò che può piacere, piaci.
Ebbrezza vera può ben darti danno,
giovarti finta: fa' che la tua lingua
balbetti incerta e subdola ad un tempo,
onde ciò che tu fai, ciò che tu dici
di troppo audace e spinto, sia creduto
frutto del troppo vino. E alzando il calice:
« Salute », dille, « e salve a chi il tuo letto
con te divide! ». Ma in cuor tuo invoca
sul marito presente ogni malanno.
Quando, tolte le mense, ve ne andrete,
la calca e il luogo ti permetteranno
d'arrivar fino a lei. Vai tra la calca,
quanto più puoi, accòstati, e leggero
toccale il fianco con un dito, il piede
sfiorale lievemente col tuo piede.
E finalmente è tempo di parlarle.
Fuggi lontan di qui, rozzo Pudore!
Venere aiuta e
chi sappia osare. Non cercar da me
norme e precetti: basta che tu voglia,
e tu sarai facondo da te stesso.
Devi agire da amante: la tua voce
mostri che il cuor ti piange, fai di tutto
perché ti creda: costa così poco;
non c'è chi non sia certa d'esser tale
da risvegliare amore; o brutta o bella,
ogni donna s'immagina piacente.
Spesso chi finse amor cadde in amore:
pensava fosse un gioco essere amante,
poi lo divenne. E dunque date ascolto
a chi v'invoca, o donne, anche per gioco!
Sovente un falso amor si fa poi vero.
Conquista ora il suo cuore astutamente
con le dolci lusinghe, così come
trascorre l'acqua. sopra il molle lido.
Non ti rincresca dirle bello il volto,
belli i capelli, affusolato il dito,
piccolo il piede. Anche la donna casta
sente diletto ad esser detta bella:
la vergine ha di sé cura ed amore.
Non brucia ancora a Pallade e a Giunone
il giudizio del giovane di Frigia?
L'uccello della dea dispiega altero,
se gliele lodi, le sue lunghe penne;
se lo rimiri muto, non le mostra.
Così il cavallo gode nella gara
sentir l'applauso alla sua bella testa,
e vuole pettinata la criniera.
Prometti molto: le promesse attraggono
a sé le donne; alle promesse aggiungi
testimoni gli dèi, quanti ne vuoi!
Agli spergiuri degli amanti, Giove
ride dall'alto e li disperde in nulla
sopra l'ali dei venti. Egli, a Giunone,
giurò sovente per lo Stige il falso.
Ora incita gli amanti col suo esempio.
Giova aver fede negli dèi del cielo:
crediamo dunque, poiché giova, e offriamo
incensi e vini sugli antichi altari.
Gli dèì non sono immersi in una quiete
simile al sonno: se vivete puri,
il dio è in voi. Restituite i pegni,
mantenete la fede; dalla frode
state lontani; conservate monde
le mani dal delitto: ma le donne
ingannatele pure impunemente,
se avete senno. In questo, esser leali
è vergognoso più d'ogni altro inganno.
Ingannate codeste ingannatrici:
razza in gran parte iniqua e scellerata.
cadan nei lacci ch'esse stesse han teso!
Narrano che l'Egitto rimanesse
arido un tempo per nov'anni e privo
delle piogge benefiche; a Busiride
Trasia si presentò mostrando il modo
come placare il dio col sacrificio
d'un ospite straniero. E a lui Busiride:
" Sarai tu primo vittima di Giove,
darai, ospite, tu, l'acqua all'Egitto ».
E Falaride cosse dentro il toro
le membra dì Perillo scellerato:
infelice l'autore col suo sangue
inzuppò l'opra. Giusti l'uno e l'altro
furono allora: ché nessuna legge
è più giusta a di quella che punisce
con morte eguale chi vuol dar la morte.
Pagare di spergiuro la spergiura,
questo è ben fatto. Femmina ingannata
nel duol si dolga solo di se stessa.
Giovano poi le lacrime: col pianto
potrai ridurre tenero il diamante.
Fa' che ti vegga madide le guance,
se ti riesce; e se ti manca il pianto
(non sempre è pronto ad apparire in tempo),
tòccati gli occhi con mano bagnata.
Chi poi, se non è sciocco, ignora l'arte
di mescolare ai baci le parole?
Può darsi si rifiuti, e allora i baci
prendili a forza. Se reagirà,
se per la prima volta ti dirà
che sei sfacciato, credi, non vuol altro
che resistendo, essere vinta insieme.
Bada soltanto di non farle male,
di non ferire le sue molli labbra
quando i baci le rubi, e che non possa
dire che sono i tuoi rozzi e maldestri
Chi, presi i baci, poi non coglie il resto,
perda anche quelli. Che mancava ormai
ad esaudire, dopo quelli, i voti?
Ahimè, fu ingenuità, non fu pudore!
Tu la chiami violenza? Ma se è questo
che vuol la donna! Ciò che piace a loro
è dar per forza ciò che vogliono dare.
Colei che assali in impeto d'amore,
chiunque ella sia, ne gode, e la violenza
è per lei come un dono; se la lasci
intatta ancor quando potevi averla,
simulerà col volto una sua gioia,
ma avrà dispetto in cuore. Tollerare
dove Febe violenza; con la forza
fu presa sua sorella: all'una e all'altra
sempre chi le rapì furono cari.
Favola nota ma pur sempre bella,
è quella della giovane di Sciro
e del suo amore per l'emonio eroe.
Già sul colle dell'lda Citerea,
vittoriosa su Pallade e Giunone,
l'infausto premio aveva dato a Paride
per il giudizio sulla sua bellezza;
già da lontana terra era venuta
novella nuora a Priamo: una sposa
greca era giunta tra le iliache mura:
e intanto tutti sul marito offeso
giuravano la guerra, ritenendo
causa comune il duolo di uno solo.
Estraneo a tutti, sotto lunga veste
(cosa ben turpe, se non fosse stato
per obbedire alla divina madre),
la sua natura nascondeva Achille.
Che fai, Achille? Non s'addice a te
filar la lana! Pallade la gloria
ti donerà con arte ben diversa.
Che c'entri tu con questi panieruzzi?
Fatta a portar lo scudo è la tua mano.
Impugni la conocchia con la destra
con cui abbatterai Ettore un giorno?
Lascia quei fusi e i laboriosi stami,
squassa piuttosto l'asta di Peleo.
Un giorno, a caso, venne sul suo letto
una figlia del re, fanciulla ancora,
a giacere con lui. Egli la prese,
ella scoprì così ch'egli era un uomo.
Soltanto dalla forza ella fu vinta
(lo possiamo pur credere), ed anch'ella
voll'esser vinta solo dalla forza.
Oh, quante volte, quando già affrettava
Achille la partenza, ella gli disse:
1050 « Rimani ancora! ». Ed egli già deposto
aveva la conocchia e prese l'armi.
Dov'è quella violenza che ti fece?
E perché dunque, Deidamia, trattieni
con amorosa voce chi t'offese?
Come il pudore vieta alla fanciulla
di agir per prima, così poi le è caro
chi l'inizia all'amore. Assai confida
nella propria bellezza chi s'aspetta
ch'ella gli cada prima tra le braccia.
Egli le vada accanto , egli parole
d'amor le dica in voce di preghiera,
ella ne accetti affabile l'ardore.
Se vuoi giungere a lei, insisti, prega:
altro non vuole ch'essere pregata.
Provoca tu un motivo al vostro amore,
dài tu l'inizio. Giove si piegava
a supplicare l'eroine antiche:
nessuna provocò Giove divino!
Soltanto allora, se tu avverti in tempo
di suscitare in lei irto disprezzo,
lascia le tue preghiere e torna indietro.
Molte vanno a chi fugge, e a chi le assedia
offrono sdegno. Modera l'assalto,
non darle noia. Se le parli, frena
il desiderio nelle tue parole.
Spesso s'insinua amore più sicuro
ricoperto con manto d'amicizia.
Per questa strada vidi già più d'uno
vincere col suo dir donna ritrosa:
prima l'amico e poi ne fu l'amante.
A chi naviga il mare non s'addice
la pelle bianca, ma sul volto mostri
i riflessi dell'onda e il vivo sole;
cosi colui che con l'aratro adunco
e col pesante rastro a l'aria aperta
volta le zolle e rompe, e neppur tu
dovrai mostrare candida la pelle,
tu che nel Campo cerchi con la lotta
la corona palladia. Ma l'amante,
ogni amante sia pallido: il colore
è questo che gli giova e gli conviene.
Solo gli stolti pensano non valga.
Pallido errava nella selva Orione
cercando Side; pallido era Dafni
per la ritrosa naiade . Il tuo cuore
appaia sul tuo volto dimagrito;
copri senza timore col cappuccio
le tue nitide chiome. Lunghe veglie,
gli affanni e l'ansia per un grande amore,
dimagriscono i giovani. Se vuoi
giungere in porto, cerca d'apparire
ridotto in viso a tal che chi ti guard
possa ben dir di te: « Ecco, tu ami! ».
Debbo dunque dolermi od ammonire
ch'oggi ciascuno fa d'ogni erba un fascio?
Un nome è l'amicizia, un nome vano
la buona fede. Ahimè, non è prudente
che tu all'amico lodi la tua donna:
se crede alle tue lodi, ti soppianta.
L'Attoride, tu dici, lasciò intatto
il letto del Pelide, e Piritoo
non toccò certo Fedra, Amava Pilade
tanto Ermione quanto Febo Pallade,
quanto amavano te, figlia di Tindaro
i tuoi fratelli Castore e Polluce.
Se c'è chi spera ancor tanto pudore,
s'aspetti che dia frutto il tamarisco,
vada a cercare il miele in mezzo ai fiumi.
Sol ciò ch'è turpe piace: il suo piacere
cerca ciascuno, e tanto più gli è grato
quanto più agli altri costa di dolore.
Quanta scelleratezza! Non dall'armi
devi guardarti nell'amore; fuggi
chi credi amico, se vuoi star sicuro.
Guardati dal parente, dal fratello,
dal compagno più caro: di costoro
dovrai sentire sempre la paura!
E già finivo: ma sono le donne
così diverse! Voglio dIrti ancora:
a mille cuori giungi in mille modi.
Così la zolla nn produce sempre
lo stesso frutto: questa dà la vite,
questa l'oliva; qui verdeggia al sole
alto il frumento. Tanti sono i volti
quanto nel mondo son diversi i cuori.
Solo colui ch'è saggio sa adattarsi:
ed ora, come Proteo, sottile
saprà ridursi e molle come l'onda,
ora sarà leone, ora una pianta,
ora irsuto cinghiale. Cosi i pesci
qua prenderai col dardo, là con l'amo,
qui con la rete dalle funi tese.
Né devi agire nello stesso modo
per ogni età; la cerva adulta scopre
più da lontano il laccio dell'insidia;
se fai l'esperto con l'ingenua o assali
la vergognosa troppo arditamente,
temeranno di sé, farai paura.
Onde sovente accadde che colei
che già temette d'un amante onesto,
tra le braccia fini d'uno più vile.
M'avanza ancora parte del mio assunto parte è or ora conclusa. Getto l'àncora che qui trattenga un poco la mia nave.
Privacy |
Articolo informazione
Commentare questo articolo:Non sei registratoDevi essere registrato per commentare ISCRIVITI |
Copiare il codice nella pagina web del tuo sito. |
Copyright InfTub.com 2024