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Il tema del tempo in Seneca è molto importante ed ha una valenza piuttosto rilevante, fondamentalmente nell'idea dell'eterna fuga del tempo stesso. Seneca non assurge ad una sistemazione filosofica, com 232e47c e invece faranno poi altri dopo di lui come Sant'Agostino ed Heideger. Tuttavia le sue riflessioni risentono molto dell'influenza forte del momento in cui esse nascono, quando vi è la rapida perdita dei valori morali tradizionali, e da cui si perde di vista lo scorrere del tempo.
Per Seneca bisogna abbandonare le futilità del quotidiano che, come dice nell'incipit del "De Brevitate Vitae" e poi nella prima delle "Epistule Morales ad Lucilium", che apre la raccolta, "se cotidie mori", ovvero "moriamo ogni giorno", pertanto non dobbiao perdere il nostro tempo.
Nel "De Brevitate Vitae", dedicato a Pompeo Paolino, è molto ben
affrontato questo tema, ed al suo destinatario egli consiglia di fermarsi e
dedicarsi a se stesso.
Seneca non vuole dimostrare, come invece potrebbe erroneamente sembrare dal
titolo antifrastico della sua opera, la prevità della vita, ma al ontrario la
lunghezza di una vita ben vissuta. L'uomo è portato naturalmente alla classica
suddivisione in passato, presente e futuro, dimensioni che tuttavia non riesce a
dominare. Infatti egli fugge e nega il passato, vive con angoscia il presente,
sprecandolo in attesa del futuro.
Quindi soltanto praticando un esercizio continuo si può aspirare ad avere un rapporto costruttivo con il tempo. L'opera dunque si risolve ad essere un trattato programmatico sulla saggezza.
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