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COMPITO SU LUCREZIO

latino



COMPITO SU LUCREZIO


1) Nato per generazione spontanea della terra, l'uomo primitivo era assai simile alle belve con cui si trovava a convivere; più robusto nella corporatura che oggi, avvezzo a sopportare caldo e freddo, si cibava a sufficienza con i prodotti che la terra gli offriva. La vita si svolgeva senza norme o leggi; l'istinto sessuale spingeva naturalmente ai connubi; la caccia dava per lo più buoni risultati; le tenebre notturne non davano preoccupazione; non si moriva a migliaia nelle guerre, ma di fame o se, per ignoranza, si assumeva del veleno.

Il genere umano cominciò col tempo a perdere la sua rozzezza, con la costruzione di capanne, co 858i88i n i legami del matrimonio, con l'uso utilitaristico del fuoco e soprattutto con l'invenzione del linguaggio, nato spontaneamente negli uomini, dotati dalla natura di voce e sollecitati dall'esigenza di esprimere i nomi delle cose. L'intesa fra gli uomini non si poté raggiungere dovunque e in tutti i casi, ma una buona, una gran parte degli uomini osservava pienamente i patti conclusi.

O per i fulmini o quando i rami degli alberi sfregandosi davano vita a delle scintille, il fuoco fu scoperto dagli uomini che lo utilizzarono subito per i propri scopi: per cuocere e ammorbidire gli alimenti, per esempio.

Grazie ai benefici del fuoco e guidati dai più saggi, la vita si modificava sempre più. Fu inventata la sovranità, nella persona del re e la proprietà: i re cominciarono a fondere città, poi spartirono ai loro uomini le greggi e le terre secondo la bellezza, la forza e le qualità di ognuno di loro. Più tardi fu inventata la ricchezza, che fece nascere negli uomini l'avidità e l'invidia, e questo fu malevole.



Dopo che i re vennero uccisi, ogni uomo cercò di distinguersi dagli altri per conquistare il potere e il rango supremo. Col tempo il genere umano, stanco di vivere nella violenza, si sottomise da solo a tanto più volentieri alle leggi e alla giustizia.

In quell'epoca, i mortali, vedevano nella loro immaginazione figure di dei d'una bellezza senza uguale, che, nei sogni, gli apparivano di grandezza ancora più straordinaria. A quelle figure, gli uomini attribuirono i fenomeni naturali che non si riuscivano a spiegare, il sistema celeste e il ritorno periodico delle stagioni. Col tempo, però, la mente di questi uomini si turbò lasciando degli interrogativi sull'esistenza reale di tali dei, e sul timore di questi stessi.

Furono scoperti i primi metalli: l'oro, l'argento, il bronzo e il piombo. Quando gli uomini vedevano tali metalli, abbagliati dalla loro bellezza brillante e levigata, li portavano via e cominciavano a lavorarli. Dal momento che vedevano che il bronzo era il metallo che si amalgamava meglio, fecero uso di questo, mettendo da parte gli altri metalli (soprattutto l'oro, ora tanto prezioso).

Il ferro, più resistente del bronzo, sostituì quest'ultimo nella costruzione delle armi.

Contemporaneamente s'imparò a montare sul dorso dei cavalli e guidarli col morso; poi si attaccarono due cavalli prima di aggiogarne due coppie e di montare armati su carri muniti di falci. Più tardi gli elefanti, i tori, i cinghiali e, addirittura, i leoni furono impiegati nell'arte della guerra, ma invano. Questi, per la loro natura selvaggia, erano elementi di confusione nell'esercito e talvolta diventavano anche dei fattori a sfavore.

Il vestito di pelli cucite precedette quello di stoffa e quello di lana, che fu dapprima prodotto dagli uomini. Questi poi imputarono alle donne l'arte del tessere per poter dedicarsi ai duri lavori della terra.

L'esempio della semina e il principio dell'innesto furono offerti dalla natura stessa, che mostrò agli uomini lo sviluppo di bacche o frutti che cadevano al suolo. Ci fu un perfezionamento dell'agricoltura e sempre più grandi spazi di terra furono sottratti alle foreste per poterli coltivare.

S'imitò dapprima con la bocca il cinguettio degli uccelli, poi a poco a poco s'appresero i dolci lamenti che diffonde il flauto. S'inventò quindi la musica.

La civiltà si stava rapidamente evolvendo e il genere umano non conosceva limiti a questo veloce progresso.

Si scoprì il ritorno periodico delle stagioni, opera di un piano regolare, dell'ordine che governa la natura.

Fu inventata la scrittura e, in seguito la poesia per poter affidare alla memoria le gesta compiute. Spesso tali piaceri bastavano a soddisfare e affascinare l'anima degli antenati quando la fame era placata.

In questo modo, a passo a passo, il tempo portò ogni scoperta, che la scienza condusse poi in piena luce. Gli uomini vedevano le idee schiarirsi una dopo l'altra nella loro mente, sino al giorno in cui la loro industriosità le portò fino alla vetta della perfezione.


2) Fattori negativi

Nel lungo percorso dell'umanità descritto da Lucrezio vari sono gli aspetti negativi che vengono evidenziati dall'autore latino. Anzitutto si può sottolineare un certo atteggiamento critico contro l'età dell'oro, la mitica società degli uomini primitivi, una società in cui gli uomini, quasi bestiali, vivevano in perfetta armonia con la natura, pressoché senza peccati. Dapprincipio, infatti, è sottolineato come nessun uomo fosse in grado di praticare l'agricoltura: l'uomo viveva di quello che la natura gli offriva. Nonostante questo, a causa dell'abbondanza di frutti e cacciagione, non esistevano carestie. Non c'era alcuna forma di commercio, come nessun tentativo di navigazione. Non c'erano eserciti e quindi nessuna guerra: si pensava più a vivere che a combattere. Inoltre c'era il pericolo delle bestie feroci, che, soprattutto durante la notte attaccavano gli uomini che non si sapevano difendere. A volte, sentendo solo un ruggito di una belva alcuni preferivano abbandonare i propri giacigli per paura, allontanandosi da quel luogo. Gli uomini non sapevano trattare gli oggetti col fuoco, né utilizzare le pelli delle bestie e rivestirsi di quelle spoglie. Incapaci di considerare il bene comune, non avevano né costume né leggi per regolare i rapporti. Con la scoperta dell'oro e della ricchezza, questi rubarono alla bellezza e alla forza il loro prestigio, così gli uomini si vollero rendere illustri e potenti in mezzo all'opulenza senza accontentarsi del poco, di cui non c'è mai penuria. Questo rese loro la strada della vita piena di pericoli perché se alcuni di questi raggiungevano la vetta che è il vertice degli onori, subito venivano sconfitti dall'invidia e senza freni precipitavano spesso fino alla morte. Dopo il rovesciamento dei re, le cose erano giunte ad un grado estremo di depravazione e di torbido che ogni uomo cercava di impadronirsi del potere e del rango supremo prevalendo sugli altri; solo con le leggi e la giustizia si riuscì a frenare questa situazione omicida. Altro aspetto negativo, a parere di Lucrezio, fu l'attribuire agli dei i fenomeni naturali e prestargli quindi collere crudeli: poiché ora si ha paura della collera divina che può manifestarsi tramite degli eventi naturali e poiché ogni uomo ha ora timore degli dei. C'è quindi in Lucrezio un atteggiamento critico verso la religiosità. Quindi gli uomini sono una razza sfortunata che non ha compreso che non c'è nessuna devozione nel mostrarsi coperti da un velo o prostrarsi a terra davanti ai santuari degli dei: devozione è invece poter guardare tutto con mente serena, senza essere turbati. Col passare del tempo l'uomo s'ingegnò sempre più per prevalere sugli altri tramite la guerra: s'inventarono nuovi mezzi di combattimento, nuove armi; questo progresso permise di spandere il terrore fra i popoli in armi, e di giorno in giorno aggiunse un supplemento agli orrori della guerra. L'uomo, nel suo progredire non si accontentò più dell'oggetto che possedeva se ne ha aveva trovato un altro più bello. E così il genere umano non conosce il limite del possesso e s'ingegna sempre nel progresso, in pura perdita e consumandosi in vane preoccupazioni. Questa ignoranza, col passare del tempo, ha trascinato l'uomo nella tempesta e ha scatenato le burrasche e le rovine della guerra. Riepilogando, in questo lento progresso, sembra che l'uomo perda sempre più le sue sicurezze, esso inizia a porsi domande, l'angoscia dilaga insieme alle guerre e al terrore e dopo aver soddisfatto le sue primordiali ed elementari esigenze diviene sempre più avido di potere, di ricchezza, di conquiste e in lui nascono le passioni.




Fattori positivi

L'uomo primitivo non temeva né il freddo né il caldo, né il cambiamento di cibo, né l'attacco della malattia. Quel che il sole e le piogge davano, quel che la terra produceva spontaneamente, era un dono sufficiente per accontentarlo. Non esisteva la guerra e non si moriva a migliaia nelle battaglie. Nonostante fosse quasi come le bestie, aveva una sua smemorata felicità continuamente ravvivata dall'incanto delle scoperte e dalla soddisfazione degli istinti. Gli antichi, inoltre, avevano un migliore rapporto con la morte perchè, vivendo in un ambiente selvaggio a contatto quotidiano con essa, la vedevano come il naturale termine dell'esistenza. Col tempo l'uomo perdette il furor che l'aveva contraddistinto per diventare più civilizzato. Molto importanti furono l'invenzione del linguaggio, del diritto e delle leggi, dei metalli, dell'abbigliamento, delle tecniche agricole, della musica e della poesia, che portarono tempi felici.




3) L'atteggiamento di Lucrezio verso la natura, verso il mondo che si trovò ad ospitare i primi uomini è molto negativo. Infatti, partendo con la sua storia dell'uomo, il poeta latino non può non considerare tutti gli aspetti negativi che la natura offrì agli esseri umani; eccone alcuni elencabili: la terra è divisa tra montagne e foreste popolate da belve feroci, tra rocce e vaste paludi deserte, tra il mare le cui larghe distese separano le rive dei continenti. Quasi due terzi del suolo vengono sottratti all'uomo o da un calore torrido o dalla presenza incessante della neve. Le terre coltivabili sarebbero prive della loro floridità se l'uomo non mettesse mano alla pesante zappa, a fendere il suolo premendo sull'aratro. Gli animali feroci si nutrono e si riproducono facilmente grazie alla natura. La presenza della malattia e della morte. Il fatto che, a differenza dell'uomo, per gli animali, la natura viene incontro ai loro bisogni senza che essi si preoccupino di trovare abiti o costruirsi fortezze in cui difendersi. Insomma, l'idea di una natura ostile all'uomo è molto sviluppata in Lucrezio, il mondo non è finalizzato all'uomo, e questo è svantaggiato nel predominare. L'uomo si rende conto di questa sua limitatezza e del fatto che per vivere dovrà lottare con tutte le sue forze per avere ragione della natura. In realtà è però sbagliato vedere la natura come sola e unica causa dei mali dell'umanità. Infatti, l'uomo, scioccamente, s'illude, credendo che il mondo sia finalizzato a lui: in realtà è lui stesso che si è reso inadatto a vivere nel mondo, con il suo bisogno insanabile di necessità sempre nuove, d'agi e ricchezze, non limitandosi più soltanto ai bisogni essenziali a cui la natura poteva provvedere.

Connesso a questo tema c'è quello del progresso umano. Il progresso, in questo senso, è inteso da Lucrezio come il perfezionamento delle condizioni d'esistenza e lo sviluppo delle facoltà intellettuali, ma anche come l'esasperazione dei problemi psicologici e sociali dell'umanità. L'idea del progresso è accettata; ma il mito del progresso è respinto. Questo appare dunque come necessità del divenire storico, relatività di sempre nuove soluzioni rispetto alle sempre nuove esigenze dell'esistere umano. Il progresso è condizione di vita, ma esso non dona necessariamente la felicità. La storia dell'uomo è la storia di un lungo progresso, un progresso costruito grazie all' intelligenza e alla forza dell'istinto di sopravvivenza. E' tuttavia innegabile che il progresso abbia portato con se dei lati positivi, permettendo all'uomo una vita sempre più semplice sotto alcuni punti di vista. Credo che i temi della culpae naturae e del progresso sono tra loro connessi in quanto, molto probabilmente, si trovano in un rapporto di causa-effetto: là dove l'uomo non riusciva a vincere le difficoltà che la natura gli poneva davanti, ecco che s'ingegnava mettendo in moto il cammino del progresso per superare quel problema. Inoltre il progresso è caratterizzato dallo sviluppo delle facoltà intellettive in cui il furor che caratterizza le bestie è superato dalla ratio della civiltà, che si basa sul libero arbitrio. Inoltre non sempre purtroppo il termine progresso può essere associato alla felicità. Al contrario troppo spesso gli uomini di tutti i periodi storici sono accomunati dall'infelicità, derivata dalle passioni, o dall'ignoranza. Gli ultimi versi del quinto libro sono però arricchiti da una luminosità particolare: si parla di una "vetta della perfezione" a cui l'uomo spontaneamente tende, vedendo le idee schiarirsi una dopo l'altra nella propria mente. Una vetta che porterebbe forse alla felicità suprema o che alluderebbe ad un nuovo punto di partenza per il genere umano.






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