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LISIA: "PER L'UCCISIONE DI ERATOSTENE"

greco



LISIA: "PER L'UCCISIONE DI ERATOSTENE"


Per prima cosa dunque, o giudici, ( bisogna infatti che anche queste cose a voi racconti) io ho una casetta a due piani, che ha gli ambienti superiori simmetrici a quelli di sotto per le donne e per gli uomini. Quando era nato a noi un figlio, la madre lo allattava; affinché non corresse pericolo 929e47j ogni volta che bisognasse lavarlo, mentre scendeva per le scale, io prendevo ad abitare su, le donne giù.

E la cosa era diventata ormai così abituale, che spesso la donna andava giù per riposare accanto al bambino, per dargli il latte e per non farlo strillare. E così andò avanti per molto tempo, e io mai una volta ebbi sospetto. Ma mi comportavo così scioccamente, che credevo essere la mia donna la più saggia di tutte quelle nella città.

Poi, col passare del tempo, o uomini, tornavo inaspettatamente dalla campagna, dopo cena il bimbo strillava e non si chetava di proposito tormentato dalla serva, per fare queste cose: infatti l'uomo era dentro; dopo infatti venni a sapere tutto.



Ed io esortavo la donna a distaccarsi (da me) e a dare il latte al bambino affinché smettesse di piangere. Quella dapprima non voleva, come se potesse essere lieta di avermi visto quando giungevo dopo un certo tempo; dopo io mi irritavo e le ordinavo di andarsene, "sì, affinché tu tenti qui la servetta " disse "anche prima d'ora mentre eri ubriaco tentavi di darle fastidio".

Ed io ridevo, ma quella essendosi alzandosi ed uscendo chiude la porta, facendo finta di scherzare, e si porta via la chiave. Ed io né pensando né sospettando di queste cose dormivo contento, ritornando dalla campagna. Sul far del giorno, quella giunse e riaprì la porta.

Domandando io perché le porte avessero cigolato di notte, mi raccontò che si era spenta la lucerna al capezzale del bambino, e che quindi se l'era fatta riaccendere dai vicini. Io non replicai e ritenni che le cose stessero così. Mi sembrò, o giudici, che avesse il viso imbellettato pur essendole morto da non ancora trenta giorni il fratello; tuttavia neppure così nulla sulla cosa avendo detto, me ne andai in silenzio.

Dopo queste cose, o giudici, passato frattanto del tempo ed essendo io molto lontano dal conoscere i miei mali, si avvicina a me una vecchia, mandata di nascosto da una donna che quello era solito sedurre, come io seppi più tardi; quella adirata e convinta di ricevere oltraggio, perché non più come andava a visitarla, l'aveva fatto pedinare finché non era venuta a sapere quale era la causa.

Dunque essendosi avvicinata a me la vecchia aspettando presso la mia casa, "Eufileto" disse "non credere che io sia una che si impiccia degli affari altrui: infatti l'uomo che disonora te e tua moglie è per caso nostro comune nemico. Qualora dunque tu prenda l'ancella che va al mercato e che vi serve e (qualora) tu la metta alle strette, sarai informato di tutto". "E' Eratostene di Oe" disse "colui che fa queste cose, che ha rovinato non solo tua moglie ma anche molte altre: infatti questo è il suo mestiere."



Avendo detto queste cose, o giudici, quella si allontanò, ed io a un tratto rimasi sconvolto, e ogni cosa si riaffacciava alla mente, ed ero pieno di sospetti, riflettendo come ero stato chiuso in camera, ricordandomi che in quella notte avevano cigolato sia la porta del cortile sia la porta sulla strada, cosa che mai era avvenuta, che mi era parso che mia moglie si fosse imbellettata. Queste cose si presentavano alla mia mente, ed ero pieno di sospetti.

Essendo rientrato in casa ordinai all'ancella di seguirmi al mercato, ma avendola condotta presso uno degli amici le dicevo che io ero venuto a conoscenza di tutto quello che accadeva in casa: "Sta a te dunque" dissi "scegliere quale delle due cose vuoi, o essere gettata a girare la macina nel mulino essendo stata sferzata e non cessare mai di essere afflitta da siffatti mali, o confessando tutta la verità non subire alcun danno, ma ottenere da me il perdono della colpe. Non mentire in nulla ma dì tutta la verità".

E quella dapprima era titubante, e mi diceva di fare quello che volevo; che di nulla infatti era a conoscenza; ma quando io ricordai a quella Erartostene, e dissi che era colui che veniva a trovare mia moglie, sbigottì avendo pensato che io fossi a conoscenza di tutto perfettamente.

E allora ormai essendosi gettata ai miei piedi, e avendo ricevuto da me la promessa che non avrebbe subito alcun male, rivelava dapprima che si fosse avvicinato a lei dopo il funerale, in seguito che questa alla fine avesse informato (mia moglie) e che quella col tempo si fosse lasciata persuadere e con quali sotterfugi ella ricevesse visite, e come durante le Tesmoforie mentre io ero in campagna, se ne era andata al santuario (della dea) con la madre di quello: e raccontò minuziosamente tutte le altre cose avvenute.






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