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CALLIMACO - Opera poetica

greco



CALLIMACO


Fu il primo ad organizzare la pubblicazione della sua opera, diede una visione d'insieme alla sua produzione, che per altro fu vastissima: la tradizione gli attribuisce 800 libri!! È decisamente esagerato chi dice che addirittura ne scrisse 2400, perché i rotoli erano tripli! 800 può anche andare bene perché non è un numero magico.

Nacque attorno al 300 a Cirene; aveva un'ottima cultura, ma si ridusse a fare il maestro in una scuola di periferia; in seguito fu notato dai Tolomei che lo fecero entrare nella biblioteca di Alessandria. Ci si è posti il problema se sia stato il direttore della biblioteca, però non c'erano prove né che lo sia stato, né che  non sia mai stato direttore; ora che abbiamo trovato l'elenco dei direttori sappiamo che non lo fu mai. Il secondo direttore della biblioteca però fu Apollonio Rodio, che fu allievo di Callimaco: indica l'influsso, l'auctoritas di cui Callimaco godeva; più che un fallimento, ora si tende a vedere il fatto che non sia stato direttore come una scelta di Callimaco. Infatti quando Tolomeo sposò Berenice di Cirene, che veniva dalla stessa città di Callimaco, il prestigio del dotto accrebbe: è difficile pensare che non abbia ricevuto l'offerta, quindi probabilmente è lui che l'ha rifiutata.





Πινακες, cioè "tavole", è la sua opera di erudizione massima. Composta da 120 libri, sono le "tavole" di tutti coloro che si distinsero in tutti i branchi della cultura, e le loro opere. Non è solo un catalogo, ma l'elenco di tutti i settori del sapere, divisi secondo il settore, con cenni di vita e elenco delle opere veramente attribuibili all'autore, e forse anche stechiometria (lunghezza). Non può aver fatto tutto da solo: è una raccolta notevole di notizie storiche o aneddotiche che coinvolgono tutta la cultura passata. Contiene tutto un passato che da un lato è fini 222j98c to, dall'altro non lo si vuole lasciare morire e lo si studia e organizza. C'è orgoglio per la propria cultura. Non è un'opera letteraria, né pretende di esserlo: è un'opera da erudito, adatta ad un direttore di biblioteca, un'opera di consultazione. Ne abbiamo solo pochi frammenti, quindi non sappiamo quanto valga!


Opera poetica

È vasta e risente di quella da erudito. È una poesia nuova che partendo dall'antico cerca di trasformarlo facendo notare la sua abilità tecnica variando il metro, il dialetto. si innesta sulla tradizione rinnovandola. Più importante delle variazioni tecniche, quello che cambia è l'atteggiamento. Gli autori della tradizione sapevano che la propria opera non era un'opera pura e semplice, ma andava al di là di quello che diceva per piacere letterario, e costituiva una guida a cui chi ascoltava tendeva ad uniformarsi. Il mondo ellenistico sapeva di non essere più così:

Non c'erano più valori comuni da trasmettere;

Il pubblico era alla pari di chi scriveva: non avevano più bisogno di essere guide, ma volevano mostrare la loro abilità tecnica.

La tradizione veniva utilizzata per adattarla ad un mondo nuovo.

Gli inni

Si rifanno agli inni omerici: in esametri, in dialetto ionico. Callimaco ne scrive 6:

v  5 in esametri secondo la tradizione

v  1 in distici elegiaci novità.

Omero aveva utilizzato il dialetto ionico negli inni perché era la sua lingua; l'ellenismo non individua nel dialetto usato quello dell'autore, ma è parte delle caratteristiche del genere, come l'ha consegnato la tradizione. Il linguaggio è artificioso, letterario. Due sono in dorico: il dorico non ha mai prodotto epica! È diverso l'atteggiamento rispetto agli inni omerici:

Omero usava un tono narrativo, era un'epica che racconta, fedele negli episodi di vita della divinità.

Callimaco fa una narrazione di tipo lirico, che tende al patetico. Non è un racconto, ma come fosse un pezzo di lirica.

Omero credeva in questi dei

Callimaco non ci crede più: non è ateo, ma è l'epoca che non ci crede più. Tende ad umanizzare le divinità, le vede nella loro figura umana.

È bello in particolare l'inno ad Artemide, dea che di solito è gelida, è vergine, ha qualcosa di freddo, non ha passione nelle sue relazioni, vivere nei boschi la isola. Callimaco per fuggire a questo la vede bambina: si arrampica sulle ginocchia di Zeus e gli chiede il settore della caccia. Appare una bambina come tante, una persona normale. Zeus accetta e la manda dai ciclopi a farsi fare le armi; è una dea e non ha paura, così va nell'Etna e chiede le armi come fossero giocattoli. Si arrampica sui ciclopi come era salita in braccio al padre. Teocrito parlerà di un ciclope innamorato! Gli Dei ormai sono totalmente umani. Tornata sull'Olimpo, incontra Eracle, che è un Eracle da commedia: agli antipodi di Artemide. Trasforma le due figure (Eracle da commedia era già stato usato). Usa uno stile che è stato definito "giocoso" Callimaco affronta questi argomenti come un gioco, non crede nelle divinità e nei valori che portano. C'è la ricerca del motivo eziologico: cerca di spiegare anche le cerimonie. L'ellenismo va alla ricerca non per fede, ma per cultura, di queste ragioni.

L'unico momento in cui si fa prendere la mano e si lascia commuovere è nei lavacri di Pallade. Presenta un dio prigioniero della sua divinità. La legge di Zeus imponeva di punire chi vede una dea nuda, e lei non può sottrarsi a questa legge, anche se non coincide con la sua volontà. La divinità non è più onnipotente! Nell'Iliade anche Zeus pesava il destino, Apollo non poteva non lasciare morire Ettore, però la cosa turbava un secondo, poi basta. Qui invece è sentita. Dice che è la legge di Chronos, un destino a cui non può sfuggire: la τυχη non è solo una divinità, è il destino, tipo αναγχη. In questo periodo credevano solo più alla τυχη, tutto era ricondotto a questa forza, persino l'αναγχη, alla quale anche gli dei sono sottoposti. L'atteggiamento giocoso è una sua scelta, e qui non riesce più a controllarsi. Si immagina un messaggero ad Argo, in una festa la statua di Pallade era portata a fare il bagno. Uno annuncia l'arrivo della statua, e dice che nessuno la deve vedere nuda, altrimenti sarebbe diventato cieco com'era successo a Tiresia. L'ambiente si sposta, sulla scena ci sono Atena e le ninfe, e Tiresia, giovane (quindi fragile) che senza volerlo vede Atena nuda, e lei lo rende cieco, obbligata, non avrebbe voluto. Dice: "prendi la mercede che ti è voluta!" = questo è il tuo destino al quale non puoi sottrarti, ma neanche io posso. La madre di Tiresia difende il figlio: è forte il pathos, però la madre per difendere il figlio si ribella alla dea nell'Iliade Achille poteva permettersi di insultare Apollo, però Achille è un eroe; lei è una ninfa, però non potrebbe! La dea ha pena per lei, non è colpa sua, ma deve rispettare le leggi; anzi dovrebbe essere contenta perché poteva andargli peggio: cita l'esempio di Atteone, che ha visto Artemide nuda ed è stato sbranato dai cani, che non sono amici dell'uomo (visione Omerica: Priamo a Ettore: "i miei cani mi sbraneranno"). La sorte di Tiresia a questo punto è preferibile, dice alla madre che i genitori di Atteone sarebbero contenti della sorte di Tiresia perché il loro figlio è stato sbranato dalle cagne (un male femmina non può che essere peggiorativo). Atena non può correggere la legge di Chronos, può solo aggiungere dei doni: gli dà la vista della mente, e Tiresia diventa un indovino.

Gli Dei sono umanizzati, si abbandona al piacere di raccontare, l'elegia che aveva notevole varietà di contenuti diventa narrativa, strumento per raccontare i miti, non quelli sconosciuti, ma i più rari. Non devono essere sconosciuti perché l'allusione a cui l'autore ellenistico ricorre non basterebbe se il mito fosse sconosciuto; i destinatari invece lo conoscevano, erano colti: prende il mito meno usato, o la versione meno usata di un mito, e il lettore lo riconosceva perché all'autore bastava fare un'allusione.

Il quarto mito è quello di Demetra: se ne conoscevano molte vicende, ma prende la vicenda di Erisittone, che è una delle meno frequenti. Il mito di Erisittone è ridicolo. Parla di un uomo che ama mangiare e vuole ampliare la sala, cerca della legna e si accorge che quello che sta tagliando è un bosco sacro a Demetra, che lo condanna ad una fame insaziabile. Avrebbe potuto farci un dramma, ma Callimaco lo tratta in modo leggero. Erisittone mangia tutto quello che vuole, ma evidenzia l'aspetto grottesco. È un esempio caratteristico di Callimaco perché:

È un mito che non conoscono tutti

Per il modo in cui lo tratta piacere di raccontare (elegia)

per la condanna di Demetra: non è sentito come una tragedia, ma come una vicenda

La dea è umanizzata. Il mito è raccontato, non perché non si sappia, ma perché l'elegia è strumento per raccontare. Umanizzazione degli dei: possono diventare bambini, nessuno si scandalizza, perché sono personaggi di un passato e nessuno ci credeva più.

Epigrammi

È un genere che non ha precedenti non ha una tradizione alle spalle a cui rifarsi, a cui si era vincolati. L'unica caratteristica era la brevità, e in epoca ellenistica non poteva non piacere per questo. In un epigramma non c'era la preoccupazione di avere una preparazione di tipo culturale-erudito: Calimaco diceva quello che sentiva. Spesso sono funebri:

Uno per un poeta, Eraclito, nel quale usa una bella immagine: mettere il sole a letto per indicare la sera siamo noi che a forza di parlare lo mandiamo a dormire, non è la sera che ci coglie all'improvviso. È bella proprio l'idea di "metterlo a letto", dà un'idea di maggiore familiarità. Usignoli: deve essere il titolo di un'opera di questo Eraclito, poi gioca su un equivoco: vive per sempre la sua opera/usignoli nel senso di voce melodiosa come la tua poesia, che vive per sempre.

Ne scrive uno per una bambina: Callimaco è fresco, non ci sono implicazioni, non ci sono doveri di erudizione, si lascia andare alla commozione.

Per un bambino di 12 anni: era piccolo, ma era una grande speranza del padre, delusa: ne sottolinea la sproporzione.

Poi scrive 2 auto-epigrammi per la sua tomba!



Parla di sé e del padre condottiero: dice che i suoi canti sono più forti dell'invidia: nessun'invidia di altri poeti lo può far tacere. Chi le Muse hanno destinato essere poeta, sarà poeta per sempre.

Dice di essere un uomo in grado di scherzare sotto l'effetto del vino: Bacco, dio del vino e della poesia.

In un altro epigramma dice: "ODIO IL POEMA EPICO": intende tutta l'epica o salva Omero? Anche questo fa parte di un ciclo! L'odio di Callimaco e degli ellenisti per il poema epico tradizionale coinvolge anche Omero? Non si sa! Dice anche di odiare πάντα τα δημόσια le cose aperte a tutti, che non hanno niente che distingua: lui le fugge: vuole cercare qualcosa di nuovo, odia tutto ciò a cui tutti possono arrivare, come la fontana della piazza. Disdegna ciò che non è straordinario.

In un pezzo di epigramma che non abbiamo dice: μεγα βιβλιον, μεγα κακον, inteso come rovina intollerabile. Si riferisce al poema epico? Ad un'opera che pretende di avere valore per la quantità e non per la qualità? Include anche Iliade e Odissea? Boh?!! Qualcuno sostiene che Callimaco stia attaccando i poemi epici suoi contemporanei, non Iliade e Odissea.

Ecale

È un poema di 700/800 versi, di cui l'episodio del toro ne occupa 50. Il resto è dedicato al viaggio, in particolare ad un episodio. Teseo si ferma lungo la strada e chiede ospitalità ad una vecchietta, Ecale, che non lo riconosce, ma pur nella sua povertà lo accoglie e gli dà da mangiare. Teseo poi parte e va ad uccidere il toro, quando torna vuole premiare la vecchietta per la sua generosità, però scopre che è morta, allora fonda sul luogo della sua capanna un tempio a Zeus Ecalio (motivo eziologico). Non si sa se fosse un'invenzione di Callimaco, probabilmente no, doveva essere un mito poco frequente.

Il poemetto è diverso dal poema epico, per lunghezza, per la scelta di un mito poco frequente, ma anche perché capovolge i valori. Un poema tradizionale avrebbe evidenziato l'atto eroico, a cui invece sono dedicato solo 50 versi. Qui il vero eroe non è Teseo, ma è l'eroe della vita di tutti i giorni. È molto diverso da Achille e dagli eroi dell'Iliade che essenzialmente combattono. Teseo è stanco e si ferma: l'eroe è umanizzato, ha i suoi bisogni e le sue debolezze. Ecale è fuori dalla storia per sesso, età, posizione sociale: non avrebbe potuto entrare in un poema epico o lasciare traccia di sé. L'eroismo cambia: condivide quello che ha da mangiare, sacrifica qualcosa per bontà, si sottolinea la generosità d'animo.

È interessante la descrizione del risveglio: Callimaco scrive quello che sentiva al risveglio prima di essere al museo perché parla del risveglio della città. Poi descrive la tempesta: c'è stato il sole tutto il giorno, nell'ora in cui le fanciulle chiedono il pane alla madre (similitudine omerica che riprende anche Apollonio Rodio) arriva la tempesta: c'è erudizione, monti, con i loro aggettivi, precise indicazioni geografiche.

Giambi

Il titolo si riferisce al metro; in realtà c'è varietà di argomento e di metri a base giambica: l'età classica ne usava 2, Callimaco varia, non usa solo trimetro o scazontes. Riflettono la tendenza ellenistica di prendere la tradizione e cambiarla; si distinguono soprattutto per la varietà di contenuti. Sono 13 componimenti (12 + 1 di introduzione). Noi non li abbiamo tutti, però abbiamo il riassunto.

I. INTRODUZIONE va a pescare Ipponatte: risorge, si trova con i dotti ellenistici, e racconta una vicenda: uno dei sette saggi affida al figlio una coppa con il compito di affidarla al migliore dei sette: però passa da uno all'altro perché nessuno si ritiene degno il σοφός è anche modesto. Prende Ipponatte perché è il più significativo nei poeti di giambi; il fatto che risorga indica il contatto che il dotto avverte con le sue opere.

IV. L'ALLORO E L'ULIVO Un alloro e un ulivo, vicini su un monte in Lidia, litigano. L'alloro dice di essere più importante: cita tutti i miti meno sfruttati nei quali interviene l'alloro. Si vanta di essere sacro ad Apollo e di essere la pianta della vittoria nei giochi pitici; l'ulivo invece si contamina con la morte, infatti con l'ulivo si faceva il letto funebre perché era profumato e attenuava l'odore. L'ulivo però non si sente svilito da quest'accusa, ma è contento di essere vicino all'uomo nell'ora della morte; poi è la corona di vittoria nei giochi olimpici. Dice poi che l'alloro deriva dalla terra (non fa riferimento al mito di Apollo e Dafne, è strano, ma il mito che cita è più utile per sminuire l'alloro). Invece l'ulivo deriva dalla contesa tra Atena e Poseidone per la protezione di Atene, quando Atena regalò alla città un ulivo, ai tempi del re Eretteo, metà uomo e metà serpente (nell'Acropoli si manteneva un serpente). L'alloro aveva perso un punto, perché l'ulivo poteva vantare origini divine. Poi l'alloro non fa frutti utili, l'ulivo sì è importante l'UTILITA'. Dice però che è un cibo per i poveri: non è che i ricchi non le mangiassero, però gli ulivi erano talmente frequenti che spuntavano quasi spontaneamente. L'olio poi non era solo un condimento, ma era alla base degli unguenti per la pelle, per gli atleti, per i profumi, ed era indispensabile per la tessitura (nello scudo di Achille si diceva che i vestiti brillavano d'olio, per indicare che erano nuovi). Qui non cita l'olio, però all'epoca era importante. Poi l'ulivo era il ramo del supplice: così ottiene la terza vittoria. L'alloro a questo punto vorrebbe ribattere, ma interviene un rovo, che dice loro di smetterla perché è un'ingiuria lottare a vicenda.

Questa è un'allegoria di tipo letterale. Si possono interpretare come:

ALLORO poesia epica di glorificazione

ULIVO poesia moderna dell'epoca, che sta vincendo.

Però la differenza sarebbe troppo sottile: l'alloro non può essere la poesia epica tradizionale, perché se lo fosse l'avrebbe condannata. Potrebbe essere l'epillio: infatti un'interpretazione più probabile vuole che tutti e due siano la poesia moderna, perché non c'è differenza, litigano, ma pacatamente, con correttezza, i meriti sono riconosciuti dall'altro indicano la ripartizione in generi della poesia senza che uno sia superiore agli altri: ognuno ha i propri meriti. Il rovo quindi sarebbe la poesia epica tradizionale, che schiaccia le altre.


"Origini", opera in 4 libri in distico elegiaco: sono elegie che raccontano episodi di trasformazioni. È un POEMA EZIOLOGICO spiega da dove deriva il tutto, ripercorre la storia del mondo. Le cose non hanno forma solida, non c'è staticità, ma passaggio da una forma all'altra: indica una mancanza di certezza nei valori assoluti. Di quest'opera ci rimangono:

Il prologo dei Telchini

L'episodio di Aconzio e Cidippe (3° libro)

Aconzio a Delo ha visto Cidippe e se ne è innamorato, scrive su una mela "per Artemide, giuro di sposare Aconzio", gliela getta e lei legge la frase (sono nel tempio di Artemide). Poi non si incontrano, il padre la vuole sposare, ma non ci riesce, solo con Aconzio. Però non c'è nessuna trasformazione!! È nella parte finale (Cidippe si ammala e il padre la sposa con Aconzio).

L'opera cominciava con la trasformazione del caos in cosmos e finisce con un argomento di attualità: la trasformazione della chioma di Berenice in costellazione. Berenice è della stessa città di Callimaco, sposa Tolomeo Euergete, si taglia la treccia in voto agli dei perché il marito è in guerra, la appende e il mattino dopo non c'è più, però notano una nuova stella e la chiamano Berenice in suo onore: gli dei sono tanto contenti del dono che lo assumono in cielo. Dunque ci sono sia un motivo eziologico, sia un motivo encomiastico (lui e Berenice avevano uguali origini).

Non avevamo la vicenda, che ci viene riportata solo da Catullo, e Foscolo l'ha tradotto; poi abbiamo trovato una parte dell'episodio di Callimaco e abbiamo constatato che la traduzione di Catullo è fedele si può supporre che sia fedele tutta! Quella di Foscolo è bella, piena di giochi di parole.

C'è un problema: l'Aιτια conta 4 libri: è un μεγα βιβλιον! Si giustifica con il fatto che non era un opus continuum. Callimaco condanna il poema epico tradizionale, che appunto era un opus continuum. Invece l'Aιτια no, è una raccolta di tante trasformazioni, che alla fine risulta di 4 libri, circa 4000 versi, ma sono la somma di piccoli episodi. L'accusa al μεγα βιβλιον non è smentita né va in crisi con questo, ma non si capisce perché critica la Lide di Antimaco (che non abbiamo). È una serie di elegie raccolte in un'opera, quindi neanche quella è un'opus contunuum! Fileta approva la Lide di Antimaco evidentemente in quella scuola la difendevano. Catullo segue il giudizio su Callimaco quando dice VULGUS GAUDEAT TUMIDO CALLIMACO i contemporanei apprezzino pure il tumidus Callimaco: lui l'avrà letta la Lide! I contemporanei apprezzano e demoliscono le stesse opere, e poi Callimaco come può insultare tanto la Lide se è un'opera del genere degli αiτια?! Si può salvare la faccenda dicendo che la Lide presenta troppi libri; la scuola a cui appartiene Fileta apprezza le elegie staccate. Però non c'è prova! Se la prendiamo nel modo tradizionale (4/5 libri) non c'è motivo perché piaccia a uno e non all'altro. Però era una polemica accesa tanto che i neoteroi, romani (Catullo, si pensa anche gli altri, ma di questi non abbiamo una parola) si sono inseriti nella discussione. Può essere che per loro Callimaco fosse il grande, e il simbolo della poesia, quindi la sua parola è legge, il suo giudizio diventa criterio di giudizio per gli altri.







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