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Pier Paolo Pasolini
Pasolini in Friuli
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922, primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate di cui ha dissipato il patrimon 353b19d io sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa. I due sposi si trasferiscono in seguito a Bologna."Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell'incrocio... Un prodotto dell'unità d'Italia. Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma".A Bologna la famiglia Pasolini resta poco: si trasferiscono a Parma, Conegliano, Belluno, Sacile, Idria, Cremona, ancora Bologna ed altre città del nord."Hanno fatto di me un nomade. Passavo da un accampamento all'altro, non avevo un focolare stabile".Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guido. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre. "Tutte le sere aspettavo con terrore l'ora della cena sapendo che sarebbero venute le scenate [...] In me c'era una iniziale rimozione della madre che mi ha procurato una nevrosi infantile. Questa nevrosi mi aveva fatto diventare inquieto, di un'inquietudine che metteva in discussione in ogni momento il mio essere al mondo. [...] Quando mia madre stava per partorire ho cominciato a soffrire di bruciori agli occhi. Mio padre mi immobilizzava sul tavolo della cucina, mi apriva l'occhio con le dita e mi versava dentro il collirio. E' da quel momento simbolico che ho cominciato a non amare più mio padre."Riferendosi alla madre:"Mi raccontava storie, favole, me le leggeva. Mia madre era come Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e idealizzata. Lei crede veramente nell'eroismo, nella carità, nella pietà, nella generosità. Io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica".Con il fratello Guido vive un rapporto di amicizia. Il fratello minore vive in una sorta di venerazione per il maggiore: bravo nello studio e nei giochi con gli altri ragazzi. Questa ammirazione accompagnerà Guido fino al giorno della sua morte.I primi anni di scuola sono compiuti tra innumerevoli trasferimenti che, comunque, non intaccano il rendimento scolastico di Pier Paolo. Frequenta la scuola elementare con un anno d'anticipo. Nel 1928 è l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico.Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano.Di quegli anni il passo noto come Teta veleta, che Pasolini più tardi spiegherà in questo modo:"Fu a Belluno, avevo poco più di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavano l'essere grande in quel gesto di giovanetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l'intenerimento, l'accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell'irraggiungibile, del carnale - un senso per cui non è stato ancora inventato un nome. Io lo inventai allora e fu "teta veleta". Già nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo "teta veleta", qualcosa come un solletico, una seduzione, un'umiliazione".Lo stesso Pasolini preciserà:"La mia infanzia finisce a 13 anni. Come tutti: tredici anni è la vecchiaia dell'infanzia, momento perciò di grande saggezza. Era un momento felice della mia vita. Ero stato il più bravo a scuola. Cominciava l'estate del '34. Finiva un periodo della mia vita, concludevo un'esperienza ed ero pronto a cominciarne un'altra. Questi giorni che hanno preceduto l'estate del '34 sono stati tra i giorni più belli e gloriosi della mia vita".Pier Paolo conclude gli studi liceali e a 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Negli anni del liceo crea, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini (di cui Guido Pasolini prenderà a prestito il nome per la sua militanza partigiana nella Osoppo), Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie. Collabora a "Il Setaccio", il periodico della Gil bolognese. In questo periodo Pasolini scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, Poesie a Casarsa. Partecipa poi alla redazione di una rivista, "Stroligut", con altri amici letterati friulani, con cui ha creato la Academiuta di lenga furlana. Il dialetto rappresenta una sorta di opposizione al potere fascista:"Il fascismo non tollerava i dialetti, segni / dell'irrazionale unita' di questo paese dove sono nato / inammisibili e spudorate realta' nel cuore dei nazionalisti L'uso del dialetto rappresenta anche un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse sottosviluppate.Mentre la sinistra predilige infatti, l'uso della lingua italiana, e se si eccettuano alcuni sporadici casi del giacobinismo, l'uso dialettale è stata una prerogativa clericale, Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento in senso dialettale della cultura.Il ritorno a Casarsa rappresenta, negli anni dell'università, il ritorno ad un luogo felice per Pasolini. Scrive a Silvana Ottieri in una lettera dell'aprile 1947: "Che si fosse di sabato Santo era un particolare che mi lasciava freddo. Tu avessi visto i colori dell'orizzonte e della campagna! Quando il treno si fermò a Sacile, in un silenzio fittissimo, da ultima Tule, ho sentito di nuovo le campane. Là, dietro alla stazione di Sacile si spiegava verso la campagna una strada che non so se ho percorso durante l'infanzia o se ho sognato..."
Pier Paolo Pasolini La vita
La seconda guerra mondiale. La morte del fratello Guido. Pasolini dal 1945 al 1949
La seconda guerra mondiale rappresenta per Pasolini un periodo estremamente
difficile. Il suo stato d'animo si intuisce anchedal tenore delle sue lettere:
"Quanto a salute non c'è male, anzi bene. Quanto a morale, anche, quando
tutto è calmo, cioè raramente. Del resto, molta paura. Paura di lasciarci la
pelle, capisci, Rico? E non soltanto la mia, ma quella degli altri. Siamo tutti
così esposti al destino; poveri uomini nudi". (7) "Non so se ci rivedremo, tutto puzza di
morte, di fine, di fucilazione.... Tutto puzza di spari, tutto fa nausea, se si
pensa che su questa terra cacano quei tali. Vorrei sputare sopra la terra,
questa cretina, che continua a mettere fuori erbucce verdi e fiori gialli e
celesti, e gemme sugli alberi..."Pasolini viene arruolato a Livorno nel
1943. All'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le
armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a
Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versutta, piccolissima
frazione di Casarsa, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi
tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio.Ma l'avvenimento
che segnerà quegli anni è la morte del fratello Guido. Guido non accetta di rimanere
nascosto a Versutta, e decide di intraprendere la lotta partigiana. Pier Paolo
accompagna Guido alla stazione, dopo aver preso un biglietto per Bologna, in
modo da sviare i sospetti. Guido da Spilimbergo raggiunge Pielungo aggregandosi
alla divisione partigiana Osoppo. Assume il nome di battaglia di Ermes, il nome
di Parini, uno degli amici di Pier Paolo disperso nella campagna di Russia.Tra
i vari gruppi della resistenza antifascista friulana nascono conflitti
intestini. I comunisti delle brigate garibaldine premono per un'annessione del
Friuli alla Jugoslavia titoista, mentre la brigata Osoppo si fa paladina della
italianità del Friuli. Guido scrive in proposito a Pier Paolo, perché si
impegni, con suoi articoli, a difendere le posizioni della Osoppo. Nel
febbraio del 1945 Guido viene massacrato, insieme al comando della divisione
Osoppo. I fatti avvengono nelle malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini
si avvicinano fingendosi sbandati, catturano quelli della Osoppo e li passano
per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una
contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. La
famiglia Pasolini saprà della morte e delle circostanze solo a conflitto
terminato. Scrive Pasolini:"Spesso penso al tratto di strada tra Musi e
Porzus, percorso da mio fratello in quel giorno tremendo, e la mia
immaginazione è fatta radiosa da non so che candore ardente di nevi, da che
purezza di cielo. E la persona di Guido è così viva".Così Pasolini
racconterà su "Vie nuove", periodico comunista, del 15 settembre
1971, rispondendo a un lettore che chiedeva chiarimenti sulla morte di
Guido:"La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io
eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i
suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni.
Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l'avevo
convinto all'antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché
anch'io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo
in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo.
Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed
ero liberale, con tendenza al partito d'azione) hanno portato con sé Guido ad
una lotta attiva. Dopo pochi mesi egli è partito per la montagna, dove si
combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la
causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L'ho
accompagnato al treno, con la sua valigietta, dov'era nascosta la rivoltella
dentro un libro di poesie. Ci siamo abbracciati: era l'ultima volta che lo
vedevo. Sulle montagne, tra il
Friuli e la Yugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi:
egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della
Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia
madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe
potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo
di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso.
Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora. Lei sa che la Venezia
Giulia è al confine tra l'Italia e la Yugoslavia: cosi', in quel periodo, la
Yugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che,
in realtà, le spettava. Mio fratello, pur iscritto al partito d'azione, pur
intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non
poteva accettare che un territorio italiano, com'è il Friuli, potesse essere
mira del nazionalismo yugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti
della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno tra due fuochi.
Come lei sa, la Resistenza yugoslava, ancor più che quella italiana, era
comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i
quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in
quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la
politica immediata, nazionalistica.Egli morì in un modo che non mi regge il
cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per
correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia
nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido
Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità,
della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua
morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile
da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella
convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e
sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che
distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nella cose, dentro la loro
segreta e inalienabile verita'".Pasolini metterà in versi nel Corus in
morte di Guido, che appariranno nello Stroligut dell'agosto 1945.La
morte di Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto
per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre
diviene ancora più stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia
in Kenia:"Egli finì così a Casarsa, in una specie di nuova prigionia: e
cominciò la sua agonia lunga una dozzina di anni".Nel 1945 Pasolini si
laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana
(introduzione e commenti)" e si stabilisce poi definitivamente in Friuli.
Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in
provincia di Udine.In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 dà
la propria adesione al Pci, iniziando una collaborazione al settimanale del
partito "Lotta e lavoro". Le circostanze della morte del
fratello Guido rappresentano sicuramente una difficoltà da superare per
l'adesione al Pci. Pasolini comunque ha sempre evitato strumentalizzazioni di
quella faccenda, gli sembrava di infangare la memoria di Guido. Pier Paolo
dovrà giustificare quell'adesione anche verso la madre e il padre, il quale
incolpava la moglie di aver permesso che Guido frequentasse degli
sbandati.L'adesione al Pci rappresenta per il giovane poeta un atto di profondo
coraggio: intendeva con ciò sacrificare il profondo dolore inferto a sé e alla
propria famiglia a un ideale sociale da condividere in pieno con quello stesso
Pc friulano che aveva ispirato politicamente gli assassini del fratello.
Pasolini diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non
viene visto di buon occhio nel partito, e soprattutto dagli intellettuali
comunisti friulani. Questi ultimi scrivono soggetti politici servendosi della
lingua del Novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza
cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò
risulta inammisibile: in Pasolini molti comunisti vedono un sospetto di
disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e
un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.In questi anni Pasolini conosce
il pittore Zigaina, cui rimarrà legato per tutto il resto della sua vita da una
profonda amicizia.Questo periodo, il periodo della militanza comunista, è
l'unico in cui Pasolini si sia impeganto attivamente nella lotta
politica. Di questi anni i manifesti murali disegnati e scritti da Pier
Paolo Pasolini; scritti di denuncia contro il costituito potere
demoscristiano.Il 15 ottobre del 1949 Pasolini viene segnalato ai Carabinieri
di Cordovado per corruzione di minorenne: è l'inizio di una delicata e
umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la vita di
Pasolini. Anni dopo, in una lettera inviata a Silvana Ottieri da Roma dove
aveva stabilito la propria residenza Pasolini dirà, tra l'altro: "Su di me
c'è il segno di Rimbaud, o di Campana o anche di Wilde, ch'io lo voglia o no,
che gli altri lo accettino o no".Pasolini viene accusato di essersi
appartato il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello con due o tre
ragazzi. I genitori dei ragazzi non sporgono denuncia ma i Carabinieri di
Cordovado venuti a sapere delle voci che girano in paese indagano sul fatto. E'
un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la Dc, siamo in
piena guerra fredda e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista
e anticlericale rappresenta un bersaglio molto vulnerabile. La denuncia per i
fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra: prima
ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949, Pasolini viene espulso
dal Pci. Ecco quanto riportato da "l'Unità" del 29 ottobre: "ESPULSO DAL PCI IL POETA PASOLINI La federazione del Pci
di Pordenone ha deliberato in data 26 ottobre l'espulsione dal partito del
Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai
fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del
poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe
correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto
decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che
in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione
borghese". Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in
un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di
Ramuscello avrà una vasta eco. Davanti ai carabinieri cerca di giustificare
quei fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come una esperienza
eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale: questo non fa che
peggiorare la sua posizione: è espulso dal Pci, perde il posto di insegnante,
si incrina momentaneamente il rapporto con la madre, è la disfatta. Pasolini
decide di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato; insieme alla
madre si trasferisce a Roma, è l'inizio di una nuova vita per Pier Paolo.
Scriverà in seguito:"Fuggii con mia madre e una valigia e un po' di gioie
che risultarono false, / su un treno lento come un merci, / per la pianura friulana
coperta da un leggero e duro strato di neve. / Andavamo verso Roma. / Andavamo
dunque, abbandonato mio padre / accanto a una stufetta di poveri, / col suo
vecchio pastrano militare / e le sue orrende furie di malato di cirrosi e
sindromi paranoidee. / Ho vissuto quella / pagina di romanzo, l'unica della mia
vita: / per il resto, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso".
Pier Paolo Pasolini La vita
Le borgate romane. Esperienze
letterarie. Il cinema. Quel tragico 2 novembre 1975
I primi anni romani sono difficilissimi per Pasolini, proiettato in una realtà
del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi
d'insicurezza, di povertà, di solitudine. Una situazione drammatica che meglio
si evince dalle stesse parole di Pasolini: "Era un periodo tremendo
della mia vita. Giunto a Roma dalla lontana campagna friulana: disoccupato per
molti anni; ignorato da tutti; divorato dal terrore interno di non essere come
la vita voleva; occupato a lavorare accanitamente a studi pesanti e complicati;
incapace di scrivere se non ripetendomi in un mondo ch'era cambiato. Non vorrei
mai rinascere per non rivivere quei due o tre anni"."Nei primi mesi del '50 ero a Roma, con
mia madre: mio padre sarebbe venuto anche lui, quasi due anni dopo, e da Piazza
Costaguti saremmo andati a abitare a Ponte Mammolo; già nel '50 avevo
cominciato a scrivere le prime pagine di Ragazzi di vita. Ero
disoccupato, ridotto in condizioni di vera disperazione: avrei potuto anche
morirne. Poi con l'aiuto del poeta in dialetto abruzzese Vittori Clemente
trovai un posto di insegnante in una scuola privata di Ciampino, a venticinuque
mila lire al mese".Scrive Pasolini in quegli anni a Silvana
Ottieri:"Una cosa che non capisco, e che non rientra nei calcoli, nel
conto tra me e chi mi punisce, è il destino di mia madre. Non te ne scriverò a
lungo, perché ho già le lacrime agli occhi. Ha trovato lavoro presso una
famigliola (marito e moglie con un bambinello di due anni): e con un eroismo e
una semplicità che non ti so dire, ha accettato la sua nuova vita.Vado a
trovarla ogni giorno e le porto a spasso il bambino, per aiutarla un po': lei
fa di tutto per mostrarsi contenta e leggera: ieri era il giorno del mio
compleanno, e tu sapessi come si è comportata...".Il padre è malato, e
dopo i fatti di Casarsa si sono accentuati i contrasti con il figlio:"Due
anni di lavoro accanito, di pura lotta: e mio padre sempre là, in attesa, solo
nella povera cucinetta, coi gomiti sul tavolo e la faccia contro i pugni,
immobile, cattivo, dolorante; riempiva lo spazio del piccolo vano con la
grandezza che hanno i corpi morenti".Pasolini piuttosto che chiedere aiuto
ai letterati che conosce, per pudore, cerca da solo di trovarsi un lavoro.
Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà; fa il
correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.Finalmente,
grazie al poeta in lingua abruzzese Vittori Clemente trova lavoro come
insegnante in una scuola di Ciampino.Sono gli anni in cui Pasolini trasferisce
la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate
romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso
processo di crescita: nasce il mito del sottoproletariato romano."Sono due
o tre anni che vivo in un mondo dal sapore "diverso": corpo
estraneo e quindi definito di questo mondo, mi ci adatto con prese di
coscienza molto lente. Tra ibsnesiano e pascoliniano (per intenderci...) sono
qui in una vita tutta muscoli, rovesciata come un guanto, che si spiega sempre
come una di queste canzoni che una volta detestavo, assolutamente nuda di
sentimentalismi, in organismi umani così sensuali da essere quasi meccanici;
dove non si conosce nessuno degli attegiamenti cristiani, il perdono, la mansuetudine
ecc... e l'egoismo prende forme lecite, virili [...] Nel mondo settentrionale
dove io sono vissuto, c'era sempre, o almeno mi pareva, nel rapporto tra
individuo e individuo, l'ombra di una pieta' che prendeva forme di timidezza,
di rispetto, di angoscia, di trasporto affettuoso ecc.: per vincolarsi in un
rapporto di amore bastava un gesto, una parola. Prevalendo l'interesse verso
l'intimo, verso la bontà o la cattiveria che è dentro di noi, non era un
equilibrio che si cercava tra persona e persona, ma uno slancio reciproco. Qui
tra questa gente ben più succube dell'irrazionale, della passione, il rapporto
è sempre invece ben definito, si basa su fatti più concreti: dalla forza
muscolare alla posizione sociale". Pasolini prepara le antologie sulla
poesia dialettale; collabora a "Paragone", una rivista di Anna Banti
e Roberto Longhi. Proprio su "Paragone" pubblica la prima versione
del primo capitolo di Ragazzi di vita. Angioletti lo chiama a far parte
della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda,
Leone Piccioni e Giulio Cartaneo. Sono definitivamente alle spalle i difficili
primi anni romani. Nel 1954 Pasolini abbandona l'insegnamento e si
stabilisce a Monteverde Vecchio (un quartiere piccolo-borghese di Roma).
Pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: La meglio
gioventù.Nel 1955 viene pubblicato da Garzanti il romanzo Ragazzi di
vita, che ha un vasto successo, sia di critica che di lettori. Il giudizio
della cultura ufficiale del Pci è in gran parte negativo. Il libro viene
definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, dell'abietto, dello
scomposto, del torbido". La Presidenza del Consiglio (nella persona
dell'allora ministro degli Interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria
contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo dà luogo all'assoluzione perché
"il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto dalle
librerie, viene dissequestrato. Pasolini diventa uno dei
bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera: viene accusato di reati al limite
del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni
di un bar limitrofo a un distributore di benzina a San Felice Circeo. Nel
1957 Pasolini, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, Le
notti di Cabiria, stendendone i dialoghi nella parlata romanesca. Firma le
sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce
come attore nel film Il gobbo del 1960. In quegli anni Pasolini
collabora alla rivista "Officina" accanto a Leonetti, Roversi,
Fortini, Romanò, Scalia. Nel 1957 pubblica le raccolte di poesie Le ceneri
di Gramsci da Garzanti e l'anno successivo, il 1958, da Longanesi, L'usignolo
della Chiesa cattolica. Nel 1960 Garzanti pubblica la raccolta di saggi Passione
e ideologia", e nel 1961 un altro volume di versi La religione del
mio tempo.Nel 1961 Pasolini realizza il suo primo film da regista e
soggettista, Accattone. Il film viene vietato ai minori di diciotto anni e
suscita non poche polemiche alla XXII Mostra del cinema di Venezia. Del 1962
è Mamma Roma. Nel 1963 l'episodio La ricotta diretto da
Pasolini e inserito nel film RoGoPaG, viene sequestrato e Pasolini è
impuato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel '64 dirige Il
Vangelo secondo Matteo; nel '65 Uccellacci e Uccellini; nel '67 Edipo
re; nel '68 Teorema; nel '69 Porcile; nel '70 Medea;
tra il '70 e il '74 la triologia della vita, ovvero Decameron, I
racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte; il suo
ultimo film è Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975. Il cinema
lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 è, con Elsa
Morante e Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana,
Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (dove girerà un importante documentario dal
titolo Sopralluoghi in Palestina).Nel 1966, in occasione della
presentazione di Accattone e Mamma Roma al festival di New York,
compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti; rimane molto colpito da quel
paese e soprattutto da New York. Confesserà a Oriana Fallaci:"Non mi era
mai successo di innamorarmi così di un paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in
Africa vorrei andare e restare, per non ammazzarmi. Sì, l'Africa è come una
droga che prendi per non ammazzarti. New York invece è una guerra che affronti
per ammazzarti".Nel 1968 Pasolini è di nuovo in India per girare un
documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania realizzerà
il documentario Appunti per un'Orestiade africana.Nel 1972, presso
Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica
cinematografica, nel volume Empirismo eretico.Negli anni della
contestazione studentesca Pasolini assume una posizione originale rispetto al
resto della cultura di sinistra. Seppure accetta e appoggia le motivazioni
ideologiche degli studenti, ritiene che questi siano antropologicamente dei
borghesi, e in quanto tali destinati a fallire nel loro tentativo
rivoluzionario.Nel 1968 Pasolini ritira dalla competizione del Premio Strega il
suo romanzo Teorema e accetta di partecipare alla XXIX Mostra del
cinema di Venezia solo dopo che, come gli è stato garantito, non ci saranno
votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori
dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere
l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film Teorema viene
proiettato per la critica in un clima arroventato. Pasolini interviene alla
proiezione del film per ribadire che il film è presente alla Mostra solo per
volontà del produttore, ma in quanto autore prega i critici di abbandonare la
sala. Ciò non avviene. Il regista si rifiuta allora di partecipare alla
tradizionale conferenza stampa, e invita i giornalisti nel giardino di un
albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale.Nel 1972
Pasolini decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad
alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre,
sulla strage di piazza Fontana a Milano.Nel 1973 comincia la sua collaborazione
al "Corriere della Sera", con interventi critici sui problemi del
paese.Nel 1970 Pasolini acquista quel che resta di un castello medievale nei
pressi di Viterbo. Lo ristruttura e qui comincia la stesura della sua opera che
resterà incompiuta, Petrolio.Nel 1975, presso Garzanti, pubblica la
raccolta di interventi critici Scritti corsari, e ripropone le poesia
friulana con il titolo di La nuova gioventù.La mattina del 2 novembre
1975, sul litorale romano di Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo,
una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. E' Ninetto
Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini."Quando il suo corpo
venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante
scostato e l'altro nascosto dal corpo.I capelli impastati di sangue gli ricadevano
sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera
di lividi, di ferite. Nerolivide e rosse di sangue anche le braccia, le mani.
Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra
fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a
metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul
torace, sui lombi, con il segni dei pneumatici della sua macchina sotto cui era
stato schiacciato. Un'orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci
costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il
cuore scoppiato".Nella
notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la
rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà di
Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei
fatti, confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato Pasolini presso la
Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo
del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, Pasolini
avrebbe tentato un approccio sessuale e vistosi respinto avrebbe reagito
violentemente; questo avrebbe scatenato la reazione del ragazzo.Il
processo che segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si ipotizza da
diverse parti il concorso di altri nell'omicidio. Non vi sarà mai chiarezza su
questo punto. Pino Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di
Pasolini. Pasolini è sepolto a Casarsa, nel suo mai dimenticato Friuli."E'
dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di
senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque
attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una
ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte
compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti
veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili
momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro
presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non
descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben
descrivibile (nell'ambito appunto di una Semiologia generale). Solo
grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci".
Pier Paolo Pasolini La vita
Pasolini assassinato a Ostia. L'omicida (17 anni) catturato
confessa.
Il corpo straziato dello scrittore
ritrovato su uno spiazzo a duecento metri dal mare
di Ulderico Munzi "Corriere della
Sera", 3 novembre 1975
Roma, 2 novembre 1975 - Pier Paolo Pasolini è stato ucciso. E' accaduto
stanotte a Ostia, a duecento metri dal mare. La scena del delitto è uno
sterrato deserto su cui sorgono delle squallide casupole abusive, quasi delle
baracche. Lo scrittore è stato massacrato a colpi di bastone. Poi l'assassino
ha schiacciato il suo corpo steso a terra nella polvere con le ruote di una
automobile. Chi ha agito in modo così spietato è un ragazzo di 17 anni e 4 mesi,
un ragazzo di borgata. Si chiama Giuseppe Pelosi, abita sulla Tiburtina. Sembra
uno di quei tragici giovani descritti da Pasolini: magro, slanciato, altezza
media, volto ancora infantile ma marcato, capelli ricci. Giuseppe Pelosi,
arrestato dai carabinieri, ha confessato al giudice il suo crimine: «Mi ero
inferocito e l'ho colpito sempre più forte e quando l'ho visto a terra sono
corso alla macchina e sono passato sopra di lui». Un fatto atroce. Adesso che
la salma di Pier Paolo Pasolini giace in una cella dell'obitorio e che il
ragazzo di borgata trascorre la sua prima notte di orrore in una cella
d'isolamento, possiamo tentare di ricostruirlo con le testimonianze e i dati in
nostro possesso. Ci sono ancora molti punti oscuri sui quali si dovrà fare luce.
Ecco la cronaca delle ultime ore di Pasolini, 53 anni, rientrato a Roma due
giorni fa da Parigi. È l'ultima "notte brava".Sono le 22. Lo scrittore siede a un tavolo
del ristorante "Il Pomodoro" nel quartiere San Lorenzo, una zona
popolare a sud di Roma. E in compagnia di Ninetto Davoli, suo vecchio amico,
protagonista di alcuni suoi film. E con Davoli c'è la sua famigliola: la moglie
e i due figli. Stanno finendo di mangiare. Pasolini parla della sua attività
artistica con la sua voce sottile. Nessun segno insolito trapela dal suo
comportamento. Riferisce Ninetto Davoli: «Ci ha parlato anche di questa
violenza che ci circonda. Mi diceva che la vita nelle borgate non era più
quella di una volta, quei giovani si erano trasformati, erano stati afferrati
dal turbine del capitalismo». La violenza è l'argomento della serata. Una frase
colpisce Ninetto Davoli: «E odiosa la gente», dice a un tratto Pasolini. E
aggiunge: «Venendo al ristorante ho sempre camminato a testa bassa, non volevo
vedere in faccia nessuno».Alle 22.30 la piccola comitiva si scioglie. «Vado a
dare un'occhiata a una sceneggiatura», dice Pier Paolo Pasolini salendo sulla
sua "Alfa Romeo" sportiva di colore argento. La Stazione Termini non
è distante dal quartiere San Lorenzo. Solo nella sua Alfa Romeo, Pasolini vi
giunge alle 23 e qualche minuto. E comincia a girare per quelle strade che
raccolgono teppa, prostitute e ragazzi di vita. Cerca compagnia e la trova alle
23.30.Sul marciapiede che corre lungo i portici di piazza dei Cinquecento, sulla
destra della stazione, sosta un gruppo di ragazzi. Sono da poco usciti da un
cinema. Giuseppe Pelosi, dopo aver confessato il delitto, ha così raccontato
agli inquirenti l'incidente con lo scrittore. «S'è accostata una "GT"
metallizzata, c'era un uomo dentro che m'ha invitato a fare un giro. L'ho
riconosciuto subito, era quel Pasolini...». Giuseppe Pelosi accetta e sale. Si
sente fiero e, nello stesso tempo, fiuta una grossa avventura. Da un anno e
mezzo ha smesso di fare il cascherino, cioè quei ragazzi che portano il pane ai
fornai. é andato a scuola fino alla seconda media e vive con la famiglia in via
Antonio Fusinati, in una località denominata "Sette ville". Suo
padre, Antonio, 44 anni, lavora come commesso in un negozio di articoli per
regalo. Sua madre, Rosa Paoletti in Pelosi, lavora a casa. Giuseppe ha anche
una sorella, Maria, 19 anni. La sua abitazione è modesta, si trova su una
collinetta polverosa prima di Guidonia. E da un anno e mezzo Giuseppe vive di
espedienti. Un furtarello gli è stato perdonato, un altro furtarello, compiuto
su un pullman in sosta l'11 settembre, lo vede in galera per soli due giorni.
Il 13 il giovane torna in libertà. Di che cosa parlano nell'Alfa Romeo che si
dirige verso l'Ostiense, Pasolini e il suo occasionale amico? Pelosi dice che
Pasolini gli faceva molte domande. sulle sue idee, sul suo modo di vivere.
«Capivo poco...». ammette con il giudice. Pasolini gli chiede: «Hai mangiato?».
Lui risponde di no. E insieme entrano alle 23 e 30 in un ristorante,
"Mario", della via Ostiense, vicino alla basilica di San Paolo. Lo
scrittore è conosciuto. Il ragazzo è servito in fretta. Dice un cameriere:
«Mangiava di buon appetito e Pasolini lo stava lì a guardare in silenzio».A
mezzanotte e dieci escono. A mezzanotte e quindici, sempre in via Ostiense,
Pier Paolo Pasolini s'accorge di avere poca benzina. La "GT" si
arresta a un distributore automatico della "Total". Aiutato da
Pelosi, lo scrittore infila nella macchina tre biglietti da mille. È il giovane
che infila la pompa nel serbatoio. Esiste un testimone, rintracciato dalla
polizia, che segue questi gesti. Anche lui deve fare benzina.A questo punto
dobbiamo ricostruire le scene che seguono con l'aiuto degli esperti della
polizia. Ci può aiutare, anche, la confessione del giovane, benché su di essa è
lecito avanzare molti dubbi: è il parere dello stesso capo della Squadra
mobile, Masone. La macchina di Pasolini fila sull'autostrada, raggiunge Ostia,
volta a destra sul lungomare. percorre altri tre chilometri e rallenta, nella
parte est della città, in una zona detta dell'idroscalo. È quasi l'una di
notte. Non c'è nemmeno un lampione. Pasolini imbocca una strada stretta e piena
di buche che costeggia baracche e cimiteri di automobili. Lo scrittore conosce
la località. A un certo momento gira a sinistra e si arresta in un campo di
football, polveroso. A qualche metro si scorgono le sagome basse delle casupole
che la gente povera s'è costruita con le proprie mani abusivamente per stare
nei giorni di festa vicino al mare. Un mare che non si vede ma che ieri era in
burrasca. In questo campo di football, inquadrato tra le baracche, Pasolini
viene spesso a giocare con i ragazzi di borgata.Le prossime sequenze sono
ricostruite con le dichiarazioni rese al giudice dal ragazzo. Egli dice: «Pasolini
voleva avere rapporti con me. Io non volevo». Pare, invece, che Giuseppe Pelosi
in un primo momento abbia accettato le richieste dello scrittore. Lo pensa la
polizia. Ma una frase o un gesto debbono aver scatenato una discussione tra i
due. Ecco che scendono dalla macchina. «Quello insisteva», dice ancora Pelosi.
Contro una staccionata il diverbio si accende più violento. Racconta il
giovane: «Pasolini ha preso un bastone e mi ha colpito». Effettivamente sulla
sua testa c'è una ferita, c'è voluto un punto di sutura. Pelosi reagisce,
stacca un pezzo di legno dalla staccionata e si scaglia sullo scrittore. Dà
colpi su colpi finché non lo vede cadere a terra. Si allontana di qualche passo
e, secondo la ricostruzione della polizia, fugge. Pasolini, sanguinante da due
ferite che gli hanno quasi strappato le orecchie, riesce ad alzarsi e lo
insegue.Lo scrittore è un uomo robusto. «Probabilmente». dice un commissario,
«voleva rincorrere il ragazzo non per fargli del male, ma per dirgli di
smetterla di litigare». Pasolini vuole calmarlo. Lo chiama con quel soprannome.
"Rana", con cui Pelosi è conosciuto dai suoi amici per i suoi occhi
un po' sporgenti. "Rana" glielo aveva confidato poco prima. Nel
silenzio dello sterrato si odono soltanto le loro grida. Quando viene ripreso,
il ragazzo si scatena, colpisce ancora dopo aver strappato una targa da un
cancello di legno dipinto di un rosa intenso: dietro quel cancello c'è
abbandonata una sedia a dondolo per bambini.Colpi alla nuca, sul cranio, sul
volto, Pasolini crolla, agonizzante. sulla polvere grigia. Il ragazzo torna
alla macchina, mette in moto e gli piomba addosso, sradicando, nella furia, un
paletto di cemento armato. Sulla schiena di Pasolini ci sono i segni delle
ruote. Lo scrittore indossa un paio di jeans, una maglietta verde che gli
lascia le braccia nude, e un paio di stivaletti.E adesso la fuga
dell'assassino. Sono le una e quindici. Anche lui sanguina dalla ferita, si
asciuga, guidando, con un fazzoletto che gli investigatori troveranno sui
sedili beige dell'Alfa Romeo accanto a una raccolta del "Politecnico"
di Vittorini. La "GT" sbuca sul lungomare e comincia la sua pazzesca
corsa alla ricerca della strada per Roma. In viale Duilio imbocca un senso
vietato. C'è una macchina dei carabinieri che si lancia all'inseguimento.
Riferiscono i militi Antonio Cuzzupè e Giuseppe Guglielmi: «Ci siamo buttati
all'inseguimento e poco dopo, di fronte allo stabilimento balneare "Tibi
dabo", ci siamo affiancati alla "GT". L'uomo ch'era al volante
ha fatto finta di fermarsi e poi è ripartito a tutta velocità. L'abbiamo
ripreso dopo 700 metri e bloccato».È l'una e venti. Nessuno ancora sa che
Giuseppe Pelosi ha ucciso lo scrittore Pier Paolo Pasolini. I due carabinieri
lo agguantano e lo portano in caserma. Racconta l'appuntato Cuzzupè: «Dopo
averlo identificato, Pelosi ha ammesso il furto dell'auto. In un parcheggio di
Roma. Piangeva, ripeteva: "Mamma perdonami per quel che ho fatto".
Diceva ancora che lunedì doveva riprendere a lavorare. Non ci siamo sorpresi, nemmeno
quando s'è rimesso a piangere perché gli si era detto della macchina di
Pasolini. "Hai rubato a uno scrittore famoso"...».Quando Giuseppe
Pelosi è condotto nel carcere minorile di Casal del Marmo, alle 5 del mattino,
nessuno ha ancora scoperto il corpo di Pasolini. Sul cadavere incombe il
silenzio dello sterrato. La prima a scorgerlo è la signora Maria Teresa
Lollobrigida. Ma non capisce subito. È scesa per scaricare i pacchi dalla
macchina del marito. Sono le 6,30 e la luce è incerta. La donna dice: «Hanno buttato
un sacco di immondezza, questi sporcaccioni». S'avvicina per toglierlo e, a due
passi dal sacco d'immondizia, grida: «Alfredo, è un morto, c'è tanto sangue».
Alfredo e suo figlio, Gianfranco, 27 anni, accorrono. «Corri dalla polizia»,
intima il padre. E Gianfranco salta in macchina a va al commissariato. La donna,
piccola, bruna, resta accanto al corpo di Pasolini assieme ad altri familiari.
Erano venuti nella casupola per festeggiare con gnocchi e vino bianco un
compleanno. C'è ancora tanto silenzio che, dopo cinque minuti, alle 6,45, è
rotto dalla sirena della polizia.Il commissario Vitali di Ostia si china
accanto a Pier Paolo Pasolini. Comincia a venire gente. Lo scrittore giace
bocconi, il braccio destro ripiegato sotto il torace, il sinistro lungo il
fianco. Il commissario, quando gira il corpo dello sconosciuto, mormora
stupito: «Mi sembra Pasolini...». È lui. C'è la sua camicia inzuppata di sangue
vicino alla porta dei goal del campo sportivo, ci sono pozze di sangue a
segnare i momenti in cui avrebbe inseguito Giuseppe Pelosi. Al primo sole c'è
qualcosa che brilla a un metro dal corpo: un anello d'oro con un rubino rosso
incastonato.È la prova contro Giuseppe Pelosi, perché appartiene a lui:
nessuno, però, ancora lo sa. Giungono i carabinieri, riferiscono la storia
dell'automobile guidata da un giovane, si telefona allora alla caserma dell'Eur
che si trova nei pressi di via Eufrate ove abita Pasolini. «Non è rientrato»,
dice la governante. È avvertito Ninetto Davoli che, alle 10, arriva sul luogo.
«E Pier Paolo», dice piangendo. In quegli stessi istanti un carabiniere ricorda
un particolare: il giovane arrestato nella notte a bordo dell'auto sì lamentava
perché aveva perso un anello. «E un anello di valore, tutto oro», diceva.
Qualcuno esamina la "GT" color argento: sotto la fiancata sinistra
appaiono tracce di materia cerebrale, si scorgono capelli e sangue.Il giudice e
i poliziotti si precipitano al carcere minorile di Casal del Marmo dove è stato
portato Giuseppe Pelosi. Non è difficile far parlare il ragazzo di borgata. Gli
era accanto un avvocato. Il giudice chiede: «Questo anello è tuo?». Con quel
suo «sì» Giuseppe Pelosi crolla. E man mano racconta la sua versione. Dice:
«L'ho colpito ma non volevo ucciderlo e nemmeno schiacciarlo con la sua macchina».
Il magistrato ha emesso, nel primo pomeriggio. un ordine di carcerazione per
omicidio volontario pluriaggravato. Il processo si farà a porte chiuse perché
l'imputato è minorenne.Commenta Ninetto Davoli: «In una società così violenta
la morte di Pier Paolo era prevista». Chi è Giuseppe Pelosi? «Prima era un
angelo, un pezzo di pane», dice la madre, «crescendo, però, si è rovinato».
Rosa Paoletti in Pelosi aggiunge: «Ma non potevamo stargli dietro perché tutti
e tre dobbiamo lavorare per campare. Lo vedevamo così poco...». Spiega Davoli a
noi giornalisti: «Perché vi stupite, perché cercate di creare chissà quali
storie dietro questa vicenda? A Roma si uccide per rabbia. Roma è violenta.
Roma non conosce ancora il suo nuovo atroce volto».
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