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Canto XX Purgatorio ancora IV girone Gli avari

italiano



Canto XX Purgatorio    ancora IV girone Gli avari

Giacciono a terra con la faccia volta in giù e mani e piedi legati.
Come in vita furono attratti solo dai beni terreni così ora non possono guardare in alto

Dante ha già incontrato papa Adriano IV che attaccato ai beni terreni si convertì, ma tardi. Dante si inginocchia, ma il papa lo invita ad alzarsi perché non ci sono più lì poteri terreni, ma solo spiriti servi ad una solo potere: quello divino. Adriano IV lo ha poi invitato a proseguire perché desidera  non arrestare il suo cammino di purificazione.


Miglior volere il desiderio di proseguire nella purificazione

luoghi spediti liberi da gruppi di anime troppo si approccia si avvicina



tutto il mondo occùpa riprende San Tommaso che afferma che il desiderio di ricchezza è fonte di tutti i peccati

richiamo alla lupa simbolo dell'avarizia che più di tutte l'altre bestie ha preda (vedi Inf.I e l'incontro di Dante con le tre fiere mentre tenta di uscire dalla selva: la lupa è la più temibile. "che di tutte brame sembiava carca nella sua magrezza e molte genti fé gia viver grame" è quella che gli toglie la speranza di raggiungere la cima del colle)


Domanda rivolte al cielo che secondo la credenza medioevale era regolato da Dio ed aveva influenza sulle umane (vedi quanto è detto sulla Fortuna Inf. VII 73..): quando giungerà colui che la fà allontanare.


Dante sente ricordare esempi di liberalità (con un grido simile a donna che partorisce)

la povertà accettata da Maria per cui anche il figlio fu partorito in povero ospizio

il disprezzo delle ricchezze del console Fabrizio che rifiutò i doni offerti dal re Pirro (che volesti possedere povertà con virtù anziché gran ricchezza con vizio) aver contezza conoscere

la generosità di san Nicola da Bari che offrì una dote a tre fanciulle povere per farle sposare e sottrarle alla madre che le voleva avviare ad una vita di vizio.


Domande rivolte allo spirito che parla tanto ben favelle esponi esempi tanto buoni

chi sei'

perché da sola rinnovi queste degne lodi?

(non chiede la pena, perché l'ha già spiegata Adriano IV)

Promessa di ricompensa (sottinteso le preghiere dei vivi) quando tornerà sulla terra a compiere il breve cammino che ancora lo attende.

L'anima risponde che lo farà non perché attenda conforto dalle preghiere dei suoi, ma per quella grazia che traspare in Dante.

Rivela di essere il capostipite radice di quella cattiva pianta mala pianta che sparge la sua ombra mortale tutta aduggia sulla cristianità tanto che raramente dà buon frutto. Ma se le città delle Fiandre conquistate (Douai, Gand Bruge e Lilla) potessero si vendicherebbero e chiede a Dio che tutto giudica tutto giuggia questa vendetta.

(La vendetta avvenne veramente nel 1302 prima che Dante scrivesse questo canto, quindi questa si può considerare insieme richiesta e profezia di vendetta).

Lo spirito dice di essere Ugo Capeto, da cui sono discesi i vari Luigi e Filippi che hanno regnato in Francia, di essere nato da un macellaio e di essersi trovato ad amministrare il regno e ad avere tanto potere e tanti amici "trova' mi stretto nelle mani il freno del governo del regno e tanta possa e d'amici pieno" quando si estinsero gli antichi re, cioè i Carolingi, fuori che uno fatto frate, tanto che suo figlio ebbe la corona "la testa di mio figlio fu promossa alla corona vedova" cioè rimasta senza sposo". Da lui discesero i vari re le sacrate ossa (i re di Francia erano consacrati a Reims) il potere non era molto "poco potea, ma pur non facea male" ma non furono compiute azioni riprovevole finché la Provenza portata in dote da Beatrice Berlinghieri a Carlo d'Angiò non tolse ogni senso di  vergogna di accumulare ricchezze e potere.

Da questo momento cominciarono con la forza o con l'inganno le rapine politiche e di poi per scontare il male commesso si passò da nefandezza in nefandezza.

"per ammenda" è ripetuto ben tre volte e con questa ripetizione e l'uso dell'ironia anzi del sarcasmo Dante dà forza alla sua invettiva contro la discendenza di Ugo Capeto quasi che ogni nuovo atto riprovevole fosse stato compiuto per scontare il precedente.


Dapprima la casa di Francia sottrasse agli Inglesi la Normandia la Guascogna e la contea di Ponthieu

Poi Carlo venne in Italia contro Manfredi alla conquista del regno di Napoli

Infine con una farsa di processo fece uccidere Corradino "vittima fé" venuto in Italia per riconquistare il regno agli Svevi.

Di poi mandò in cielo da dove era venuto "ripinse" SanTommaso (morto in realtà di malattia presso Fossanova nel Lazio, mentre si recava al concilio di Lione chiamato da Gregorio X. La voce del delitto a cui accenna Dante si mantenne tuttavia molto tempo dopo la sua morte.


"per far conoscere meglio sé e i suoi" (continua l'ironia) esce di Francia un altro Carlo: Carlo di Valois, senza seguito di soldati, ma con quell'arma del tradimento usata da Giuda che appunta contro Firenze e le "fa scoppiar la pancia" favorendo l'esilio dei migliori cittadini (vedi il De vulgari eloquentia) oppure mettendo a nudo il marciume della città.

Da questo tradimento non guadagnerà terre, ma solo colpa e vergogna ma "peccato ed onta" tanto più gravi quanto li stimerà "conta" colpa da poco, "quanto più lieve tanto più grave" non dimostrerà coscienza del male compiuto.


Dopo Carlo di Valois un altro Carlo, Carlo II  figlio di Carlo I d'Angiò, (Dante accenna al fatto che mentre partecipava alla Guerra del Vespro fu fatto prigioniero) patteggiò le nozze della figlia come fanno i corsari con le schiave, "vender sua figlia" pretendendo una forte somma dallo sposo Azzo VIII d'Este. Da ciò l'invettiva (apostrofe) contro il peccato dell'avarizia che ha condotto a tal punto i discendenti di Ugo Capeto da vendere così il proprio sangue.

"Veggio" ripetuto da qui in poi cinque volte vuole indicare il valore profetico delle parole di Ugo Capeto e dare maggior forza alle accuse che Dante rivolge ai Capetingi, mettendole in bocca al loro

capostipite.

Perché il male compiuto nel passato e quello futuro potessero sembrare meno gravi "perché men paia il mal futuro e il fatto" (riprende il concetto del "per ammenda") si compie un delitto che non ha uguali: l'oltraggio a Cristo nella figura del pontefice. "catto" fatto prigioniero. (Anche se Dante pone nell'inferno come uomo peccatore simoniaco Bonifacio VIII, qui si indigna contro l'offesa compiuta contro di lui come vicario di Cristo) Vede nel suo vicario Cristo fatto nuovamente prigioniero, e deriso, gli è offerto aceto e fiele ed è ucciso fra due ladroni, che non muoiono con lui e non provano alcun pentimento, mentre Filippo il Bello, nuovo Pilato, non interviene anzi permette questo strazio. Quindi nella sua cupidigia "drizza le vele " si rivolge contro i Templari e li spoglia delle loro ricchezze.

Si allude qui all'oltraggio compiuto da due inviati di Filippo IV il Bello Filippo di Nogaret e Sciarra Colonna che in Anagni penetrati con la forza nella residenza papale "veggio in Alagna penetrar lo fiordaliso (il giglio di Francia (fleur de lis) schernirono ed oltraggiarono Bonifacio VIII (1302) (episodio conosciuto come lo schiaffo di Anagni) lo tennero prigioniero per tre giorni, liberato, ma moralmente fiaccato, il pontefice morì poco dopo nel 1303.

Le accuse di Ugo Capeto contro la sua discendenza si concludono con l'augurio di poter vedere realizzarsi la santa ira di Dio nella vendetta. "nascosa" (nascosto è agli uomini l'imperscrutabile giudizio divino). (il giusto si dispiace della colpa ed è naturale che si compiaccia del castigo)

volgere a me per avere spiegazione "chiosa"

quando scende la notte sono gridati esempi di valore contrario Di giorno sono esaltati esempi di generosità di notte esempi di avarizia punita, (di tutti i peccati che derivano dall'avarizia)

"secondo l'affezione" il desiderio di espiazione da cui sono stimolati.

"brigavam" ci davamo da fare

"che prima udir quel canto" per la prima volta


Dante confonde Ugo il Grande con Ugo Capeto fa dei due un solo personaggio

In effetti l'ultimo discendente carolingio (Carlo di Lorena) non fu frate, ma fatto prigioniero da Ugo Capeto.

Carlo I d'Angiò conte di Provenza fu fratello di Luigi IX. Dopo aver sposato Beatrice l'ultima erede delle contea di Provenza chiamato dal papa Clemente IV iniziava la sua marcia "venne in Italia" contro Manfredi, figlio illegittimo di Federico II, lo sconfisse a Benevento dove Manfredi morì (1266) combattè Corradino, ultimo discendente della Casa Sveva, lo vinse a Tagliacozzo (1268) lo fece uccidere a tradimento e si impadronì di tutta l'Italia meridionale e della Sicilia.

Più tardi mentre Carlo subiva colpi in tutta la penisola e aveva perso la protezione del papa allarmato dalla sua espansione, nella Sicilia cresceva il malcontento tanto che dopo l'insurrezione del lunedì santo del 1282 (tumulto dei Vespri) intervenne in aiuto dei Siciliani Pietro III di Aragona genero di Manfredi, ne aveva sposata la figlia Costanza (vadi a mia bella figlia, genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona Purg. III 115) La guerra durò venti anni e durante questa fu fatto prigioniero anche suo figlio. (vedi Carlo II d'Angiò)

Carlo di Valois fratello di Filippo IV il Bello re di Francia venne in Italia per riconquistare la Sicilia perduta con la Guerra del Vespro e reduce dalla guerra fu mandato dal papa Bonifacio VIII a Firenze dove la discordia era entrata anche fra i guelfi vincitori divisi ormai nelle due fazioni dei Bianchi capeggiati dai Cerchi e dei Neri capeggiati dai Donati. In realtà Carlo appena nella città gettò la maschera ed appoggiò apertamente i Neri consentendo loro di mandare in esilio i propri avversari fra cui lo stesso Dante colpito dalla falsa accusa di baratteria, cioè di abuso di denaro pubblico

Carlo II d'Angiò figlio di Carlo I fu fatto prigioniero durante la Guerra del Vespro divenuto re sposò la figlia a Azzo VIII d'Este.

Fra Filippo IV e Bonifacio VIII era alta la tensione per la questione di tasse che il re imponeva anche agli ecclesiastici. Il papa scomunicò il re il quale per niente piegato da tale iniziativa convocò gli Stati Generali (il Parlamento) e fece approvare una legge che sanciva come l'autorità del re derivasse direttamente da Dio e non dal pontefice. Invano il papa dichiara eretico chi sostenga l'indipendenza del potere dello stato da quello del papato e neghi al papa il diritto di scomunicare. La reazione di Filippo è fulminea: due suoi inviati Nogaret e Sciarra penetreranno con la forza nella sede pontificia e faranno prigioniero il vecchio papa.




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