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EUGENIO MONTALE - VITA

ragioneria



EUGENIO MONTALE

L'itinerario di Montale procede verso l'approfondimento di una visione della vita e di una concezione della poesia che sono chiaramente definite sin dai primi versi, si precisano man mano, ma senza svolte o ribaltamenti, acquistano risonanza e spessore per un lavoro di scavo - che non rinnega il punto di partenza - lento, discreto, alieno da ogni appariscenza. Il che d'altra parte è in perfetto accordo con la schiva riservatezza dell'uomo Montale.

VITA

Nato a Genova nel 1986, Eugenio Montale ha compiuto in questa città gli studi classici; iscrittosi alla facoltà di lettere ha interrotto gli studi perché chiamato alle armi: come ufficiale di fanteria partecipa alla prima guerra mondiale. Vicino, nel dopoguerra, all'ambiente gobettiano pubblica nelle edizioni de La Rivoluzione liberale, nel 1925, la sua prima raccolta di versi Ossi di seppia.



Per una decina di anni fa il direttore del "gabinetto scientifico G.P. Viesseux" a Firenze, ma nel 1939, per il rifiuto di iscriversi al partito fascista, ne viene allontanato. Ha collaborato intanto a riviste letterarie (Solaria, soprattutto) , ha scoperto, dedicandogli un famoso saggio nel 1925, Svevo, ha pubblicato nel 1939 la sua seconda raccolta di versi Le occasioni.  Oltre che all'attività poetica (la sua terza edizione La bufera è del 1956) si è dedicato a quella di traduttore, di saggista, di critico musicale. Il punto di partenza dell'itinerario poetico di Montale è segnato dalla raccolta di Ossi di seppia che, pubblicata nel 1925, contiene quanto Montale aveva scritto in un decennio circa. Parecchie cose colpiscono in questa prima raccolta:

anzitutto il linguaggio poetico: Montale si distingue sia per un lessico che mira ad una naturalistica precisione, non ripudia qualche presenza dialettale o gergale o tecnicistica e non ha ambizioni di tono alto; ha una predilezione verso un tono discorsivo che talvolta si distende nella descrizione, talvolta diventa sentenzioso, amaramente epigrammatico.

Anche la realtà paesaggistica descritta ha una sua fisionomia che va sottolineata: è il paesaggio ligure ma privo da ogni turistica seduzione, anzi colto nella sua asprezza (orto assetato; afa stagna irti ramelli; calvi picchi) nel suo dimesso squallore (viuzze che seguono i ciglioli e discendono tra i ciuffi delle canne; scalcinati muri, ripa.\franosa gialla \ da strioscie d'acqua piovana).

Come in ogni vero poeta, così in Montale questi due elementi (linguaggi e realtà paesaggistica) non sono che mezzi per estrinsecare, rendere manifesto un mondo interiore, una concezione del vivere i cui elementi essenziali sono una cupa angoscia esistenziale, un fermo stoici rifiuto della facile consolazione, la consapevolezza del male di vivere, la coscienza dello scacco, della sconfitta dell'uomo, prigioniero di determinazioni di cui gli sfugge il senso. Né la poesia ormai può indicare la strada per uscire da questa situazione (non domandarci la formula che mondi possa aprirti), può solo offrire qualche storta sillaba e secca come un ramo, cioè può solo trascrivere, rinvenendola negli oggetti, negli aspetti più ovvi, questa condizione di un cosmico mal di vivere: la poesia è consapevolezza della negatività, del non essere, del mancato realizzarsi dell'uomo. Ed ecco da ciò una costante della poesia di Montale: l'impegno di trovare, pur nel dato oggettivamente descritto, una soluzione simbolica, di oggettivare un modo di sentire in un paesaggio, in un elemento della realtà evitando così la facile effusione sentimentale, l'abbandono a un'oratoria che spiega a propaganda una posizione etico-intellettuale . Ma, per tornare agli Ossi di seppia, se è vero che la dimensione che domina la raccolta è quella della negatività, dell'inutilità ( e il titolo stesso richiama a cose morte, inaridite), della constatazione dell'impotenza dell'uomo, della sua angoscia esistenziale, bisogne aggiungere che si tratta di una negatività dialettica: che, cioè, non esclude l'esistenza della positività verso la quale, il poeta tende. Questo è visibile tutte le volte che il porta parla dell'ansioso tentativo di trovare un varco, una via di salvezza, una maglia rotte nella rete \ che ci stringe. Motivo, questo, che in un certo qual modo si fonde con quello del mare. Nel gruppo di liriche Mediterraneo  -collocate al centro degli Ossi di seppia- il mare è cantato come lezione di vita vera e autentica, come "termine positivo" che il poeta ha ansia di raggiungere e insieme consapevolezza di non riuscirci perché lucidamente sa di essere della razza \ di chi rimane a terra. Il mare cioè è l'oggettivazione, l'emblema di quanto il poeta , pur volendo, non è riuscito a realizzare. Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale \ siccome i ciottoli che tu volvi \ mangiati dalla salsedine.\ Altro fui.

Certo, la negatività e la lucida accettazione di un destino di non redimibile angoscia dominano nel complesso gli Ossi di seppia, ma questi motivi si caricano di significato e di fascino poetico proprio perché sono il punto d'arrivo di una lotta, l'accettazione di una sconfitta, presuppongono una battaglia che ancora all'ultima della raccolta è presente, sia pure ridotta a nostalgica aspirazione: allorché il poeta sogna ancora di realizzare una poesia che possa cangiare un inno l'elegia, cioè che possa cantare la scoperta del varco, di un senso integro e pieno del vivere anziché lamentare la sconfitta. Ed è significativo, ai fini del nostro discorso, che gli Ossi di seppia si concludano con versi come questi: Potere \ simili a questi rami \ ieri scarniti e nudi ed oggi pieni \ di fremiti e di linfe,| sentire \ noi pur domani tra i profumi e i venti \ un riaffluir di sogni, un urger folle\ di voci verso un esito; e nel sole \che v'investe, riviere, \ rifiorire!

Con la seconda raccolta, Le occasioni, pubblicate nel 1939, Montale amplia ed approfondisce la sua tematica. La amplia dal mondo delle cose a quello della memoria, l'approfondisce trovando ulteriori semplificazioni al male di vivere. La pietraia degli ossi di seppia cede al passo alla vita interiore; il poeta vede determinato da mille cose passate e presenti , legate al passato, e, soprattutto, dagli incontri che egli ha sollecitato o subìto: le occasioni della vita . la memoria, il passato non offrono più ancore di salvezza, come non le offriva il presente: volti, ricordi, sono recisi dalla forbice del tempo.

La novità risiede nel fatto che l'autore, sempre autocritico, non può cedere ad abbandoni sentimentali o diaristici, quindi , si cela. Da qui hanno origine le difficoltà di letture, che derivano da questa tendenza a ridurre la materia sentimentale ad una semplice larva. L'avvicinarsi alla dimensione simbolica si accentuerà nella raccolta La bufera ed altro, risalente al 1956, che contiene poesie pubblicate precedentemente in alcune riviste e scritte tra il 1940 e il 1954.

In essa vi è un ulteriore approfondimento. Vi è la tensione verso il trascendente, anche se il poeta riafferma poi la sua accettazione di un destino non riscattabile dalla fede. Inoltre, in alcune rare occasioni, compare un legame tra la visione del vivere del poeta ed un preciso tempo storico. In particolare, in Piccolo testamento, posto alla fine della raccolta, Montale propone ancora la sua teologia negativa, il suo rifiuto a facili certezze; il poeta continua ad opporsi alla mitologia di una società che continua ad appoggiarsi sulla faciloneria.

Al termine del lungo periodo di silenzio poetico , negli anno '60 , Montale ritorna con una nuova poesia, più diretta, quasi dimessa, assolutamente lontana dal tono alto ed essenziale delle liriche precedenti. La parodia, l'ironia, la diversità di stili prendono il posto della tensione lirica per mostrarsi completamente attraverso una revisione della poetica, ora degradata a un livello più basso. La nuova arte si mostra semplice solo in apparenza, assumendo su di sé il vuoto delle banalizzazioni con disincanto e ironia, ma conservando come suo punto di riferimento la memoria.

Il passato si confronta con sé stesso e il presente in una nuova dimensione, nella quale il contemporaneo è ancora angoscioso, tra la perduta giovinezza e l'attuale vecchiaia come scoperta della precedente condizione e del suo significato. La voce di Montale sopravvive perché non può accettare il mondo, costretta a negarsi sottraendosi alla propria identità e alla verità. Satura, raccolta  uscita nel 1971, sarà il primo risultato di questa poetica, di cui una parte era già stata pubblicata dieci anni prima, e il suo influsso resterà tale anche nelle composizioni degli ultimi anni, dove il poeta, sfuggendo al presente, osserva i dissensi, il disordine e la confusione di una vita artefatta. Alla base di questi più pacati atteggiamenti stilistici c'è il radicalizzarsi della dissonanza col proprio tempo. Far assumere alla disperazione la leggerezza del paradosso.

Gli anni del "boom" economico (1956 \ 1963) coincidono con il silenzio poetico di Montale, proprio a causa delle caratteristiche stesse di quel mondo in cui il poeta si trova a muoversi ma che in fondo rifiuta, in cui , infine, vede ben poca possibilità per la sopravvivenza della poesia.

Eppure egli riprende a scrivere versi, sollecitato da una necessità improvvisa del tutto intima, dettata dalla moglie, Drusilla Tanzi, nel 1963, versi che, però, non hanno più nulla di sublime, anche quando la tematica sia l'amore.

Basterebbe citare l'esempio della lirica di "Satura II" , vedo un uccello fermo sulla grondaia, per sottolineare come la visione della felicità, quella, concessa agli uomini, o, per dirla come il Montale degli Ossi di seppia, agli uomini che si voltano a vedere la realtà nella verità, senza illusorie sicurezze, sia trasmessa attraverso rilievi per nulla lirici, sia una condivisione profonda avvertita, con la consapevolezza che il mondo in genere, di tale felicità, non se ne accorga neppure, non sappia che farsene.

Del resto, proprio nella raccolta Satura l'autore conduce una sorta di dichiarazione poetica, nei due successivi componimenti intitolati La poesia: qui si avverte chiaramente la natura di una scrittura che non riesce più a creare l'incanto di una lingua raffinata e letteraria, che non sa più servirsi delle parole elette non soltanto della lirica passata, quanto, anche della produzione dello stesso Montale nelle Occasioni, per esempio, o nella Bufera e altro. Con l'ironia che è quasi sarcasmo, il letterato si pone criticamente di fronte l'apparato culturale che consiste su domande oziose, che vuole indagare per trovare l'essenza della poesia , la cifra della lingua poetica , ed il sarcasmo amaro di chi, poeta per necessità del proprio animo, si rende conto di quale vuoto sia da sfondo alla sua voce e di quale suono roco e quasi dissonante essa produca.


Spesso il male di vivere ho incontrato


Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi; fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato


Meriggiare pallido e assorto..


Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.















Scirocco


O rabido ventare di scirocco

che l'arsiccio terreno gialloverde

bruci;

e su nel cielo pieno

di smorte luci

trapassa qualche biocco

di nuvola, e si perde.

Ore perplesse, brividi

d'una vita che fugge

come acqua tra le dita;

inafferrati eventi,

luci - ombre, commovimenti

delle cose malferme della terra;

oh alide ali dell'aria

ora son io

l'agave che s'abbarbica al crepaccio

dello scoglio

e sfugge al mare da le braccia d'alghe

che spalanca ampie gole e abbranca rocce;

e nel fermento

d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci

che non sanno più esplodere oggi sento

la mia immobilità come un tormento.







Non chiederci la parola


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo





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