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Appunti presi alle lezioni: La demografia

geografia economica




Appunti presi alle lezioni:


La demografia è una disciplina piuttosto giovane, nasce come studio della consistenza della popolazione. Un primo strumento a sua disposizione è il censimento: presenti fin dall’antichità, i censimenti hanno avuto nel corso della storia finalità diverse (religiose, fiscali, belliche). In tempi moderni il censimento serve per capire la struttura della popolazione di uno Stato (divisione dei sessi e classi d’età). Quindi si ottiene un dato quantitativo. Un altro dato è il movimento di una popolazione, ovvero la sua variabilità (nati/morti ed immigrati/emigrati). La demografia studia i “collettivi” e 747d38h d usa spesso la statistica. C’è differenza fra comportamenti collettivi ed individuali: una prima differenza (molto importante) è che la collettività può ringiovanire, l’individuo no. 2° argomento della demografia sono le sfide e gli scenari per il futuro: per quanto riguarda le sfide si fa riferimento all’incremento nei paesi in via di sviluppo e al decremento nei paesi occidentali. Se nel 1° caso è prevista una stabilizzazione della popolazione intorno al 2100, nel 2° è il comportamento individuale e sociale che porta al decremento (quindi ad avere meno figli). Gli scenari che la demografia delinea sono validi per 30-40-50 anni e, generalmente, precisi: per questo le analisi demografiche sono sempre più richieste perché in base ad esse le istituzioni prendono diversi provvedimenti. Le fonti della demografia sono di due tipi: nazionali ed internazionali. Anche la metodologia di rilevazione ed elaborazione dei dati ha la sua importanza. In campo demografico le fonti nazionali sono l’Istat (censimenti) e il comune (anagrafe). La struttura di rilevazione è piramidale (vedi disegno su appunti). I censimenti sono una fonte importante in demografia: nel 2000 è stato fatto quello relativo all’agricoltura, nel 2001 quello della popolazione e delle abitazioni e quello relativo ai servizi e all’industria. La seconda parte del corso riguarda gli strumenti d’analisi, e vedremo dunque: tassi, probabilità, numeri indice, tassi generici e specifici, diagramma di Lexis . La popolazione si esamina sotto due punti di vista: Statico e Dinamico.




Statico: consistenza, struttura della popolazione (sesso, età, stato civile, . ), grado d’istruzione, località abitate (abitazioni, epoca di costruzione, struttura dei nuclei familiari, . ), economia (agricoltura, industria, servizi: si guardano occupati e disoccupati nei vari settori, le età degli uni e degli altri . ).

Tutti questi dati statici diventano dinamici se confrontati con i dati dei censimenti precedenti

Dinamico: Movimento naturale (nati/morti), movimento sociale (immigrati/emigrati), nuzialità


Infine esistono i modelli, che si dividono in: Interpretativi e di Previsione (divisi a loro volta in Proiezioni e previsioni demografiche)




Un primo problema da affrontare in demografia è quello dell’esplosione demografica; il secondo è la denatalità; il terzo è il cosiddetto “pericolo giallo”. I paesi affetti dal secondo problema devono cambiare l’offerta dei propri servizi, rivolgendosi sempre meno a classi giovani: l’effetto che ne consegue è avere difficoltà nel sistema pensionistico. Le pensioni derivano dallo Stato, che si basa sui contributi dei lavoratori: quindi le classi medie provvedono di fatto a pagare le pensioni alle classi più anziane; ma la situazione è sempre meno sostenibile perché le classi anziane sono sempre più numerose rispetto a quelle giovani (vedi disegno). Il 3° problema è quello patito soprattutto dall’Europa: c’è la paura di essere surclassati economicamente e numericamente dalle popolazioni asiatiche (ed oggi soprattutto africane, di cui si teme una vera e propria invasione). I primi tentativi di fare demografia risalgono al 1662, anno in cui un certo Graunt cercò di stimare la popolazione di Londra, ma contò i decessi anziché le nascite, basandosi poi sulle dimensioni medie dei nuclei familiari. Nel 1798 Malthus fece un “trattato sulle origini della popolazione” in cui espose la sua teoria, per la quale la popolazione aumentava geometricamente mentre le risorse aritmeticamente. Egli non era un demografo ma studiava i fenomeni che interessavano le popolazioni. Nel 1934, Landry fece i primi studi sulla Transizione Demografica; nel 1939, Lotka invece fa un prima teoria generale della dinamica delle popolazioni, cioè studia immigrazioni/emigrazioni. La demografia non si occupa solo di analisi ma anche delle azioni successive da intraprendere, quindi azioni e correzioni. E’ il caso ad esempio delle cause di morte: in Liguria si sono verificati due casi di questo tipo, all’ACNA di Cengio e presso la Stoppani (Arenano-Cogoleto), dove si sono riscontrate patologie tumorali strettamente connesse alla produzione di queste industrie. La demografia studia le popolazioni: una popolazione è un insieme di individui che corrisponde o soddisfa una stessa definizione. Inoltre ci deve essere un movimento in ingresso e in uscita. La popolazione “più semplice” da analizzare è quella di tutto il pianeta: le altre sono sotto-insiemi della popolazione planetaria. Tali sottoinsiemi possono essere individuati tramite parametri diversi (età, titolo di studio, geografico, razza, etnia . ). Anche i singoli quartieri si servono di analisi demografiche, per sapere la composizione delle famiglie, il ceto di appartenenza, . , e decidere di conseguenza quali servizi offrire.




Il demografo tiene sempre più conto dei fattori di contesto (sociali, economici e politici). Anche sul piano demografico aumentano le distanze tra Nord e Sud del mondo: questa è una delle principali sfide della demografia. La transizione demografica non ha garantito né stabilità né equilibrio, essendoci ancora molto invecchiamento al Nord e forte natalità al Sud. In Italia c’è un grosso problema che diventerà attuale nei prossimi anni e cioè che i nati nel cosiddetto “baby boom” del 2° dopoguerra (che ha visto molte nascite) nel periodo 2005-10 e 2025-30 andranno in pensione e non saranno più considerati forza lavoro, con conseguenti problemi assistenziali e pensionistici. Inoltre curando la vecchiaia e ritardandola, aggraveremo la situazione perché aumenterà la sopravvivenza, sarà più bassa la fecondità e il numero di donne in età fertile. Per riequilibrare la situazione bisognerebbe cambiare le abitudini sociali e soprattutto cambiare il ruolo della donna nella società. Con la posticipazione del progetto familiare c’è sempre meno tempo per avere figli e comunque anche avendone si ha a volte paura di rompere un equilibrio familiare ormai raggiunto e consolidato (magari con un solo figlio oppure nessuno). Quando nel 2050 si sarà raggiunta una certa stabilità, saranno nati altri 3.5 miliardi di persone nel Sud del mondo. Anche se ci sarà un rallentamento della crescita continueranno le disuguaglianze nel reddito e nella crescita nei paesi più poveri; le dinamiche di sviluppo che possiamo aspettarci è di arrivare ad un’ipotesi di stabilità (ovvero con 2.1 figli/donna). Nei paesi occidentali siamo al livello di 1-1.5 figli/donna, nei paesi del sud del mondo >3 figli/donna, ma la speranza di vita come detto è destinata a crescere e non a fermarsi a 85 anni. Oggi la fecondità è già al di sotto del limite; il rapporto dei sessi potrà essere via via controllato dall’intervento dell’uomo ma ciò sconfina in una questione più etica e morale, e forse finirebbe con il peggiorare la situazione perché la nostra è una civiltà più maschilista. L’ultimo problema è rappresentato dal prolungamento della vita: ci aspetta una società di vecchi?

Abbiamo visto come spesso la demografia si leghi ad altre discipline; è come un anello tra comportamento naturale (nati/morti) e comportamento sociale dell’uomo (nel tentativo di controllare tali fenomeni). La demografia quindi è il complesso di indagini descrittive ed investigative condotte con un metodo prevalentemente statistico ed intese a studiare le caratteristiche strutturali e dinamiche delle popolazioni umane considerate sia sotto l'aspetto biologico che sotto quello sociale e nelle loro interrelazioni. Quindi la demografia usa molto la statistica e studia le caratteristiche strutturali (nati/morti) e dinamiche (entrate/uscite, cioè immigrati/emigrati). La demografia presenta dunque una duplice natura:

  1. descrive i fenomeni
  2. investiga al fine di stabilire delle leggi o almeno delle regolarità demografiche.

L’analisi descrittiva è la prima fase della ricerca demografica. Attraverso le statistiche demografiche vengono poi studiate alternativamente le caratteristiche strutturali (stato della popolazione) e quelle dinamiche (movimento della popolazione). Fra le prime annoveriamo, per esempio, il sesso, lo stato civile, il grado d’istruzione, il n° di figli . , fra le seconde invece il flusso delle nascite, le morti, i flussi migratori . L’evoluzione storica della demografia è parallela a quella della statistica tanto che fino al XVIII° secolo le due discipline quasi si identificavano. Di carattere demografico sono infatti i primi rilevamenti statistici relativi all’enumerazione della popolazione (Cina, 3050 a.C.; enumerazione degli ebrei dopo l’esodo dall’Egitto, 1500 a.C.; censimenti Romani, dal 555 a.C.). Sempre di carattere demografico furono le analisi condotte dagli “aritmetici politici” inglesi (come John Graunt). Dal XVIII° secolo la demografia diventa autonoma. Grande sviluppo si ebbe a partire dagli anni ’30. Essa affronta problemi che hanno natura scientifica ma che hanno immediate conseguenze nella realtà sociale. Le fasi dell’analisi demografica sono tre:

  1. rilevazione dati
  2. analisi statistica
  3. ricerca dei modelli

La prima caratteristica per una valutazione della completezza e attendibilità delle fonti; entrano in gioco organismi pubblici e organizzazioni private; la seconda fase vede il passaggio dai dati raccolti alle tavole statistiche e infine ai dati elaborati; la terza fase invece si propone di trarre informazioni dalle precedenti elaborazioni, riguardo alle cause e per poter effettuare eventuali previsioni sugli andamenti futuri. I rilevamenti devono essere diretti e possono essere effettuati da enti pubblici e privati




Le fasi dell’analisi demografica, come abbiamo già visto, sono essenzialmente tre:

  1. rilevazione dati
  2. analisi statistica
  3. ricerca dei modelli statistici

Le prime due fasi, e conseguentemente anche la terza, hanno come premessa irrinunciabile la disponibilità di un esauriente insieme di informazioni di base. Infatti a seconda della natura e delle qualità dei dati sui quali si può contare si possono scegliere le metodologie di analisi più valide e addirittura percorrere nuove strade di analisi. E’ evidente quindi come nella ricerca demografica l’analisi delle fonti, intese come strumento mediante il quale raccogliere i dati di interesse demografico, meriti ampia attenzione. Tale cura non è tesa solo ad individuare i canali informativi esistenti ma è volta ad identificare ed attivarne di nuovi, curando altresì la qualità dei dati sotto il profilo sia dell’attendibilità sia della loro rispondenza ad obiettivi di descrizione ed analisi della realtà cui si fa riferimento. Le tipologie di rilevamento demografico sono due:

  1. censimenti: rilevazioni che si estendono all’intero universo della popolazione esaminata
  2. rilevazioni campionarie: prendono in considerazione solo una parte opportunamente selezionata (campione) della popolazione

A seconda degli obiettivi perseguiti, le rilevazioni demografiche possono distinguersi in due grandi categorie:

  1. rilevazioni dello stato della popolazione: mirano a realizzare un’immagine della popolazione con riferimento ad un dato istante
  2. rilevazioni del movimento della popolazione: mirano a seguire nel tempo le manifestazioni dei fenomeni (nascite, . ) che ne determinano la continua evoluzione

Nelle prime due rientrano ovviamente i Censimenti ma anche alcune indagini occasionali condotte con metodo campionario. Pur “fotografando” lo stato di un fenomeno, spesso danno preziose informazioni di tipo dinamico, attraverso un’analisi diacronica (per esempio: analisi trimestrale sullo stato del lavoro). Quanto alle rilevazioni di movimento, esse, per il carattere di continuità che le distingue, sono generalmente effettuate da stabili organizzazioni statistico-amministrative: nei paesi evoluti si tratta di uffici (comunali) dello Stato Civile e dell’Anagrafe. Vediamo ora la tipologia delle fonti. E’ già stata sottolineata l’importanza per la demografia delle fonti di provenienza delle informazioni intese come un insieme integrato e coerente di dati riferiti ai fenomeni oggetto di studio. Si possono distinguere tre tipologie di fonti:

  1. fonti orali
  2. fonti scritte
  3. fonti statistiche

Le ultime sono quelle più usate e attendibili perché hanno alla base criteri di classificazione; possono essere ufficiali e non ufficiali. In Italia il maggior produttore di statistiche è l’Istat, che nacque nel 1926 (o meglio nel 1861, ma nel 1926 venne ufficialmente riconosciuto). Nel 1989 è stato fondato il Sistan (Sistema Statistico Nazionale), con il compito di costituire il tessuto organico per il costante raccordo tra fonti di raccolta, archiviazione ed elaborazione dati. Vengono istituiti Uffici Statistici periferici che danno così vita ad un doppio circuito e i cui compiti sono:

    • raccolta, selezione e archiviazione all’interno degli enti
    • passaggio al sistema statistico nazionale secondo le modalità di classificazione previste dagli standard nazionali ed internazionali

Per quanto riguarda il Sistan, esso provvede alla:

predisposizione del programma statistico nazionale

esecuzione censimenti ed altre rilevazioni statistiche

all’indirizzo, al coordinamento ed al controllo tecnico dell’attività statistica degli uffici facenti parte del Sistan

predisposizione delle nomenclature e metodologie di base per la classificazione e rilevazione dei fenomeni demografici

ricerca studio dei risultati dei censimenti, nonché alla pubblicazione e diffusione dei dati

formazione e qualificazione professionale degli addetti al Sistan

ai rapporti con gli enti ed uffici internazionali


Il programma statistico nazionale è diviso nelle seguenti aree:

  1. censimenti
  2. demografica: movimento della popolazione, determinazione dei quozienti demografici, proiezioni e previsioni
  3. economica: conti economici, agricoltura, foresta e pesca, industrie, costruzioni e opere pubbliche, commercio interno ed estero, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, servizi alle imprese, prezzi retribuzioni amministrazione pubblica
  4. sociale: sanità, assistenza e previdenza, giustizia, istruzione e cultura
  5. metodologica: studi e ricerche metodologiche
  6. ambientale: rilevazione dati e indici di controllo dell’inquinamento.

Nel produrre informazione l’Istat, quale organo preposto, deve rispettare determinate caratteristiche e requisiti. In estrema sintesi:

    • la produzione di statistiche è rivolta al soddisfacimento delle esigenze dei cittadini, degli operatori e del settore pubblico
    • l’accesso ai dati deve essere il più ampio ed agevole possibile
    • è richiesta la massima integrazione e armonizzazione dei dati
    • le statistiche devono essere tempestive e affidabili
    • gli organi produttori devono essere imparziali, obiettivi e metodologicamente rigorosi
    • i prodotti statistici devono essere corredati da guide e istruzioni per l’analisi

Altri organismi pubblici di statistica sono:

  1. Ministeri: relazione sulla situazione economica del paese; relazione previsionale e programmatica
  2. Banca d’Italia: relazione annuale; bollettino statistico
  3. Isco (Istituto Nazionale per lo studio della Congiuntura)
  4. Censis (Centro Studi ed investimenti sociali): rapporto sulla situazione sociale

Per quanto riguarda le principali fonti non italiane, l’attività statistica in campo internazionale viene svolta da varie organizzazioni e consiste principalmente nell’organizzare le singole rilevazioni nazionali. L’Eurostat è il principale ente statistico dell’Unione Europea. Raccoglie ed elabora i dati di base forniti dai singoli Stati membri: la prima funzione è quella di fornire alle istituzioni europee basi di conoscenza per l’impostazione e l’attuazione delle politiche comunitarie. Inoltre ha il compito di:

    • Organizzare i dati attraverso una serie di metodi e norme suggerite
    • Dare direttive per il miglioramento dei sistemi statistici
    • Adottare direttive e regolamenti per disciplinare la diffusione dell’informazione

La struttura è organizzata in 6 direzioni, ovvero:

  1. diffusione e informazione statistica
  2. statistiche economiche, conti nazionali e prezzi, mercato unico
  3. statistiche degli scambi internazionali
  4. statistiche delle imprese
  5. statistiche regionali e sociali
  6. statistiche dell’agricoltura e della pesca

Per quanto riguarda la diffusione, le elaborazioni dei dati sono memorizzate in banche dati di due tipi:

  1. Di riferimento: prevalentemente per usi interni istituzionali (studi e pubblicazioni)
  2. Di grande diffusione: destinate ad operatori, utilizzatori diversi e grande pubblico, nel formato a stampa e/o elettronico

A livello mondiale le Nazioni Unite hanno un servizio statistico molto esteso: esso si muove in tre direzioni:

  1. raccolta e pubblicazione di dati statistici dei paesi membri
  2. elaborazione di norme statistiche internazionali
  3. assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo nella creazione del loro apparato statistico



Tra gli altri enti o organizzazioni che svolgono analisi statistiche a livello mondiale si possono ricordare:

    • il Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.): statistiche sul commercio estero, statistiche finanziarie e bilancia dei pagamenti
    • OCSE (Organizzazione per la cooperazione e sviluppo): metodologia, informazione ed analisi statistica
    • BIT (Organizzazione internazionale del lavoro): statistiche concernenti il lavoro
    • FAO (Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura)
    • UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura)
    • OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)

Analizziamo i Censimenti, i quali devono possedere caratteristiche molto precise:

  1. generalità
  2. totalità
  3. simultaneità
  4. periodicità
  5. indagine diretta

In Italia sono avvenuti dal 1861 fino al 1931 con cadenza decennale (tranne 1891 in cui non venne fatto). Dal 1931 al 1936 la cadenza fu quinquennale. Nel 1941 non venne fatto per motivi bellici, così come nel 1946; si riprese nel 1951 e da lì in poi con cadenza nuovamente decennale. Le Unità Statistiche di rilevazione sono:

  1. la famiglia (dimora abituale nel comune; coabitazione; unità di economia)
  2. la convivenza (motivi di assistenza, cura, militari, di pena)

Quindi l’unità statistica non è la singola persona ma la famiglia. L’organizzazione e l’esecuzione spetta all’Istat, oltre ad organi periferici provinciali e comunali. I Comuni elaborano dei questionari che vengono portati e poi ritirati dai rilevatori nelle cose. Vengono poi fatte le seguenti operazioni: spoglio, elaborazione e pubblicazione. Il Comune passa poi i dati all’Istat, ma li tiene comunque anche per sé per svolgere analisi indipendenti. L’Istat inoltre può prevedere inchieste speciali e rilevazioni a campione.




Apriamo il capitolo relativo agli errori e all’attendibilità statistica. Uno degli errori più frequenti è quello relativo al numero degli abitanti, in cui i pericoli sono sostanzialmente due:

  1. pericoli di omissioni e di doppi conteggi
  2. in generale possibilità di sottostima

Il numero di abitanti identifica la popolazione legale e in base a ciò anche lo Stato attua le sue politiche. Il censimento invece identifica la popolazione presente in un dato momento mentre si arriva alla popolazione residente tramite appositi conteggi. Esistono ovviamente anche metodi di controllo per evitare tali errori, come ad esempio le indagini su campione di sezioni oppure controlli incrociati con altre fonti. Nel 1971 si stimò che il censimento aveva sottostimato la popolazione dello 0.4%. Nel 1921 invece ci fu un censimento volutamente errato: al Sud infatti i Comuni gonfiarono i propri dati (Campania + 5.6%, Puglia + 5%, Sicilia + 11.2%, . ). In conclusione:

  1. i censimenti sono operazioni complesse anche nei paesi evoluti
  2. i margini di errore sono piuttosto ristretti
  3. necessità di introdurre controlli dove non esistono
  4. cautela per i censimenti precedenti al 1900 e relativi ai paesi in via di sviluppo

Vediamo ora le classificazioni delle caratteristiche della popolazione:

  1. sesso: l’omissione è più forte tra i maschi
  2. età: tendenza ad arrotondare l’età

A tal proposito esiste un indice di irregolarità che misura il grado di approssimazione. Le prime registrazioni (nati/morti e matrimonii) vennero effettuate già a partire dal 1600 ad opera delle parrocchie: c’era una buona precisione. Dalla Rivoluzione Francese in poi se ne occuparono gli Stati. Nei paesi europei le rilevazioni sono state affidabili con l’istituzione di uffici di stato civile + ufficio censimenti. Un altro strumento per controllare le stime o i censimenti è vedere il rapporto maschi/femmine (si sa che in genere è 105-106/100). Se si guarda ad esempio alla Spagna del 1900-1903, il rapporto è 110.3/100 come media dello Stato (con punte di 118 in alcune regioni) e quindi c’è per forza qualcosa di sbagliato. Nuovamente tra gli errori più frequenti troviamo:

ordine di parto (ad ogni nato veniva attribuito il n° di parto, quindi il n° totale doveva essere via via decrescente ma a volte il n° pari era superiore al dispari)

mortalità infantile (le morti immediatamente successive alla nascita non venivano registrate come tali ma bensì come nato già morto).


Esiste un registro della popolazione, avviato dopo l’Unità d’Italia nel 1874, diviso in:

  1. ufficio anagrafe
  2. uffico di stato civile

Il secondo registra i fatti relativi al proprio comune poi spedisce i dati all’ufficio anagrafe. L’ufficio anagrafe, mettendo insieme i dati relativi a nati/morti e immigrati/emigrati, dovrebbe avere dati uguali a quelli del censimento, per cui è il più efficace strumento di controllo.




Linea di vita ed eventi: il diagramma di Lexis è uno strumento utile per approfondire l’analisi dei fenomeni demografici, in particolare quelli che influenzano, direttamente o indirettamente, la struttura e la dinamica della popolazione: esso ci permette di rappresentare la storia (biografia) di ciascun soggetto e di evidenziare gli eventi demografici che lo hanno interessato in relazione sia all’istante in cui si sono verificati sia all’età del soggetto in quell’istante. La nostra biografia è costituita di eventi (come matrimoni, nascita di figli, morte, vedovanza . ) e viene messa in relazione a due fattori:

momento in cui avviene

età del soggetto in quel momento


La rappresentazione avviene in un piano cartesiano, in cui l’ascissa rappresenta i tempi e l’ordinata l’età (vedi grafico su appunti). Sull’asse dei tempi si traccia una semiretta (parallela alla bisettrice) a partire dal momento della nascita. Essa costituisce la linea della vita: ogni punto corrisponde ad un istante e all’età del soggetto in quell’istante. Lungo la linea della vita si collocano gli eventiche via via si verificano (e che ci interessa rilevare) ciascuno dei quali ha come coordinate la coppia istante-età. Sul medesimo grafico si riportano le vite di tutti gli individui che fanno parte della nostra popolazione, ognuna delle quali caratterizzata dagli eventi che si sono succeduti. Suddividendo i nostri assi per intervalli di tempo (per esempio un anno) e di età (per esempio gli anni compiuti), possiamo raggruppare una pluralità di eventi secondo tre caratteristiche:

anno in cui si è verificato l’evento  (ad es.: I m = M/P · 1000; M sono i matrimoni, P la popolazione. Così si calcola il tasso di matrimoni in un determinato anno)

età

anno di nascita del soggetto


Di esse possiamo considerarne contemporaneamente tutte e tre oppure coppie di due. Quando si voglia rappresentare la frequenza degli eventi conteggiati, in accordo con una delle combinazioni sopraccitate, basterà contare gli eventi all’interno delle rispettive aree (triangoli, quadrati, parallelogrammi). Attraverso il diagramma di Lexis è quindi possibile mettere in relazione la numerosità degli eventi osservati con la corrispondente popolazione che è stata in grado di viverli (o generarli) (vedi disegno su appunti).

Analisi per generazioni o per contemporanei: esistono dunque due diversi approcci allo studio dei fenomeni demografici.

  • Analisi longitudinali o per generazioni: segue un sottoinsieme di linee di vita in tutta la loro durata ed analizza gli eventi che via via si sono succeduti in corrispondenza delle diverse età. Per generazioni (o coorti) si intende un gruppo di persone (casi statistici) che hanno in comune il fatto di aver vissuto in un dato intervallo di tempo (generalmente un anno di calendario) lo stesso evento-origine, di solito la nascita (ma anche matrimonio, cambiamenti di stato civile . ). (vedi disegno su appunti per l’esempio fatto su evento-origine: Durata dei Matrimoni).
  • Analisis trasversale o per contemporanei: prende in considerazione l’analisi limitata nel tempo (ad esempio un anno), estesa però a tutte le linee di vita della popolazione: si considerano quindi tutti coloro che, nello stesso intervallo di tempo (anche se diversi per età o per generazioni di appartenenza) vivono l’evento oggetto di interesse.

Per esemplificare: uno studio longitudinale (per generazioni) della mortalità consente di mettere in rilievo l’influenza esercitata dalla eliminazione per morte, sia dall’età, sia dai fattori che hanno determinato un eventuale miglioramento del tenore di vita nel corso della storia delle generazioni via via succedutesi (vedi disegno su appunti per il caso della mortalità). Uno studio della mortalità per contemporanei dà invece maggior rilievo all’influenza dei fattori di un dato momento (es.: guerre, epidemie . ) cioè a fattori che agiscono simultaneamente in un arco temporale limitato su tutti gli individui, diversi per età e generazione, che appartengono alla popolazione in oggetto. Rispetto alla disponibilità degli elementi su cui svolgere l’indagine, l’analisi per contemporanei richiede la disponibilità di informazioni relative ad un arco di tempo limitato, quello per coorti necessita di lunghe serie temporali (raccolte attraverso le modalità dell’osservazione continuativa e dall’osservazione retrospettiva).

Intensità e calendario: lo studio del fenomeno demografico è spesso condotto secondo un duplice obiettivo:

  1. misurare l’intensità con la quale il fenomeno si manifesta nel corso delle vita di una generazione o nel corso di un dato intervallo di tempo: con l’analisi longitudinale la misura più immediata dell’intensità di un fenomeno è fornita dal rapporto fra il numero totale degli eventi vissuti dagli appartenenti ad una generazione e l’ammontare iniziale della generazione. Si tratta quindi di un valore medio (pro-capite) che può determinarsi con riferimento sia al termine della generazione (intensità finale) sia ad un istante intermedio qualsiasi (intensità attuale). Es: per una generazione femminile il n° medio di figli per donna calcolato al termine della vita riproduttiva (intensità finale); il fenomeno mortalità di una determinata generazione a 80 anni darà un valore indicativo della % di individui morti (per le cause più varie) entro quell’età; l’intensità finale qui sarà ovviamente = 1
  2. Per quanto riguarda il secondo obiettivo, - identificazione del calendario degli eventi di un fenomeno demografico – esso può realizzarsi, generalmente, considerando la distribuzione per età del fenomeno anche attraverso forme sintetiche mediante opportuni indicatori statistici (media, modo, mediana, %). Ad esempio: età media alla quale il fenomeno di verifica (la cadenza della fecondità è data dall’età media alla nascita di un figlio). Se si passa all’analisi per contemporanei occorre ricordare che l’intensità del fenomeno nell’arco temporale che delimita l’osservazione (per esempio un anno solare), risulta nell’aggregazione delle intensità manifestate da tutte le generazioni che si trovano a convivere (per un tratto della loro storia). Es.: età media della madre alla nascita del 1° figlio nel 2001



Due indici per l’analisi demografica: per studiare i fenomeni demografici abbiamo a disposizione due indici elementari.

  1. Tasso: rappresenta il rapporto tra il numero degli eventi osservati nell’arco di un dato periodo e la media della consistenza numerica della popolazione nel corso del periodo
  2. Probabilità di un evento: essa è data dal rapporto tra il numero di casi favorevoli al verificarsi dell’evento e il numero di casi possibili.

La probabilità è utilizzata per studiare fenomeni non rinnovabili per natura (tipica la mortalità) o per il loro grado (1° matrimonio, 1° figlio, . ).  Esemplificando, se vogliamo calcolare la probabilità di morte di un individuo di età X, si rapporta la differenza tra il numero di persone viventi di età X e il numero di persone di età X+1 (cioè il numero di decessi avvenuti in quell’intervallo di tempo) al numero di persone di età X (quindi X- (X+1) / X). Il complemento a 1 della probabilità di morte corrisponde alla probabilità di sottrarsi all’evento, cioè di sopravvivere.

Tasso generico o tasso specifico? Quando vogliamo valutare l’intensità dei fenomeni demografici di movimento è opportuno rapportare la loro frequenza assoluta (numero di nati, morti) con l’ammontare della popolazione a cui si riferiscono. Così facendo si ottengono dei tassi (quozienti) che ci danno informazioni dell’intensità media per abitante con la quale l’evento studiato si è manifestato nel corso di un determinato intervallo di tempo (spesso l’anno). Quindi indicando con P la numerosità di popolazione, con N il n° di nati nel corso dell’intervallo temporale avrò il tasso di natalità “n” (ogni 1000 ab.), quindi n = N/P · 1000. Analogamente posso costruire i tassi di mortalità, emigrazione ed immigrazione. Poiché tali tassi si riferiscono alla popolazione nel suo complesso, assumono la denominazione di tassi generici. Utilizzando la medesima procedura ma considerando distinti sottinsiemi della popolazione definiti da particolari caratteristiche (per esempio: sesso [femminile], età [< 45 anni], stato civile, . ) si ottengono i cosiddetti tassi specifici. Per esempio un tasso calcolato per una classe quinquennale avrà la seguente formulazione (vedi appunti). In ogni modo per calcolare un tasso (generico o specifico) bisogna sempre definire:

  • Intervallo temporale (abitualmente un anno oppure classi quinquennali, . )
  • L’aumentare della popolazione al denominatore

Quanto a quest’ultima bisogna tener presente che essa varia istante per istante durante l’intervallo dell’anno: per avvicinarsi al valore reale si adotta la media matematica semplice del valore all’1/1 e del valore al 31/12. Tale approssimazione si basa sull’ipotesi che gli individui che nel corso dell’anno sono entrari ed usciti abbiano vissuto, mediamente, esattamente metà anno.

La standardizzazione: spesso quando si confrontano caratteristiche demografiche di popolazioni diverse è necessario separare gli effetti dovuti alla diversità della struttura per età delle due popolazioni, rispetto a quelli dovuti al fenomeno in esame. Tale operazione viene detta standardizzazione. Alcuni esempi chiariscono il concetto: se si confrontano i tassi di mortalità ed una delle due popolazioni ha una struttura più anziana (maggior peso % delle classi anziane) dell’altra, data la concentrazione delle morti proprio verso le classi più vecchie, risulterà per essa un tasso di mortalità più elevato, indipendentemente dal fatto che essa abbia un aumento reale del rischio di morte. Analogamente avviene se confrontiamo i tassi di fecondità, i quali sono influenzati dalla % di numerosità soprattutto nelle classi di donne comprese tra 20-35 anni. Per eliminare tali effetti distorsivi dovuti alle differenze di struttura per classi di età è possibile utilizzare due metodi:

  • Diretto o della popolazione tipo
  • Indiretto o dei tassi tipo

Metodo della popolazione tipo: date due popolazioni A e B si definisce in primo luogo una popolazione di riferimento C, che può essere una delle stesse A o B, oppure una “intermedia” (per esempio: una a livello territoriale più ampio). Supponiamo di dover confrontare il tasso di fecondità generico delle regioni settentrionali con quello delle regioni meridionali: come è facile aspettarsi il tasso generico di queste ultime è maggiore di quello delle prime. Si vuole determinare quanto ciò sia dovuto alla diversità della struttura per età. Si prende allora la popolazione (di riferimento) italiana e per ogni classe di età vengono moltiplicati i tassi di fecondità specifici delle due popolazioni A e B, così da ottenere, per ciascuna delle due, le nascite teoriche che si sarebbero avute nell’ipotesi in cui la popolazione femminile coniugata e in età feconda fosse identica e coincidesse con quella italiana. Dividendo entrambe queste quantità teoriche (somma dei dati) per l’ammontare complessivo dei contingenti specifici di popolazione (italiana), otteniamo due tassi di fecondità legittima standardizzati (che risultano “perfettamente” confrontabili)




Vediamo i tassi di fecondità totali per l’Italia, facendo distinzione tra Nord e Sud Italia; rispettivamente otteniamo il 64.10 ‰ e il 111,94 ‰. Tutto sommato dati che ci aspettavamo, che però risultano influenzati dalla struttura della popolazione. Per arrivare alle percentuali di cui abbiamo in ogni caso utilizzato il metodo della popolazione tipo. Vediamo invece il metodo dei tassi tipo: se tuttavia non abbiamo a disposizione la serie dei tassi specifici (di fecondità/mortalità) perché manca la distribuzione degli eventi per età, ma è nota la struttura per età di entrambe le popolazioni, possiamo utilizzare la standardizzazione indiretta o metodo dei tassi tipo. Anche in questo caso dobbiamo utilizzare una popolazione C di riferimento per la quale siano noti i tassi specifici (o tassi tipo). Si procede nel modo seguente:



  • si moltiplicano i tassi specifici di fecondità (Italia) per i contingenti di età delle popolazioni A e B: si ottengono le nascite legittime (n° di nati) che teoricamente si sarebbero avute qualora la fecondità settentrionale e meridionale fosse identica a quella italiana.
  • Così facendo per il Nord si ottengono molte più nascite di quelle effettivamente rilevate: confrontando il n° di nati effettivi con quello teorico si ottiene un rapporto inferiore a 1 (per es.: 0,82); il contrario succede per il Sud (per es.: 1,24).
  • Utilizzando tali ultimi due rapporti e dividendo i tassi generici di fecondità della popolazione A per 0,82 (aumenta) e il tasso generico della popolazione B per 1,24 (diminuisce)

Ottengo due nuovi tassi generici, depurati dall’effetto della struttura delle due popolazioni. A questo punto posso compararli, prendendo in considerazione solo gli effetti dovuti alla reale differenza di comportamento procreativo (fecondità). E’ opportuno infine ricordare che la procedura di standardizzazione, diretta o indiretta, deve essere applicata a caratteri (struttura della popolazione per esempio) le cui modalità abbiano un peso significativo nel differenziare le intensità (nati, morti) del fenomeno che si misura con il tasso generico. Infatti solo relativamente a tali caratteri la diversa struttura della popolazione costituisce elemento di disturbo nei confronti del livello del tasso generico. La standardizzazione ha senso laddove la struttura della popolazione influisce.

Abbiamo già visto che possiamo condurre due tipi di analisi sulla popolazione, statica o dinamica. La popolazione dal punto di vista statico si divide in presente e residente. Popolazione presente: quella che si trova fisicamente nel luogo al momento dell’analisi; popolazione residente: quella che ha dimora nel luogo. Possono quindi esserci persone temporaneamente presenti o assenti in un determinato luogo. Generalmente la popolazione presente è sempre inferiore a quella residente in Italia; gli anni di maggior deficit sono stati il 1911 (l’apice dell’emigrazione transoceanica; 1.220.000 abitanti di deficit) e il 1961. Ultimamente invece c’è stata una contro tendenza e nel 2001 per la prima volta la popolazione presente ha eguagliato o quasi la popolazione residente. Esiste un’equazione della popolazione: P t+s = P t + N t+sM t-s + I t+sE t+s

In cui S = intervallo di tempo, per cui se T = 2000 e S = 1, l’intervallo studiato è il 2000-01. Vediamo ora alcune formule per calcolare l’incremento:


I = P t+s – P t  I = incremento complessivo della popolazione (o incremento assoluto)


I m = P t+s – P t/S   I m = incremento medio; S = spazio che intercorre fra i dati analizzati (i censimenti ad es. ogni 10 anni)


I r = P t+s – P t / Pm • 100  I r = incremento relativo (o percentuale).


La P m è necessaria perché la popolazione durante un intervallo di tempo non è ferma ma subisce delle variazioni, per cui si usa una media ottenuta da:   P m = P t+s + P t /2


Ad esempio: prendiamo i censimenti del 1971 e 1961 e calcoliamone l’incremento relativo. (dati in milioni di abitanti)


I r = 54.137-50624 / 50624 = 3.513 / 50.624 • 100 = 6,93 %


Faccio lo stesso calcolo ma adopero la popolazione media: 3.513 / 54.137+50.624/2 =



Per quanto riguarda i tassi di incremento annuo per 1000 abitanti, dal 1861 al 1981 esso si è sostanzialmente mantenuto su buoni livelli, anche se ha conosciuto isolate fasi di crisi nei periodi bellici; vera e propria crisi quella in cui si è piombato dopo il 1981, oggi siamo in pratica a crescita 0. Tramite un grafico peraltro si è ottenuta la possibilità di calcolare il tempo di raddoppio della popolazione: mette in relazione il tasso % di incremento annuo e gli anni.

Un altro dato interessante nell’analisi statica è la Densità, D = abitanti residenti/kmq; essa è come se rappresentasse la popolazione come omogeneamente distribuita sul territorio, anche se sappiamo che non è così. Si parla di optimum di densità, alludendo al giusto n° di persone in un preciso territorio in base a fattori economici, sociali, .

Facciamo alcuni esempi di analisi ricavabili dai dati Istat:

Rapallo, popolazione totale: 27.370; n° maschi: 12.595

12.595 / 27.370 = 46 % maschi, 54 % femmine




Iniziamo con il definire tre concetti, ovvero centro, nucleo e case sparse. Il centro è caratterizzato da un centro edificato continuo con servizi pubblici. Nel nucleo non si registra la presenza dei servizi. Le case sparse infine sono dislocate sul territorio senza soluzioni di continuità. Stando ai dati del censimento del ’91:


Tipo di località abitata

N° località

Popolazione residente




Centri abitati



Nuclei abitati



Case sparse






TOTALE




Entrando più nel dettaglio si scopre che al centro-nord il 34.7% della popolazione vive in comuni fino a 10.000 abitanti, nel Sud invece il 30.1%. Al meridione dunque si tende ad agglomerarsi in comuni più vasti con un conseguente minor numero di comuni piccoli. Passiamo ora ad analizzare la struttura per sesso della popolazione:

rapporto di composizione; indice di mascolinità

motivi: conflitti bellici, emigrazione, invecchiamento


Esistono due tipi di rapporti, quello di composizione e quello di coesistenza:

Rapporto di composizione: M/P • 100 (si rapporta una parte, i maschi, al tutto, la popolazione)

Rapporto di coesistenza:    M/F • 100 (si rapportano tra loro due parti, maschi e femmine, del tutto)


Entrambi questi indici forniscono l’indice di mascolinità. Normalmente nascono più maschi, il rapporto come abbiamo già visto è di circa 105-106/100; essi continuano ad essere in maggioranza fino ai 30-40 anni dopodiché cominciano a prevalere le donne (questo secondo un’evoluzione istantanea). C’è stata però anche un’evoluzione temporale, cioè nel tempo: calcolato sull’intero ammontare della popolazione, il rapporto di mascolinità si è modificato dal 1861 ad oggi. Se infatti nel 1861 l’indice era di 103.6, nel 1991 esso è sceso al 94.3, perdendo quasi dieci punti. Questo perché passate le guerre, le emigrazioni ed altri fattori simili, la popolazione si è stabilizzata e le donne hanno fatto emergere la loro maggior adattabilità. Conoscendo il rapporto di mascolinità si può risalire alla % di maschi nella popolazione. Facciamo un esempio relativo al 1991: 94.3 M/100 F, quindi 94.3+100 = 194.3/94.3 = 48.53%. La percentuale di maschi sulla popolazione totale al 1991 era del 48.53%. La struttura della popolazione assume la tipica forma piramidale quando un paese è in via di sviluppo. Ad es. in Svezia la forma è invece tipicamente a botte, ovvero con la base (le classi più giovani) molto ristretta e l’ultima classe che presenta un “gap” maschi-femmine molto marcato a favore delle seconde. L’evoluzione italiana dal 1861 al 1931 è stata a forma piramidale, successivamente è andata via via restringendosi e le previsione per il 2025 e il 2050 è di avere in pratica una “torre”. Dal 1964 al 2001 inoltre le nascite si sono praticamente dimezzate. La situazione italiana comunque è molto differenziata al suo interno: se guardiamo infatti alla prima fascia (0-14 anni) l’Italia fa registrare mediamente il 16.3% sul totale, il Nord-Centro il 13.7% mentre il Sud ben 20.6%. Al contrario la classe +65 anni fa registrare dati diametralmente opposti con una maggiore presenza al Centro-Nord e minore al Sud. A tal proposito introduciamo l’indice di vecchiaia:    Iv = P 65-ω / P 0-15 • 100

La formula in pratica mette in rapporto tutte le persone dai 65 anni in su (ω significa appunto questo) con tutte i ragazzi in età compresa tra i 0-15 anni. Si usano dati assoluti da moltiplicare poi per 100, in modo da ottenere una percentuale. Es.: Liguria (usiamo dati in percentuale ma non si dovrebbe): 20.9 / 10.8 = 1.93 ; Campania: 10.8 / 22.1 = 0.48

Un altro indice è quello utilizzato per individuare le classi centrali, ovvero 15-65 anni:

Cc = P 15-65 / PT • 100 (PT = popolazione totale)

Molto importante è anche l’indice di ricambio, ovvero quello che rende possibile capire se nel prossimo futuro (ad es.: 5 anni) la classe lavorativa verrà adeguatamente ricambiata. Anche se oggi il limite dei 15 anni, come ingresso nel mondo del lavoro, non è più molto attuale. Si calcola così:

P 60-64 / P 15-19, cioè si mette in rapporto la classe lavorativa che esce e che non produrrà più reddito con la classe che invece entra nel mondo del lavoro e si sostituirà alla precedente.

Si può calcolare anche un indice di dipendenza, ovvero quanto pesano le classi che non producono reddito rispetto alla classe centrale che deve sostenerle. Id = P 0-15 + P 65- / P 15-64

Indica quanto uno Stato è in grado di sostenere se stesso. Vediamo i casi di Liguria e Campania

Liguria: 10.8+20.9 / 68.3 • 100 = 46.41

Campania: 22.1+10.8 /67.1 • 100 = 49.03

Apparentemente sta meglio la Liguria perché 100 persone ne mantengono 46, ma in realtà il dato va analizzato sotto un’altra prospettiva: infatti il dato al numeratore è frutto di una somma e se si guarda alla popolazione tra 0-15 anni, fra Liguria (10.8) e Campania (22.1) c’è una notevole differenza che significa soprattutto che in Liguria fra 10 anni non ci sarà un sufficiente ricambio della forza lavoro, mentre in Campania sì. E’ un dato dunque che va interpretato.




Vediamo ancora altri tipi di tassi ed indici che si possono calcolare:

Presenza infantile: Pi = P 0-5 / Pt · 100    (Pt = popolazione totale)

Presena giovanile: Pg = P 6-14 / Pt · 100

Indice di matrimonialità (maschi): Im = Cm 16-ω / M 16-ω · 100   (Cm: coniugati maschi dai 16 anni in su; M 16-ω: totale maschi dai 16 anni in su presenti sul territorio analizzato)

Indice di matrimonialità (femmine): Im = Cf  14-ω / F 14-ω · 100 (Cf: coniugate femmine dai 14 anni in su)

Ma il denominatore F 14-ω deve necessariamente essere ristretto: in un primo caso in entrambe le formule (sia maschile che femminile) si potrebbe fissare una soglia massima per sposarsi intorno ai 60 anni, per cui si ha: M 16-60 ed F 14-60. Ma poi bisogna anche togliere tutte le persone sul campione analizzato che sono impossibilitate a contrarre matrimonio (già sposati, separati), per cui la formula dovrebbe essere la seguente: N (C) + D + V 14 (16) –60, in cui:

N: nubili, C: celibi, D: divorziati, V: vedovi, tra i 14 (se donne) o 16 (se maschi) e i 60 anni

Caratteristiche socio-economiche di una popolazione: per poter passare all’analisi quantitativa di un fenomeno economico in un dato istante, è necessario identificare le caratteristiche socio-economiche della popolazione che ne è oggetto, partendo dalla popolazione totale, dividendola tra la popolazione attiva e la popolazione non attiva come nella rappresentazione che segue:


Popolazione attiva:


Occupati e disoccupati   (Popolazione attiva in condizione professionale)

In cerca di prima occupazione    (Popolazione attiva in condizione non professionale)


La popolazione attiva viene inoltre suddivisa in:

  • Attiva nell’agricoltura
  • Attiva nell’industria
  • Attiva nei servizi

Popolazione non attiva:


Popolazione in età pre-scolastica

Popolazione in età d’obbligo scolastico



Studenti in età lavorativa

Casalinghe

Pensionati, benestanti, invalidi, militari di leva, sacerdoti


Fra disoccupati e in cerca di prima occupazione c’è una differenza professionale: i primi hanno acquisito una professionalità (perché hanno lavorato), i secondi no.

Con “occupati” si intendono le persone con 15 anni e più che:

  • Hanno dichiarato di possedere un’occupazione anche se nella settimana di riferimento non hanno svolto attività lavorativa
  • Non si dichiarano occupati pur avendo effettuato almeno 1 ora di lavoro nella settimana di riferimento

Vediamo il tasso di attività e di disoccupazione:


Ta = Pa / Pt · 100 Ta: Tasso d’attività ; Pa: Popolazione attiva ; Pt: Popolazione totale


In genere un valore normale è attestato sul 40-45%; più la popolazione invecchia e più il valore scende (anche fino al 30%). La classe che innalza questa percentuale è quella centrale (15-65 anni).


Td = D / Pa · 100    Td: Tasso di disoccupazione; D: disoccupati


Il risultato che emerge non è da considerarsi su totale della popolazione ma sul totale della popolazione attiva.


Per cui è meglio scrivere la formula in questa forma:


Td = D + Ip / Pa · 100 Ip: in cerca di prima occupazione


Serve per rendersi maggiormente conto del “peso” sul totale dei disoccupati o di chi cerca la prima occupazione.


Il tasso di disoccupazione è differente da regione a regione: ci sono regioni particolarmente colpite dal fenomeno della disoccupazione, come ad esempio la Sardegna (27%), ma anche regioni, specie al Nord, con tassi del 4-5%. Quest’ultima è detta dagli esperti “disoccupazione frizionale”, ovvero sotto cui non si scende. Quel 4-5% è dovuto ai movimenti del mondo del lavoro, ad esempio chi, al momento dell’indagine (ogni 3 mesi lo fa l’Istat), sta cambiando lavoro. In genere dunque un tasso del 4-5% significa piena occupazione. Grossa differenza anche tra la popolazione maschile e femminile in materia di disoccupazione. D’altronde, le possibilità di lavoro offerte alle donne sono relativamente minori rispetto agli uomini. Facciamo alcuni esempi di applicazione del tasso di attività e disoccupazione.


Arenzano:    Ta = Pa / Pt · 100 4.534 / 11.181 · 100 = 40.55%

Td = D+ Ip / Pa · 100 230+247 / 4.534 · 100 = 476 / 4.534 · 100 = 10.49%


Prov. GE: Ta = 375.623 / 950.849

Td = 20.391 + 32.356 / 375.623 · 100 = 52.747 / 375.623 · 100 = 14.04%


Rondanina:    Ta = 34 / 103 · 100 = 33% Td = 6 / 34 = 17.64%


Genova:    Ta = 270.602 / 678.771 = 39.86%

Td = 39.592 / 270.602 = 14.63%




Analizziamo la popolazione dal punto di vista dinamico :

  • Fenomeni di carattere biologico o sociale (nascite-morti/immigrati-emigrati)

Ci sono modificazione che influenzano la struttura della popolazione ma non la sua consistenza, come: l’attività (il cambio di attività ad es: da agricola ad industriale, il passaggio da celibe a coniugato; modificano la struttura ma non la consistenza della popolazione).


Le nascite distinguono in: nati vivi e nati morti. Altre caratteristiche possono essere: legittimità, sesso, tipo di parto (semplice o plurimo), età madre/padre. Tutto ciò è funzionale a trovare il cosiddetto tasso di natalità, che si calcola nel modo seguente: Tn = N / Pm · 1000.

Il tasso di natalità varia nel tempo; ce ne possiamo ancora osservando i dati dal 1901-05 (32.7%) al 1915-18 (23.1%) e fino ai giorni nostri. Meno traumatico appare il bilancio del 2° dopoguerra, si scende al 18.4% nel 1961, al 9.9% nel 1991. Confrontando i valori del 1992 dell’Italia con quelli del resto del mondo, osserviamo che l’Italia con il suo 9.9% è piazziata molto in basso (con Spagna e Giappone); bene invece i paesi scandinavi, che costituiscono quasi un modello da seguire in questo campo. Se usciamo dall’Europa ci sono paesi con tassi superiori al 30% quindi 3 volte quello italiano. L’Italia è attualmente ai suoi minimi storici, il che, associato ad una mortalità in calo, significa crescita zero. Il tasso di natalità si divide in generico, specifico e standardizzato.

Tasso di natalità specifica: Tf = N / Pf 15-45 · 1000 (generico)

Tasso di fecondità:   Tf 15-20 = Nf 15-20 / Pf 15-20 · 1000 (specifico)


Analizzando la fecondità secondo l’età della madre, la classe 25-29 anni è quella in cui vi sono più nascite, dal 1930-32 al 1988-92. Sappiamo inoltre che oggi la nascita del 1° figlio è posticipata. Calano le nascite sia nella classe 15-20 che in quella 45-49. Nel periodo del boom demografico (anni ’60-’70) tornano a crescere i dati relativi alle nascite nelle classi fino a 30 anni. Da notare anche che nel 1988-90 la classe 30-34 anni supera per fecondità quella 21-24: 68.4% contro il 63.8%. Il tasso di fecondità è generico (totale), specifico, legittimo-illegittimo. Infine chiudiamo con lo spiegare due concetti cardine delle nostre analisi: Fertilità = capacità di procreare; Fecondità = attuarsi della capacità potenziale si procreare (quindi nascite).




Fattori influenzanti la natalità.


Fattori naturali:

  • Tasso di natalità naturale: circa 50‰ (ovvero: in assenza di misure restrittive, il tasso di natalità dovrebbe generalmente attestarsi su questo valore. In Italia, pur non essendoci misure restrittive, siamo ben al di sotto comunque)
  • Andamento a parabola della fecondità (nel corso della vita)
  • Precocità della nuzialità (prima ci si sposa e prima si hanno figli)
  • Residenza in campagna/città (più alta la fertilità in campagna)
  • Caso dei fronti pionieri (scoperta di nuovi territori da parte di frange limitate di popolazione: inizialmente il tasso di natalità può essere elevato, dipende anche dalla composizione di tali frange)

Fattori culturali:

  • Natalità più elevata nelle popolazioni più povere (caso dell’alimentazione con il riso al posto del latte materno in Cina, così da favorire una più veloce, successiva, gravidanza)
  • Negativa influenza delle guerre (meno nascite); differimento anche della nuzialità
  • Religione: generalmente effetto positivo per i popoli molto religiosi (religioni cattolica, islamica)
  • Direttive politiche (Germania; Giappone)
  • Limitazione volontaria: a priori (nel passato), a posteriori (attualmente; volta cioè ad impedire le conseguenze, tramite l’uso dei contraccettivi)
  • Fattori sociali: nel mondo rurale (proprietari-braccianti) e in quello urbano (impiegato-operaio). Generalmente ad avere più figli sono i secondi di entrambi i rapporti.

La situazione della natalità del mondo si esplica in una classificazione a seconda del valore del tasso:

  • Paesi ad alta natalità    > 30‰ (2/3 della popolazione mondiale)
  • Paesi a media natalità 20-30‰ (10% della popolazione mondiale)
  • Paesi a bassa natalità   < 20‰ (noi, con l’8‰ della popolazione mondiale)

Analizziamo la mortalità:


Tassi:

  • Tasso mortalità: generico Tm = M / Pm · 1000 (Pm: pop.media)
  • Mortalità secondo l’età (specifico)
  • Mortalità secondo il sesso
  • Mortalità secondo lo stato civile
  • Mortalità infantile (m 0-1 = M 0-1 / Nv · 1000)
  • Mortalità perinatale (nella 1^ settimana di vita. mp = Nm + M 1^ sett. / Nv + Nm · 1000)
  • Nati mortalità (nm = Nm / Nv+Nm · 1000)

Cause di morte: si distingue fra cause esogene ed endogene

Endogene: per decadenza fisica (vecchiaia); molto importante la vittoria dell’uomo sulle cause esogene (malattie epidemiche) alla base della rivoluzione demografica.


Mortalità e condizioni sociali e professionali:

  • 1^ fase (millenaria): fino al XVIII° secolo, in cui tutti gli uomini erano “uguali” di fronte alla morte. Cioè nessuna possibilità di combattere le malattie
  • 2^ fase, coincidente con la Rivoluzione Industriale, XIX° secolo: progressi della medicina.
  • 3^ fase. XX° secolo: protezione del lavoro e previdenza sociale

La speranza di vita: essa alla nascita esprime il numero di anni che un neonato, in una data epoca e in un dato paese, può sperare di vivere, posto che i tassi di mortalità non si modifichino.




La tavola della mortalità determina la velocità di estinzione di una certa popolazione. Riprendiamo il tasso di mortalità, mx = Mx / Px · 1000    (x indica una fascia d’età o anche un intervallo)

La tavola della mortalità serve soprattutto a calcolare la probabilità di morte (qx) ovvero la possibilità di sopravvivere. La probabilità di morte si calcola facendo morti / radice · 1000 (la radice è un n° fisso, in questa tabella 100.000, che decresce progressivamente). La probabilità di sopravvivenza è il complemento della precedente. Nel caso dell’intervallo 0-1 anno, su 100.000 nati i morti sono stati (anni 1970-72) 3.080, quindi qx = 3.080 / 100.000 · 1000 = 30.80‰

La probabilità di sopravvivenza si completa con il precedente quindi se 1000 è il totale ‰, facciamo 1000‰ - 30.80‰ = 969.20‰ (probabilità di sopravvivenza). La colonna lx indica invece il valore dei sopravviventi, per cui si fa: lx +1 = lx – lxqx

Calcoliamo tale valore ad esempio per il 1° anno di vita: 96.920 (sopravvissuti) = 100.000 – (100.000 · 30.80). Queste tavole trovano un’applicazione pratica per esempio nelle assicurazioni che le utilizzano per stabilire i premi sulla vita. 




Analizziamo le proiezioni e le previsioni demografiche: cosa sono, a chi servono e soprattutto perché cresce la domanda verso di esse?


  1. Per decidere meglio
  2. perché le proiezioni sono diventate quasi un “bene di consumo”
  3. per il progresso dei mezzi tecnici

  1. Per decidere meglio: (a livello Macro)
  • Adolescenti
  • Forza lavoro
  • Vecchi
  • Sub-Universi

La seconda motivazione si spiega col fatto che sempre più la statistica è utilizzata anche dai privati e quindi non solo dagli enti pubblici. Anche i media parlano sempre più spesso di problemi che necessitano della demografia e della statistica. E’ necessario però chiarire i seguenti punti:

  • Definizione ipotesi
  • Disponibilità di dati
  • Tecnologie di aggregazione
  • Stima dei parametri

Vediamo ora la differenza tra proiezioni, scenari e divisioni. La proiezione è un’operazione meccanica in cui c’è trasposizione nel futuro. Si prendono come base delle ipotesi, cioè valori conosciuti oggi. Sono lavori compiuti velocemente e correttamente dai computer. Nelle proiezioni entrano in gioco 3 componenti: struttura, entrate ed uscite (di una popolazione). Es.: Struttura M/F (struttura), Fecondità (entrate; es.: 1.2 figli / donna), Probabilità di morte. Le proiezioni però necessitano di altre condizioni perché siano effettivamente esatte, quindi bisogna aggiungere il Tasso Migratorio. Un’altra operazione che si può svolgere è la simulazione (“what if projection”), in cui si fanno variare uno o più parametri fra i tre precedentemente elencati (struttura, entrate ed uscite). Ad esempio alla fecondità possiamo far assumere anche un altro valore, con conseguenze diverse dai precedenti risultati. Il passo successivo alla Simulazione è lo Scenario, che si basa su una o più simulazioni: possono avere due finalità e due utilizzatori.

SCENARI:

  • Analisi di sensitività (il demografo fa variare di poco i parametri e osserva come cambia la struttura della popolazione). Interessano l’analista demografo. Si possono far variare contemporaneamente anche più parametri ma è meglio uno per volta.
  • Conoscere la realtà futura. Da queste ultime derivano le “Previsioni puntuali”, che si diramano come nello schema seguente:

PREVISIONI PUNTUALI:

  • Contro
  • Favorevoli: si parla di Scenari Condizionati, in cui si fissano parametri che si stimano cambino in un determinato periodo; in genere si fanno due scenari, uno ad ipotesi alta, uno ad ipotesi bassa. Ma l’utente finale in genere se ha due ipotesi ne fa una “sua”, che è la media fra le due che gli vengono fornite, ma è un procedimento assolutamente sbagliato, perché il dato che ne deriva non ha nessun valore.

Analizziamo infine le previsioni (forecast): esse devono essere puntuali. Il demografo sceglie determinati parametri e, in base a condizioni, valori, cause, . ritiene che essi varino da un valore ad un altro, assumendosene la responsabilità.








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