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Splendori stellari. Magnitudini apparenti- Cataloghi stellari e carte celesti- Moti stellari: velocità radiali e moti propri- Parallassi stellari- Spettri stellari- Classificazioni spettrali

astronomia




Le stelle sono globi di materia gassosa incandescente simili al Sole, la stella meglio conosciuta, che viene spesso usato come prototipo nello studio di quelle caratteristiche che non sono osservabili sulle altre stelle a causa della loro maggiore distanza.


v Splendori stellari. Magnitudini apparenti


Le  stelle sono classificate in ordine decrescente di splendore apparente secondo una scala scelta arbitrariamente. Le stelle si trovano così raggruppate, per ragioni storiche, secondo i termini di una progressione geometrica di ragione k = 2,512 (log k = 0,4). Si stabilisce così una scala detta di magnitudini apparenti in cui le stelle più brillanti visibili ad occhio nudo hanno magnitudine zero o leggermente negativa e quelle al limite di visibilità (sempre a occhio nudo) hanno magnitudine sei. Secondo il procedimento utilizzato si distinguono le magnitudini visuali, fotografiche, fotovisuali, ecc., diverse in genere tra loro proprio perché corrispondenti a una diversa sensibilità dei recettori per varie lunghezze d'onda. In particolare prende il nome di indice di colore la differenza tra la magnitudine fotografica (perciò si misura il massimo di intensità nella regione blu dello spettro) e le magnitudini visuali (con massimo nel giallo). Per convenzione hanno indice di colore zero le stelle bianche (di tipo spettrale A0). Quando si usi un recettore ugualmente sensibile a tutte le lunghezze d'onda si ricava la magnitudine bolometrica, la cui scala arbitraria è fissata in modo che per il Sole siano uguali la magnitudine visuale e bolometrica. Poiché la magnitudine apparente di una stella tiene conto sia dello splendore intrinseco sia della sua distanza, si è introdotta la magnitudine assoluta M che corrisponde al valore che avrebbe la magnitudine apparente della stella se venisse portata alla distanza standard di 10 parsec (1 parsec = 3,0856 · 10¹³ km). In tal modo dal confronto delle magnitudini assolute è possibile conoscere lo splendore assoluto o luminosità delle stelle.



Le magnitudini apparenti delle ventidue stelle più brillanti del cielo sono elencate nella tabella. Il numero delle altre stelle visibili a occhio nudo, in funzione della magnitudine, è il seguente: stelle di magnitudine due: 53; stelle di magnitudine tre: 157; stelle di magnitudine quattro: 506; stelle di magnitudine cinque: 1.740; stelle di magnitudine sei: 5.170. Si vede cioè che il numero di stelle osservabili cresce all'aumentare della magnitudine e ciò è sicuramente vero fino a stelle di magnitudine 21. Ma il rapporto tra il numero di stelle di una data magnitudine e il numero di quelle di una magnitudine superiore diminuisce via che si passa a stelle più deboli. Ciò significa che i mezzi di indagine oggi a disposizione sono in grado di raggiungere i limiti del sistema di stelle cui appartiene il Sole, cioè la Galassia.


v Cataloghi stellari e carte celesti


La  posizione di una stella è definita dalle sue coordinate (ascensione retta e declinazione) e ciò ha reso possibile ordinare le stelle in raccolte, dette cataloghi, nei quali sono definiti anche le magnitudini, i tipi spettrali, ecc. Il primo elenco sistematico di stelle fu compilato da Ipparco (130 a.C.), i cui lavori sono stati conservati da Tolomeo nell'Almagesto.

Questo catalogo, che comprende 1.022 stelle, è servito di base a quelli posteriori d'Ulugh beg, Hevelius, J. Bayer (1603, che n'aggiunse 500 e introdusse importanti modifiche alla pratica dell'astronomia siderale), Halley e Flamsteed, La Caille, Le Monnier, Bode, J. Herschel, J. B. Gould, Lalande. Più recente è il catalogo di F. W. A. Argelander, più noto come Bonner Durchmusterung, che reca anche le relative carte celesti in cui le posizioni delle stelle sono calcolate per l'anno 1855 e comprende l'emisfero boreale a nord di ­23º di declinazione. Fra i contemporanei vi sono il gran catalogo di Henry Draper (sigla delle stelle: HD), dell'università Harvard, contenente 225.000 stelle col relativo tipo spettrale e completato dall'Henry Draper Extension (HDE), e il General catalogue di B. Boss che comprende 33.342 stelle. Oltre a questi cataloghi di posizione esistono cataloghi speciali come i cataloghi di parallassi, di velocità radiali, di stelle variabili, doppie, ecc. Tra le carte del cielo le più recenti e importanti sono quelle pubblicate da 242g68c ll'osservatorio di Monte Palomar in base alle lastre prese al gran telescopio Schmidt di 120 cm.


v Costellazioni


Le stelle classificate nel cielo sono divise per costellazioni, i cui nomi risalgono all'antichità (soprattutto per il cielo boreale), ma che hanno ora rigorose delimitazioni scientifiche (Delporte, 1930).



v Moti stellari: velocità radiali e moti propri


Per moto di una stella s'intende il moto riferito al Sole, in altre parole corretto dagli effetti d'aberrazione, precessione, nutazione dovuti al moto della Terra entro il sistema solare. Non è direttamente osservabile il moto vero di una stella, ma solo le sue elemento radiali e trasversali rispetto al Sole. Il moto radiale, in altre parole in direzione della visuale, si ricava dallo spostamento delle righe dello spettro stellare per effetto Doppler. Dalla formula generale, n n (1+v/c), introducendo le lunghezze d'onda al posto delle frequenze e ricordando che n = c/l, si ricava

dove c è la velocità della luce. Per convenzione si considera positiva una velocità di recessione e negativa quella d'avvicinamento; le misure effettuate devono sempre essere corrette per la componente radiale del moto di rotazione e rivoluzione terrestri. Il moto trasversale si ricava dalla misura del moto proprio della stella, cioè da quei piccoli spostamenti sistematici rilevabili mediante misure ripetute ad intervalli abbastanza lunghi. Fu Halley per primo ad osservare (1718) che le coordinate di Arturo e Sirio erano variati rispettivamente di un grado e mezzo grado dai tempi di Tolomeo. Lo studio generale di questi moti particolari ha permesso di mettere in evidenza una rotazione di insieme della Galassia. Questa rotazione è di natura kepleriana, per le stelle più lontane del Sole dal centro galattico, e quasi di corpo rigido per il nucleo galattico.


v Parallassi stellari


Nella misura dei moti propri stellari emerge una parte sistematica con periodo esattamente uguale a un anno dovuta allo spostamento dell'osservatore terrestre sulla sua orbita intorno al Sole, che è di quasi 300 milioni di km di diametro. L'ampiezza del moto così determinato dà direttamente la distanza della stella, misurata in parsec, che è per definizione l'inverso della parallasse. Le parallassi descritte sono dette parallassi trigonometriche e si possono ottenere solo per le stelle più vicine perché i valori ricavabili sono assai piccoli (sempre inferiori al secondo di arco) e l'errore medio probabile è dell'ordine di 0´´,005. Sono perciò note con sufficiente precisione le parallassi trigonometriche di circa 6.000 stelle per le quali i valori sono superiori a 0´´,01. Esistono però altri metodi indiretti per ricavare le parallassi delle stelle più lontane, il più usato dei quali è il metodo delle parallassi spettroscopiche. Introdotto nel 1914 da Adams e Kohlschütter, questo si basa sulla possibilità di ricavare dalla conoscenza del tipo spettrale di una stella la sua magnitudine assoluta, dalla qual è poi facile risalire alle distanze medie mediante la relazione M = m+5+5 log p, dove p è la parallasse espressa in secondi di arco.

v Spettri stellari


Gli spettri stellari consistono di un fondo continuo solcato da un numero circa grande di righe spettrali talvolta in emissione, ma più spesso in assorbimento. La distribuzione di energia nello spettro continuo dipende dalla temperatura efficace delle singole stelle (cioè dalla temperatura che avrebbe il corpo nero per irradiare la stessa quantità di energia per unità di tempo e di superficie) e la curva corrispondente presenta un massimo che si sposta verso le lunghezze d'onda inferiori, al crescere della temperatura delle stelle. L'analisi spettrale ha permesso di conoscere la composizione chimica delle stelle: ogni riga è caratteristica di un elemento in un particolare stato di ionizzazione e di eccitazione; ne segue che dallo studio dell'intensità delle righe spettrali si può risalire alla composizione chimica di un'atmosfera stellare: tale composizione chimica risulta all'incirca la stessa per tutte le stelle; al variare dei parametri fisici (temperatura, pressione, gravità superficiali) cambia, però, l'aspetto di uno spettro stellare. Cosi, ad es., pur essendo una stella composta per il 75% di idrogeno, le righe di quest'elemento hanno un'intensità molto variabile perché sono normalmente osservabili le righe della serie di Balmer, cioè quelle corrispondenti all'idrogeno neutro nel secondo livello di eccitazione: queste sono deboli nelle stelle molto calde in cui l'idrogeno è quasi completamente ionizzato o nelle stelle fredde in cui l'idrogeno si trova quasi tutto nello stato fondamentale.




v Classificazioni spettrali


Padre Angelo Secchi diede una prima classificazione spettrale di carattere puramente empirico poiché si basava sul colore delle stelle e ciò, sebbene non fosse ancora nota la legge di Planck, fu attribuito a una differenza di temperatura superficiale. Il gran lavoro di sistematica classificazione di oltre 250.000 stelle fu iniziato nel 1885 da E. C. Pickering all'osservatorio dell'università Harvard e completato nel 1924 da Annie J. Cannon. I tipi spettrali oggi in uso sono, in ordine di temperatura decrescente,

In particolare si ha: tipo O: predominano le righe in assorbimento dell'elio sia neutro sia ionizzato, mentre sono deboli le righe dell'idrogeno della serie di Balmer;

tipo B: sono più intense le righe dell'idrogeno, mentre s'indeboliscono fino a sparire le righe dell'elio;

tipo A: predominano le righe della serie di Balmer che raggiungono la massima intensità nel tipo A0, cominciano ad apparire le righe metalliche e le righe H e K (nella nomenclatura di Fraunhofer) del calcio ionizzato;

tipo F: s'indeboliscono le righe dell'idrogeno e aumenta l'intensità delle righe del calcio ionizzato;

tipo G: le righe H e K diventano più intense di quelle dell'idrogeno, comincia ad apparire la prima banda molecolare;

tipo K: le righe H e K sono le più intense dello spettro, le righe metalliche sono sempre più numerose e intense;

tipo M: predominano le bande molecolari dell'ossido di titanio.

A questa sequenza spettrale che raggruppa circa il 99 % delle stelle vanno aggiunti alcuni gruppi comprendenti un numero limitato di oggetti celesti. All'inizio della sequenza le stelle più calde che si conoscono e cioè le stelle di Wolf-Rayet distinte nei due sottogruppi WN, se ricche di righe dell'azoto, e WC se presentano notevoli righe del carbonio: entrambe sono caratterizzate da larghe righe di emissione. All'altro estremo della sequenza si trovano le stelle R, N e S. Le stelle R e N presentano bande del cianogeno e dell'ossido di carbonio che le distinguono dalle stelle K e M con temperatura simile; si preferisce indicare questi oggetti col nome di stelle al carbonio o stelle C. Le stelle S si differenziano dalle stelle M per la presenza di bande dell'ossido di zirconio. Per ciascun tipo è introdotta una suddivisione decimale (es. da B0 a B9). È stato però chiarito che stelle dello stesso tipo spettrale presentano righe dall'aspetto diverso e che tale differenza si può mettere in relazione con la magnitudine assoluta (almeno per quelle stelle di cui è nota la distanza, ricavata dalla parallasse trigonometrica).


v Diagramma HR


Le ricerche intraprese in questo senso da Hertzsprung (1905) e Russell (1913) condussero a quello che è oggi noto come diagramma di Hertzsprung-Russell o diagramma HR, che costituisce uno dei più importanti mezzi per studiare il problema dell'evoluzione stellare. La maggior parte delle stelle cade entro una stretta fascia che attraversa diagonalmente il diagramma, dalle stelle blu di gran luminosità e alta temperatura a quelle rosse fredde e deboli: è questa la sequenza principale che comprende le cosiddette stelle nane tra cui il nostro Sole.

Dal tipo spettrale F0 si stacca una fascia pressoché orizzontale, quella delle giganti al di sopra delle quali si trovano, con una magnitudine assoluta ancora superiore, le stelle supergiganti. In basso a sinistra si nota il gruppo delle nane bianche.

Ora, tenendo conto che la magnitudine assoluta di una stella è funzione della sua luminosità e che quest'ultima dipende dalla temperatura e dal raggio della stella, si deduce che le stelle di pari temperatura devono differire per le loro dimensioni e che effettivamente le stelle giganti devono avere raggio superiore alle nane e queste superiore alle nane bianche.


v Masse stellari e relazione massa-luminosità


I dati contenuti nel diagramma HR si riferiscono alle due caratteristiche stellari luminosità e raggio, la cui importanza è legata alla possibilità di determinarle per un gran numero di oggetti: sono però caratteristiche temporanee di una stella nel corso della sua evoluzione; i parametri fondamentali sono piuttosto la massa e la composizione chimica. Le masse stellari sono determinabili solo nel caso di stelle doppie per le quali cioè, noto il semiasse maggiore e il periodo di rotazione di una componente rispetto all'altra, la massa si determina applicando la terza legge di Keplero. L'unica stella singola per la quale si conosce il valore della massa è il Sole: il suo valore, noto con gran precisione, p/ = 1,985 × 10³³ è usato come unità di misura. Empiricamente si è creduto che le stelle di cui sono note massa e luminosità obbediscono a una relazione del tipo L Rpa dove a è compreso fra 3 e 5: cioè, le stelle più luminose sono anche quelle di massa maggiore. Il Sole cade esattamente sulla curva media, e ciò indica che la relazione è valida anche per le stelle singole. Dalle due relazioni HR e massa-luminosità si osserva che mentre le luminosità variano da 1 / 100000 a 100.000 volte la luminosità solare, le masse variano in un intervallo più ristretto, cioè tra 1/20 e 50 p/. Di conseguenza anche i volumi variano tra un decimo e qualche milione di volte il volume del Sole. Per es. una stella M della sequenza principale e una stella M supergigante hanno volumi nel rapporto 1 a 3.109, masse nel rapporto 1 a 30 e densità nel rapporto 2 a 10 . Una così gran differenza di densità in stelle aventi circa la stessa temperatura influisce sull'intensità delle righe spettrali.


v Parallassi spettroscopiche


W . S. Adams e A. Kohlschütter scoprirono nel 1914 che le differenze spettrali più sopra descritte potevano essere usate come criteri per ottenere le magnitudini assolute delle stelle di uno stesso tipo spettrale e quindi le loro distanze. È questo il metodo con cui si determinano le parallassi spettroscopiche, le quali appunto utilizzano il rapporto di intensità tra righe spettrali particolarmente sensibili all'effetto di luminosità. Questo procedimento, tarato su stelle di cui si conosce già la parallasse ricavata dal metodo trigonometrico, presenta rispetto a quest'ultimo il vantaggio di essere applicabile a stelle distanti perché, mentre nella misura della parallasse trigonometrica si commette un errore assoluto di 0´´,005, nella misura di una parallasse spettroscopica l'errore è percentuale e precisamente del 15 per cento del valore misurato. Ne consegue che, per parallassi inferiore a 0´´,03, il metodo spettroscopico diventa più preciso.




v Costituzione interna


Anche  per le stelle meglio osservate i parametri direttamente conosciuti sono massa, luminosità, raggio e composizione chimica degli strati superficiali. Per risalire da questi a una teoria dell'interno stellare si deve ammettere un'altra ipotesi, e cioè la stabilità di una stella per lunghi periodi. Ciò è verificato dalle osservazioni: anche le variabili e le cefeidi presentano un notevole carattere di stabilità quando si considerano i valori medi delle loro caratteristiche su periodi sufficientemente lunghi.

Sebbene le nostre osservazioni si riferiscano a periodi estremamente brevi paragonati alla vita media di una stella, si hanno ad es. prove geologiche che il Sole ha irradiato con energia praticamente costante per almeno 1 miliardo di anni, il che significa che durante tale periodo la sua struttura interna deve essere rimasta praticamente invariata. Analoghe conclusioni si traggono dallo studio delle variazioni delle cefeidi. Le stelle cioè sono corpi gassosi in equilibrio idrostatico, meglio ancora in equilibrio meccanico e termico (termodinamico). Ciò significa che in ogni punto la forza gravitazionale diretta verso l'interno della stella deve essere equilibrato dalla forza di pressione diretta verso l'esterno. Nel caso che ciò non avvenisse la stella tenderebbe a contrarsi o a espandersi col risultato di alterare il suo raggio e cioè uno dei dati di osservazione, ipotesi che si verifica solo in alcune brevi fasi dell'evoluzione stellare. Dall'ipotesi dell'equilibrio termodinamico segue che nel centro di una stella di tipo solare, cioè di dimensioni e masse medie, deve regnare una temperatura dell'ordine di 10 milioni di gradi e una pressione di quasi 1 miliardo di atmosfere. In tali condizioni non solo la materia può esistere solo allo stato gassoso, ma non esistono composti chimici e il gas è molto ionizzato, per cui valgono le leggi del gas perfetto.

Per equilibrio termico valido nell'interno di una stella si intende quel particolare tipo di equilibrio che viene a crearsi quando l'energia irradiata verso l'esterno è pari all'energia prodotta nel suo interno. La sorgente di energia interna di una stella è per la maggior parte della sua vita dovuta a processi nucleari, il più importante dei quali è la trasformazione di idrogeno in elio secondo la reazione protone-protone oppure secondo il ciclo del carbonio azoto.

Il primo processo prevale nelle stelle di piccola massa della sequenza principale con nucleo a 10-15 milioni di gradi, mentre il secondo diventa importante nelle stelle di massa maggiore il cui nucleo ha temperatura di circa 20 milioni di gradi. L'energia così prodotta è trasportata in superficie mediante i due meccanismi del trasporto per radiazione e convezione. Il meccanismo del trasporto per conduzione è trascurabile perché, a causa delle alte densità del gas, il libero cammino medio degli ioni e degli elettroni è estremamente piccolo rispetto al raggio stellare. Assume importanza solo nel caso di materia degenerata e cioè nelle nane bianche e nel nucleo degenerato delle giganti. Il meccanismo del trasporto per radiazione è invece sempre presente là dove vi è un piccolo gradiente di temperatura, perché ogni elemento interno di materia stellare riceve una quantità di energia superiore dagli strati più interni e più caldi che è irradiata isotropicamente, determinando un flusso di energia verso l'esterno che dipende dall'opacità del gas stellare. Più questa è bassa e più è alto il flusso di energia. Si ha trasporto per convezione solo quando esiste un forte gradiente di temperatura e il trasporto per radiazione non è sufficiente a trasportare verso l'esterno tutta l'energia prodotta e perciò a mantenere in equilibrio la stella. Ciò si verifica nel nucleo centrale delle stelle dei primi tipi spettrali (O e B) in cui prevale il ciclo del carbonio. Nelle stelle più fredde prevale la reazione protone-protone; il nocciolo interno è radioattivo ma circondato da una regione convettiva in cui l'idrogeno è parzialmente ionizzato.


v Atmosfere stellari


Per  atmosfera stellare si intende quell'insieme di strati superficiali di una stella che emettono una quantità apprezzabile di energia registrabile mediante osservazioni spettroscopiche e fotometriche. Infatti la radiazione emessa dagli strati più profondi di una stella in direzione della superficie è assorbita dagli strati sovrastanti a causa dell'alta opacità del gas stellare. La struttura di un'atmosfera stellare, il cui spessore è generalmente una piccola frazione del raggio stellare (700 km nel caso del Sole) si determina mediante l'analisi spettroscopica della radiazione emessa, che permette di conoscere la composizione chimica e le condizioni fisiche che vi regnano. eccitazione s e quello nello stato fondamentale 0 per un elemento r volte ionizzato.


v Evoluzione stellare


Le  stelle hanno origine da una nube di gas, per lo più idrogeno, di gran massa che, a causa di diversi agenti esterni e interni quali il campo magnetico galattico, la presenza di una stella calda che ionizza il gas circostante, creando così discontinuità di pressione e densità al confine tra gas ionizzato e gas neutro, in altre parole la presenza di polveri interstellari che contribuiscono ad aumentare la massa della nube e che fungono da centri di condensazione, comincia a contrarsi e a frammentarsi in nubi più piccole, ciascuna delle quali darà origine ad una stella.

Quando queste strutture in contrazione raggiungono uno stadio di relativa stabilità si ha una protostella, caratterizzata da un gran raggio e da una piccola luminosità, che si contrae gravitazionalmente verso una situazione d'equilibrio. Se la massa è sufficientemente grande, cioè superiore ad un decimo circa della massa del Sole, quest'oggetto diverrà una stella, perché sarà in grado di innescare nel suo interno le reazioni di trasmutazione nucleare dell'idrogeno in elio. La probabilità di osservare le stelle durante questa fase della loro vita è molto scarsa, perché la loro temperatura superficiale è bassa e inoltre il tempo impiegato in queste fasi è breve se rapportato alla durata delle fasi successive.

Vi sono però alcune osservazioni che confortano questa teoria: l'osservazione d'alcuni oggetti di forma globulare che hanno una forte emissione nell'infrarosso, che denotano cioè una bassissima temperatura superficiale, potrebbe essere collegata coi primi stadi di protostella.

Il combustibile nucleare che ha bisogno della più bassa temperatura (qualche milione di gradi) per bruciare è l'idrogeno ed è appunto quest'elemento che costituisce, attraverso sia la reazione protone-protone sia il ciclo del carbonio, la sorgente d'energia stellare durante questa fase della vita di una stella. In realtà a temperature inferiori possono avvenire le reazioni nucleari del deuterio, del litio, del berillio e del boro; ma, data la grande scarsità di questi elementi, le reazioni che li coinvolgono hanno come solo effetto il prolungamento della contrazione gravitazionale. La reazione prosegue finché tutto l'idrogeno contenuto nel nucleo non si è trasformato in elio. Secondo l'ipotesi, verificata sperimentalmente, che nelle stelle non vi è mescolamento di materia, consegue che non si possono verificare ulteriori reazioni nucleari; infatti, la temperatura centrale non è sufficientemente alta perché s'inneschino le reazioni che usano come combustibile l'elio. Il nucleo centrale allora si contrae, mentre l'inviluppo esterno si riscalda e quindi per mantenere la stella in condizioni d'equilibrio si espande; nel diagramma HR la stella lascia la sequenza principale e si sposta verso la regione delle giganti rosse. Quando la temperatura del nucleo raggiunge invece i 10 ºK, l'elio comincia a bruciare nella zona centrale mentre in una corteccia intorno al nucleo la temperatura è ora divenuta sufficientemente alta perché l'idrogeno si trasformi in elio. La stella, in questa fase dell'evoluzione, subisce varie contrazioni ed espansioni durante un tempo complessivo di circa un milione d'anni: esempi di stelle in questa fase evolutiva sono le cefeidi e le stelle T Lauri. All'esaurimento dell'elio la stella subisce un nuovo processo di contrazione: i successivi combustibili nucleari sono costituiti da elementi via più pesanti: carbonio, azoto, ossigeno, neon, fino agli elementi del gruppo del ferro, quando la temperatura centrale ha raggiunto i 3.10 K. Le reazioni nucleari che interessano gli elementi più pesanti non occorrono, perché richiederebbero energia invece di erogarne. Esaurite così tutte le possibili fonti d'energia nucleare in un tempo dell'ordine di 10 anni per una stella di gran massa, la stella s'incammina verso gli ultimi stadi della sua vita. Le stelle, durante alcune fasi del loro cammino evolutivo, debbono perdere parte della loro massa a causa d'alcuni fenomeni: tra questi il vento stellare, analogo al vento solare, e l'innesco esplosivo d'alcuni combustibili nucleari, come l'elio e il carbonio. Il vento stellare è causa di una perdita di massa valutata intorno ad un miliardesimo di massa solare in un anno, quantità apparentemente trascurabile, ma che diviene importante se rapportata ai tempi medi di vita di una stella. L'innesco esplosivo (flash) di un combustibile nucleare ha un effetto analogo, solo che avviene in tempi molto brevi. La conseguenza di una perdita di massa da parte di una stella si manifesta con l'impossibilità, se la massa residua è sufficientemente piccola, di innescare nuove reazioni nucleari: ciò corrisponde alla fine della stella, che ora si raffredderà lentamente, avendo come unica fonte d'energia quella termica. È questo lo stadio di nana bianca caratterizzato da una struttura ad alta densità e piccolo raggio; d'altra parte le condizioni in cui si trova una stella dopo la perdita di massa può essere molto varie, dipendendo in generale dal modo con il quale la massa è stata persa: le nane bianche sono in generale il risultato di una perdita non violenta di massa seguita da una contrazione gravitazionale anch'essa lenta. Se la perdita di massa è di tipo violento, come può essere l'esplosione di una supernova, il residuo sarà un oggetto d'altissima densità e con un raggio dell'ordine di qualche chilometro: una stella di neutroni; se poi la massa del residuo è abbastanza grande, si può avere la formazione di un buco nero (black cole), la cui densità è talmente elevata che la luce non riesce a sfuggire alla sua attrazione gravitazionale, rendendolo così non osservabile se non tramite la sua interazione di tipo gravitazionale con altri corpi celesti. L'importanza di questi oggetti è notevole perché sono presenti in molti dei sistemi stellari che si sono rivelati sorgenti di raggi X.



Alcune di queste stelle a raggi X si trovano entro ammassi globulari con una percentuale superiore a quella con cui sono state osservate nel disco galattico. Le stelle a raggi X possono essere emettitori persistenti perciò la radiazione X è costante, o emettitori ad impulsi, stelle cioè che emettono impulsi di raggi X in rapida successione con periodi da qualche ora ad alcuni giorni. Le stelle a raggi X sono verosimilmente stelle molto vecchie che hanno ormai esaurito il loro combustibile nucleare, hanno subito il processo di collasso gravitazionale e che inoltre fanno parte di un sistema binario. In tal caso la stella vecchia e collassata si può arricchire di materiale che proviene dalla stella compagna. L'energia potenziale della materia che cade sulla stella collassata è convertita in calore e dà luogo ad emissione di fotoni d'alta energia, i raggi X tra 1 e 50 keV che sono stati osservati. Le stelle a raggi X sarebbero stelle di neutroni che fanno parte di un sistema binario; quest'ipotesi, formulata già nel 1967 da J. S. Sklovskij, spiega i fenomeni osservati nelle sorgenti X binarie scoperte dal gruppo di ricercatori diretto da R. Giacconi.

Tenendo presente questo schematico sviluppo della vita di una stella si può spiegare la differenza tra diagrammi HR d'ammassi d'età diverse. Data la grand'abbondanza dell'idrogeno rispetto agli altri elementi, il periodo durante il qual è "bruciato" quest'elemento è il più lungo della vita di una stella e corrisponde al tempo in cui la stella si trova sulla sequenza principale del diagramma HR. Confrontando i diagrammi HR di un giovane ammasso aperto con quello di un vecchio ammasso globulare si nota che in quest'ultimo mancano completamente le stelle blu dei primi tipi spettrali indicando che tali stelle hanno già lasciato la sequenza principale per portarsi verso la zona delle giganti rosse; da questo si deduce che le stelle blu si evolvono più rapidamente di quelle della bassa sequenza (cioè di tipo solare). Il punto nel quale s'interrompe la sequenza principale nel diagramma di un ammasso costituisce perciò un indice dell'età di questo. L'età degli ammassi si stima compresa tra 10 e 5.10 anni nel caso di un ammasso aperto, mentre gli ammassi globulari hanno tutti all'incirca la stessa età di 10¹º anni. Tal età coincide con quella della Galassia: da ciò si deduce che gli ammassi globulari devono essersi formati al momento stesso della formazione della Galassia, quando ancora non vi era una condensazione di materia in prossimità del disco galattico; si trovano, infatti, distribuiti isotropicamente nell'alone galattico. Gli ammassi aperti si sono formati anche in epoche successive perché, per effetto della rotazione galattica, mentre l'alone s'impoveriva di gas, e quindi venivano a mancare le condizioni per la formazione di nuove stelle, il disco galattico, arricchito di gas, continuava ad esser sede di concentrazioni di gas e perciò di formazione di stelle e d'ammassi.


v Popolazioni stellari


I parametri fondamentali che differenziano una stella dall'altra sono la massa, la composizione chimica iniziale e l'età. La differenza di questi ultimi due parametri è alla base della classificazione delle stelle in diverse popolazioni.

W. Baade, nel 1944, introdusse il concetto di popolazione I e II, differenti tra loro per proprietà fisiche, geometriche e cinematiche. Alla popolazione Iappartengono le stelle del disco e delle braccia a spirale della nostra e delle altre galassie simili e delle galassie irregolari: ne fanno parte in generale le stelle giovani di bassa velocità spaziale.

Alla popolazione II appartengono le stelle più vecchie che si trovano nell'alone e nel nucleo galattico e nelle galassie ellittiche. Dal punto di vista spettroscopico presentano una deficienza di metalli rispetto alle stelle di popolazione I. Ciò fa pensare che la materia interstellare da cui si formano le stelle, originariamente di composizione uniforme, sia andata via arricchendosi d'elementi pesanti provenienti dall'espulsione di materia da parte delle stelle giunte alla fine del loro ciclo evolutivo. La distinzione originaria delle due popolazioni rappresenta quindi, più che due gruppi distinti di stelle, i membri estremi di una sequenza continua d'oggetti di diversa età.

A questi due tipi di popolazione si preferisce oggi sostituire le cinque classi proposte da J. B. Oke nel 1957: popolazione I estrema, comprendente gli oggetti che fanno parte di giovani ammassi aperti con età inferiore a 1.000.000.000 di anni e che si trovano nelle braccia a spirale della Galassia; popolazione I intermedia, costituita da stelle con forti righe metalliche ed età compresa tra uno e tre miliardi di anni (stelle del disco galattico); popolazione I più vecchia, comprendente le stelle con righe metalliche più deboli della media, età compresa fra tre e cinque miliardi di anni e posizione poco sopra il disco galattico; popolazione II intermedia, che comprende le stelle sparse nell'alone galattico di età compresa tra cinque e sei miliardi di anni; popolazione II estrema: ne fanno parte le stelle che compongono gli ammassi globulari con età di 10 miliardi di anni e, come quelle della popolazione precedente, hanno una distribuzione sferica dell'alone galattico.






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