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SFERA CELESTE - GLI STRUMENTI DELL' ASTRONOMIA - LUMINOSITA' E MAGNITUDINE DELLE STELLE

astronomia



SFERA CELESTE


All' interno della sfera celeste esistono stelle, galassie, pianeti satelliti.I punti luminosi che vediamo nella sfera celeste si trovano in uno spazio tridimensionale a distanze diverse tra di loro. Quest' ultima però non è in movimento poiché l' apparente rotazione è la conseguenza del moto di rotazione della Terra.

Le costellazioni sono degli insiemi di stelle apparentemente vicine tra di loro (e disposte sulla sfera celeste), apparentemente perché osservate sulla Terra, la quale, per l' effetto prospettico le schiaccia facendocele apparire vicine tra loro.

La Terra è un sistema integrato (all' interno del quale avvengono continui scambi di materia e di energia) composto da strati che interagiscono continuamente tra di loro. Questi strati sono la geosfera, l' atmosfera, l' idrosfera e la biosfera.


PUNTI DI RIFERIMENTO SULLA SFERA CELESTE


Per stabilire la posizione di un astro è necessario costruire sulla sfera celeste un sistema di riferimento universale che si basa su alcuni elementi di riferimento:

- L' asse del mondo: è la retta che si ottiene prolungando l' asse terrestre: interseca la sfera celeste in due punti, il Polo Nord celeste e il Polo Sud celeste.



- L' equatore celeste: è la circonferenza risultante dall' intersezione, con la sfera celeste, del piano dell' equatore celeste. Questo piano divide la sfera in due emisferi: boreale (settentrionale) e australe (meridionale).

- I paralleli e i meridiani celesti: derivano dalla proiezione di quelli terrestri sulla sfera celeste.

- Il parallelo fondamentale: (o parallelo zero) è l' equatore celeste, cioè il piano perpendicolare all' asse del mondo passante per la sfera stessa.

Il meridiano fondamentale: quello passante per il punto dell' Ariete, il punto della sfera in cui si trova il Sole il giorno dell' equinozio di primavera. Al contrario il coluro equinoziale, passante per il punto della Bilancia, è il punto della sfera occupato dal Sole all' equinozio di autunno.

Intersecandosi, meridiani e paralleli, formano un reticolato di linee che serve da riferimento per le coordinate astronomiche equatoriali.


Dato che da diverse posizioni dell' osservatore, la visuale della sfera celeste varia (stesse stelle ma in disposizione differente) è necessario costruire su di essa un sistema di riferimento che tenga conto della posizione dell' osservatore. Questo si sistema si basa su certi elementi:

- Verticale dell' osservatore: la retta immaginaria che attraversa il centro della Terra e passa per il punto in cui si trova l' osservatore. Questa interseca la volta celeste in due punti: lo zenit, sopra l' osservatore, e il nadir, dalla parte opposta.

- Piano dell' orizzonte astronomico: il piano passante per il centro della sfera e perpendicolare alla verticale del punto dell' osservatore. La circonferenza che deri 848d39i va dalla sua intersezione con la sfera celeste è detta orizzonte astronomico. Inoltre il piano dell' orizzonte astronomico divide la sfera in due semisfere, una visibile all' osservatore e l' altra nascosta alla sua vista.

- I circoli verticali: sono le circonferenze passanti per lo zenit e il nadir dell' osservatore. Una di queste circonferenze passa anche per i poli celesti individuando così il meridiano locale.

- I quattro punti cardinali: l'Est e l' Ovest sono i punti in cui il piano dell' orizzonte interseca il piano dell' equatore celeste, mentre il Nord e il Sud sono i punti in cui il meridiano locale interseca il piano dell' orizzonte.

Zenit, orizzonte astronomico e circoli verticali formano il sistema di riferimento per le coordinate astronomiche orizzontali.


GLI STRUMENTI DELL' ASTRONOMIA


I moderni derivati del cannocchiale di Galileo sono i telescopi ottici. Questi sono strumenti che, tramite un obiettivo, raccolgono la luce proveniente dai corpi celesti, facendola convergere in un punto (fuoco) dove si crea l' immagine da osservare e che, tramite un sistema di lenti detto oculare può essere ingrandita.

- La capacità di ingrandimento di un telescopio è il rapporto tra la distanza focale dell' obiettivo e la distanza focale dell' oculare. La distanza focale dell' oculare non può essere ridotta oltre certi limiti senza distorcere l' immagine, quindi per ingrandire maggiormente è necessario aumentare la distanza focale dell' obiettivo (e quindi la lunghezza del telescopio). 

- Il potere di risoluzione è la capacità di uno strumento ottico di fare percepire come separate due sorgenti luminose vicine: determina la nitidezza dell' immagine e migliora all' aumentare del diametro dell' obiettivo.

Esistono due tipi di telescopi: a rifrazione (rifrattori) e a riflessione (riflettori).






RADIOASTRONOMIA E NUOVE METODOLOGIE


I corpi celesti, oltre alle onde luminose, inviano nell' universo ogni tipo di radiazioni elettromagnetiche: onde radio, raggi X, raggi gamma, infrarosso, ultravioletto, microonde.

La radioastronomia si serve, per la sua ricerca, di radiotelescopi ossia sistemi di antenne che raccolgono deboli onde radio (da quasar e pulsar), le amplificano e infine le registrano su grafici.


L' ANALISI SPETTRALE


Gli spettroscopi e gli spettrografi sono strumenti che si basano sul principio di rifrazione. Quando un raggio luminoso monocromatico passa da un mezzo a un altro, dato che possiede una sola lunghezza d'onda, subisce una deviazione. Se invece il raggio che passa da un mezzo a un altro è policromatico, esso si dividerà nei vari colori che lo compongono (dispersione della luce). Questo accade perché ogni raggio scomposto dal "raggio iniziale" possiede una lunghezza d' onda differente.

In laboratorio si possono ottenere tre tipi di spettri luminosi:

- Spettri di emissione continui: generati da solidi, liquidi o gas compressi incandescenti. In essi sono visibili tutti i colori

- Spettri di emissione a righe o bande: prodotti da gas rarefatti incandescenti a bassa pressione. Caratteristica fondamentale di questi spettri è che sono caratteristici della sostanza che li emette.

- Spettri di assorbimento: si ottengono facendo passare una luce policromatica bianca attraverso un gas rarefatto che assorbe le frequenze di luce che esso stesso emetterebbe se fosse incandescente. Ciò che si ottiene è uno spettro continuo interrotto da righe o bande scure.

(La spettroscopia stellare fornisce agli astronomi informazioni sulla composizione e la temperatura delle stelle.)


LO STUDIO DELLE STELLE


L' astrofisica è il settore dell' astronomia che studia l' evoluzione dei corpi celesti e dell' universo grazie alla fisica quantistica e alla teoria della relatività.


LE DISTANZE ASTRONOMICHE


Per stabilire la distanza di pianeti e stelle relativamente vicine il metodo più utilizzato è quello della parallasse trigonometrica. Questo metodo si basa su un principio molto semplice: un oggetto relativamente vicino sarà visto dall' osservatore in posizioni diverse rispetto a uno sfondo di oggetti più distanti se l' osservatore stesso cambia la sua posizione. Per l' applicazione a un pianeta o a una stella basta attendere lo spostamento dell' osservatore a causa del  moto di rotazione (parallasse diurna) o di quello di rivoluzione (parallasse annua) della Terra.

Per quanto riguarda una stella occorrerà fissare la posizione di essa in un determinato momento e ripetere l' osservazione dopo sei mesi (quando la Terra avrà effettuato metà del suo percorso intorno al Sole. Determinate le due posizioni apparenti della stella è possibile, con metodo geometrico, costruire un triangolo che ha per base il diametro dell' orbita terrestre e per lati i segmenti che congiungono la posizione reale della stella con le due posizioni della Terra a distanza di sei mesi. Poiché la base del triangolo è nota e costante, l' angolo che ha al vertice la stella è tanto più piccolo quanto più la stella è distante: la metà di quest' angolo è l' angolo di parallasse, che si definisce come l' angolo sotto il quale, dalla stella in esame, si vedrebbe il semiasse maggiore dell' orbita terrestre. Poiché l' angolo di parallasse è misurato in secondi di grado, si definisce parsec (pc parallasse-secondo) un angolo di 1''. La distanza di una stella si determina quindi in base alla relazione d = 1/p

Dalla Terra, tuttavia, non è possibile effettuare misurazioni con un errore inferiore a 0,001'', con un incertezza del 30%.

All' interno del sistema solare si usa esprimere le distanze basandosi sull' Unità Astronomica (UA), che equivale alla distanza media Terra-Sole, ossia 1,5 x 1011 m. (1 pc corrisponde a 202 265 UA).

Un' ulteriore unità di misura delle distanze astronomiche è l' anno luce (al), cioè la distanza percorsa dalla luce in un anno. (corrisponde a 0,31 pc e 9463 x 109 km).



LUMINOSITA' E MAGNITUDINE DELLE STELLE


Gli astri non hanno tutti la stessa luminosità. Quest' ultima dipende, per quanto riguarda le stelle, da due fattori: l' energia irradiata e la loro distanza dalla Terra. Gli astronomi misurano la luminosità delle stelle con la scala delle magnitudini. L' origine di questa scala è antichissima e risale al II sec. a.C. quando l' astronomo greco Ipparco classificò le stelle visibili ad occhio nudo in sei classi di grandezza, dette magnitudini apparenti: in ordine di luminosità dall' 1 al 6. passando da una classe si grandezza alla successiva, la variazione di luminosità è di circa 2,5 volte. Gli astronomi hanno scelto come stella campione la Stella Polare che possiede un valore di 2. inoltre si è definita la magnitudine apparente (o visuale) con la formula di Pogson: m = mo - 2,5 log L/Lo dove m è la magnitudine della stella in esame e mo quella della stella di riferimento. L/Lo invece è il rapporto delle rispettive luminosità.

Grazie a nuovi strumenti telescopici, come il fotometro, si è potuta ampliare la scala sia per le stelle più luminose che per quelle meno luminose. Per confrontare stelle poste a diverse distanze dalla Terra, si è introdotto il concetto di magnitudine assoluta (M): è la magnitudine apparente che le stelle avrebbero se fossero collocate tutte alla stessa distanza, di 10 parsec, dalla Terra. M = m + 5 - 5logd dove d è la distanza reale della stella espressa in parsec. In questo modo, prescindendo dalla distanza, si possono confrontare le diverse luminosità delle stelle e conoscerne energia e dimensioni. La legge di Stefan afferma infatti che la luminosità estrinseca di un oggetto dipende solo dal raggio della superficie emittente e dalla temperatura alla quale avviene l' emissione di luce, secondo la relazione L = 4Πr2 σ T4 dove L è la luminosità vera, r il raggio della superficie emittente, T la sua temperatura assoluta, σ la costante di Stefan, uguale a 5,67 x 108 J/m2 k4 s.

Talvolta però si può procedere in senso inverso per calcolare la magnitudine assoluta. Questo grazie a stelle come le Cefeidi che variano con regolarità la loro luminosità. Di esse ne possiamo ricavare la magnitudine assoluta tramite il periodo di pulsazione  e, la distanza, tramite il confronto con le loro magnitudini apparenti. Il metodo delle Cefeidi è di grande utilità nel caso di stelle per le quali non è possibile calcolare l' angolo di parallasse in modo trigonometrico a causa della loro distanza.


COLORE E TEMPERATURA DI UNA STELLA


Il colore di una stella dipende dalla sua temperatura superficiale, come si deduce dalla legge di Wien : "un corpo incandescente emette radiazioni elettromanietiche di diversa frequenza. La frequenza per la quale si ha il massimo di emissione è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta. " (come si può dedurre dall'osservazione delle curve di Planck). Quindi, al crescere della temperatura, il colore del corpo si sposta dal rosso verso il blu. Di conseguenza, le stelle relativamente fredde sono di colore rossastro e quelle molto calde sono azzurrognole, con tutte le possibili gradazioni intermedie.

Il metodo basato sull'indice di colore BV è la differenza tra la magnitudine blu e la magnitudine gialla della stella misurate facendo passare la luce stellare prima attraverso un filtro che seleziona le frequenze del blu, e poi attraverso un filtro che seleziona il giallo. Le stelle molto calde hanno un indice di colore di valore negativo, e viceversa per le stelle meno calde.


CLASSIFICAZIONE SPETTRALE DELLE STELLE


Ulteriori informazioni sulle caratteristiche fisiche e chimiche delle stelle sono fornite dall'analisi degli spettri di assorbimento della luce stellare.

In base alle caratteristiche delle righe dei loro spettri, le stelle sono state suddivise in classi (o tipi) spettrali, ognuna contrassegnata da una lettera dell'alfabeto: O , B , A , F , G,  K , M. Esistono in realtà anche altre classi meno importanti e numerose sottoclassi. Le stelle di classe O sono le più calde, mentre quelle di classe M sono le più fredde (ca 25.000 K e 3.000 K ). Il sole appartiene alla classe G.


LA MASSA DELLE STELLE


La massa di un  stella ne determina l'evoluzione: è quindi un parametro di grande importanza, purtroppo determinabile direttamente solo nel caso delle stelle doppie.

Non vi è uno stretto legame tra il raggio e la massa di una stella: questo perché stelle di tipo diverso hanno una densità media estremamente diversificata.


IL DIAGRAMMA DI HERZSPRUNG-RUSSEL


Nel diagramma di H-R ( realizzato all'inizio del '900) le stelle sono collocate in base alla loro magnitudine assoluta e alla loro temperatura.

Le stelle presenti nel diagramma non si distribuiscono in modo casuale, ma la maggior parte di esse si dspone lungo una fascia obliqua detta sequenza principale. Le stelle in basso a destra nella sequenza sono poco luminose e fredde ( nane rosse). In alto a sinistra,invece, si trovano le stelle molto luminose e molto calde ( stelle azzurre). Il sole si trova al centro della sequenza poiché è una stella di media grandezza.

Esiste una relazione matematica tra la luminosità vera di una stella che appartiene alla sequenza principale e la sua massa: le stelle luminose e azzurre hanno massa maggiore di quella del sole, quelle rosse massa minore.

Le stelle che non appartengono alla sequenza principale sono raggruppate in due zone. In alto a destra si trovano le giganti rosse e le supergiganti rosse (nonostante siano stelle relativamente fredde, hanno una notevole luminosità: devono perciò essere di grandi dimensioni). In basso a sinistra si collocano le nane bianche: sono calde ma poco luminose, quindi di piccole dimensioni.

Da diagramma H-R possiamo dedurre che le stelle non sono immutabili ma evolvono nel tempo; la sequenza principale rappresenta il periodo di maggiore durata nella vita di ogni stella, mentre le altre zone rappresentano fasi di durata molto più breve.

STELLE PARTICOLARI


Esistono molti altri tipi di stelle: le più importanti sono le stele variabili e le stelle binarie.

Le stelle variabili modificano la loro luminosità nel tempo. In particolare le variabili pulsanti sono stelle che presentano una variazione regolare della luminosità (Cefeidi) .

Un altro gruppo è quello delle variabili eruttive (o esplosive), che modificano la loro luminosità in modo irregolare. Le più importanti sono le Novae e le Supernovae , che presentano un improvviso ed enorme aumento di splendore. Al contrario di ciò che si credeva esse sono stelle già esistenti (e non di nuova formazione) , poco luminose, che esplodono.

Possono apparire variabili anche le stelle doppie (o sistemi binari), copie di stelle che ruotano una intorno all'altra, e i sistemi multipli, composti da tre o più stelle che subiscono la reciproca attrazione gravitazionale


LO SPAZIO INTERSTELLARE


Nello spazio interstellare sono presenti soprattutto idrogeno ed elio, ma vi sono anche calcio, molecole inorganiche e organiche, radicali e polvere cosmica: il tutto, però, in condizioni di estrema rarefazione.

Esistono anche zone a maggior concentrazione di materia: sono le nebulose, ammassi di gas e polveri cosmiche. Quest'ultime si suddividono in luminose e oscure.

Del primo tipo sono:

- le nebulose a riflessione, ammassi di gas che riflettono la luce di stelle vicine.

le nebulose a emissione, in cui l'idrogeno si ionizza per la presenza di stelle non visibili all'interno.

- le nebulose planetarie, con al centro una nana bianca.

- le nebulose residuo dell'esplosione di una supernova.

Le nebulose oscure sono prive di nebulose al loro interno e assorbono la luce dalle stelle retrostanti, poiché contengono una maggiore quantità di polvere opaca: in particolare, i globuli di Bok sono ritenuti ammassi di gas e polveri in condensazione, prima fase della formazione di una nuova stella.

Il gas interstellare si trova sia all'interno delle nebulose sia nello spazio vuoto tra le stelle.



L'EVOLUZIONE DELLE STELLE


I complessi meccanismi dell'evoluzione stellare sono determinati da due tendenze contrap­poste: da un lato la massa globale dei materiali presenti nella stella esercita una forza di gravità che tende a far contrarre o collassare la stella su se stessa; dall'altro i processi di fusio­ne nucleare che avvengono all'interno del corpo celeste tendono a far espandere l'involucro gas­soso della stella nello spazio, poiché aumentano l'energia cinetica delle particelle che lo costitui­scono.

In certe fasi di vita della stella si crea un equili­brio stabile tra le due diverse tendenze, mentre in altri periodi l'equilibrio si spezza e la situazio­ne diventa estremamente instabile.


COME NASCE UNA STELLA


Le stelle si originano da enormi nubi di gas e pol­veri (come i globuli di Bok), che si contraggono sotto l'effetto della forza gravitazionale esercita­ta dai materiali che le costituiscono. Esistono varie ipotesi sul meccanismo che inne­sca questa contrazione: la perturbazione gravita­zionale potrebbe essere indotta dall'esplosione di una vicina supernova, oppure dallo scontro tra due o più nebulose. A causa della contrazione, la densità e la temperatura di una o più zone della nube aumentano poiché l'e­nergia gravitazionale si trasforma in calore.

Si formano una o più protostelle, la cui tempera­tura cresce gradualmente sufficientemente per un'emissione, limitata e spesso ir­regolare, di onde infrarosse. Le protostelle non sono vere stelle, perché la temperatura interna non è sufficiente a innesca­re i processi di fusione nucleare, hanno quindi una debolissima luminosità: sono praticamente invisibili, poiché la luce che emettono è assorbita dalle polveri opache circostanti. La durata della fase di protostella dipende dalla massa dei materiali in condensazione: con masse molto grandi il processo è rapido, con masse minori è più lento; se poi la massa è infe­riore a 1/10 della massa solare, non si raggiungo­no temperature sufficienti per innescare i pro­cessi di fusione nucleare e la stella non si forma. Se il processo di condensazione prosegue sino a che, nelle regioni centrali, la temperatura rag­giunge i 10 milioni di kelvin, hanno inizio le rea­zioni termonucleari di fusione dell'idrogeno, che diventa elio con la trasformazione di parte della sua massa in energia, secondo la nota equazione di Einstein (E = mc2) quindi nasce la stella.





LA FASE DI STABILITA'


L'innesco delle reazioni di fusione nucleare produ­ce un'enorme quantità di energia che si trasferi­sce, per irraggiamento o per convezione, dal nu­cleo, più caldo, verso l'involucro gassoso esterno, che tende a espandersi: questo fatto impedisce un'ulteriore contrazione gravitazionale della ma­teria stellare. Si crea quindi una situazione di equilibrio in cui le due ten­denze, contrazione ed espansione, si bilanciano: la stella entra in un periodo di stabilità in cui, grazie a un meccanismo di autoregolazione, un eventua­le incremento dei processi di fusione causerebbe l'espansione dei gas stellari, il conseguente raf­freddamento della stella e infine la riduzione del­l' intensità della fusione stessa, che tornerebbe al­la "normalità". È questa la fase in cui si trova il Sole.

Le caratteristiche della nuova stella dipendono dalla sua massa: se è oltre dieci volte quella sola­re, la stella si collocherà in alto a sinistra nel dia­gramma H-R (stelle bianco-azzurre di classe 0 -B). Sono le stelle più calde e luminose, ma anche

quelle con minore durata di vita: per controbilanciare il collasso gravitazio­nale, infatti, le reazioni di fusione nel nucleo devono es­sere molto intense, e il combustibile si esaurisce più rapidamente. Il processo di fusione prevalen­te è il ciclo carbonio-azoto-ossigeno (CNO). Le stelle di massa simile o inferiore a quella del Sole si collocano al centro o in basso a destra nel diagramma H-R: in esse prevale la reazione protone-protone e hanno una durata di parecchio superiore alle precedenti.

Le stelle passano circa il 90% della loro vita nella sequenza principale, senza spostamenti apprez­zabili poiché non variano in modo significativo la loro massa.

II nucleo della stella, ricco di elio (più pesante dell'idrogeno), in assenza di produzione di ener­gia nucleare, comincia a contrarsi per l'effetto della gravita, aumentando di temperatura. Le successive fasi dell'evoluzione di una stella dipendono ancora dalla sua massa.

Stelle di massa inferiore a 0,5 masse solari: in questo caso la temperatura del nucleo non raggiunge valori sufficienti per innescare la fu­sione nucleare dell'elio e la contrazione procede incontrastata, provocando un aumento notevo­lissimo della densità della stella, che si trasfor­ma in una nana bianca. Queste sono stelle di piccole dimensioni, inizialmente molto calde, che si raffreddano lentamente, in miliardi di an­ni, sino a spegnersi del tutto (nane nere).

In queste stelle la materia si trova in uno stato degenere, in cui i nuclei e gli elettroni degli atomi si separano e diventano in­dipendenti, impedendo ulteriori contrazioni gra­vitazionali.

- Stelle di massa superiore a 0,5 masse sola­ri: in questo caso la contrazione gravitazionale fa sì che nel nucleo si raggiunga una temperatu­ra sufficiente a innescare la reazione di fusione dell'elio a for­mare carbonio. Nelle regioni intorno al nucleo si innesca invece la fu­sione dell'idrogeno (tramite il ciclo CNO). L'energia prodotta in questo modo è molto eleva­ta e determina l'espansione degli strati esterni della stella, che diventa gigantesca. L'espansione causa però il raffreddamento dei gas superficiali e quindi la stella assume un colore rossastro, uscendo dalla sequenza principale: è una gigante rossa. Il tempo di permanenza di una stella in questa fase è relativamente breve.


. Se il nucleo della gigante rossa ha massa in­feriore a 1,44 masse solari (limite di Chan-drasekar), la stella non raggiunge temperature interne che permettano l'innesco del processo di fusione nucleare del carbonio e si trasforma in una nebulosa planetaria.

Questa è una fase di instabilità, durante la quale il sistema espelle gli strati più esterni, costituiti da carbonio, azoto e ossigeno. La massa rimanente al centro, caldissima, conclude la sua evoluzione diventando prima una nana bianca e alla fine una nana nera.


Se la massa del nucleo della gigante rossa su­pera 1,44 masse solari , la stella inizia una serie di processi di fusione nucleare sempre più rapidi, che portano alla formazione di elementi sempre più pesanti tanto più la sua massa è elevata. La gigante rossa risulta quindi formata da gusci di diversa densità (con gli ele­menti più pesanti al centro e i più leggeri all'e­sterno), in cui avvengono le reazioni nucleari differenti. In questa fase la stella è in­stabile e varia notevolmente la sua luminosità: è quindi una stella variabile del tipo delle Cefeidi. Nelle stelle giganti le reazioni nucleari si esauri­scono abbastanza rapidamente. La morte della stella è in questo caso molto spettacolare. La stella esplode violentemente, forse a causa della liberazione di un'enorme quantità di energia gravitazionale conseguente al collasso del nucleo ferroso. Diviene così una supernova, che aumenta la propria luminosità sino a un miliardo di volte di­ventando visibile anche in pieno giorno. Gran parte della materia stellare è proiettata nel­lo spazio a elevatissima velocità e origina una nebulosa residuale che potrà rimanere visibile per centinaia di anni. È in questa fase che si formano tutti gli elementi più pesanti. Parte del materiale espulso dalle supernovae crea delle onde d'urto, che causano fenomeni di condensazione di materiali interstellari e portano alla formazio­ne di nuove stelle.

Il nucleo della stella raggiunge eccezionali valori di densità trasformandosi in una stella a neutroni o in un buco nero.

Se il nucleo della stella ha una massa inferiore a 3-4 masse solari (supergigante rossa), si tra­sforma in una stella di neutroni: si tratta di corpi celesti di piccole dimensioni e con una densità dell'or­dine elevata. Già negli anni '30 l'ameri­cano F. Zwicky aveva previsto che questi corpi celesti possedessero un campo magnetico molto forte e una rapida rotazione: si riteneva dovesse­ro emettere energia (luce, raggi X, onde radio), soprattutto dai poli magnetici, in modo ritmico, come se pulsassero. Per via della loro bassissima luminosità non furono individuati og­getti di questo tipo sino al 1967, quando J. Bell Burnell, intercettò un'emissione radio che variava ritmicamente e che proveniva sicuramente da un oggetto celeste: a questa ra­diosorgente fu dato il nome di pulsar . Ora se ne conoscono circa 400, scoperte captando onde radio o raggi X. La maggioranza degli astronomi ritiene che le pulsar altro non siano che stelle di neutroni.


Se il nucleo della supernova possiede una massa superiore a 4 masse solari, la contra­zione gravitazionale prosegue sino a densità per noi inimmaginabili e la stella si trasforma in un buco nero, uno degli oggetti più misteriosi del­l'universo. I buchi neri, descritti a livello teorico da Schwarzschild (nel 1916) e da Oppenheimer (nel 1939) utilizzando la concezione relativistica della gravitazione, sono caratterizzati dalla capa­cità di attrarre e "inglobare" qualsiasi oggetto o qualsiasi radiazione (luce compresa) transiti vi­cino a essi: sono una specie di "foro" nella strut­tura della spazio-tempo. Per que­sto motivo non emettono radiazioni e sono quin­di invisibili. Proprio perché i buchi neri non sono visibili, non è semplice dimostrarne l'esistenza, anche se un modo c'è: è possibile individuarli grazie agli effet­ti gravitazionali della loro presenza. Gli astrono­mi, infatti, stanno studiando alcuni sistemi binali spettroscopici, che appaiono anomali perché si osserva un'unica stella che ruota (come dimostra l'effetto Doppler) intorno a una gemella invisibi­le. La stella non visibile potrebbe essere sempli­cemente poco luminosa o essere una stella a neu­troni, ma esiste anche la possibilità che sia un bu­co nero.


LA VIA LATTEA


Gli antichi denominarono Via Lattea la striscia luminosa che attraversa il cielo notturno, senza comprenderne la vera natura: fu Galileo, grazie all'osservazione con il cannocchiale, a ca­pire che essa era formata da un numero enorme di stelle non distinguibili a occhio nudo. Ora sap­piamo che la Via Lattea è la galassia cui appartie­ne il sistema solare. Le stelle ci appaiono concen­trate in una striscia, perché la nostra galassia ha la forma di un disco appiattito: di conseguenza, se guardiamo lungo il piano a cui appartiene il di­sco, vediamo un numero elevatissimo di stelle, mentre se guardiamo in altre direzioni, vediamo il cielo poco luminoso, perché vi sono meno stelle. La nostra galassia contiene centinaia di miliardi di stelle e un numero ignoto di sistemi solari.

La Via Lattea è una galassia a spirale, con una zo­na centrale, il nucleo galattico, che emette ra­diazioni di vario tipo (raggi X, onde radio, infra­rosso) e da cui escono dei bracci a spirale, di­sposti su un unico piano. Nucleo e bracci, insie­me, costituiscono un disco appiattito (disco ga­lattico) formato da polveri, gas e stelle giovani (dette di popolazione I) che evidenziano un'ele­vata presenza di metalli (tutti gli elementi più pesanti dell'elio). Questa loro caratteristica dimo­stra che si sono formate con i materiali prodotti dall'esplosione di stelle preesistenti.

Intorno al nucleo vi è un alone galattico, sfe­roidale e poco addensato, costituito da stelle molto antiche (di popolazione II), prive di me­talli perché si sono formate nella prime fasi di vi­ta della galassia. Le stelle che appartengono alla Via Lattea ruota­no, ognuna con una specifica orbita, intorno al centro della galassia, tanto più lentamente quanto più ne sono distanti. Le stelle spesso sono raggruppate in ammassi stellari, insiemi di stelle relativamente vicine che si muovono in modo solidale. Sono di due ti­pi: aperti e globulari.

Gli ammassi aperti, di forma irregolare e loca­lizzati principalmente nel disco galattico, con­tengono poche centinaia di giovani stelle di po­polazione I e abbondante materia interstellare. Gli ammassi globulari, localizzati nel­l' alone galattico, sono invece costituiti da centi­naia di migliaia di antiche stelle di popolazione II e da scarsa materia interstellare. La presenza, in questi ammassi, di stelle variabili come le Cefeidi ha permesso di stabilire le dimensioni reali della galassia.

A differenza di quello che si credeva nel passato, oggi sappiamo che la formazione della nostra Ga­lassia è ancora in atto: nuove stelle si stanno an­cora formando, all'interno degli ammassi più gio­vani, da nubi di gas che la Via Lattea incorpora dallo spazio intergalattico. La nostra Galassia, inoltre ingloba piccole galassie vicine, inglo­bandone le stelle.


GALASSIE E AMMASSI GALATTICI


Le galassie sono entità complesse costituite da milioni o miliardi di stelle, ma anche da gas (so­prattutto idrogeno atomico e ionizzato) e polveri interstellari, il tutto in rotazione intorno ad una zona centrale. Sino agli anni '20 del XX secolo le galassie furono confuse con le nebulose, perché apparivano come macchie diffuse debolmente luminose e le stelle al loro interno non erano di­stinguibili.

In quegli anni tuttavia si riuscì ad aumentare la potenza dei telescopi, e l'astronomo americano Hubble scoprì che alcune "nebulose" erano ammassi di stel­le poste a milioni di anni luce da noi. L'universo non coincideva dunque con la Via Lattea ma era enormemente più grande.

Nel 1925 Hubble propose, in base alla loro for­ma, la classificazione delle galassie che ancora oggi utilizziamo.

Galassie ellittiche: di dimensioni assai varie (nane o giganti), hanno forma più o meno el­lissoidale, mostrano una distribuzione omogenea delle stelle e una luminosità decrescente dal centro verso la periferia. Non contengono polve­ri e gas e sono formate in prevalenza da stelle di popolazione II, di colore giallo-rosso.

. Galassie a disco o a spirale (45% del tota­le): sono caratterizzate dalla presenza di braccia a spirale, che si dipartono da un nucleo centrale più luminoso (a spirale ordinaria)o dagli estremi di una sorta di barra che attraversa il nucleo (a spirale barrata). Conten­gono grandi quantità di polveri e gas e sono po­polate di giovani stelle azzurre di popolazione I, localizzate in particolare nei bracci. Sono a spi­rale la Via Lattea e la vicina galassia di Andro­meda.

. Galassie irregolari: hanno forme diverse e contengono solo stelle giovani, oltre a nubi di gas e polveri interstellari: tra queste rientrano le nubi di Magellano.


Esistono anche galassie con caratteristiche peculiari, come quelle doppie, unite da un ponte di materia interstellare. La zona a maggiore densità stellare è il nucleo della galassia, nel quale è possibile si verifichino colli­sioni, con formazione di stelle sempre più massicce e calde e, forse, di buchi neri al cen­tro.

Sino a pochi anni fa si riteneva che le galassie fossero entità immobili e indipen­denti tra loro; oggi invece si ritiene che possano modificarsi nel tempo, soprattutto in seguito a fusioni con altre galassie. Le galassie sono distribuite in modo irregolare nello spazio, poiché ten­dono a riunirsi in gruppi, gli ammassi galattici. In un ammasso, le galassie sono gravitazionalmente legate tra loro ed effettuano sia un moto di rotazione intorno a un nucleo cen­trale, sia un moto di traslazione.

Gli ammassi si raggruppano a loro volta in superammassi di galassie. Nel complesso, le galassie appaiono distribuite su superfici sferiche che attorniano enormi spazi vuoti: questo fatto ha indotto gli astronomi a parlare di un univer­so a bolle.


I MISTERI INSOLUTI: MATERIA OSCURA, NUCLEI ATTIVI, RADIOGALASSIE E QUASAR


Lo studio delle galassie e degli ammassi ha riser­vato agli astronomi molte sorprese e ha posto problemi che attendono ancora di essere risolti. Recentemente lo stu­dio dei moti dei gas (in particolare dell'idrogeno) all'interno delle galassie e delle orbite delle ga­lassie stesse entro gli ammassi ha dimostrato in modo inequivocabile che la massa reale delle ga­lassie è molto maggiore di quella osservabile. Si è ipotizzata l'esistenza di mate­ria oscura, distribuita intorno alle galassie a for­mare una specie di alone. Che cosa formi la ma­teria oscura non è stato ancora appurato: alcuni pensano si tratti di stelle di massa molto piccola e così poco luminose da non essere osservabili, altri ipotizzano che sia costituita dai buchi neri. Attualmente tuttavia prevale l'ipotesi che la massa mancante sia costituita da neutrini: si tratta di particelle prodotte in gran numero du­rante i processi di fusione nucleare, dotate di una seppur minima massa.

Un secondo mistero riguarda il nucleo di alcune galassie, talmente luminoso da oscurare il resto della galassia stessa: poiché una tale intensa emissione non può essere semplicemente attri­buita all'elevata concentrazione di stelle al cen­tro della galassia, in questi casi si parla di nuclei attivi (NGA) e di galassie attive. Spesso que­sta quantità anomala di energia è emessa in un'ampia gamma di lunghezze d'onda e in modo variabile nel tempo. Oltre alla luce visibile, emet­tono raggi X, ultravioletti e infrarossi.

Grazie alla radioastronomia si scoprirono inoltre le radiogalassie, di luminosità molto debole, o addirittura invisibili, che però emettono segnali radio molto più potenti di quelli sprigio­nati dalla Via Lattea. Attualmente si pensa che le radiogalassie siano anch'esse galassie con nuclei attivi, perché solo in questo modo si giu­stifica la grandissima quantità di energia che sprigionano.

Molti astrofisici ritengono che l'enorme emissione di energia che caratterizza le galassie attive sia provocata dalla presenza di un buco nero di mas­sa enorme al centro di esse: mentre il materiale galattico cade al suo interno, l'energia gravitazio­nale si trasforma in energia elettromagnetica.

Fu proprio lo studio delle galassie a portare, nel 1963, gli astronomi Hazard e Mackie a soprire i quasar o QSO. Alcuni astrofisici ritengono che siano nuclei attivi di galassie in formazione, mentre altri ritengono che siano bu­chi neri supermassicci che inghiottiscono la materia circostante. In ogni caso, si tratta degli oggetti più luminosi e più distanti dell'universo a noi no­to e dato che la loro luce ci giunge dal passato, lo studio delle loro caratteristiche po­trebbe far comprendere che cosa è ac­caduto nelle prime fasi d'esistenza dell'universo.


ORIGINE ED EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO


Da Aristotele sino a Copernico il cosmo è una macchina perfetta, di dimensioni piuttosto limitate, dove tutto si ripete allo stesso modo in eterno.

Per Newton, invece, l'universo doveva essere eterno, infinito e perfettamente omogeneo: in caso contrario le stelle, sottoposte a reciproca attrazione gravitazionale, sarebbero dovute pre­cipitare le une verso le altre. Il suo era però un modello troppo instabile.

Nel 1917 Einstein elaborò il modello matematico di un universo quadridimensionale, omogeneo su grande scala e sta­tico. Le sue equazioni, però, ammettevano una soluzione solo per un universo dinamico, in espansione o in contrazione. Era questa un'ipotesi inaccettabile in quegli anni e perciò Einstein in­serì nei suoi calcoli un fattore di correzione (co­stante cosmologica) che rappresentava una for­za che, a grandi distanze, si opponeva alla gra­vita, impedendo il collasso dell'universo. Più tar­di Einstein definì questo fattore il più grande er­rore della sua vita.

Nel 1929, infatti, Hubble, osservando le galassie lontane, sco­prì che gli spettri ottenuti dalla luce delle galas­sie erano simili a quelli delle stelle della Via Lat­tea, ma avevano quasi tutti le righe spostate ver­so il rosso. Scoprì così il redshift , prova inconfutabile del fatto che le galassie si allontanano da noi a velocità elevatissima.

Successivamente gli astro­nomi verificarono che lo spostamento verso il rosso di galassie di cui si conosce la distanza, cresce con l'aumentare della distanza stessa: questo significa che le galassie si stanno allon­tanando da noi con una velocità tanto più elevata quanto più sono distanti (legge di Hubble). Ho = v/d,

dove Ho è la costante di Hubble, v la velocità di allontanamento (in km/s) e d la distanza della galassia in megaparsec.

Le galassie sono quindi dotate di un moto di re­cessione che le porta ad allontanarsi una dall'al­tra, con un'evidente conseguenza: l'universo si espande, in tutte le direzioni e in modo omoge­neo. La legge di Hubble permette inoltre di determi­nare la distanza delle galassie più lontane (d = v/Hq) calcolando v in base all'effetto Doppler.

Tra il 1927 e il 1933 il belga Lemaitre, portando alle estreme conseguenze l'idea di un universo in espansione, formulò l'ipotesi che l'universo si fosse originato dall'esplosione di un atomo pri­mordiale.

Questa idea, inizialmente contestata dalla maggior parte degli astronomi, fu ripresa negli an­ni '40 da Gamow, Alpher e Herman: essi ipotizzarono che l'universo avesse avuto origine da un piccolissimo punto di densità e temperatura infinita, in seguito a un'esplosione cui fu dato il nome di Big Bang.


L' UNIVERSO STAZIONARIO


La teoria del Big Bang non fu accettata da tutti. Nel 1948 gli scienziati Bondi, Gold e Hoyle proposero una diversa teoria: quella dell'universo stazio­nario. Il loro modello consiste nell'idea di un'espan­sione dell'universo, ma l'allontana­mento delle galassie non ha come conseguenza una diminuzione della sua densità media. Questa si manterrà costante dalla creazione conti­nua di materia che aggregandosi creerà nuove galassie.

L' ipotesi di una creazione di atomi di idrogeno però, viola il principio di conservazione della materia. Inoltre, a par­tire dagli anni '60, con la scoperta della radia­zione cosmica di fondo, l'idea di un universo stazionario ha perso il sostegno della maggioran­za degli astrofisici.


LA PROVA DEFINITIVA DELL' ESPANSIONE: LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO


Secondo la teoria del Big Bang, l'universo pri­mordiale, caldissimo e densissimo, doveva essere colpito da una radiazione a elevata frequenza prodotta dai processi di annichilazione tra particelle di materia e di antimateria. Gamow intuì che questa radiazione, non potendo disperdersi al di fuori dell'universo, doveva esse­re ancora presente. Previde inoltre che, con l'e­spandersi e il raffreddarsi dell'universo, la radia­zione si fosse trasformata gradualmente in una radia­zione a minore frequenza. Nel 1965, Penzias e Wilson individuarono un rumo­re radio di fondo che proveniva in modo uniforme da ogni parte dello spazio. Si trattava di un insieme di radia­zioni elettromagnetiche identiche a quelle che emetterebbe un corpo nero.

Tale radiazione è ritenuta il residuo del Big Bang, liberatosi quando l'universo divenne trasparente alle radiazioni ed è detta radiazio­ne cosmica (o fossile) di fondo.


IL MODELLO INFLAZIONARIO


L'esistenza di una radiazione di fondo non fu l'u­nica previsione di Gamow a dimostrarsi esat­ta; secondo la sua teoria, l'universo dopo il Big Bang doveva essere costituito al 25% di elio e al 75% di idrogeno, ed è proprio questa la per­centuale di elio e idrogeno osservata nelle stelle più antiche. Questi fatti decretarono il successo della teoria del Big Bang caldo. Rimanevano però aperti alcuni interrogativi

Gli astrofisici a questo punto compresero che per rispondere a questi problemi, relativi alle fasi iniziali del processo in cui tutto era confinato in dimensioni minime, era necessario rivolgersi alla fisica delle particelle (fisica quantistica).

Ne scaturì un nuovo modello standard, la teoria dell'universo inflazionario sviluppata da Guth e Linde nei primi anni '80 del '900. Questa teoria si spinge a descrivere i primi istanti di esistenza dell'universo stesso e fornisce risposte plausibili ad alcuni dei problemi irrisolti nel modello di Gamow.


IL FUTURO DELL' UNIVERSO


Attualmente l'universo è in fase di espansione, sulla spinta dell'esplosione iniziale, ma è anche soggetto all'azione contraria della forza di gravita, che "frena" l'espansione stessa; questa ipotesi modi­fica anche il risultato del calcolo dell'età dell'universo. Si possono perciò ipotizza­re tre diversi scenari per il futuro dell'universo, in funzione della sua massa e quindi della sua densità media.

Se la densità dell'universo fosse superiore a un certo valore definito densità critica lo spazio sarebbe incurvato a tal punto da essere richiuso su se stesso e le traiettorie dei corpi celesti e della luce sarebbero curve e come imprigionate in un universo chiu­so e finito, che a un certo punto cesserebbe di espandersi e co­mincerebbe a contrarsi, diventando sempre più denso e caldo, per tornare a concentrarsi in un punto. Una variante di questo mo­dello prevede una pe­renne oscillazione dell'universo da una fase di espansione a una di contrazione e viceversa, senza un inizio né una fine.

Se la densità dell'universo fosse inferiore a quella critica esso continuerebbe a espandersi in­definitamente: le stelle si spegnerebbero e le ga­lassie diventerebbero ammassi freddi, bui e senza vita. Solo i buchi neri continuerebbero ad accre­scersi, ma potrebbero essi stessi infine scompari­re. In questo caso si parla di univer­so aperto e lo si immagina infinito.

Se la densità media dell'universo fosse esatta­mente uguale alla densità critica, esso si espanderebbe con velocità decrescente (tendente a zero), senza tuttavia contrarsi diventerebbe quindi un universo piatto.

Nonostante l'universo osservabile ci appaia piat­to attualmente non siamo in grado di stabilire quale delle ipotesi esposte sia corretta: questo perché la densità dell'univer­so dipende fortemente dalla quantità di materia oscura in esso presente, un dato ancora molto incerto.






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