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MOVIMENTI MIGRATORI - MIGRAZIONI IN MASSA

geografia



movimenti migratori


migrazioni in massa

Migrazioni: tipi diversi nel tempo e nello spazio

Il popolamento della terra è il risultato di giganteschi trasferimenti di uomini: migrazioni volontarie e migrazioni coatte, invasioni e colo­nizzazioni, esodi e diaspore. Il tema della "frontiera" sim­bolizza il mito della penetrazione all'interno dei continenti.

I movimenti migratori non hanno avuto soltanto l'effetto di popola­re terre disabitate o di rinforzare popolamenti già in atto; hanno scacciato delle popolazioni costringendole a cercare scampo più lontano, in ambienti difficili, che sono diventati aree di rifugio per popolazioni perseguitate.



La riduzione delle distanze, con lo sviluppo di rapidi mezzi di tra­sporto, ha favorito la crescita dei movimenti migratori per lavoro.

I movimenti migratori hanno trasportato da un continente all'altro dei modelli culturali, delle pratiche e delle tecniche. Hanno fatto scopri­re agli uomini ambienti diversi da quelli di partenza, hanno messo in contatto popolazioni autoctone e popolazioni straniere. Ma soprattutto hanno influito sulla consistenza numerica e sulla di­stribuzione territoriale dei gruppi umani. Si potrebbero classificare i movimenti in base all'entità: migrazioni in massa riguardanti lo sposta­mento di interi popoli o vaste porzioni di essi, e migrazioni per infiltrazione, cioè per gruppi o per singoli individui. In base ai mo­venti: migrazioni spontanee, migrazioni organizzate, migrazioni coatte. Rispetto alla durata: migrazioni permanenti con trasfe­rimento definitivo della residenza; migrazioni temporanee e migrazioni periodiche per periodi più o meno fissi; spostamenti pe 454b17e n­dolari di andata e ritorno tra il luogo di residenza e quello di lavoro.

Le migrazioni in massa sono gli spostamenti di gruppi etnici: questi hanno lasciato tracce durevoli della loro presenza in siti diversi da quelli originari.

Le migrazioni per infiltrazione sono spostamenti di residenza di singoli individui, di famiglie o di piccoli gruppi: possono avvenire da uno Stato all'altro o da un con­tinente all'altro. Esse lasciano una traccia statistica nell'attraversamen­to delle frontiere e implicano diversità nei rapporti uomo-ambiente tra il paese d'origine e quello di destinazione.

Le migrazioni interne sono i cambiamenti di residenza all'interno di uno Stato.

Le migrazioni temporanee riguardano spostamenti irregolari o stagionali per determinati lavori agricoli, o per impieghi nelle industrie, o per costruzioni edilizie.

Spostamenti pendolari sono quelli di lavoratori e studenti che dalle località di residenza si recano ogni mattina al luogo di lavoro o di studio e ne tornano la sera.

Migrazioni di popoli

Agli spostamenti di gruppi umani o di interi popoli si devono imputare gli incroci, le sovrapposizioni e interposizioni di gruppi etnici.

Delle migrazioni antiche rimangono testimonianze glottologiche o linguistiche, conseguenze visibili nella distribuzione dei gruppi etnici, riflessi negli usi e istituzioni sociali, come nel patrimo­nio culturale e nella diffusione di piante e animali.

Gli Indoeuropei dall'altopiano iranico iniziarono nel II millennio a.c. imponenti migrazioni su due fronti: a est, entrarono nel Punjab e dilagarono nella pianura del Gange; a ovest le migrazioni indo­europee sono rappresentate dall'irruzione degli Achei sulle rovine della civiltà cretese e dalla successiva invasione dei Dori e dall'ondata celtica che investì l'Europa centroccidentale, mentre nella nostra Penisola gli Italici vennero a contatto con gli Etruschi.

In epoca classica ebbero un'influenza profonda e lasciarono tracce durevoli le colonizzazioni dei Greci in Asia Minore e nella Magna Grecia. La conquista romana portò in tutte le terre dell'Impero la lingua e le istituzioni di Roma.

Di fondamentale importanza per la formazione del quadro etnico dell'Europa furono le migrazioni dei popoli di stirpe germanica: nel V secolo essi dilagarono nelle terre dell'Impero. Nello stesso periodo, l'invasione degli Arabi nell'Africa Settentrionale sommerse in nome dell'Islam le preesistenti stirpi camitiche, imponendo la lingua araba e la religione islamica.

Assestatisi gli Indoeuropei, irruppero in Europa i popoli cavalieri delle steppe asiatiche, appartenenti alla famiglia uralo-altaica.

Alcune tribù turche, provenienti dalle steppe dell'Asia Centrale, erano penetrate entro i confini dell'Impero Bizantino fermandosi nell'Anatolia, destinata a diventare la loro patria definitiva. Nel tardo Medioevo i Turchi dilagarono nella Penisola Balcanica.

Altre migrazioni alterarono meno profondamente la struttura etni­ca dei paesi occupati. Ciò è vero per l'invasione dei Visigoti in Spagna e dei Longobardi in Italia; le Crociate ebbero scarsi effetti, poiché solo una piccola aliquota di partecipanti rimase in Terrasanta.

Le migrazioni dell'evo antico e dell'età di mezzo si effettuarono quasi tutte per via di terra.

Migrazioni coatte

Nell'età moderna, dopo la scoperta dell'America e dell'Australia, le grandi migrazioni avvennero per via di mare e iniziò, con l'estendersi dello sfruttamento coloniale, quella vasta e prolungata migra­zione coatta di Negri che va sotto il nome di tratta degli schiavi. Per prime vennero colonizzate le aree tropicali o sub­tropicali facilmente raggiungibili dal mare e scarsamente popolate. La creazione di grandi piantagioni determinò la domanda di mano­dopera a basso costo: vista la scarsità della popolazione locale, gli Europei ricorsero alla schiavitù. Quando la schiavitù venne abolita, gli Inglesi e gli Olandesi introdussero il "lavoro sotto contratto": coloro che accettavano di emigrare, restavano impegnati per un certo numero di anni, al termine dei quali avrebbero avuto garantito il ritorno in patria.

La colonizzazione del Nuovo Mondo apri un mercato insaziabile. L'area di tratta era la fascia costiera del Golfo di Gui­nea dal Senegal all'Angola.

La storia ci ricorda molti esodi forzati di gente fuggita dal proprio paese per motivi politici, etnici e religiosi.

Le guerre e le modificazioni dei confini politici hanno sem­pre portato, come immediata conseguenza, esodi e trasferimenti di gruppi umani. Le migrazioni coatte non sono mai cessate a causa delle forti tensioni politiche ed etniche delle guerre.

Da tempo è stato riconosciuto a livello internazionale il diritto di opzione delle minoranze per afferre allo Stato etnicamente ad esse più vicino. Secondo un certo punto di vista, il trasferimento delle popolazioni sembra il miglior sistema per risolvere i problemi rappresentati dalle minoranze etniche.

Un ultimo fatto politico, all'origine di ragguardevoli spostamenti di popolazione, è stato il processo di decolonizzazione, che ha provocato un generale riflusso degli Europei dalle colonie ai paesi d'origine.


Migrazioni per infiltrazione

Gli Europei alla conquista dei nuovi continenti

I movimenti di colonizzazione hanno contribuito alla conquista umana della Terra.

Nell'età moderna l'Europa non è più la meta dei popoli invasori, ma avvia un potente ciclo di espansione demografica e politica con la progressiva "europeizzazione" dell'America e dell'Australia e con la penetrazione coloniale in Africa e in Asia.

Le migrazioni moderne più importanti sono state quelle attraverso l'Atlantico per il popolamento del Nuovo Mondo, e quelle per il popolamento dell'Australia e della Nuova Zelanda. Due continenti sono stati colonizzati da emigranti europei, che Ii hanno trovati scarsi di abitanti: molte delle popolazioni indigene sono state isolate o distrutte, o sono scomparse in seguito alle malattie contratte attraverso gli Euro­pei.

L'emigrazione nel Nuovo Mondo è caratterizzata dalla successione di fasi diverse. I primi gruppi partirono dalla Spagna e dal Portogallo, sotto la spinta del desiderio di accumulare subito ricchezze. L'emigrazione aveva carattere d'avventura; con i Francesi e gli Inglesi ac­quistò solidità penetrando all'interno del continente nordamericano. L'assenza dell'emigrazione femminile nell'America Centrale e Meridionale favorì gli incroci con le donne indigene e la formazione di una massa di meticci.

L'emigrazione europea si trasformò in una corsa incontenibile nel secolo XIX in conseguenza delle crisi seguite alle guerre napo­leoniche e alla povertà dei raccolti.

Le cause che spingevano gli emigrati non erano sempre le stesse. Nella maggior parte essi si sentivano angustiati dall'eccesso di popola­zione nel paese natale; a ciò si aggiunga l'aleatorietà dell'economia agricola con ricorrenti carestie e la disoccupazione della classe artigia­na conseguente alla industrializzazione; molti gruppi erano spinti da motivi religiosi o ideologici, sia perché perseguitati in patria, sia perché vedevano nel Nuovo Mondo un territorio vergine.

Dopo la metà del XIX secolo, l'emigrazione sentiva il richiamo delle nuove terre: negli Stati Uniti, l'abolizione della schiavitù fomentava la richiesta e l'impiego della manodo­pera europea. Contribuì ad incrementare le partenze il miglioramento dei trasporti marittimi.

È da sottolineare la diversità tra l'avvio di una colonizza­zione di sfruttamento da parte di Spagnoli e Portoghesi nell'America Latina, che ha lasciato un'eredità di sottosviluppo, e la coloniz­zazione di popolamento dell'America Anglosassone, con una più armo­niosa ed efficace valorizzazione del territorio.

Sulla fine del secolo, l'assorbimento di manodopera da parte delle industrie in sviluppo nell'Europa nordoccidentale faceva estin­guere l'ondata della vecchia emigrazione, costituita da Europei del Nord e dell'Ovest. La nuova emigrazione segnò il sopravvento degli Europei del Sud e dell'Est.

La prima guerra mondiale segnò la fine del grande movimento transoceanico, poiché gli Stati Uniti limitarono l'immi­grazione; gli ultimi flussi furono assorbiti dall'indu­stria: il passaggio dalla classe contadina al proletariato urbano è uno degli aspetti più caratteristici dell'emigrazione moderna.

Dopo aver costituito per decenni la meta degli emi­grati dalle regioni d'Europa meno progredite, gli Stati Uniti nel periodo tra le due guerre, avendo conseguito un livello tecnologico che rendeva meno pressante il bisogno di manodopera, adottarono una legislazione restrittiva per limitare e selezionare l'immigrazione. Questa politi­ca mirava a prevenire afflussi di mano­dopera scarsamente qualificata e a favorire la selezione di personale specializzato proveniente dall'Europa settentrionale; ma mirava anche a salvaguardare la matrice anglosassone.

Anche gli altri paesi nuovi hanno stabilito un limite e un controllo degli immigrati, per evitare eccedenze che potrebbero compromettere l'ottimo livello di vita rag­giunto o alterare la preminenza culturale ed etnica inglese.

La grande emigrazione cessò con la prima guerra mondiale. Tra le due guerre ci fu qualche accenno di ripresa, ma non si trattava più di flussi incontrollati, bensì di contingenti di cui si cercava di favorire l'integrazione economica e sociale e, per tale ragione, venivano limita­ti e selezionati.

Alla fine della seconda guerra mondiale l'emigra­zione europea sembrò riprendere, ma si stabilizzò ben presto sulla quota di 500.000 partenze all'anno.

Migrazioni internazionali

Le migrazioni internazionali comportano spostamenti su distanze superiori a quelle che caratterizzano le migrazioni all'interno di uno Stato. La peculiarità delle migrazioni internazionali sta nell'attraversamento di confini politici tra Stati: le migrazioni internazionali sono perciò un fenomeno sottoposto alla volontà politica degli Stati.

Le migrazioni internazionali si fondano su motivi di tipo eco­nomico, tanto da essere considerate come conseguenza degli squilibri tra gli Stati nel grado di sviluppo, nel livello di reddito e nel mercato del lavoro. Nel mondo contemporaneo le migrazioni per motivi economici avvengono volontariamente, quando gli individui sentono la necessità o il deside­rio di migrare confrontando la loro condizione con l'idea che si sono fatti di maggiori opportunità in un altro paese. Il flusso immigratorio da altri continenti è costitui­to dalla manodopera per determinate categorie di impiego.

Alcuni paesi europei esercitano una potente for­za d'attrazione sui lavoratori stranieri. I paesi europei che esibiscono l'immagine di un alto tenore di vita e di un diffuso benessere hanno richiamato flussi crescenti di immigrati dai paesi poveri d'Asia e Africa e hanno dovuto prendere provvedimenti restrittivi.


migrazioni interne

La ricerca di equilibrio: bonifica e colonizzazione

La mobilità della popolazione all'interno di un quadro nazionale è connessa ad incentivi di ordine economico e sociale. La pres­sione demografica come causa di emigrazione corrisponde alla differenza di ritmo tra la crescita demografica (e quindi della domanda di lavoro) e lo sviluppo economico (ossia l'offerta di lavoro).

Il flusso di entrata di una circoscrizione amministrativa viene misura­to per mezzo del tasso di immigrazione che è il rapporto tra il numero degli immigrati in un anno e il totale degli abitan­ti. Allo stesso modo il tasso di emigrazione è il rapporto tra il numero degli emigrati e il totale degli abitanti. La diffe­renza tra i due tassi dà il bilancio migratorio che risulterà positivo quando l'immigrazione è maggiore dell'emigrazione, negativo in caso contrario. Il tasso di mobilità è il rapporto tra la gente che si è spostata (immigrati più emigrati) e la popolazione totale.

Per indicare il grado di attrattività di una certa unità territoriale sovviene l'indice migratorio che si calcola dividendo la differenza tra iscritti e cancellati per la somma iscritti più cancella­ti.

Le migrazioni interne si spiegano come conseguenza degli squilibri regionali: esse rispondono ai bisogni dell'organizzazione del territorio nazionale. A seconda dello stadio d'evoluzione demografica ed economica delle diverse parti del paese, la ricerca di un equilibrio può comportare lo spostamento da aree sovrappopolate verso zone da bonificare e colonizzare, l'abbandono delle montagne povere e delle campagne arretrate per zone più progredite, o il salto alla città: il passaggio da zone economicamente deboli a zone di maggiore e più rapido progresso.

Spesso si tratta di colonizzazioni organizzate col trasferimento di contadini da zone di notevole pressione demografica verso zone di bonifica o di riforma fondiaria.

Spopolamento montano e spopolamento rurale

Le correnti migratorie si dirigono da zone economicamente deboli verso regioni capaci di offrire una conveniente occupazione e un più alto livello di vita; in molti casi sono movimenti di regresso da zone faticosamente conquistate alle colture e all'insediamento.

Le montagne sono state le prime ad essere colpite da questa repressione: lo spopolamento montano è un fenomeno quasi generale. La discesa dalle mon­tagne tu tanto più precoce quanto più progredita era l'evoluzione eco­nomica della pianura sottostante.

Accanto allo spopolamento della montagna si è venuto delineando l'esodo dalla cam­pagna: il fenomeno dello spopolamento rurale interessa un gran numero di aree del vecchio e del nuovo continente. Nei paesi industriali la meccanizzazione agricola è stata stimolata dalla diminuzione di manodopera. Il rapido sviluppo delle industrie urbane non soltanto ha assorbito tutta la manodopera disponibile sul posto, ma ha avuto bisogno di altre braccia e le ha ri­chiamate da orizzonti sempre più vasti e lontani: l'agricoltura ha dovuto meccanizzarsi per sopperire ai vuoti di mano­dopera causati dal passaggio dei lavoratori agricoli alle attività mani­fatturiere. Là ove la meccanizzazione è insuffi­ciente si verifica un regresso del pae­saggio antropogeografico con l'abbandono di case e villaggi e col lasciare a pascolo le terre.

La nascita di un polo di sviluppo richiama popolazione dalle aree vicine e da aree più lon­tane. Si viene a delineare la differenziazione del territorio in "aree centrali", contrassegnate da crescita economica e immigrazione, e "aree periferiche", che perdono popolazione e peso economico. In questo modo s'ingenerano gli squilibri territoriali: le aree centrali tendono a rafforzarsi a danno delle periferie, che s'impoveri­scono di uomini e di risorse.

L'urbanesimo è un fenomeno generale

Di pari passo con lo spopolamento montano e rurale, si è delineata una forte tendenza all'urbanesimo in rapporto allo sviluppo della grande industria. All'accrescimento demografico delle grandi città ha contribuito più l'immigrazione che non l'eccedenza dei nati sui morti. Assorbita la manodopera locale, le industrie si trovarono in grado di poterne occupare altra venuta da luoghi sempre più distanti.

L'urbanesimo "industriale" è un fenomeno riscontrabile ovunque l'evoluzione economica abbia portato le attività manifatturiere e commerciali a sopravanzare quelle agricole. Tuttavia oggi nelle grandi metropoli europee va delineandosi un movimento inverso, di svuotamento del nucleo centrale, mentre le residenze s'infittiscono in anelli periferici.

Di tutt'altra specie è l'urbanesimo nei paesi economicamente arre­trati d'Asia, Africa e America Latina, dove folle di contadini spinti dalla miseria e strappati ai campi si abbarbicano a città incapaci di alloggiarli e di occuparli.


migrazioni temporanee

Mortalità e cause di morte

I movimenti migratori a carattere temporaneo e periodico appaio­no abbastanza diffusi e sono connessi a generi di vita di tipo pastorale, a lavori agricoli o manifatturieri e terziari di tipo stagionale, che per un certo periodo assorbono mano­dopera in aggiunta a quella locale.

Forme di allevamento legate al genere di vita pastorale, con spostamenti limitati all'andata e ritorno tra due sedi fisse, sono l'al­peggio e la transumanza. Lo spostamento avviene tra due zone di pascoli diverse e complementari: una zona montana per l'estate e una di pianura per l'inverno.

L'alpeggio consiste in uno spostamento a breve raggio e in senso verticale: dai fondovalle si portano le mandrie a sfruttare in estate i pa­scoli di montagna. Il soggiorno estivo sulla malga dura da fine giugno alla seconda metà di settembre; ma la pratica dell'alpeggio si va riducendo.

La transumanza si differenzia dall'alpeggio in quanto gli sposta­menti del bestiame avvengono tra pascoli situati in ambienti complementari ma lontani. Si pratica la transumanza in tutte le regioni montuose intorno al Mediterraneo e dall'Anatolia alle catene himalaiane.

Migrazioni stagionali

Le migrazioni per lavori agricoli hanno carattere stagionale; oggi si vanno riducendo grazie alla meccanizzazione dell'agricoltura. Alcune attività industriali sono legate al ritmo delle sta­gioni e presentano delle fasi di parossismo con forti concentrazio­ni di manodopera e delle fasi di rallentamento.

Il ritmo stagionale caratterizza gran parte delle attività turistiche, quindi il flusso della clientela e quello della manodopera. I massicci spostamenti per vacanza hanno prodotto la formazione di regioni turistiche, che delle attività indotte dal turismo hanno fatto una monoeconomia.

Gli spostamenti per il fine-settimana si mantengono entro un raggio di 50-80 km: è questo lo spazio delle residenze secon­darie

Spostamenti occasionali sono i pellegrinaggi ai luoghi santi: le ricorrenze religiose convogliano grandi folle di fedeli che alimentano le attività commerciali.

Spostamenti pendolari

Gli spostamenti di popolazione sono determinati dallo squilibrio tra aree deboli, non in grado di occupare tutta la ma­nodopera locale, ed aree forti, con posti di lavoro in esubero rispetto alla manodopera residente. Se tra area forte e area debole intercorre una distanza piuttosto grande, la ricerca dell'equilibrio si traduce in spostamenti di residenza; entro un raggio limitato il riequilibrio fra manodopera disponibile e posti di lavoro si realizza attraverso spostamenti quotidiani di lavoratori dal luogo di residenza a quello di lavoro.

Quasi tutte le grandi città dei paesi sviluppati sono al centro di spostamenti pendo­lari. In un primo tempo poteva accadere che una parte del flusso pen­dolare si traducesse in un trasferimento definitivo dal paese alla metropoli; in un secondo tempo si è avuta un'inversione di tendenza: le metropoli hanno perso la loro forza at­trattiva a vantaggio delle "città di pro­vincia".




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