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Israele - STORIA: DALLA NASCITA DELLO STATO D'ISRAELE ALLA GUERRA DEL KIPPUR (1948-1973)

geografia




Israele


STORIA: DALLA NASCITA DELLO STATO D'ISRAELE ALLA GUERRA DEL KIPPUR (1948-1973)

Lo Stato d'I. nacque il 14 maggio 1948 dalle rovine del mandato inglese sulla Palestina. Il governo provvisorio, presieduto da David Ben Gurion, coordinò l'azione delle truppe israeliane nel corso del conflitto che le oppose agli eserciti arabi e ai palestinesi. Quando nel 1949 furono sottoscritti gli armistizi con i Paesi confinanti, risultò che I. era riuscito a conquistare un'area più vasta di quella concessagli dal piano delle Nazioni Unite. Le ferite della guerra del 1948 rimangono ancor oggi aperte: 800.000 mila Arabi abbandonarono i territori occupati da I.; i Palestinesi rimasti (ca. il 10% della popolazione israeliana fino al 1967) non furono assimilati nel n 252j99c uovo Stato; gli Stati arabi sottoscrissero armistizi ma non paci. L'ostilità dei vicini e il problema dei profughi non piegarono I.: forte dell'appoggio delle due massime potenze (Stati Uniti e Unione Sovietica erano stati i primi a riconoscerlo), il governo di Tel Aviv promosse una campagna d'immigrazione ebraica (dal 1948 al 1952 emigrarono in I. più di un milione di ebrei, una cifra da paragonare a quella dei presenti nel 1947: 650.000) e di colonizzazione e sviluppo del Paese. Il secondo di questi sforzi fu aiutato grandemente da massicce iniezioni di capitali statunitensi. In politica interna Ben Gurion e la formazione socialdemocratica del Mapai conservarono le posizioni chiave, tuttavia la necessità di formare gabinetti di coalizione diede un peso notevole ai tradizionalisti dei partiti religiosi. Nel 1956 la favorevole congiuntura internazionale permise a I. di concludere un'intesa segreta con la Gran Bretagna e la Francia e di sferrare nell'ottobre di quell'anno un fortunato attacco contro l'Egitto. Ma i risultati positivi del conflitto consistettero, a breve andare, unicamente nell'installazione delle truppe dell'O.N.U. presso la frontiera con l'Egitto e gli stretti che controllano l'accesso al golfo di Aqaba. Di qui la possibilità di sviluppare il porto di Elat e l'apertura di una via marittima merid. per Israele. In campo internazionale le relazioni di I. con gli U.S.A. e con alcuni Paesi europei (Francia e Rep. Fed. di Germania in particolar modo) andarono rafforzandosi dopo il 1956, mentre invece peggiorarono decisamente i rapporti con l'Unione Sovietica. Una prima crisi s'era avuta agli inizi degli anni Cinquanta a causa del problema dell'emigrazione degli Ebrei sovietici, avversata da Mosca: dopo l'affare di Suez gli stretti contatti tra l'U.R.S.S. e i Paesi arabi approfondirono il solco. Sul piano interno si ebbero nel 1963 la defenestrazione dell'autoritario Ben Gurion e la sua sostituzione con Levi Eshkol: al centro delle coalizioni governative rimase tuttavia il Mapai. Nei primi anni Sessanta si ebbe un rilancio del problema palestinese: la gara scatenatasi tra gli Stati arabi per un nazionalismo più incisivo, il problema delle acque del Giordano, che I. voleva utilizzare per il proprio sviluppo, la necessità, sentita da Nasser, di trovare un minimo comun denominatore "negativo" per gli Arabi spiegano la costituzione, nel 1964, dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (O.L.P.). Frutto di manovre "politiche", l'O.L.P. acquistò una base "popolare" soltanto dopo il 1967: nel conflitto di quell'anno la componente palestinese ebbe un peso quasi nullo. L'occasione della guerra fu offerta dalla decisione di Nasser di bloccare il golfo di Aqaba e di ammassare le proprie truppe sul confine con I. allo scopo di far fronte a una presunta minaccia di Gerusalemme contro la Siria. Il 5 giugno I. scatenò una guerra preventiva contro l'Egitto e la Siria. Anche la Giordania, trascinata dal bellicismo che eccitava il mondo arabo, intervenne nel conflitto. Ne seguì una guerra su tre fronti: ma fin dal mattino del primo giorno I. si assicurò la vittoria distruggendo al suolo la quasi totalità dell'aviazione egiziana. Il 10 giugno Arabi e Israeliani accettarono la tregua sollecitata dalle Nazioni Unite: nel giro di pochi giorni le truppe d'I. s'erano impadronite delle alture del Golan, strappandole ai Siriani, della Cisgiordania, di Gaza e del territorio egiziano a E del canale di Suez. Nel vuoto politico causato nel mondo arabo dalla sconfitta del 1967 s'inserì di prepotenza la resistenza palestinese, nuovamente d'attualità se non altro per la nuova ondata di profughi che sfuggivano l'occupazione israeliana. Le imprese dei Palestinesi ebbero un certo peso sull'evoluzione degli avvenimenti fino all'agosto del 1970, quando l'intervento diplomatico degli Stati Uniti portò a un congelamento della tensione che Egiziani e Israeliani alimentavano con le loro iniziative militari nella zona del canale. Nel 1970 il conflitto arabo-israeliano sembrava aver trovato una sua precaria "stabilizzazione": il governo di Golda Meir, primo ministro d'I. dopo la morte di Eshkol, appariva ora in grado di controllare gli aspetti negativi delle conquiste del 1967 (p. es., il rapporto tra Arabi ed Ebrei all'interno dello Stato era passato, da uno a dieci, a uno a tre). La resistenza "interna" palestinese sembrava entrata in crisi, mentre lo sviluppo del Paese era rilanciato dalle nuove disponibilità territoriali e di manodopera. All'esterno d'I. i Palestinesi, schiacciati in Giordania nel 1970-71, conservavano una certa presa unicamente nel Libano. Perfino la crescente penetrazione militare sovietica in Egitto (trattato del 1971) e in Siria appariva, alla luce delle relazioni tra Mosca e Washington, più una garanzia di pace che una minaccia di guerra. Giunse pertanto in larga misura inatteso, nell'ottobre del 1973, lo scoppio della quarta guerra arabo-israeliana (cosiddetta guerra del Kippur). Egitto e Siria attaccarono contemporaneamente I.: nella prima settimana furono gli Arabi a ottenere consistenti successi, ma in seguito gli Israeliani condussero delle veementi controffensive. Quando fu accettata la tregua, il bilancio territoriale complessivo pendeva a favore di I., che era riuscito a occupare parte della riva occid. del canale.



STORIA: DAL GOVERNO DI M. BEGIN A OGGI

Diversamente da quella del 1967, la guerra del 1973 aprì la strada a trattative di pace, iniziate a Ginevra nel dicembre dello stesso anno, dopo aver messo in crisi l'economia mondiale con l'embargo sul petrolio deciso dagli Arabi per i Paesi amici d'I. e il rialzo del prezzo del greggio. In I. il conflitto favorì uno spostamento a destra dell'asse politico: questo fu il verdetto delle elezioni tenute il 31 dicembre. I risultati elettorali e la polemica sulle responsabilità militari e politiche emerse nel corso delle inchieste, ufficiali e di parte, concernenti la guerra fecero cadere il governo di Golda Meir. La leadership governativa fu affidata all'ex generale Rabin, capo di Stato Maggiore durante la guerra del 1967. La situazione interna rimaneva precaria: Rabin perse l'appoggio del Partito Nazionale Religioso. Seguirono elezioni anticipate (17 maggio 1977), vinte dal gruppo di destra Likud, guidato da M. Begin, che formò un governo di coalizione con l'appoggio del Partito Nazionale Religioso. Nonostante la clamorosa iniziativa di invitare a Gerusalemme (novembre 1977) il presidente egiziano as-Sadat, che consentì i primi contatti tra Egitto e I., il nuovo governo di coalizione confermò subito la prevista linea dura occupando nel marzo 1978 il Libano meridionale in seguito ad atti di terrorismo compiuti da guerriglieri palestinesi. Si arrivò così a una rottura dei rapporti con l'Egitto. Ma, in settembre, le forti pressioni americane sui due leaders, as-Sadat e Begin, ottennero un innegabile successo a Camp David, dove venne stilata una "cornice" di accordi di pace ratificati a Washington nel marzo 1979. Essi prevedevano l'istituzione di rapporti diplomatici ed economici tra i due Stati nonché il ritiro entro tre anni delle truppe israeliane dal Sinai (il processo di sgombero si concluse il 25 aprile 1982). Rimaneva aperta la questione relativa ai territori occupati di Gaza e della Cisgiordania, inasprita anzi dall'annessione (dicembre 1981) delle alture del Golan siriano. Il conflitto con i Palestinesi raggiunse nel 1982 il punto di massima tensione. Dopo i ripetuti attacchi (gennaio 1979, luglio 1981) contro il Libano, roccaforte della resistenza palestinese, I. invase (giugno 1982) il Libano meridionale. I guerriglieri palestinesi dovettero abbandonare (agosto-settembre) Beirut; il 17 maggio 1983 fu firmato l'accordo israelo-libanese (abrogato dal Libano nel marzo 1984) con il quale si poneva termine allo stato di guerra tra i due Paesi e si stabiliva il ritiro dal Libano di tutte le forze militari straniere entro sei mesi (gli Israeliani ripiegarono verso S, attestandosi lungo il corso del f. Awali). Begin, da tempo duramente contestato, il 15 settembre 1983 rassegnò le dimissioni; l'incarico di formare il nuovo governo fu affidato al ministro degli Esteri Yitzhak Shamir. Questi venne peraltro a trovarsi in grave difficoltà, il che portò alle elezioni anticipate (23 luglio 1984) e alla formazione di un governo di unità nazionale, basato sul principio della rotazione della carica di primo ministro, assunta il 13 settembre 1984 dal leader dei laburisti Shimon Peres. Secondo l'accordo del 1984, nel 1986 la guida del governo passò a Shamir, mentre a Peres fu affidato il Ministero degli Esteri; nel frattempo (1985) fu attuato il ritiro delle truppe stanziate in Libano durante il 1982 (a eccezione di una "fascia di sicurezza" di quattro chilometri lungo il confine). Nel 1987 l'evoluzione della situazione politica in alcuni Paesi dell'Europa orientale preluse a un miglioramento delle relazioni internazionali, segnando la ripresa di contatti interrotti da due decenni. Alla fine dello stesso anno peraltro si aggravò la situazione interna, con il manifestarsi di un endemico stato di protesta popolare (intifadah) da parte dei Palestinesi dei territori occupati. Le elezioni parlamentari del dicembre 1988 non modificavano il quadro politico, che vedeva riconfermata la difficile coabitazione governativa fra laburisti e Likud, che manteneva Shamir alla guida dell'esecutivo. Il processo di distensione consolidatosi fra le superpotenze favoriva quindi l'elaborazione pur vana di piani di pace di interesse regionale (bloccati spesso dal problema della rappresentanza palestinese), mentre da parte statunitense si avevano le prime critiche agli aspetti più violenti dell'amministrazione israeliana dei territori occupati (fra questi, i provvedimenti di espulsione), così come all'inserimento in essi dei profughi provenienti in numero crescente (200.000 nel solo 1990) dall'Unione Sovietica o di altri coloni (complessivamente già 90.000 ca.). In tale contesto l'invasione irachena del Kuwait e lo scoppio della guerra del Golfo (gennaio-febbraio 1991), evidenziando le forti tensioni persistenti (risonanza presso le masse arabe del tentativo iracheno di legare le due situazioni, lancio di una quarantina di missili dall'Iraq su I. con il pericolo di un'estensione incontrollabile del conflitto, ecc.) e la disattesa da parte israeliana delle risoluzioni dell'O.N.U., acceleravano durante il 1991 le spinte esterne per una soluzione negoziata definitiva dei contenziosi fra I. e Paesi arabi. Superato l'ostacolo della composizione della delegazione palestinese (senza la presenza dell'O.L.P.), il governo israeliano quindi acconsentiva per la prima volta a partecipare a un'apposita Conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente. Apertasi nella sua prima fase a Madrid il 30 ottobre 1991, essa costituiva la premessa di rapporti bilaterali di rilevante valore politico fra I. e Palestinesi. Dopo la crisi di governo determinata dall'uscita dalla coalizione conservatrice dell'estrema destra, decisa a boicottare i negoziati con i Palestinesi, le elezioni anticipate del giugno 1992 facevano registrare la vittoria, sul Likud, del Partito laburista. Si dovette al nuovo premier, Yitzhak Rabin, una forte accelerazione del processo di pace: al riconoscimento dell'O.L.P. come rappresentante del popolo palestinese facevano seguito la firma a Washington, il 14 settembre 1993, dell'accordo sull'autonomia di Gaza e Gerico (perfezionato nel successivo accordo del Cairo del maggio 1994), e la fine della guerra con la Giordania (Dichiarazione di Washington, luglio 1994). Sul fronte diplomatico, inoltre, erano da registrare il reciproco riconoscimento con il Vaticano (1993) e l'apertura delle relazioni ufficiali con il Marocco (1994). L'assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, avvenuto il 4 novembre 1995, opera di un estremista ebreo, eliminava uno dei principali artefici della scelta della trattativa e della pace. In seguito il nuovo impulso alla pace veniva dalla Dichiarazione di Taba, l'accordo provvisorio sottoscritto l'11 agosto 1995 dal ministro degli Esteri israeliano Peres (che dal 22 novembre sostituiva Rabin alla guida del paese) e dal leader dell'O.L.P Arafat. In base a esso venivano pianificate le elezioni dirette di un consiglio palestinese; si decideva il passaggio in mano palestinese di di gran parte dell'autorità civile fino a questo punto esercitata da Tel Aviv nei territori occupati. I temi maggiormente discussi erano quelli riguardanti il ridispiegamento delle truppe israeliane in Cisgiordania e i problemi legati al loro ritiro. La Dichiarazione, rinominata Oslo B, era firmata dalle parti il 28 settembre a Washington e ratificata dalla Knesset, il Parlamento israeliano. Gli accordi di Taba venivano duramente contestati dai coloni ebrei, che accusavano il governo Rabin di mettere a repentaglio la sicurezza interna ed esterna dell'Israele. Nell'aprile 1996 gli israeliani lanciavano l'offensiva "Furore" contro le milizie sciite filoiraniane del Libano meridionale, che rispondevano con i razzi Katiuscia sugli insediamenti nell'alta Galilea. Pure Beirut finiva sotto il fuoco dei missili "Apache" che miravano alle sedi Hezbollah, nella zona sciita. Binyamin Netanyahu, leader della destra, vinceva le elezioni del 29 maggio 1996, battendo il premier uscente Shimon Peres. Le sue posizioni nei confronti della questione palestinese suscitavano viva preoccupazione nella comunità internazionale. In effetti, i primi cento giorni del nuovo premier si caratterizzavano per l'escalation di ostacoli sul percorso di pace fino a quando, il 24 settembre 1996, la decisione di riaprire il tunnel sotto la spianata delle moschee, nella parte araba di Gerusalemme, provocava l'esplosione della rabbia palestinese, che sfiorava l'innescarsi di una vera e propria guerra civile quando l'esercito palestinese, per difendere i dimostranti, rispondeva al fuoco israeliano. La dichiarata ostilità del nuovo premier Netanyahu a proseguire sulla strada tracciata dal precedente esecutivo faceva temere un'interruzione dei rapporti diretti con Arafat e un conseguente blocco della trattativa. Ma nella nuova veste di diretto responsabile del governo del Paese, il leader del Likud doveva tenere conto anche delle pressioni internazionali e in particolare dell'alleato statunitense; per di più, anche nella sua contraddittorietà, il processo di pace era ormai andato troppo avanti e interromperlo bruscamente avrebbe potuto comportare conseguenze incontrollabili. In tale situazione Netanyahu adottava una linea di basso profilo, rallentando la trattativa e contestualmente metteva mano a scelte tese a saggiare la reattività palestinese, sperando, con ciò, di tacitare le posizioni più intransigenti interne alla sua compagine governativa. Netanyahu si mostrava comunque consapevole che il negoziato rappresentava l'unica possibilità di giungere a una reale stabilizzazione della regione e, agli inizi del 1997, nonostante la contrarietà di alcuni ministri, si incontrava con Arafat per risolvere la spinosa questione di Hebron, l'antica città dei Patriarchi cui i sostenitori della "Grande Israele" non intendevano assolutamente rinunciare. Mostrando una certa dose di pragmatismo, il premier israeliano concludeva con il leader dell'O.L.P. un accordo che prevedeva il ritiro dell'esercito ebraico da gran parte della città e l'inizio del ridispiegamento delle truppe dalle zone rurali della Cisgiordania. Per quanto significativo, l'accordo su Hebron non rappresentava, però, una svolta definitiva dell'atteggiamento del premier israeliano nei confronti del problema palestinese. Subito dopo, anzi, egli concedeva il via libera alla costruzione di un nuovo insediamento ebraico nella parte araba di Gerusalemme. Si trattava di un gesto teso a tacitare le rimostranze dei suoi alleati, insoddisfatti dell'esito della trattativa su Hebron, ma esso finiva per suscitare la netta contrarietà di Arafat e una dura presa di posizione dello stesso Husayn di Giordania. Incurante delle reazioni dei diretti interlocutori e dei timori espressi da gran parte dell'opinione pubblica internazionale, Netanyahu faceva iniziare (marzo 1997) i lavori per il nuovo insediamento con il concreto rischio di un congelamento del processo di pace, mentre prendeva il via una nuova ondata di attentati terroristici. Tuttavia, nell'ottobre 1998, grazie alla mediazione del presidente statunitense Clinton e del re giordano Husayn, Netanyahu e Arafat firmavano a Washington il "Memorandum di Wye", un nuovo accordo che rappresentava una tappa fondamentale nel processo di pace in Medio Oriente. Esso prevedeva, tra l'altro, il ritiro delle truppe israeliane dal 13,1 per cento del territorio, il passaggio del 14,2 per cento del territorio, amministrato dai Palestinesi ma sotto la sorveglianza israeliana, sotto il controllo esclusivo dei Palestinesi e la convocazione del Consiglio Nazionale Palestinese per l'abrogazione della clausola dello statuto che chiede la distruzione dello Stato di Israele. Nel maggio 1999, con una schiacciante vittoria, veniva eletto come nuovo premier, al posto del leader della destra Netanyahu, il laburista Ehud Barak, che imprimeva un'accelerazione al processo di pace in Medio Oriente. Il 4 novembre dello stesso anno, in Egitto, aveva luogo un incontro tra il primo ministro israeliano e il leader palestinese Arafat per un nuovo accordo che prevedeva, tra l'altro, l'applicazione del "Memorandum di Wye", la liberazione di prigionieri palestinesi e la fissazione di una nuova scadenza per stabilire i criteri generali dell'accordo definitivo previsto per il settembre 2000. Grazie anche alla mediazione del presidente Clinton, Barak incontrava negli Stati Uniti (gennaio 2000) un esponente del governo siriano, con il quale affrontava il problema del ritiro di I. dalle alture del Golan, mentre dal canto suo la Siria si impegnava a schierare le sue forze armate lontano dal confine. Nonostante le buone premesse del primo anno di governo di Barak, il 2000 si prospettava, comunque, come un anno difficile per Israele. Affrontata, nei primi mesi dell'anno, una grave crisi interna a causa di un'inchiesta giudiziaria per illeciti finanziari compiuti dal presidente della Repubblica Ezer Weizmann, I. si trovava a fronteggiare una nuova difficile situazione diplomatica sulla questione palestinese. Interrottisi i negoziati con il leader palestinese Arafat, in un primo tempo per lo scottante problema della sovranità di Gerusalemme e poi per i gravi scontri armati innescati da un atto provocatorio del capo dell'opposizione israeliana A. Sharon, un nuovo intervento degli Stati Uniti e del presidente egiziano Mubarak cercava con difficoltà di far riprendere il dialogo le parti per porre fine alle recenti violenze.






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