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QUESTIONE PALESTINESE
Questione palestinese Problema dell'autodeterminazione delle popolazioni arabe residenti nei territori della Palestina, già mandato britannico, sui quali è sorto nel 1948 lo stato d'Israele, e di quelli successivamente occupati con le armi da questo stato.
Origini della questione
La questione ha origine nella politica imperiale britannica. La Gran Bretagna, infatti, per avere il sostegno degli arabi contro la Turchia durante la prima guerra mondiale, aveva prospettato la nascita di uno stato arabo indipendente in Palestina, allora sotto il dominio ottomano. Non volendo inimicarsi le élite ebraiche occidentali simpatizzanti con il sionismo, che aveva fin dal 1882 spinto molti ebrei dell'Europa orientale a emigrare in Palestina, il governo britannico intendeva tenere aperto un focolaio di divisione in vista del proprio dominio sulla regione; perciò, il 2 novembre 1917, con la dichiarazione di Balfour, promise agli ebrei uno stato autonomo, pur con la contraddittoria promessa di non danneggiare le altre comunità già esistenti in Palestina.
Su questa base la Società delle Nazioni conferì all'Inghilterra il mandato su quella regione, che cercò di controllare giocando sulle rivalità et 838b12i niche e religiose suscitate dal continuo afflusso di immigrati ebrei, spinti a lasciare l'Europa dal diffuso antisemitismo e dalle persecuzioni naziste. Quando gli arabi arrivarono a prendere le armi contro gli inglesi (1936-1939), gli ebrei erano ormai 400.000 ed erano decisi a ricorrere anch'essi alle armi per difendere e ampliare i propri insediamenti nella Terra Promessa. La Gran Bretagna reagì con una dura repressione militare e limitando l'afflusso di altri ebrei.
All'indomani della seconda guerra mondiale le pretese imperiali britanniche erano molto ridimensionate, mentre cresceva il sentimento nazionalista dei paesi arabi. Nel 1947 la Gran Bretagna sottopose la questione palestinese all'ONU, che l'anno seguente approvò un piano che contemplava la divisione del paese in uno stato ebraico, uno stato arabo-palestinese e una zona, che avrebbe compreso anche Gerusalemme, sottoposta all'amministrazione fiduciaria delle stesse Nazioni Unite. Il progetto fu accettato dagli ebrei, ma venne rifiutato con decisione dagli arabi di Palestina e dei paesi confinanti, che non ammettevano che il problema ebraico, di cui si era così tragicamente macchiata l'Europa, fosse scaricato in un'area ormai da secoli arabizzata.
Lo stato d'Israele e i palestinesi
In seguito al piano ONU, nel maggio del 1948 il mandato britannico in Palestina si estinse e il Consiglio provvisorio ebraico proclamò la nascita dello stato d'Israele, provocando l'immediato intervento armato dei paesi arabi, che vennero sconfitti: Israele si impossessò quindi di alcune zone destinate dall'ONU a far parte dello stato arabo, e in più delle alture del Golan, siriane; l'Egitto occupò la striscia di Gaza e la Cisgiordania fu annessa alla Giordania. Centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a fuggire dal territorio israeliano cercando asilo nei paesi confinanti; molti furono espulsi con la forza, mentre i beni immobiliari dei fuggiaschi furono trasferiti ai coloni ebrei. Lo stato di guerra nella regione rimase permanente, fino a sfociare nell'ambigua seconda guerra arabo-israeliana del 1956, che aggravò la situazione di insicurezza in cui versava la popolazione araba.
In esilio si costituirono diversi gruppi nazionalisti palestinesi disposti a prendere le armi. Nel 1964 vari movimenti di guerriglieri (fedayn) diedero vita all'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Dopo la sconfitta degli arabi nella guerra dei Sei giorni del 1967 (terza guerra arabo-israeliana), all'interno dell'OLP si produsse una svolta che la trasformò in una organizzazione di massa; nel 1968 ne divenne presidente Yasser Arafat. La questione palestinese dopo la guerra si aggravò, perché l'occupazione israeliana della striscia di Gaza, della Cisgiordania e delle alture del Golan moltiplicò il numero dei profughi, che trovarono rifugio soprattutto in Giordania, e accese ancor più focolai di malcontento arabo e di tensione internazionale.
La risoluzione n. 242 con cui l'ONU imponeva ai contendenti il riconoscimento di tutti gli stati esistenti nella regione (compreso quindi Israele) e a Israele il ritiro dai territori occupati, cadde completamente nel vuoto e, come già aveva fatto quella sionista prima del 1948, la guerriglia palestinese, anche contro le direttive ufficiali dell'OLP, ricorse sempre più spesso al terrorismo, soprattutto nel tentativo di contrastare la politica di insediamenti ebraici nei territori occupati, condannata anche dall'ONU.
Nel settembre 1970, sotto le minacce israeliane di rappresaglia e le pressioni dei paesi arabi filo-occidentali, re Hussein di Giordania espulse con le armi i profughi palestinesi, che mettevano a repentaglio il suo stesso regime e i cui campi erano divenuti base della guerriglia contro Israele; il nuovo rifugio dei palestinesi e dell'OLP divenne quindi il Libano. Fu dopo questo sanguinoso episodio che nacque il gruppo terroristico Settembre Nero, al quale fu imputata la strage della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Hussein offrì invano ai palestinesi la creazione di uno stato federale comprendente il proprio paese e la Cisgiordania, tuttora sotto occupazione israeliana.
Primi segnali di distensione
Contando sulla grave sconfitta araba nella guerra del Kippur, nel 1973 gli Stati Uniti avviarono il primo processo di distensione, basato su trattative bilaterali tendenti a pacificare la regione, ma senza affrontare a fondo e nel concreto la questione palestinese. L'OLP rivendicò allora la rappresentanza del popolo palestinese, che nel 1974 le fu riconosciuta dagli stati della Lega araba e quindi dalla stessa ONU, che le conferì lo status di osservatore permanente. L'OLP rivendicò inoltre la costituzione di uno stato palestinese autonomo, di cui le fu riconosciuto il diritto.
Tra il 1977 e il 1979 si ritirò dal fronte antisraeliano il membro più potente, l'Egitto, che, stremato dallo sforzo bellico, accettò di riconoscere Israele in cambio della restituzione della penisola del Sinai. Rafforzato così il controllo israeliano in Cisgiordania e restando irrisolta la questione palestinese, gli altri paesi arabi si rifiutarono di firmare analoghi accordi. Forte di questo risultato, nel 1981 Israele ricorse a nuove aggressioni contro i paesi arabi, fino ad annettere unilateralmente le alture del Golan e quindi a invadere il Libano, con l'intenzione di sopprimere l'OLP e instaurare a Beirut un governo filoisraeliano, provocando la guerra civile tra le diverse fazioni confessionali libanesi. Dopo aspri combattimenti, i palestinesi si ritirarono, trasferendo la sede dell'OLP in Tunisia (dove, nell'ottobre 1985, un'incursione israeliana cercò di annientarla), mentre le truppe israeliane rimasero nella zona meridionale del paese. Ma ormai la brutalità del continuo ricorso di Israele alle armi e le accorte iniziative diplomatiche di Arafat, nonostante il perdurare di atti terroristici di organizzazioni arabe esterne all'OLP (vedi Hamas), allargavano l'area del consenso internazionale alle rivendicazioni palestinesi.
Nel dicembre 1987 cominciò la rivolta di massa (intifada) dei palestinesi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Il suo primo risultato fu la dichiarazione (31 agosto 1988) con cui il re Hussein di Giordania rinunciava alla sovranità sulla Cisgiordania a favore di uno stato palestinese autonomo. L'OLP decise di accettare integralmente le risoluzioni 242 (1967) e 338 (1973) dell'ONU, che riconoscevano il diritto alla sovranità, all'integrità territoriale e all'indipendenza politica di tutti gli stati del Medio Oriente, compreso quindi Israele, e imponevano a quest'ultimo il ritiro dai territori occupati a partire dalla guerra dei Sei giorni. L'OLP proclamò anche la costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme quale capitale. Su questa base e sulla base del diritto palestinese all'autodeterminazione, l'OLP si dichiarava disposta a prender parte a una conferenza internazionale di pace. Ciò indebolì la posizione di Israele e permise agli Stati Uniti di avviare un dialogo diplomatico diretto con l'OLP. Nel gennaio del 1993 anche Israele revocò il divieto ai propri cittadini di avere contatti con l'OLP.
La possibilità di dialogo diretto tra l'OLP e Israele aprì uno spiraglio che portò nel settembre del 1993 Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin a siglare a Oslo un accordo di pace che prevedeva una relativa autonomia palestinese nei territori occupati da Israele. Nel maggio del 1994 le truppe israeliane si ritirarono da Gerico e dalla striscia di Gaza, lasciandone la gestione all'Autorità nazionale palestinese (ANP) sotto la presidenza di Arafat.
Nonostante tutto, il ripetersi di attentati alla fine del 1994 e per tutto il 1995 indusse Israele a congelare gli accordi sull'estensione dell'autonomia alla Cisgiordania e sull'apertura di corridoi protetti tra Gaza e Gerico. L'escalation del terrorismo ebbe riflessi anche sulla situazione politica interna di Israele, indebolendo il governo Rabin. I negoziati sfociarono tuttavia nell'accordo di Washington del 28 settembre 1995, che estese l'autonomia a sei città della Cisgiordania e parzialmente a Hebron. L'assassinio del primo ministro israeliano Rabin, fautore della pace, il 4 novembre 1995, seguito da nuovi attentati e ulteriori misure repressive, impose un'altra battuta di arresto ai colloqui di pace, resi più ardui e complicati dalla vittoria della destra alle elezioni israeliane del maggio 1996. La seconda fase dei negoziati doveva infatti dirimere numerose e gravi questioni in sospeso.
La tensione non impedì comunque una svolta nel processo di pace: il 15 gennaio 1997 Arafat e il nuovo leader israeliano Benjamin Netanyahu firmarono un accordo che prevedeva il progressivo ritiro degli israeliani da Hebron e dalla Cisgiordania. Tuttavia, nonostante gli sforzi da parte della comunità internazionale per arrivare a una definitiva ed equa sistemazione della questione palestinese, il processo di pace è ancora in una situazione di impasse, sia per le resistenze israeliane a ottemperare agli accordi precedenti, sia per le tensioni che ancora minacciano l'area e che rischiano in ogni momento di provocare un pericoloso deterioramento nelle relazioni israelo-palestinesi.
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