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F. FARINELLI, "Geografia"

geografia



F. FARINELLI, "Geografia"

1. I DUE NOMI DELLA TERRA

Attraverso la geografia, che è la descrizione della Terra, il mondo viene ridotto alla Terra, la Terra alla sua superficie e quest'ultima alla tavola.

mondo = complesso delle relazioni al cui interno si svolge la vita umana; è una gerarchia

Terra = ci sono diversi punti di vista:

   Strabone considera l'ecumene, cioè il mondo così com'è conosciuto ed abitato

   Carl Ritter la Terra è la "casa dell'educazione dell'umanità", è la scrittura con la quale Dio indirizza la storia degli uomini verso la redenzione. Ritter è il fondatore della geografia moderna, che chiama ERDKUNDE (=conoscenza storico-critica della Terra). Ritter distingue nella Terra due dimensioni:



v  geografica - lunghezza e larghezza della Terra

v  fisica - profondità ed altezza

Per questo libro con il termine Terra si intenderà la base materiale, visibile del mondo

La Terra ha 2 nomi:

   - ovvero Gaia, riferito alla Terra che brilla e splende alla luce

   Ctòn - significa sotterraneo, cavernoso


2. CHE COS'è LA GEOGRAFIA E CHI (E CHE COSA) è DIONISO

Tra Gé e Ctòn c'è un'opposizione:

   Gè - si riferisce alla Terra come qualcosa di evidente, chiaro, superficiale, esterno, orizzontale

   Ctòn - implica l'invisibilità, l'oscurità, l'interno, la profondità, la verticalità

La geografia è la descrizione che corrispondente al primo modo (Gè).

L'origine della Terra è narrata dal mito dell'uccisione di Dioniso da parte dei Titani, figli di Ctòn, che lo divideranno in sette pezzi (corrispondenti ai sette continenti). Apollo ricostituirà il suo corpo per volere di Zeus, appoggiandolo su una tavola, un altare. Dioniso è dunque paragonato al mondo, il globo.


3. L'ISOLARIO E L'ATLANTE, IL LUOGO E LO SPAZIO

Sul globo le cose si dispongono secondo la relazione della ricorsività (= cose annidate l'una dentro l'altra).

   spazio = deriva dal greco stadìon, infatti lo stadio per i greci era l'unità di misura delle distanze. All'interno dello spazio tutte le parti sono l'un l'altra equivalenti, quindi ogni parte può essere sostituita da un'altra senza che nulla venga alterato

   luogo = è una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun altra, che non può essere scambiata con nessun altra senza che tutto cambi


4. LA NASCITA DELLO SPAZIO

L'invenzione dello spazio si deve all'introduzione del "reticolo geografico", la rete di meridiani e paralleli coi quali si cerca di riprodurre sulla carta la curvatura del globo. La proiezione cartografica consente di determinare la corrispondenza sulla superficie piana della carta di uno e un solo punto per ogni punto determinato sul globo dall'inserzione di un meridiano con un parallelo. Serve quindi a trasformare in maniera coerente qualcosa che ha tre dimensioni in qualcosa che ne ha due, sottrarre una dimensione alla Terra.

Il primo ad affrontare il problema della proiezione cartografia fu Eratostese (III sec. a.C.), ma fu Tolomeo nel suo "Geografia" a dire che la Terra era una testa che andava ridotta a un piano.

Le proprietà che appartengono alla tavola, alla carta, al supporto materiale della rappresentazione geografica sono quattro, e sono quelle che la geometria tradizionale assegna all'estensione:

continuità - assenza di interruzioni

omogeneità - identità del materiale di cui essa si compone

isotropismo - uguaglianza delle parti rispetto alla direzione

misurabilità


5. "L'EPOCA DELL'IMMAGINE DEL MONDO"

Soggetto = occhio = principe dei sensi, unico organo abilitato alla conoscenza. Infatti l'occhio che vola sarà l'emblema dell'Alberti, che implica una riduzione del tempo di percorrenza.

Tutti i grandi imperi del passato si sono tradotti in grandi sistemi stradali, tendenzialmente rettilinei per essere i più veloci possibili. Dapprima le strade seguivano la forma sinuosa dei corsi d'acqua, ma dal '700 in poi esse si autonomizzarono appunto perché diritte.

Nel Medioevo le carte erano la copia del mondo. La modernità è invece l'epoca dell'immagine del mondo (Heidegger): la prima mossa moderna consta nella riduzione del mondo ad immagine, ad una carta geografica. Quindi per l'epoca moderna, il mondo è la copia della carta




6. LA DURATA DEL MONDO: MARCO POLO

Nel Medioevo il mondo è fatto da un insieme di luoghi, non da spazio. E ogni luogo ha la propria misura, quindi nessuna di esse è standard. Quindi il problema della velocità nel Medioevo non esiste. Nel "Milione" di Marco Polo infatti, non esiste né lo spazio né il tempo, non si parla di lunghezza né di punti cardinali, si segue il vento e le città si misurano tramite il tempo impiegato ad attraversarle (ad es. "Carcam [.] dura 5 giornate"), misura che non è affatto standard!!


7. ODISSEO NELLO SPAZIO: CRISTOFORO COLOMBO

Il problema di Colombo invece è la fretta. Ciò accade perché la rappresentazione geografica ha già preso il posto del mondo, lo spazio ha già ricompreso ed assorbito tutti i luoghi, la carta fa le veci di ciò che rappresenta anticipandone le fattezze e prefigurandone l'esistenza. Infatti Colombo, credendo di essere sbarcato nel Catai di Marco Polo, pur di far coincidere la carta geografica con la terra, prende a calci il mondo!


8. IL DENTE DEL PESCECANE E IL CENTRO DEL LABIRINTO

Dal mito si esce solo con la proiezione (spazio) che trasforma qualcosa che non riusciamo a definire in qualcosa di cui invece controlliamo la natura e l'entità.

Tra 1500-1600 ogni modello ricorsivo sparisce definitivamente dall'immagine spaziale cui la geografia riduce il mondo, e mappe sempre più precise e matematicamente affidabili si sostituiscono ad esso. Sulle mappe le cose sono ordinate secondo scala metrica, quindi non possono mai stare l'una dentro l'altra, ma solo vicino o lontano dall'altra.

L'origine del labirinto risulta dallo schiacciamento al suolo di ogni struttura verticale i cui vari livelli corrispondono ad un sistema gerarchico di potere. Il labirinto è il prodotto della trasformazione del mondo in Terra. I diversi piani (livelli di potere) si mutano in dimensioni orizzontali ricorsivamente disposte l'una dentro l'altra, e tale ricorsività implica che non si possa parlare di spazio.

Non si può rappresentare il labirinto, si può solo pensarlo: rappresentarlo in qualsiasi forma significa trasformarlo nel suo esatto contrario, in qualcosa dotato di centro. Allora in questo senso anche la superficie del globo è un labirinto, poiché, a seconda di come si giri la sfera, tutti i suoi punti possono essere il centro.


9. LA LINEA DEL DESIDERIO

Sia il centro che le linee dritte derivano dall'esistenza della tavola, sono il portato della logica cartografica che si rispecchia sulla superficie della Terra e la configura a propria immagine e somiglianza. Ma come la prospettiva, l'immagine cartografica (che è il prodotto della proiezione) funziona solo in quanto immobilizza il soggetto della conoscenza.

In natura non esistono linee rette, ma esse esistono sulla faccia della Terra: il meridiano di Parigi (1669). Per la prima volta una linea dell'astratto reticolo geografico diventa materiale, la Terra viene modellata secondo la forma del suo disegno, diviene la copia della propr 414g69e ia copia.

Linee di desiderio = linee ideali, tracciati rettilinei che ogni automobilista sogna per spostarsi da un punto all'altro delle metropoli (rapporto Buchanan).


10. L'IMMUTABILE METRO E L'ETERNO TRIANGOLO

   geometria = il metro è la Terra

   geografia = la scrittura (geometrica) è la Terra

La scrittura geometrica della Terra è infatti la sua rappresentazione cartografica.

La misura diventa la Terra e viceversa la Terra diventa misura proprio col meridiano di Francia.

1 metro = quarantamilionesima parte della circonferenza terrestre

Tutta la cartografia serve a trasformare l'invisibile nel visibile.


11. IL TRIANGOLO CARTOGRAFICO

La triangolazione (*legge per la quale se si conoscono un lato e due angoli di un triangolo, si possono facilmente derivare l'altro angolo e i restanti due lati) era un processo antichissimo noto già agli Egizi, ma il primo a servirsene fu Alberti. Nel '600 si iniziò a calcolare le distanze terrestri facendo riferimento alle distanze angolari tra le stelle ed i pianeti. Il sistema di corrispondenza divenne quindi quello dei corpi celesti, che essendo esterno alla Terra assicurava una precisione ancora maggiore e presentava il vantaggio di essere comune ad un intero emisfero e non più solo locale. Fu così possibile rappresentare cartograficamente regioni più ampie e proiettare sulla Terra un ordine identico a quello che definiva la percezione dei corpi celesti: l'ordine geometrico.

L'importanza della triangolazione non si limitò alla costruzione dell'immagine cartografica del territorio, costituì anche un modello potentissimo ed efficace di conoscenza.



12. IL TRIANGOLO SEMIOTICO

La triangolazione funzione attraverso la sostituzione della vista al passo, e proprio tale sostituzione fonda la forma moderna del passaggio dal simbolo al segno.

   simbolo = sistema di riconoscimento, qualcosa che sta per l'insieme dei passi effettivamente compiuti dall'inizio della vicenda, e soltanto perché li rappresenta è in grado di sostituirli

   segno = qualcosa che sta per qualcos'altro, che rimanda a qualcosa/qualcuno che è assente, quindi presuppone una distanza. Però nel segno la connessione tra espressione e significato è arbitraria, è esterna e formale. Il segno sostituisce i passi senza più rappresentarli, dispensa dal cammino, lo rende superfluo. Proprio come con la triangolazione, col segno cartografico, accade

Il triangolo semiotico si dispone esattamente secondo lo schema della triangolazione cartografica, perché anch'esso si fonda sull'opposizione tra la natura della relazione che collega gli estremi della base e quella che invece è propria del rapporto di ognuno di essi col vertice superiore.


13. IL TRIANGOLO LOGICO

Ogden e Richards volevano eliminare l'ambiguità del rapporto cosa-parola, ridurlo alla relazione biunivoca che esiste solo nella rappresentazione cartografica, dove tutti i nomi sono nomi propri. Per Frege, i nomi propri hanno non solo un significato, ma anche un senso. L'unicità del significato e la pluralità del senso garantisce, per Frege, l'effettivo contenuto conoscitivo di una proposizione.

Anassimandro fu il primo che osò (VII-VI sec a.C.) rappresentare la Terra abitata su di una tavoletta. Esistono per Anassimandro le cose e le cose-che-sono. Le prime non sono conoscibili, equivalgono al significato di Frege; possiamo conoscere solo le seconde, i sensi del mondo, in quanto quel che vediamo è l'apparenza dell'apparenza delle cose-che-sono. Fino al '900 si rimarrà bloccati dall'impossibilità di conoscere ciò che Kant chiamava la "cosa in sé", il noumeno. E Frege ci fornisce la spiegazione di ciò: i pensieri possono passare da una generazione all'altra, appunto perché i sensi sono pubblici e comuni.


14. IL TRIANGOLO LOGICO-SEMIOTICO

I sensi del mondo hanno natura cartografica, la conoscenza viene quindi ridotta alla descrizione della rappresentazione geografica, della mappa.

Solo nella seconda metà del XIX sec. la carta riesce, trasformandosi in fotografia, ad avvicinarsi al suo modello sino ad esserne quasi indistinguibile.

Peirce distingue tra tipi di riferimento (icona, indice, simbolo) che formano una gerarchia:

  1. livello iconico il rapporto tra segno ed oggetto è fondato sulla somiglianza
  2. livello indicale il rapporto segno-oggetto è assicurato dalla contiguità o correlazione, che scaturisce dall'assemblaggio di più relazioni iconiche. Dire che "qualcosa è indice di qualcos'altro" (ad es. il fumo del fuoco), si intende che qualcosa è collegata a qualcos'altro dal punto di vista causale, oppure che è associata ad essa nello spazio o nel tempo
  3. livello simbolico la relazione segno-oggetto è affidata ad una convenzione astratta. Mentre la distinzione di Frege era riferita al fatto che le parole o si riferiscono agli oggetti (=significato) o ad altra parole (=senso), per Peirce il simbolo è il prodotto di una generalizzazione logica o categorica che risulta dal riconoscimento di una relazione iconica tra due differenti sistemi di indici

15. IL TRIANGOLO E LA PIRAMIDE

Il primo a misurare l'altezza di una piramide è stato Talete (si basò sull'ombra). Porsi il problema dell'altezza della piramide significa presupporre una relazione di livello iconico tra la piramide ed il triangolo. Ciò comporta la metamorfosi di un oggetto tridimensionale in uno schema bidimensionale.

Heidegger dice che l'ombra è "la misteriosa testimonianza dell'illuminazione nascosta", quel che "sottratto alla rappresentazione, si fa tuttavia innanzi all'ente, attestando così l'essere nel suo nascondimento". Egli descrive inconsapevolmente l'esperimento di Talete, in cui l'essere (piramide) equivale alla cosa di Anassimandro e l'ente (ombra) alla cosa-che-è.

Talete dunque con la sua mossa illustra la prima relazione indicale.


16. ISTRUZIONI PER L'USO

spazio = mediazione, scopo, generalità, ordine, interpretazione, rappresentazione, ipotesi

La geografia decideva che cosa le cose erano, in maniera implicita e silenziosa, ricorrendo al potere assoluto della mappa, che non ammette né critica né correzione.

   territorio - equivale all'ambito individuato nell'esercizio del potere; è una parola nella quale Terra e terrore si confondono; si riferisce alla relazione di tipo simbolico, corrisponde all'oggetto

   luogo - relazione di tipo iconico intesa nel suo senso più generale ed elementare, corrisponde al soggetto

   spazio - relazione di tipo indicale, corrisponde alla distanza e alla sua misura


17. IL NOME DELLA MONTAGNA E QUELLO DI ULISSE

"I nomi sono risate impietrite" (Horkheimer e Adorno) mostra il carattere arbitrario di ogni denominazione. E i nomi propri scritti sulla carta sono il frutto di una sistematica falsificazione (ricorda la storia del contadino bergamasco e del monte Somìa). Senza rappresentazione cartografica non esiste nome proprio.

Anche Ulisse assegna, in maniera del tutto arbitraria, come un cartografo, un nome a se stesso per ingannare l'interlocutore Poliremo.

Nel dito puntato, secondo Peirce, consiste il primo esempio della relazione indicale segno-oggetto.


18. IL PAESAGGIO E L'ICONA

Il topografo è un outsider (Cosgrove) in quanto arriva dall'esterno e cerca di ridurre a quel che già conosce ciò che vede per la prima volta. Per l'insider invece, il paesaggio non esiste, perché chi abita un luogo e non conosce altro non può avere coscienza di alcuna diversità; per esso non esistono neanche i nomi delle cose.

A differenza del luogo, il paesaggio non si compone di cose, ma è solo una maniera di vedere e rappresentarsi le cose del mondo. Il paesaggio è la maniera con cui la modernità concepisce il mondo sottoforma di luogo, una rappresentazione che obbedisce ad una relazione di tipo iconico, ed esclude per principio sia il livello dell'indice che quello del simbolo. Il paesaggio è per Peirce un'immagine mentale. Perché esso esista sono necessarie almeno tre cose: un soggetto che guarda, qualcosa da guardare e il massimo orizzonte possibile, quindi un'altura che funzioni da punto di vantaggio.

Il paesaggio quindi presuppone non solo la modernità, ma anche la domesticazione coi monti.

Il soggetto del paesaggio è storicamente determinato.


19. IL DONO DI HUMBOLDT: IL CONCETTO DI PAESAGGIO

Alexander von Humboldt introduce il concetto di paesaggio nell'analisi geografica. Egli distingue tre stadi della conoscenza, tre tappe della relazione conoscitiva uomo-ambiente:

suggestione (Eindruck) - sentimento primigenio che sorge nell'animo umano al cospetto della grandiosità e della bellezza della natura. La sua forma conoscitiva è quella del paesaggio, che corrisponde al mondo inteso come armonica totalità di tipo estetico-sentimentale. Riguarda solo la facoltà psichica del soggetto. L'ambito conoscitivo si configura come totalità

esame (Einsicht) - disarticolare la totalità sentimentale e avviarne la traduzione in termini scientifici. Non c'è più paesaggio né totalità, ma solo la fredda e razionale dissezione delle singole componenti

sintesi o complessità globale (Zusammenhang) - totalità costruita dallo stare insieme in un rapporto di mutua interdipendenza di tutti gli elementi. La totalità originaria viene trasformata e ripristinata, ma sul piano scientifico

Per Humboldt, lo sviluppo di ogni conoscenza è la traduzione in termini finalmente scientifici di un'impressione aurorale (quella espressa dal paesaggio) che non è scientifica, ma senza la quale tutta la scienza sarebbe impossibile.


20. IL PAESAGGIO è L'ICONA

La strategia di Humboldt era volta a trasformare l'uomo di gusto in un osservatore della natura. Infatti scrive "Quadri della natura" (Ansichten der Natur), opera che convincerà allo studio del mondo fisico l'intera borghesia europea e che muterà il concetto di paesaggio da estetico in scientifico, caricandosi di un significato inedito e rivoluzionario.

Humboldt si dedicò alla rivoluzione culturale imperniata sul concetto di paesaggio e sulla strutturale mutazione della sua funzione da estetica a scientifica. Si trattava di condurre il protagonista verso una visione del mondo che potesse svilupparsi in comprensione scientifica del mondo stesso, e che non si arrestasse più allo stadio della semplice contemplazione. Bisognava trasformare la cultura borghese, mutare il sapere pittorico in scienza della natura. Il paesaggio, la veduta pittorica, è stato, con Humboldt, lo strumento di tale trasformazione.


21. LO SGUARDO DI HUMBOLDT E L'ASTUZIA DEL PITTORESCO

immagine pittoresca = un'immagine in cui il colpo d'occhio fa un grande effetto, ma allo stesso tempo gli oggetti si distinguono con facilità, a costo di ridurre al minimo l'ingombro della presenza umana. Quest'ultima serve solo a rendere apprezzabile, per contrasto, le smisurate dimensioni della scena naturale.

Le incisioni a colori, inserite nel suo atlante dell'America, per Humboldt, coincidono col paesaggio.




22. UNA "NEBULOSA LONTANANZA"

Humboldt e Goethe concorderanno su un punto: sulla presenza, in ogni veduta di paesaggio, di una certa bruma all'orizzonte, di una progressiva perdita di chiarezza e limpidità dell'aria mano a mano che la distanza aumenta. Per Humboldt la bruma che in lontananza avvolge le cose è spia della dipendenza della descrizione letteraria dalla rappresentazione pittorica, ma anche molto di più. Essa è la metafora di ogni intenzione progettuale, di ogni progettualità politico-sociale, sempre all'orizzonte e mai raggiunta, quindi indeterminata.

Nel 1919 bruscamente, il paesaggio diventerà un semplice insieme di oggetti (Passarge); poiché il paesaggio è l'unica forma di realtà accessibile al geografo, esso equivale alla realtà geografica stessa. Movente di questo repentino cambiamento fu la 1° guerra mondiale, lo strumento fu invece la macchina fotografica.


23. MONTAGNA E PIANURA

montagna = è il regno della libertà per Humboldt (perché lì è assente il potere aristocratico-feudale); è stata spesso un rifugio per oppressi, culture minoritarie, esiliati.

L'opposizione pianura-montagna appartiene all'origine della cultura occidentale, e la supremazia di quella su questa è connessa al sorgere delle prime città.

Quindi quando Humboldt invita gli oppressi alla libertà dei monti, in realtà inizia la "depecorazione" del vecchio continente, la sistematica sottomissione dell'economia montana europea a quella di pianura, e quindi la fine stessa della libertà delle montagne.


24. SE UN GIORNO D'ESTATE UN VIAGGIATORE

Ai tempi di Humboldt tra il funzionamento del mondo e quel che è visibile c'era sufficiente corrispondenza. Oggigiorno però, la maggiore o minore distanza tra le cose del mondo non ha più alcun riferimento, o quasi, con le relazioni che presiedono alla loro attività: non ci si può praticamente più riferire a nessuna traccia materiale per giudicare dell'interdipendenza tra le cose che si vedono. Ne risulta un mondo in cui il dominio della visione non restituisce quasi più nulla di significativo circa i meccanismi che regolano la riproduzione dell'attività del mondo stesso.

Tant'è che l'ultima legge geografica, formulata da Tobler, dice: "tutti gli oggetti che esistono sulla superficie terrestre interagiscono tra di loro, ma più essi sono vicini più l'interazione è forte, e più essi sono lontani più l'interazione è debole".


25. ERODOTO A BERLINO E IL SOGGETTO MISTERIOSO

La legge di Tobler non funzionò un solo giorno: nello stesso periodo si avviava l'informatizzazione del mondo, mandando in crisi l'importanza della distanza materiale (anni '70). La legge di Tobler infatti era "erodotea", nel senso che riguardava solo le cose e non diceva nulla sugli uomini e le donne, sugli abitanti del mondo stesso. Tale silenzio decretò per la geografia la liquidazione di ogni capacità di riflessione sui propri fondamenti: il paesaggio divenne una collezione di oggetti, il soggetto della conoscenza geografica venne abolito.

La storia del soggetto della conoscenza geografica:

   è una figura sempre di spalle al centro di vasti ed isolati paesaggi (Friedrich)

   il soggetto fa parte del paesaggio, è un osservatore interno

   la nostra visione è limitata, non possiamo vedere tutto (ad es. il viso del soggetto) perché vedere significa essere vincolati ad un solo punto di vista

   il soggetto raffigura l'artista viaggiatore che si arresta nel corso del cammino e attraverso la sua presenza registra che quel che vediamo non è la natura, ma l'esperienza della natura così come noi successivamente la re-immaginiamo, il paesaggio appunto!!


26. IL SISTEMA DEL PAESAGGIO

I lineamenti terrestri diventano le uniche cose davvero esistenti, a causa della regola del "fenomenismo" che dice che tra essenza ed apparenza delle cose non esiste nessuna reale differenza. Dal paesaggio ridotto a insieme di cose e non più concepito come dialettico modello di conoscenza, come senso del mondo, il soggetto scompare immediatamente, e con esso scompare dalla geografia ogni possibilità di spiegazione.

Il paesaggio si compone di un piccolo numero di elementi caratteristici che lo rendono descrivibile, identificabile e comparabile.

L'analisi del Biasutti (che ha scritto l'opera di riferimento fondamentale della geografia: "Il paesaggio terrestre") si fonda sull'intreccio delle manifestazioni riconducibili a quattro ordini di fenomeni: climatici, morfologici, idrografici e relativi al mantello vegetale. Dalla loro combinazione emergono 34 tipi di paesaggio. Tali sintesi è insuperata, ma essa si riferisce esclusivamente ad alcuni lineamenti naturali, non a tutti, e non include quelli culturali. Biasutti sostiene che "la storia umana non sta accanto alla natura, ma in essa", e l'uomo può svincolarsi dai legami diretti che legano i fatti fisici e biologici tra loro. C'è quindi una separazione tra natura e cultura.



27. UN GEOGRAFO DI NOME KANT

"Tutti i fenomeni e gli oggetti riuniti in un dato spazio terrestre sono reciprocamente collegati da qualche rapporto" (Biasutti) ciò si afferma anche e solo nella "Geografia fisica" di Kant.

Kant scriveva di filosofia, ma insegnava la geografia. La storia e la geografia per Kant sono saperi che procedono in base alla classificazione fisica. La geografia in particolare "rappresenta le cose naturali secondo le loro specie e le loro famiglie", ma le rappresenta "secondo il luogo della loro nascita, o luoghi sui quali la natura le ha collocate", cioè secondo il principio di vicinanza o prossimità, come davvero nella realtà si danno. Kant quindi enuncia l'opposizione tra classificazione logica e fisica.

Solo nella forma di paesaggio, le cose del mondo si danno l'una accanto all'altra, coesistono nella loro organica unità e sono percepite nel loro complesso. Tale forma però non è affatto scientifica, ma solo preliminare alla considerazione scientifica del mondo ( Humboldt).


28. TIPO GRAFICO E TIPO IDEALE

La natura, per Biasutti, non è armonica o disarmonica, è qualsiasi cosa. Tutte le possibilità le sono aperte. L'armonia è dappertutto e da nessuna parte, connessa com'è al principio di causalità.

Dalla geografia scompare ogni possibilità di concetti tipico-ideali nel senso assegnato da Max Weber. Come per Weber il tipo ideale, anche i tipi di paesaggio del Biasutti non possono mai essere rintracciati nella realtà empirica. Il carattere tipico-ideale vale al massimo per i singoli paesaggi, non per il concetto di paesaggio. In quanto quelli discendono da questo, esso ha una validità sia logica che pratica, che funziona da modello di ciò che il paesaggio deve essere secondo la convinzione dell'autore. Implica cioè un giudizio valutativo. Per Biasutti, tale giudizio si annida già nell'idea di paesaggio visibile, e consiste proprio nella pretesa indipendenza di quest'ultimo da ogni preliminare e più generale opzione. Il giudizio consiste nell'implicita pretesa di ogni pre-giudizio.

Per Biasutti, la geografia è scienza induttiva (dal particolare al generale), quindi descrittiva, e la matrice del tipo geografico resta inconsapevole ed irriflessa.


29. LE FORME DEL PAESAGGIO

Il paesaggio mostra ancora i propri limiti. Gambi scrive: quel che non ha forma visibile plasma ed edifica quel che è invece visibile, sicché quest'ultimo, che corrisponde al paesaggio, è solo una conseguenza del primo. Perciò il concetto di paesaggio è insufficiente a indicare la realtà. Gambi riprende così il discorso di Bloch, che distingueva tra due sistemi agrari in Francia:

   openfield - campi aperti, privi di recinzione - diffusi nell'Europa centrale - derivano dalla rotazione collettiva delle colture tipica del Medioevo - abitazioni raggruppate insieme - prevalenza della logica della collettività

   bocage - campi chiusi, contornati da muretti, staccionate, alberi, siepi - diffusi nella facciata atlantica dell'Europa - assenza di spirito comunitario e solidarietà comunale - abitazioni isolate - impronta individualistica

Gambi complica lo schema del Bloch, inserendo il paesaggio delle colture promiscue. La policoltura mediterranea riunisce tre piani di coltivazione sovrapposti: erbaceo, dell'arbusto e dell'albero. A differenza dei tipi di paesaggi precedenti, ciò che è decisivo in questo caso per l'individuazione è la trama dei filari, o "piantate".


30. PAESAGGI ANOMALI

L'architettura della piantata era un espediente per la triplicazione del suolo agricolo, che riesce così ad associare tre piante l'un l'altra antagoniste. Inoltre dopo il raccolto, sopra al suolo pascolava anche il bestiame.

Questa coltura promiscua in filare appartiene a cinque secoli di storia italiana (dal '300-'400 alla fine dell'800) che Aymard definisce "inclassificabili": è la più lunga fase di indecisione economica mai conosciuta da un paese occidentale. Esprime la soluzione mediana equilibrata tra produzione per l'autoconsumo e produzione per il mercato. E proprio a ciò si deve il principale fascino e l'attrattiva del paesaggio italiano.

L'anomalia della quale il paesaggio della piantata è espressione è la mezzadria (*un proprietario terriero ed un colono si accordano per coltivare un podere e spartirsi circa a metà i raccolti. Ciò che non viene consumato dalle due famiglie, va al mercato locale


31. I LIMITI DEL PAESAGGIO E L'ARTE DELL'ATTORE

I limiti del paesaggio come strumento conoscitivo (Gambi):

   riflessi della vita religiosa sul disegno dei campi e delle maglie stradali

   fatti psicologici come la forza della tradizione e l'abitudine all'imitazione

   esistenza o meno del libero mercato

   diversità dei costumi giuridici relativi alla proprietà familiare

   influenza della città sul contado

Quel che del mondo si può rappresentare sulla carta, quel che è topograficamente rilevante, non è quel che può spiegarne il funzionamento.


32. PAESE, PAESAGGIO, DOLLAR STANDARD: LA FINE DELL'ORDINE

1971 - il presidente degli USA sospende la convertibilità del dollaro in oro; pochi giorni più tardi in Italia vengono aboliti i patti di mezzadria l'attività del mondo non dipende più da ciò che possiamo vedere/toccare.

Già nel 1930 circa, il definitivo abbandono del gold standard segnalò l'impossibilità di continuare a definire le singole differenti monete in termini di determinate quantità di grani d'oro puro. Ci fu allora il dollar standard: possibilità di traduzione tra il concreto (oro) e l'astratto (valore nominale di una banconota). Oggi non esiste più uno standard, anche se qualcuno fa basare il valore delle monete sull'informazione controllata dal soggetto. Paesaggio e dollar standard subiscono quindi lo stesso processo di evanescenza, perdono rilevanza e consistenza. In tal modo perde significato anche ciò che chiamiamo "paese", che serve come scala del rapporto tra ambito urbano e contadino.


33. IL VILLAGGIO NON è UN GLOBO, IL GLOBO NON è UN VILLAGGIO

"Paese" sta per "villaggio", i cui abitanti costituiscono una comunità audio-tattile-visiva. Se ciò è vero il "villaggio globale" (metafora cattiva, ma suggestiva e fortunata) di McLuhan non esiste. Secondo McLuhan, c'è una netta opposizione tra spazio visivo e spazio acustico:

   spazio visivo - creato dall'alfabetizzazione fonetica greca che ha trasformato la parola (concezione del mondo) in qualcosa di visibile, lineare, segmentabile, omogeneo, statico

   spazio acustico - sorto come prodotto dell'avvento dei mezzi di comunicazione elettrici e della tecnologia elettronica, ricostituisce il campo totale di rapporti simultanei, sonori, proprio dell'uomo pre-alfabetizzato. Esso è dotato di una pluralità di centri ubiqui, apparentemente caotici e in continuo flusso

Innanzitutto un villaggio ha un solo centro, al contrario del globo. Quindi quel che resta della metafora è la conferma della riduzione del mondo a spazio. Per McLuhan il villaggio significa la minimizzazione della distanza interpersonale e quindi la massimizzazione della comunicazione.


34. SI ABITA IL MONDO, NON UN LINGUAGGIO

W. Bunge: "non è un caso che della geografia di un qualsiasi grattacielo se ne sappia molto meno che del più lontano e minuscolo villaggio della Terra del Fuoco o della Lapponia"

A prima vista, sembra la conferma di ciò che si crede in filosofia: che si abiti non il mondo ma un linguaggio, che il mondo dipenda dal "più originario" bene del linguaggio, cioè dalla possibilità di dare nomi che istituiscono l'essenza delle cose. Ma se pensiamo così, dimentichiamo la cosa più importante: prima di essere abitante, il soggetto è migrante, il suo esserci è il risultato di uno spostamento. Dunque sostenere che si abita un linguaggio e non il mondo, è un altro modo per dire che si abita non il mondo ma una carta geografica, una tavola.


35. LA LEZIONE DELLA GENETICA

geografia genetica = serve ad avere un'idea degli spostamenti della nostra specie

I risultati più interessanti delle ricerche sui geni umani sono due:

regolare diminuzione della somiglianza genetica degli individui col crescere della distanza geografica

scoperta di un alto grado di correlazione, a scala planetaria, tra evoluzione genetica e linguistica delle popolazioni, e ciò nonostante il fatto che le lingue evolvono molto più velocemente dei geni

L'Europa è il continente che ha il maggior numero di informazioni genetiche, infatti esso risulta diviso in poco meno di 40 regioni individuate da confini sia genetici che linguistici. Tale corrispondenza va spiegata con l'influenza del linguaggio sui geni. Il che sembrerebbe confermare la precedenza del linguaggio sul mondo, ma le cose invece stanno proprio al contrario. Le barriere linguistiche possono opporsi alla mescolanza tra popoli diversi, ma è soprattutto la natura fisica di certe barriere a farlo (18 limiti linguistico-genetici coincidono con mari, 4 con montagne, 9 sono il prodotto di complessi processi di ordine politico e storico-sociale) ripristino della priorità della Terra e delle sue fattezze sul linguaggio.


36. L'ILLUSIONE DEL GENOMA

gene = assimilato ad una mappa vivente dotata della capacità di autocostruirsi come corpo

Per quasi mezzo secolo ci si è illusi che decodificare il messaggio nella sequenza dei nucleotidi del DNA avrebbe svelato il segreto della vita. Oggi, piuttosto che a una carta geografica, il sequenziamento del genoma umano viene paragonato ad un insieme ancora indecifrato di geroglifici.


37. LA VIOLENZA DEL MAPPING

L'illusione del genoma dipende dalla violenza del mapping

Anassimandro fu infatti accusato di empietà e tracotanza perché si era permesso di rappresentare la terra e il mare dall'alto, come solo agli dei è consentito. La vera ragione dell'accusa era però un'altra: col suo disegno, egli aveva paralizzato ed ucciso la natura (physis) che invece è in continuo movimento, è un processo dinamico, è vita.

Fare la mappa di qualcosa implica la preliminare riduzione di una cosa ad apparenza della cose-che-è. In tale riduzione consiste l'originaria, silenziosa ed implicita violenza del mapping.

mapping = corrispondenza tra due insiemi che assegna ad ogni elemento del primo una controparte nel secondo

Nel linguaggio del DNA, gli stessi termini mutano significato col mutare del contesto, e mutano funzione all'interno dello stesso contesto. Ma su una mappa accade il contrario. Su una mappa tutti i termini sono nomi propri, oppure al massimo loro specificazioni (ad es. "fiume Gange"). E il loro significato non dipende assolutamente dal contesto, ma è dato una volta per tutte e per chiunque e vale in ogni situazione.

La mappa non uccide solo la Terra, ma mortifica anche il linguaggio perché irrigidisce il modo di riferirsi all'oggetto, paralizzando quindi anche il soggetto.


38. SQUANTO

Negli ultimi anni le rappresentazioni cartografiche hanno preso a vacillare, perdono il loro potere dittatoriale sul sapere, perciò il soggetto, non più paralizzato, riacquista (come il gene) la propria libertà di movimento. L'antropologia ritiene lo spostamento, il viaggio, la migrazione come la pratica costitutiva dell'identità del soggetto e di ogni espressione culturale. Il soggetto quindi è espressione di una serie di localizzazioni mutevoli, prodotto di un processo dinamico.

Per Appadurai i nativi, gli indigeni, non sarebbero mai esistiti: non esiste un essere umano confinato nel luogo in cui si trova e non contaminato dal resto dell'umanità. Tale idea sarebbe il risultato di un "congelamento metonimico", per cui una parte della vita del soggetto viene scambiato per la totalità e finisce per contrassegnarlo. Il soggetto della conoscenza geografica ha subito questo destino per mano dell'immagine cartografica.


39. CONOSCENZA, RICONOSCIMENTO, PROCEDIMENTO: L'IMMAGINE DEL GEOGRAFO

Sia per Ritter che per Humboldt non si dà mai "semplice indipendente conoscenza" (Kenntniss) della superficie terrestre, ma solo "riconoscimento" (Er-kenntniss) di essa.

Iconografia dell'immagine del geografo:

   alla vigilia della Rivoluzione francese le carte accompagnano sempre l'effigie del geografo

   1800 - i geografi sono ritratti: penna in mano, all'aria aperta, mentre osservano la natura oppure scrivono ciò implica il viaggio, lo spostamento, la mobilità del soggetto

Per Ritter, l'Erdkunde non era affatto una "compiuta scienza della Terra" (Erdwissenschaft), ma solo la conoscenza del pianeta che noi abbiamo finora acquisito. Ritter definisce la Terra come "il più grande degli organismi viventi", assegna al pianeta e i continenti l'identica forma del soggetto della conoscenza geografica.


40. LA PRIMA MORTE DEL SIGNORE DI BALLANTRAE

Il soggetto della conoscenza geografica, come il signore di Ballantrae nel romanzo di Stevenson, muore tre volte per finta, fingendosi paralizzato:

la prima apparente morte coincide con l'invenzione della "geografia umana" da parte di Paul Vidal de la Blache ('800-'900). Vidal invita ad "osservare la carta", intendendo ciò come l'abbandono di ogni forma di "memoria", cioè di ogni idea dell'esistenza della coscienza e del linguaggio (proprio il contrario dell'Erdkunde). Nella rappresentazione cartografica Vidal vedeva "lo strumento di precisione, il documento esatto che raddrizza le nozioni false" (i francesi avevano perso la guerra contro la Prussia per colpa di mappe imprecise). Vidal infatti aderiva al concreto, alla carta, partiva sempre dal reale.

L'influsso di Vidal ebbe lunga durata in Europa (tranne che in Germania) per tutto il XIX sec. La natura della geografia umana si configura come l'esatto rovescio della precedente geografia critica tedesca dell'Erdkunde. Per Vidal esiste solo una descrizione della Terra, quella rappresentata dall'immagine cartografica, che fa a meno di ogni teoria perché essa è già scientifica per definizione. "Descrivere, definire e classificare, quindi dedurre" (Vidal), dove per "descrivere" si intende fare la mappa. Con Vidal, la carta geografica torna ad essere un silenzioso strumento per la definizione implicita (non sottoposta a riflessione) della natura delle cose del mondo.


41. CHE COS'è UN ALBERO?

Per Vidal lo strumento di precisione per eccellenza era la carta topografica (*ogni rappresentazione la cui scala sia compresa tra 1:5.000 e 1:200.000, sulla quale cioè 1cm equivalga al massimo a 2km nella realtà). Come ogni mappa, anche quella topografica funziona attraverso l'inevitabile scelta tra gli innumerevoli elementi di cui la realtà è composta. Si pone così il problema della selezione, del processo di riduzione o modificazione che riguarda il formato, la forma ed il numero dei fenomeni rappresentati. La semiologia grafica distingue tra:

   generalizzazione concettuale - "mutamento d'impianto" del fenomeno (ad es. alla foresta si sostituisce un singolo albero)

   generalizzazione strutturale - implica la conservazione della concettualizzazione data, si limita alla semplificazione della sua struttura (ad es. il simbolo che sta per foresta passa da un num di alberi proporzionale alla sua estensione a un num di alberi fisso e limitato di alberi per ogni foresta)

Ma tale distinzione non dice nulla del problema originario della riduzione della realtà a segno cartografico.


42. LA SECONDA MORTE DEL SIGNORE DI BALLANTRAE

Il sistema cartografico è un sistema logico (e agisce da dispositivo ontologico). Si ha l'ammissione del carattere teorico dell'immagine cartografica: le carte sono solo un sotto-insieme della matematica, una specie di incompiuta restituzione in termini matematici del mondo, il cui difetto è l'imperfezione, l'incompletezza (Bunge). Se i geografi si fidano delle carte, devono per forza fidarsi della matematica e quindi procedere verso una versione formalizzata, cioè matematica, della geografia.

"geografia quantitativa" (anni '60-'70) i singoli concreti fenomeni vengono sostituiti dalle proprietà astratte, cioè geometriche, del modello della loro distribuzione nello spazio. Secondo Berry, in tal modo è possibile fare una fondamentale distinzione: quella tra "i fatti che costituiscono l'oggetto della geografia, le teorie che inseriscono i fatti entro i modelli basati sulla percezione delle regolarità spaziali, e i metodi adoperati per collegare i fatti alla teoria, formulandola così nella maniera più precisa e concisa possibile". Per la geografia quantitativa, il fatto è in realtà soltanto quello che si può ridurre a quantità, dunque misurare, e tutto ciò che non si può misurare viene quindi escluso dall'analisi. Essa elimina definitivamente il soggetto poiché sopprime interamente la questione del senso, dell'intenzione assegnata al sapere geografico. La geografia quantitativa parte dalla deduzione, ma la chiama "fatto", in modo che essa assuma una veste geometrica, pretendendo che il suo rigore si estenda all''intero impersonale meccanismo che da tale clandestina deduzione prende avvio.


43. CHE COS'è LO ZERO?

Non è la mappa che deriva dai numeri, sono i numeri che derivano dalla tavola. Lo zero su una tavola da calcolo non era una cosa, un numero, ma una condizione transitoria di una parte della tavola stessa. Lo zero sta per la parte della tavola non occupata dai sassolini, quindi lo zero sta per la tavola stessa, è la tavola stessa. Tra mensa e mens vi è un'evidente affinità: possiamo paragonare la nostra mente ad una tavola, ma anche il contrario: possiamo considerare la tavola (lo zero) come una mente in grado di produrre idee.

"Lo zero diventa ciò che gli si aggiunge" (Mahavira) parole che valgono bene per quella tavola che, aggiunta di particolari segni, chiamiamo carta geografica.


44. LA TERZA MORTE DEL SIGNORE DI BALLANTRAE

il soggetto torna a dare problemi al sapere geografico con la nascita della "geografia comportamentale" (anni '70). Esso è come una variabile interposta tra l'ambiente e il comportamento spaziale, che appare il risultato di nesso tra stimoli ambientali e reazioni. È come se l'agire sociale non venisse determinato da scopi e valori in base ai quali il soggetto che agisce si orienta, e che richiedono di essere compresi. Il principio della "sociologia comprendente" di Max Weber (*i processi sociali si basano sull'interpretazione soggettiva dei fatti) rimane quindi estraneo all'analisi della geografia comportamentale. Viene però reintrodotto il problema della natura dell'oggetto indagato, cioè l'uomo. Ma in maniera insufficiente: l'uomo viene assunto come semplice elaboratore di informazione, e la natura solo come complesso di informazioni da elaborare. Così la realtà viene ridotta ad un sistema che funziona sulla base del modello input-output (*studiare una cosa significa quindi esaminarne l'uscita e le sue relazioni con l'ingresso


45. CHI SI MUOVE E CHI STA FERMO

Quello tra Ulisse e Polifemo è lo scontro tra chi si muove e chi sta fermo: l'opposizione originaria, il cui esito, favorevole alla mobilità, ha fatto di quest'ultima la condizione fondamentale per tutto quello che chiamiamo cultura. Lo stesso concetto di ecumene presuppone il movimento, cioè l'estensione della conoscenza e di conseguenza della porzione abitata (*la conquista della Terra si è conclusa alla vigilia della 1° guerra mondiale con il raggiungimento dei Poli). Ogni forma di migrazione è un trasferimento che si svolge da un luogo all'altro sulla superficie del globo secondo un ordine. Infatti il termine "nomade" deriva direttamente dal greco nomos, cioè legge.


46. L' ORDINE TERRESTRE DEL NOSTRO PIANETA

Con tale espressione, Ritter si riferiva all'ineguale ripartizione delle acque marine e delle terre emerse. L'opposizione tra questi due "universi", il terrestre o continentale e il marino o pelagico, costituiva per Ritter il contrasto fondamentale e originario del nostro globo, quello da cui tutti gli altri dipendevano. Nel 1902 Mackinder elaborò la visione di Ritter, distinguendo tre "sedi naturali della potenza" mondiale, di cui la più importante era quella estesa dalle coste dell'Artico ai deserti dell'Asia centrale e a occidente fino alla soglia che separa il Mar Baltico dal Mar Nero (l'interno dell'Eurasia). Essa è il "perno geografico della storia", la più grande fortezza naturale del mondo, e se chi la occupa (all'epoca l'URSS) riesce ad espandersi sino alle terre della mezzaluna interna (la Germania), diverrà la prima potenza del mondo, perché raggiungerà l'accesso al mare alterando ogni equilibrio inscritto dalla natura nell'ordine del mondo.

Anche Hegel riprende Ritter: il fondamento del processo storico è di natura geografica, la storia universale obbedisce ad uno svolgimento che dipende dalla differente fisionomia dei continenti, perché la loro configurazione condiziona il destino dei popoli. Però per Ritter oriente ed occidente erano termini relativi e mobili, per Hegel diventano termini assoluti: il primo coincide con l'Asia, il secondo con l'Europa. Così il Mediterraneo diventa per Hegel l'asse della storia universale, l'unico centro geografico del mondo. Cioè per Ritter è inconcepibile, in quanto il mondo è una sfera, dotata quindi di un'infinità di centri.


47. MEDITERRANEO E MEDITERRANEI

Il nome "mediterraneo" dovrebbe sempre essere usato al plurale, perché esso si compone di un complesso di mari separati, di bacini circoscritti che si susseguono da est a ovest. Un mediterraneo quindi, è semplicemente un grande ingolfatura oceanica individuata da un profilo al cui interno la terraferma prevale decisamente sull'elemento liquido, e di tali golfi ve ne sono parecchi. L'unica differenza è che le terre che definiscono il Mare Nostrum dei latini sono molto più vicine e accostate di quanto accade altrove.

Di diverso parere è Yves Lacoste: Mediterraneo significa per lui medium, cioè mezzo di comunicazione, tra terre. Si tratta quindi di un nome proprio che designa direttamente un ruolo: quello di un immenso spazio-movimento, di un unico sistema di circolazione in cui vie di terra e vie di mare si fondono al punto da risultare indistinguibili.


48. UN PICCOLO QUARTO DI GIRO

La differenza tra la "Geografia" di Tolomeo e l'Erdkunde risiede nel fatto che la visione geografica è additiva, quella dell'Erdunke è olistica (=la somma delle parti non corrisponde alla totalità), e ciò è dovuto alla natura labirintica del mondo, che nella versione cartografica viene invece annullata. Tolomeo consiglia di fare mappe e di non ricorrere al modello sferico per ragioni pratiche: se l'immagine è una mappa, il soggetto non ha bisogno di spostarsi perché non ha bisognosi cercare il centro, vede subito ogni cosa. Ancora oggi siamo tolemaici, tutte le volte che apriamo un atlante. Fu proprio Tolomeo, vietando il globo, a stabilire definitivamente che il soggetto restasse immobile, che la conoscenza fosse una funzione di una doppia connessa stabilità: quella del soggetto e quella dell'oggetto. La natura statica del soggetto, ci deriva dalla natura fissa della nostra immagine del mondo.


49. LE RANE, LO STAGNO, LA TERRA

Come per Platone, anche per Hegel il genere umano restava un gruppo di ranocchi accovacciato intorno allo stagno mediterraneo euro-africano. Nell'emisfero boreale si concentrano i 2/3 delle terre e i 9/10 dei circa 6 miliardi di persone di cui si compone oggi la popolazione mondiale. Nell'emisfero australe le masse emerse diminuiscono, e così il carico umano, con pochissimi addensamenti che fanno eccezione (California, Brasile, Australia sud-orientale). Metà degli attuali abitanti della Terra risultano accalcati su di 1/6 delle terre emerse. 68 milioni di km2 sarebbero ancora allo stato selvaggio (vegetazione originale, estensione non inferiore ai 10.000 km2, bassa densità di popolazione), come l'Amazzonia, il Congo, la Nuova Guinea, il bacino dello Zambesi in Mozambico, i deserti dell'America del Nord. Tali aree, che superano di poco il 7% delle terre emerse, racchiudono più del 60% delle piante e più del 40% di tutti i vertebrati del pianeta anche la distribuzione dei vegetali e degli animali, come quella umana, risulta concentrata e asimmetrica.


50. «IL LEGNO STORTO DELL'UMANITà»

Con tale espressione Kant intendeva la natura congenitamente imperfetta del genere umano, la sua costituzionale debolezza ed infermità. Ma perché ciò che è diritto deve per forza essere migliore di ciò che non lo è? Ulisse sceglie un tronco d'ulivo, che è l'albero più contorto di tutto il Mediterraneo. Poi lo taglia per la lunghezza di due braccia primo esempio di concezione geometrica della simmetria, quella bilaterale. Il meccanismo simmetrico contiene il concetto di identità, quello di differenza e il processo che stabilisce i termini della loro corrispondenza ed equivalenza. Poi Ulisse comanda ai suoi uomini di eseguire lo sgrossamento, la rettificazione dello storto nel diritto, la trasformazione di una forma naturale nel suo contrario, la linea retta, l'unica forma che in natura non esiste. È l'ulivo il legno storto dell'umanità, quello da cui essa trae origine. La rettificazione è così l'inizio della tecnica, ma anche l'inizio dell'applicazione del modello simmetrico alla conoscenza del mondo.

Dividendo così, con un'astratta linea retta (diaframma), il Mediterraneo, ci si accorse che nel settore superiore mano a mano che si andava verso nord le temperature diminuivano, mentre in quello inferiore spostandosi verso sud le temperature aumentavano. Il modello riuniva le tre caratteristiche fondamentali su cui ogni struttura simmetrica si fonda: rappresentazione, trasformazione, invarianza.

Ciò si trasformò nell'idea più importante per la comprensione della distribuzione degli uomini: il clima.




51. UOMINI (DONNE) E CLIMA

I primi tentativi di classificazione dei climi sono molto recenti. Quel che per noi oggi è il clima inizia a prendere forma intorno al 1650, quando compaiono adeguati strumenti di misurazione delle sue componenti (barometro, termometro). Prima il clima era la striscia di terra, compresa tra due parallele linee rette, che di mezz'ora in mezz'ora distinguevano per ogni fascia la differente durata del giorno più lungo. Clima per gli antichi greci significava "inclinazione" dell'asse terrestre rispetto al Sole. Molto prima di smembrare la Terra in sette continenti, il sapere occidentale ha diviso l'ecumene in sette climi. Già all'inizio del '200, Federico II scriveva che il 1°ed il 7° (tropicale e boreale) sono climi estremi, il 2° e il 6° sono meno estremi, il 4° e il 5° sono i climi più benigni e temperati, dove si addensa la maggior parte della popolazione.

Per Hassinger, i focolai originari della vita si allineavano lungo una striscia che includeva tutti i luoghi la cui temperatura media annua era compresa tra 25-15 gradi: dal Mediterraneo alla Mesopotamia all'India alla Cina. Negli ultimi secoli il baricentro del carico demografico europeo si è spostato verso settentrione, ma nonostante ciò ancora oggi metà della popolazione mondiale vive tra i 20-40 gradi di latitudine nord.


52. L'ASSE NELLA MANICA

Proprio l'irregolare estensione e la diversa ripartizione delle terre e delle acque, con la variabilità delle temperature e il movimento dei venti, costituiscono la ragione fondamentale dell'ubiquità e della connessione tra tutti gli elementi.

Perché l'agricoltura si è diffusa con ritmi diversi nei vari continenti? La diversità delle vicende americane, africane, europee dipende prima di tutto dal diverso orientamento dei relativi assi continentali: nella massa eurasiatica c'è una continuità ed un'omogeneità di condizione climatiche altrove sconosciuta. Infatti la più antica zona di produzione alimentare del mondo coincide con l'attuale Mezzaluna Fertile. Qui l'agricoltura è documentata sin dall'8000 a.C. e da qui farro, orzo, piselli, lino si sono propagati ad una velocità superiore a 1km l'anno. Dal Messico invece, il mais raggiunse la costa orientale nordamericana a una velocità che non supera il 1/2km l'anno ciò mostra la generale maggior difficoltà della trasmissione in senso meridiano degli animali e delle piante rispetto a quello secondo la latitudine.


53. CARTOGRAFIA E GEOGRAFIA DEI GENI

La somiglianza genetica tra una popolazione e l'altra diminuisce in modo regolare col crescere della distanza perché quasi tutte le popolazioni scambiano individui coi loro vicini tramite la migrazione. Le frequenze geniche però vengono alterate costantemente anche dalla selezione naturale e dalla deriva genetica

Solo in Africa i tre complessi etnici principali si dispongono secondo gradienti genetici orizzontali, ordinati in senso parallelo alla linea dell'Equatore. Negli altri continenti (Asia, Nordamerica, Australia) la differenza tra popolazioni settentrionali e meridionali appare più o meno secondaria rispetto alla prevalenza di gradienti verticali. L'Europa mostra invece un assetto genetico più articolato, non definibile secondo soglie ordinate secondo un'unica direzione, e dominato da due maggiori flussi migratori: quello degli agricoltori neolitici del Vicino Oriente e quello dei nomadi delle steppe. Le migrazioni genetiche sono quindi molto più complesse delle migrazioni vegetali o animali.


54. ISTMI

I 2/3 delle barriere genetiche europee coincidono con confini geografici (mari o monti) oltre che linguistici. Ma c'è anche un confine terrestre meno netto ed evidente: l'istmo. È una lingua di terra che pone in comunicazione due estensioni solide di notevoli dimensioni, è un grande ponte naturale gettato tra i continenti. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 gli istmi di Suez (Egitto), di Corinto (Peloponneso) e di Panama (America centrale), i più sottili e piatti, furono mutati in stretti, e trascinati così nel sistema delle comunicazioni marittime. Fino ad allora essi avevano funzionato come fascia d'affrontamento e transizione tra popoli e culture diverse, avevano una funzione separatrice. L'indagine sulla distribuzione dei geni conferma in maniera ancora più netta la funzione separatrice dei grandi istmi continentali. Il caso più evidente è quello dell'istmo ponto-baltico e di quello Stettino-Trieste: pur in assenza di consistenti ostacoli di natura fisica, dopo la caduta dell'Impero romano nessuna invasione proveniente da oriente oltrepassò interamente l'istmo occidentale tra il Baltico e l'Adriatico. Questi due istmi funzionano quindi anche da soglie genetiche, a segno dell''impossibilità di separare le specificità del corredo biologico umano da quello delle fattezza terrestri. Spesso i confini più potenti sono quelli che non si scorgono.


55. LA DONNA (L'UOMO) è MOBILE

La mobilità è parte così importante del funzionamento del mondo che nemmeno la geografia ha potuto ignorarla del tutto. Sorre fa una premessa sulla dualità tra mobilità e permanenza: spiega che l'unica realtà è il movimento e la permanenza è un'illusione dovuta alla lentezza del movimento stesso. Per Sorre ogni immagine è composita e fuggitiva, la cui stabilità è sempre relativa e mai assoluta. L'oggetto della geografia torna quindi a muoversi. Sorre distingue tra:

   migrazioni di gruppi organizzati che si muovono con mezzi propri - possono essere:

    • definitive, avere un raggio illimitato e comportare la fondazione di nuove sedi; si dividono tra:
      • migrazioni guerriere
      • migrazioni di cacciatori/pastori/agricoltori che hanno esaurito le capacità del terreno
      • forme evolute come la colonizzazione
    • ritmiche, interne ad un ambito definito; in tal caso includono:
      • i tragitti dei pastori nomadi delle steppe e dei deserti
      • le forme legate a tipi di raccolta/caccia/pesca o all'agricoltura itinerante
      • il seminomadismo del lavoro agricolo e della pastorizia in montagna (transumanza)

   migrazioni a scopo lavorativo individuali o in gruppi non organizzati - erano stagionali; a volte si svolgevano anche su lungo raggio, come tra un continente e l'altro, attivate dal richiamo dell'identità culturale (ad es. il caso dell'emigracion golondrina, operai italiani che andavano in Argentina d'inverno)

   spostamenti periodici non lavorativi - più o meno stabili e definitivi, a eccezione delle correnti periodiche per motivi turistici o religiosi, riguardano le migrazioni forzate e tutte le altre forme di spostamento reso inevitabile da necessità od opportunità economiche o da ragioni politiche


56. VITA E GENERI DI VITA

Vidal elabora il concetto di genere di vita, l'insieme delle pratiche, delle tecniche e dei modelli mentali per mezzo dei quali un gruppo umano sopravvive in seno ad un determinato ambiente fisico. Per Sorre invece esistono in ogni ambito tanti generi di vita quante sono le professioni: soluzione che trascura l'articolazione della società. L'uscita di scena dei geografi ha impedito la comprensione della funzione nascosta ma decisiva dell'idea di genere di vita: trasferire la continuità, l'omogeneità e l'isotropismo di un dato complesso ambientale alla composizione sociale di coloro che risiedono al suo interno e si spostano dentro e fuori da esso.


57. IL MULINO DI AMLETO

È il mulino che secondo l'antica saga nordica, macinava in sabbia gli scogli e le membra degli esseri viventi. Esso veniva mosso dall'obliquità dell'eclittica, dall'inclinazione dell'asse terrestre rispetto alla traiettoria del Sole nel corso dell'anno.

La fine dell'ultimo conflitto mondiale segnò anche la fine del periodo coloniale e l'avvio del processo di decolonizzazione. Negli anni '70 da area d'emigrazione, l'Europa divenne infatti area d'immigrazione, per la prima volta il suo saldo migratorio fu positivo.


58. UN MEZZO GIRO

Ad Ulisse viene associato il termine polùtropos, cioè "che ha molto girato". Ma i giri di Ulisse non fisici e materiali, non mentali. E il giro più importante di tutti quelli che compie è il mezzo giro sotto la pancia dell'ariete che gli serve da nascondiglio per evadere dalla grotta di Polifemo. Ulisse è perciò il primo soggetto, nel senso di sub-iectum, cioè "che sta sotto". Il soggetto è mobile appunto perché trasportato dalla bestia, esso dunque gode insieme delle due condizioni di stabilità e movimento. Il movimento dell'ariete trasferisce il soggetto dal luogo allo spazio. Un luogo è un "campo d'attenzione" la cui forza dipende dall'investimento emotivo di chi lo frequenta, esso non può essere conosciuto che dall'interno ed è strettamente connesso alla nostra identità. Ogni luogo quindi è un piccolo mondo, è qualcosa che dipende da un complesso di relazioni tra gli esseri umani. Si sbaglia però a connotare i luoghi come "casa", anzi: i luoghi sono posti tutt'altro che pacifici, sono essi stessi le sedi del conflitto e del cambiamento (vedi Itaca).


59. LA LINEA DI FUGA

Il trucco di Ulisse annulla la prima regola del mondo, quella per cui l'ordine dipende dall'esistenza di livelli e dalla coincidenza tra ruolo e posizione delle cose. Nascondersi sotto la pancia delle bestie invece che cavalcarle, mette in crisi ogni possibilità di inferire la funzione (degli esseri umani) dalla posizione, cosa che all'interno di ogni struttura gerarchicamente ordinata è invece normale, in quanto immediatamente visibile.

Tornato all'aperto, Ulisse deve innanzitutto ristabilire sui compagni la propria autorità: perciò apostrofa con violenza il cieco Polifemo. Però la sua reazione all'invettiva di Ulisse è terribile: scaglia un masso nel mare che con la sua onda riporta al punto di partenza la nave dei greci. Ripreso il largo di nuovo Ulisse non si trattiene e urla, ma sta volta il masso cade dietro la barca cosicché la spinge lontano dal gigante. Ciò accade perché la prima volta Ulisse urla quando ritiene di essere distante un tiro di voce, e la sua è una stima, sbagliata. La seconda volta invece è un calcolo vero e proprio: Ulisse attende di aver percorso il doppio della distanza di prima. La salvezza quindi è il risultato dell'astrazione da ogni riferimento materiale, da ogni rapporto fisico. Raddoppiare la distanza implica infatti il ricorso ad un equivalente generale: lo spazio.


60. L'INDICE: LA STRADA E LA CASA

Vidal imposta la sua geografia delle sedi sulla relazione di tipo indicale tra la via di comunicazione e l'abitazione: non può esserci abitazione senza via di comunicazione, per quanto esile ed esigua possa essere. È una relazione fondata sullo spazio e sul tempo, ma anche su un collegamento di natura causale, come appunto Vidal mette in rilievo col riferimento alla natura generatrice della via. Il nesso tra strada e casa è intimo. Jane Jacobs sostiene che l'apparente disordine delle vecchie città è invece ordinato socialmente e garantito dalla complessa e fitta mescolanza di differenti usi urbani lungo i marciapiedi. L'intera urbanistica moderna invece si regge sull'ordine fondato sulla segregazione, sulla distinzione e separazione di un certo numero di usi elementari del suolo cittadino, cui vengono assegnati una collocazione autonoma e isolata. Non più la strada, ma l'isolato viene inteso come unità fondamentale dell'architettura. La critica della Jacobs è analoga alla polemica di Ritter, alla sua contrapposizione tra la vita del mondo e la sua cadaverica, cioè cartografica, rappresentazione. Con Schluter la geografia diventa una "scienza dell'oggetto", una scienza che considera i fenomeni come semplici oggetti, che sono le uniche cose che possiamo distinguere.


61. C'ERA UNA CASA MOLTO CARINA

L'oggetto era quel che risultava dalla forma topografica delle cose. Per Humboldt la forma (Gestalt) attesta la formazione dell'oggetto dell'indagine geografica. Schutler invece non tollera proprio la Gestalt, che fa corrispondere alla "visione individuale". Già Peschel aveva ridotto l'analisi geografica alla descrizione cartografica. Schutler trasferisce ciò alla geografia umana, il cui scopo si riduce allo studio della "semplice forma (Form) visibile" sulla carta topografica. E sarà proprio questa forma a governare l'intera geografia delle sedi. Prova ne è la classificazione delle case rurali messa a punto da Demangeon. Il punto di partenza di Demangeon è proprio il riconoscimento della natura storica della casa, che bisogna indagare secondo la sua struttura interna, secondo i rapporti che essa stabilisce tra uomini, animali e cose, secondo la sua funzione agricola. Demangeon distingue due tipi principale di case rurali:

   casa a blocco - unitaria, detta anche "casa globale" perché composta da un unico edificio dove si trova tutto sotto lo stesso tetto. È l'abitazione dei contadini poveri che vivono del lavoro su un minuscolo terreno; era composta da terra cruda e legno. A seconda della sua forma poteva essere:

    • casa elementare - stalla e alloggio sono attigui
    • casa a elementi trasversali - sulla facciata si allineano alloggio, stalla e fienile
    • casa a elementi longitudinali - allungata in profondità
    • casa a elementi sovrapposti - alloggio sopra, il resto sotto

   casa a corte - due o più edifici raggruppati intorno al cortile; presenta solo due varietà:

    • a corte chiusa - gli edifici si toccano, creando un cortile circolare chiuso
    • a corte aperta - gli edifici non si toccano

Da tale classificazione emerge un evidente paradosso: la casa unitaria non possiede il cortile. Naturalmente non è mai così: non esiste casa contadina priva di uno spiazzo scoperto antistante, esso è indispensabile.


62. LA RETORICA CARTOGRAFICA

Marinelli riprende Peschel, ma aggiungendo un maggior grado di consapevolezza circa il controllo instaurato dal meccanismo della scala sull'idea che noi ci facciamo del fenomeno cartografato. Si ha così il rigetto della geografia delle sedi della tipologia di Demangeon. L'argomento in discussione è la forma della dimora a corte chiusa, che in Italia compare ovunque con la stessa forma anche se è espressione di realtà economico-sociali e di processi storici profondamente contrastanti. La coincidenza tra regione fisiografica e forma dell'abitazione non è diretta, essa non esisterebbe senza la diversità della struttura agraria. L'omologia geografica di Peschel si fonda dunque sulla retorica e le sue figure, perché alla causa sostituisce l'effetto. Nel 1970 la geografia delle sedi cessa di esistere. Anche la geografia quantitativa entra in crisi, perché ci si accorge di non poter inferire il processo dalla forma.


63. IL «PREGIUDIZIO GRAFICO»

Febvre usa quest'espressione per criticare l'omologia geografica, che ricava dalla similitudine della forma la prova della correlazione evolutiva di due organismi. Ma prima di essere nella mente di chi guarda la carta, il pregiudizio grafico è annidato all'interno della rappresentazione stessa.

villaggio [definizione da dizionario] = gruppo di case più piccolo di una città, ma più grande di un casale; gruppo di costruzioni, complesso edilizio, insieme edificato

villaggio [in India] = terreno delimitato da confini, non necessariamente dotato di abitazioni, ma sempre invece dotato di un nome che segnala l'esistenza di diritti di usufrutto o di proprietà sul terreno stesso. È quindi un'unità fondiaria e fiscale prima di essere un'unità residenziale

Come, quando e perché in epoca moderna il villaggio è passato a significare l'abitato e non più il coltivo? Spiega Clausewitz che le forme del terreno influiscono sul combattimento in triplice maniera: come ostacolo alla vista, come ostacolo alla percorribilità e come mezzo di copertura contro gli effetti del fuoco. È stato proprio sulla base di tali criteri che tra '800-'900 si è proceduto in Europa alla costruzione delle carte topografiche, trasformando in ostacolo o vantaggio tutti i tratti della Terra. Per questo il villaggio si tramuta, prima sulla carta e poi nella nostra testa, in un semplice insieme di case.


64. TRA MITO E ARCHETIPO: CHE COS'è UNA CITTà?

città = agglomerato di edifici più esteso di un villaggio

"Una città è una città" (Lopez) esprime la rinuncia al tentativo di una risposta onnicomprensiva alla questione perché il concetto di città è mutevole. Il confronto tra sviluppo e funzione di organismi cittadini tra loro differenti si rivelerebbe molto più produttivo della ricerca di una formulazione univoca e perciò extrastorica del fatto urbano. L'approccio comparativo ha però poi privilegiato il carattere di istituzione politica. I geografi si dibattono ancora oggi nella contraddizione tra considerazione formale (topografica) e funzionale della città: se si bada all'ingombro fisico oggi la città appare crescere ed estendersi, ma se invece si bada alle funzioni tipiche della città (coordinare, dirigere, controllare) allora essa si va rarefacendo e sparendo. Oggi più di metà dell'umanità vive in città. Quel che da paese a paese varia è la quantità di abitanti minima necessaria perché una sede sia classificata come urbana, non varia invece la natura quantitativa del criterio che i censimenti adottano.


65. LA «MANO INVISIBILE» E QUELLA NASCOSTA

Archetipo = l'emergere della civiltà è il risultato di una sequenza che inizia con le attività di raccolta dei frutti spontanei e con la caccia, prosegue con l'agricoltura e culmina con la formazione urbana e statale (versione stadiale della storia dell'umanità) messa in discussione a partire dal 1950.

La reazione più vivace contro tale archetipo è stata quella della Jacobs, che ritiene che esso derivi da Adam Smith e quindi dall'evoluzione storica e dall'economia politica. A Smith stava a cuore la divisione tecnica del lavoro, che a sua volta dipende dal mercato. Quindi Smith considera villaggi, città, grandi città anzitutto come mercati isolati, la cui estensione è misurata dalla massa degli acquirenti o dal possibile smercio. La divisione del lavoro è così una funzione del carico demografico di riferimento. Il passaggio dal villaggio alla città vale per Smith solo in termini di aumento del numero degli abitanti e delle attività specializzate. Per Smith lo stadio finale della società è regolato dalla "mano invisibile" che governa l'economia: è alla sua involontaria azione che si deve la conciliazione tra libertà, desiderio di miglioramento dell'individuo e ordine della società, tramite la competizione. Ma perchè una mano invisibile esista, dice Hofstadter, bisogna che il mondo sia ridotto ad un disegno che comprenda anche la mano dell'autore, e che perciò cancelli la concreta esistenza di quest'ultima.


66. «MANI CHE DISEGNANO»

La litografia di Escher illustra la ricorsività, cela la realtà, occulta la mano del disegnatore. La mano così nascosta è quella invisibile, e quella visibile, cioè disegnata, è quella falsa.

La città è nata per preservare la vita, essa esiste per far vivere bene gli uomini. La grandezza di una città non è data dall'estensione del suo sito o dalla lunghezza del perimetro delle sue mura, bensì dalla moltitudine degli abitanti e dalla loro grandezza (Botero). Nel '700 l'idea di città però passa a significare non più gli uomini, ma le cose, le case, infatti: città [illuminismo] = insieme di più case disposte lungo le strade e circondate da un elemento comune che di norma sono mura o fossati; è una cinta muraria che racchiude quartieri, strade, piazze pubbliche e altri edifici. Tra Botero e l'illuminismo allora qualcosa di decisivo è avvenuto: la costruzione della prima carta topografica, la Carta di Francia basata sul mediano di Parigi.

67. VIE, STRADE, CAMMINI

La Carta di Francia modifica non solo l'idea di città e la forma delle strade, ma anche la forma delle città e l'idea di strada, a segno dell'impossibilità della distinzione, sulla mappa, tra forma e idea. Ancora alla metà del '700 cammino (chemin), via (voie) e strada (route) erano sinonimi. Si stabilì pertanto che:

   via - indica il modo in cui si procede, e può essere di terra e di mare

   strada - comprende l'insieme dei luoghi che bisogna attraversare nel viaggio

   cammino - si riferisce alla lista di terra sulla quale si procede lungo la propria strada

Per stabilire con precisione la Carta generale di Francia (quelle precedenti contenevano numerosi errori), Cassini di Thury propose la generalizzazione dello stesso metodo impiegato per la "descrizione" del meridiano di Parigi: formare per tutta l'ampiezza del regno dei triangoli, l'un l'altro collegati per mezzo di oggetti rilevati in seguito, l'uno partendo dall'altro. La distinzione dell'Encyclopédie deriva direttamente dal progetto del Cassini: la strada, intesa dal Cassini come procedimento, diviene un'ipotetica successione di località; il cammino corrisponde solo a ciò che si calpesta. Senza la rappresentazione cartografica perciò confonderemmo i significati delle parole l'ordine del linguaggio dipende dalla logica cartografica.



68. TAXI!

Anche Torquato Tasso distingue tra villa e città: la prima è una "radunanza d'uomini e abitazioni con le cose necessarie alla vita", la seconda, con "le cose necessarie al ben vivere". È indubbio comunque il ruolo quasi ossessivo che la città ed il suo ritratto cartografico rivestono per Tasso. Il suo vanto consiste infatti nella rivendicazione di essere stato il primo a fare della città il centro di un poema ("Gerusalemme liberata") e di averla descritta con una precisione topografica. La città che Tasso prende a modello è Ferrara. Sia Tasso che il Rossetti (primo urbanista moderno europeo, architetto di Ferrara), risolvono allo stesso modo il problema della centralità: Rossetti con la collocazione asimmetrica della piazza, Tasso con la composizione asimmetrica del racconto, il cui centro non corrisponde al 10° dei 20 canti, ma al 13°.

Ferrara è la prima città moderna d'Europa perché in essa per la prima volta fa la sua prepotente e dirompente comparsa la sintassi ortogonale e rettilinea delle strade, l'unica in grado di ridurre la città ad estensione spaziale.


69. TERRANUOVA

Sull'origine dell'ortogonalità dello schema delle terrenuove si scontrano due ipotesi: 1) discendenza, attraverso la mediazione medievale, del sapere degli agrimensori romani; 2) insiste sulla pratica medievale della trigonometria e della geometria dei seni, che però fa il suo ingresso ufficiale nella letteratura architettonica nel 1545. Quindi a quali disegni si sono ispirati i progettisti del 1350? Dove era possibile vedere strutture geometriche basate sul cerchio capaci di avviare la riduzione del mondo a spazio? Sui portolani (carte nautiche) e sugli astrolabi (strumento per calcolare il movimento degli astri). La struttura delle terrenuove non è ancora compiutamente spaziale, anche se è comunque molto più regolare delle altre città medievali, è ciò non solo per l'approssimazione delle misure, ma proprio in virtù del loro carattere proporzionale. Infatti una proporzione non è affatto uno standard, implica solo la corrispondenza di più elementi in rapporto reciproco. Ma ad Arianuova (=Ferrara) tutto ciò non vale, perché tra essa e le terrenuove c'è di mezzo la prospettiva.


70. ARIANUOVA

Ad Arianuova vale proprio e solo il piano, quel che comanda è la bidimensionalità del progetto. Sono i volumi edilizi a doversi allineare sulla regolarità e la rettilinearità delle arterie per rallentarne la fuga prospettica, secondo un dosaggio di pieni e di vuoti. Arianuova ha una ragione metrica che non coincide con nessun elemento o rapporto della pianta, ma con la ragione della pianta stessa. Ferrara è misura di se stessa, e per questo è la prima, perché lo spazio urbano moderno vi fa la sua prima prova, e proprio per via delle cesure edili lungo le strade. In tal modo la concezione della città può scomporsi in distinte fasi e operazioni, di cui la prima consiste nell'affermazione dell'autonomia del tracciato viario rispetto al resto. È una scissione del nesso organico tra arteria stradale ed edilizia. Mentre Firenze scopre nel '400 di essere stata da sempre inconsapevolmente una città prospettica, Ferrara si costruisce dal nulla consapevolmente come tale, e si configura in maniera molto più modernamente prospettica della stessa Firenze.


71. ELOGIO DELLA FOLLIA

"L'anima nostra è un città" scrive Tasso. Tra '800-'900 il "modello faustiano" di sviluppo (che privilegia i faraonici progetti relativi ai trasporti a scapito dei profitti immediati) cambierà davvero la faccia di tutta la Terra. Ma esso nasce alla fine del '400 a Ferrara, dalla distruzione degli orti, delle ville, dei giardini necessaria per il brusco raddoppio dell'estensione del perimetro cittadino. La follia di Tasso fu quella di non rassegnarsi alla necessità e all'inevitabilità del processo, e di non voler sottostare all'altro adempimento cui l'esperienza della modernità costringe: il disincanto circa la propria condizione e le proprie relazioni col prossimo.


72. IL «DISINCANTO DEL MONDO», IL POSSIBILE E IL VIRTUALE

Con il "disincanto del mondo" Max Weber si riferiva all'eliminazione della magia come tecnica di salvezza per gli uomini. Gauchet ha ripreso quest'espressione per intendere "l'esaurimento del regno dell'invisibile". L'invisibile, che prima concorreva in forma non controllabile alla costituzione del mondo, viene ora addomesticato in due modi: o resta compresso e concentrato dietro il punto di fuga, o assume la natura del possibile, sottraendo il campo al virtuale. Il virtuale è ciò che si oppone all'attuale. Il possibile è come il reale, è statico e già costituito, gli manca solo l'esistenza. Al contrario, il virtuale può incorporarsi in quel che esiste ma non vi si può mai integrare, gli manca sempre qualcosa: differenza e assenza, che appunto assicurano l'incanto del mondo. Il cui disincanto si compie attraverso la sostituzione dello spazio ai luoghi, tramite la proliferazione della relazione indicale tra strada ed edifici.

Rossetti apre il cantiere di Arianuova nel 1492, proprio mentre Colombo si prepara a salpare. Il navigatore e l'urbanista fanno la stessa cosa: affermano lo spazio e allo stesso tempo lo negano. Proprio perché nelle loro imprese logica e spaziale e logica globale coesistono, per i pionieri dalla modernità l'invisibile assume la forma del virtuale. Per i loro successori invece assumerà la forma del possibile, fino a scomparire.


73. L'INCANTO, L'IMMAGINE, IL DISINCANTO

Rykwert spiega la città romana: essa era uno strumento di decifrazione del significato del cosmo, e tale certezza faceva sentire il cittadino inserito intimamente in esso. La città era quindi il prodotto del rito, aveva una forma simbolica, e dal rimando all'invisibile e all'intoccabile derivava il suo incanto.

Ne deriva quindi un'altra definizione di città = gigantesco simbolo che serve alla memoria ed alla conoscenza, un complesso di segni per mezzo dei quali gli abitanti, attraverso la partecipazione fisica ai riti, s'identificano con un comune passato. È una definizione analoga a quella che Ritter intendeva per la Terra con "casa per l'educazione dell'umanità".

Se proprio la città dev'essere messa in relazione con la fisiologia, essa è simile ad un sogno più che a ogni altra cosa (Rykwert). Ma durante il sogno noi vediamo davvero le cose, quindi non c'è alcuna differenza tra immagine sognata e materiale. Se la città è in origine il gigantesco simbolo che tiene insieme il cielo e la terra, vi è una sola immagine che corrisponde specificamente ad essa: l'immagine cartografica. Dunque tra città e rappresentazione cartografica c'è una rapporto di mutua interdipendenza, l'una presuppone l'altra. L'incanto della città, e quello del mondo, dipendono dalla consapevolezza del carattere non esaustivo di tale rapporto. Ma tale consapevolezza viene a mancare e si ha il disincanto. Quando, come e perché?


74. CHE COS'è UNA CITTà

Senza la città non vi è rappresentazione cartografica o geografica, e viceversa. Negli ultimi tempi c'è la tendenza a considerare l'agglomerazione urbana come la forza motrice non solo dello sviluppo dell'agricoltura, ma anche dell'apparizione dei villaggi agricoli e della vita rurale e pastorale.

Nel 1850 Cattaneo indica nella città il "principio ideale" della storia italiana. Oggi si inizia a identificare nella città l'origine materiale della storia mondiale.

L'unica preistorica pianta urbana del mondo antico è quella di Catal Huyuk, che risale circa al 6150 a.C. L'immagine è un vero e proprio atto di autocoscienza urbana. Proprio in forza di tale affresco, proprio perché in grado di riflettere in maniera astratta su se stessa, Catal Huyuk era da considerarsi una città.

Quindi città = ogni sede in grado di produrre un'immagine materiale, pubblica, condivisa della forma e del funzionamento del mondo o di una sua parte. Ogni rivalità tra città si esprime nella lotta per l'affermazione e la diffusione delle immagini che esse producono. La produzione di informazione specializzata è il motore dell'attività urbana, anche prima dell'epoca moderna.


75. BEDOLINA CITY

La definizione di città data sopra consente di liberarsi definitivamente dal pregiudizio topografico. Un'altra celebre mappa preistorica è la "roccia dei campi" di Bedolina, petroglifo rinvenuto nelle Alpi in Valcamonica. Secondo quella definizione di città, anche il villaggio di Bedolina si trasforma dal punto di vista funzionale e relativamente al livello della cultura materiale dell'epoca, in un vero e proprio organismo urbano. E l'arte rupestre che essa produce autorizza tale trasformazione. Così come l'affresco del tempio è la mappa di Catal Huyuk, la "roccia dei campi" è la mappa di Bedolina. La rappresentazione di Bedolina riguarda il territorio, riflette perciò proprio la funzione di dominio e controllo che fa di un aggregato di costruzioni una città vera e propria. Ma non è sempre semplice stabilire se un insieme di segni preistorici corrisponde ad una mappa. Ci si basa su tre criteri fondamentali:

  1. che i segni siano appropriati e ricorrenti, cioè frequenti ed identici all'interno della rappresentazione
  2. che il numero dei segni superi una certa soglia minima
  3. che ci sia una distanza massima tra di essi, cioè che non siano troppo frammentati

Sorge così una domanda: se sia l'idea di mappa a dipendere da quella di città o viceversa. Oppure se mappa e città risultino co-costitutive, se si alimentano a vicenda.


76. LA CITTà IDEALE

Oltre la città reale e quella sognata, esiste anche la città ideale = città che realizza il modello dell'uguaglianza geometrica, onnipotente per gli dei come per gli uomini (Platone). È una città circolare, ideale sia per la forma che per il funzionamento, ideale proprio nella loro assoluta coincidenza e perciò per la loro immediata leggibilità. Una città così non c'è mai stata. Nemmeno una città semplicemente circolare è mai esistita. Da dove nasce dunque il modello platonico? Non dal sogno, ma dalla mappa stessa.

La prima mappa, quella di Anassimandro, era una tavoletta di terracotta di forma rotonda, che richiama lla forma dell'assemblea dei guerrieri dei poemi omerici. Secondo Bachtin, il modello del centro e del cerchio caratterizza l'epopea come genere letterario. Per Vernant è proprio questo il  modello che specifica la città greca nei confronti delle altre città del mondo classico, tutte sprovviste dell'agorà (piazza) centrale. Dal modello dell'assemblea discende quello della città, il centro di questa (agorà) è l'equivalente del centro di quella. Il centro ed il cerchio diventano modello urbano e con Anassimandro modello del mondo e dell'universo. Due secoli dopo, con Platone, il modello circolare diventa invece astratto e geometrico e viene applicato alla descrizione di una città inesistente.. perché?



77. CITTà, TERRITORIO, DEMOCRAZIA

Alla fine del VI sec. a.C. nasce l'Atene di Clistene, la prima città geometrica. Al tempo di Platone essa non funzionava già più e ciò era motivo di rimpianto. Atene si regge sull'equivalenza che per primo Anassimandro nel mondo greco stabilisce: quella tra mondo e immagine (geometrica, cioè cartografica) del mondo. La nascita del moderno concetto di identità politica è il primo formidabile risultato di questa riforma. Prima di Clistene, l'identità del cittadino derivava dalla sua discendenza da una stirpe e dalla sua appartenenza a una determinata comunità di culto. Con Clistene l'unità amministrativa di base dell'Attica divenne il "deme". Quindi l'identità politica iniziò a dipende innanzitutto dall'appartenenza ad un dato territorio, e dal riconoscimento della propria posizione all'interno di un piano fino ad allora del tutto inesistente. La società restava quello che era, ma accanto ad essa nacque un altro livello, al cui interno la dipendenza da vincoli sociali era eliminata, e i nobili e i semplici cittadini erano per la prima volta tutti uguali, a dispetto della loro disuguaglianza. La democrazia nasce dalla stessa matrice cartografica da cui nasce anche il territorio e la città geometrica.


78. IL NOMOS DELLA MAPPA

L'isonomia implica il fatto che all'interno della città il problema del potere non sia più risolto da un essere umano, ma dal funzionamento delle istituzioni. Alla persona si sostituisce un meccanismo impersonale, un nomos, che è la prima misurazione da cui derivano tutti gli altri criteri di misura (Schmitt). Si nota quindi la funzione della mappa nella trasformazione del significato del termine (nomos) nel generico senso di legge, di regolamento, di norma, nella sua accezione politica. Si ha così l'affermazione della natura geometrica (cartografica) della legge politica, dell'ordine politico e urbano, che fonda l'identità tra ambito civico e struttura territoriale. Identità in base alla quale il potere si confonde con la superficie della terra, e il territorio si definisce come area attraverso la cui delimitazione e il cui dominio un soggetto politico cerca di determinare rapporti, fenomeni e comportamenti umani.

Dopo Anassimandro, la mappa diventa la macchina di ogni costruzione, la mappa è l'origine di ogni tecnologia. Il cerchio è la figura in grado di assicurare a ciascuno dei membri la quantità più uguale possibile di ciò che emana dalla fonte. Perciò l'Atene di Clistene è l'ultima città greca a misura d'uomo, perché essa, che inizia a prendere a modello la mappa, inizia ad essere sopraffatta dalla metrica spaziale.


79. LA RISATA DI ERODOTO

La democrazia di Pericle scaturisce dal sopravvento dell'immagine cartografica nei confronti della realtà urbana. Ippodamo di Mileto è il primo grande architetto urbanista del mondo greco e il primo teorico politico, ma è anche l'autore dello schema a scacchiera. La politica di potenza di Pericle era anche fondata sulla diffusione della visione ateniese del mondo, sull'esportazione e l'imposizione di modelli esemplari: a partire dal modello più imponente e vistoso, quello urbano. Turi era come l'Atene di Pericle sarebbe dovuta essere: essa non era circolare, ma rettangolare. La ragione di tale inaudita forma verrà spiegata 3 sec dopo da Gemino: l'ecumene non può essere circoscritta da un cerchio, essendo una porzione di sfera la cui lunghezza è il doppio della larghezza. Già tutte le carte della cui descrizione Erodoto si serve nelle "Storie" sono quadrangolari. Ecco perchè egli ride delle tonde mappe ioniche. Il vizio delle mappe circolari è che la distanza relativa tra due punti viene falsata, mentre ciò non accade se il mondo assume forma quadrangolare.

La nuova visione dell'ordine politico è fondata sull'ordine del mondo, ma intendendo "mondo" come mappa perché l'identità tra mondo e mappa si è mutata in dominio della mappa, cioè dello spazio, sulla terra.


80. LA QUADRATURA DEL CERCHIO

   città circolare i sensi sono innumerevoli, e le strade (raggi) risultano per definizione assolutamente identici. In essa il centro geometrico coincide con quello funzionale. La distanza tra due punti aumenta mano a mano che dall'agorà ci si sposta in periferia, ma nei confronti del centro stesso la distanza resta identica per entrambi è la miglior definizione di isonomia e anche la miglior illustrazione di come la piazza sia il luogo in cui la molteplicità dei sensi si trasformi in significato.

   città quadrangolare salta la coincidenza tra centro geometrico e funzionale. La distanza dei cittadini dal centro (geometrico) è diversa, mentre la distanza tra i singoli cittadini resta sempre identica.

Quindi all'interno della città circolare la distanza civica è uguale al centro, diseguale tra i cittadini; all'interno della città quadrangolare essa è uguale tra i cittadini e diseguale al centro il passaggio dall'isonomia alla democrazia si realizza proprio in tale inversione. Il vantaggio della città ippodamea è nella velocità di circolazione dell'informazione tra i cittadini; e infatti è proprio l'informazione il prezioso bottino che bisogna spartirsi. Nella città di Pericle l'informazione è più veloce, ma la decisione non è più collettiva (come invece accadeva nella città di Clistene), e pochi sanno davvero ciò che accade: "a parole era democrazia, ma in realtà era il governo del primo cittadino" (Tucidide). Il progetto di Pericle fallì perché non riuscì a conciliare le ragioni della democrazia con il funzionamento del mercato.



81. RIFLESSIONE SUL BAROCCO

Prima di Ippodamo, già Babilonia aveva una pianta a scacchiera, ma è stato proprio Ippodamo a cambiare il valore e la funzione dell'angolo retto spogliandolo della sua religiosità e facendogli imporre l'ordine della ragione all'ambito civico. Così egli desacralizza la città, ma la organizza in un sistema.

Tutta l'urbanistica del '700-'800 dipende dalla natura della città barocca, che rappresenta il vertice dell'identificazione della città con lo spazio. Essa riprende e sviluppa la trasformazione della città nella mappa di se stessa. La città barocca doveva essere costruita esattamente così com'era stata progettata: in un sol tratto e sotto la guida di un architetto tirannico. È in questa città che la natura del rapporto indicale tra strada e casa diventa possibile, e non più virtuale, assume cioè la forma della relazione spaziale propriamente detta. E ciò accade perché nella città barocca le strade diritte svolgono proprio la stessa funzione delle mappe: permettono di vedere tutto e subito, di accedere istantaneamente alla parte che più interessa. Tramite la mediazione stradale, dunque, le città diventano, come la Terra, la copia della propria copia.


82. LO SPAZIO IMMAGINARIO

Le arterie barocche spaccano in linea retta il cuore della città, ma equivalgono in realtà a delle circonvallazioni il cui scopo è di evitare la frizione dell'attraversamento urbano. Esattamente come sulla carta e solo sulla carta, dove tutti i nomi sono nomi propri, esiste la corrispondenza biunivoca tra il nome e la cosa, il nome significa la cosa e la cosa è il suo significato. In base all'immagine cartografica, l'epoca barocca procede alla materiale costruzione dello Stato come prodotto artificiale del calcolo umano e alla meccanizzazione della rappresentazione statale.

Per Hobbes la conoscenza scientifica derivava dall'annullamento del mondo esterno. Il soggetto della conoscenza era un uomo cui, scomparso il mondo, restavano solo le idee e le immagini delle cose viste e percepite in precedenza. Lo schema ottenuto attraverso l'annichilimento della realtà esterna era lo spazio immaginario, un'estensione irreale, un fantasma di ciò che esiste davvero. Gli oggetti per Hobbes assumono già una forma cartografica, sicché la conoscenza già si dispone secondo il modello del mapping.


83. L'ESITO DELLA MODERNITà

L'esito della modernità consiste nella riduzione, tramite il mapping, del mondo ad una mappa, a una tavola. L'articolazione dello stato territoriale moderno si svolge secondo la successione: strada diritta > ferrovia > autostrada. E se l'avvento dei percorsi stradali rettilinei corrisponde allo stadio originario della formazione statale, lo sviluppo della ferrovia coincide con la sua maturità, e quello delle autostrade con l'inizio del suo declino. La meccanizzazione del traffico su terra e su acqua capovolge il rapporto tra dato naturale e mezzo di locomozione: la velocità e le caratteristiche del movimento dipendono dal secondo, non più dal primo.

Proprio alla ferrovia si deve la definitiva trasformazione del mondo in spazio, anche se i primi testimoni della diffusione della strada ferrata parlavano di "annihilation of time and space". Con la ferrovia, che è il modello della strada ideale perché priva di attriti, la meccanizzazione del movimento trasmette alla Terra l'attributo decisivo per la sua traduzione in termini spaziali: lo standard.


84. C'ERA UNA VOLTA IL MARE, C'ERA UNA VOLTA LA TERRA

Lo slancio della ferrovia si arresta alla vigilia della 1° guerra mondiale. Ci si mise molto, dice Vidal, ad accorgersi che la rivoluzione ferroviaria consisteva più nello spostamento di cose che di viaggiatori. Fu la strada ferrata a guidare la nascita della telecomunicazione, fornendo il primo avvio alla smaterializzazione del mondo, e dunque al processo di "despazializzazione". Fu proprio la ferrovia infatti, a promuovere e indirizzare l'avanzata del telegrafo elettrico. Ma a differenza della ferrovia, il telegrafo muta la natura delle cose: separa la circolazione dell'informazione dall'interazione umana, trasforma ciò che esiste e che si può toccare e contare, in ciò che sussiste e che si può pensare, ma né toccare né contare. E proprio tale scissione e divisione del lavoro è all'origine della crisi dello spazio.


85. LE RAGAZZE DEL MIDI

A Picasso si riconduce la crisi dell'immagine pittorica moderna nei termini del crollo dei tradizionali riferimenti spazio-temporali. Ciò accade perché il cubismo trasforma il quadro in una carta geografica. Picasso disarticola oltre gli oggetti, la superficie stessa del quadro-mappa, perché sono gli anni della crisi dello schema spaziale che è il risultato dell'imposizione al mondo del modello cartografico. Così Picasso fornisce la visione che il mondo stesso attendeva: il significativo viene separato dall'espressivo, il segno (significante) da ciò che esso designa (significato), il segno non è più "l'oggetto" ma l'oggetto sulla tela, diventa perciò il trattamento che il dato oggettivo, scomposto e ridotto, subisce.

Vale quindi per lo spazio ciò che Humboldt scrisse riguardo la "forza vitale": il giorno del suo trionfo è anche il giorno della sua morte.




86. METROPOLIS: DALLA FERROVIA ALL'AUTOSTRADA

metropoli = città dove si registra il trionfo e la simultanea morte dello spazio

La ferrovia ha meritato l'appellativo di "piantatrice di città", di generatrice dal nulla di realtà urbane. E sempre ad essa si deve lo sviluppo delle periferie. Le ferrovie metropolitane valevano ad anticipare e guidare lo  sviluppo urbano, saldando insieme nuclei insediativi preesistenti. Nello sviluppo delle odierne metropolitane al contrario la sede urbana precede la strada ferrata. Tale inversione è significativa e dovuta alla comparsa delle autostrade, le strade dalle quali non si accede a nessun edificio. L'autostrada serve ad evitare la città, consente di non perdere tempo, al contrario della ferrovia, che rafforza invece il legame tra sedi urbane e strade. Negli USA furono le autostrade ad addossarsi nel '900 attraverso l'urbanizzazione delle periferie, il compito di trasformare la città in una metropoli. Negli anni '50 apparvero a Los Angeles le prime freeway, le autostrade urbane. E con le strade per auto che separano invece che unire, davvero lo spazio, come la città, inizia a finire, e la metropoli inizia a costruire al suo interno le colonie.


87. MESOPOLIS: DALLA STRADA ALLA FERROVIA

via Emilia = gigantesco decumano (260km) che divide la regione in due metà. La regione è come fosse un'unica città, una galassia di città: i nuclei abitativi si sono sviluppati alla distanza di 10-25km l'uno dall'altro. Nella campagna emiliana si produceva, nelle città si svolgevano i compiti relativi all'allestimento di servizi a corto e lungo raggio (militari, amministrativi, culturali, religiosi), ruoli prevalentemente di terziario. Da ciò derivò la non grande consistenza dei centri, nessuno dei quali prevalse nettamente sugli altri di qui il nome Mesopolis, "insieme di città medie". L'Emilia-Romagna è l'unica regione al mondo che prende il nome da una strada, perché fu proprio la strada, più che Roma, la sua metropoli, la vera madre delle sue città.


88. AUTO-ORGANIZZAZIONE URBANA E NASCITA DEL QUATERNARIO: IL MEDIOEVO

La relazione indicale tra strade e sedi resiste per 2000 anni fin oltre l'inizio dell'era della telecomunicazione. D'altronde lo sviluppo di un sistema urbano resta oggi fondato sullo stesso meccanismo valido in epoca pretelegrafica, sulla continua e ripetuta interazione di tre componenti:

   relazioni economiche che esistono a livello locale e interurbano

   conformazioni che regolano la circolazione interurbana di informazione specializzata

   estensione dei rapporti esistenti a livello locale e tra le città e l'instaurazione di nuovi

Come reagì il corridoio emiliano al crollo dell'Impero romano? Nell'ultimo millennio e mezzo la sua storia consiste nel tentativo di passaggio da elemento di un sistema di comando in un sistema autorganizzatore, che generi nuovi ruoli e attività in grado di mantenere e rinvigorire la natura originaria del funzionamento, in maniera da preservare la propria costituzionale identità. Ciò si ebbe con l'invenzione a Bologna dello "studio", dell'università. Nella vita delle città la funzione universitaria equivale ad una funzione finanziaria d'ordine superiore, da cui originano tutti gli altri ruoli superiori, quaternari che interpretano, analizzano, riciclano e rinnovano l'informazione. Attraverso la messa in opera di funzioni culturali di rango superiore, nel Medioevo Bologna stabilì il proprio primato lungo il corridoio, anche se non riuscì mai ad eliminare la caratteristica strutturale assenza di dominio di Mesopolis.


89. MEGALOPOLIS: DALLA MAPPA ALLA METROPOLI

megalopolis = risultato della reciproca interazione di più aree metropolitane, sarebbe un "sistema urbano"

Gottmann assegnò questo nome alla concentrazione di città che si estende sulla facciata atlantica nord-orientale degli USA, da Boston a Philadelphia. Ma davvero Megalopolis esiste? All'origine di questo concetto c'è l'immagine di Babilonia, che era qualcosa che sembrava un'unità solo perché cinta da mura, solo perché tale dal punto di vista topografico, ma in realtà essa non agiva affatto in modo unitario. E ciò accadeva anche nella cosiddetta megalopolis americana.

Se il termine megalopoli significa un aggregato di aree metropolitane, esso denota un fatto; ma se vuol significare una nuova e più integrata unità insediativa dotata di caratteristiche superiori e più complesse rispetto al livello metropolitano, esso denota invece una finzione (Blumenfeld). Anche Gottmann è caduto vittima del "pregiudizio grafico", secondo il quale l'oggetto geografico è quello che risulta dall'insieme dei lineamenti topograficamente individuabili.


90. SISTEMI URBANI

L'espressione "sistemi urbani" si è affermata in ambito regionale o nazionale. Un sistema urbano è un complesso di città interconnesse all'interno di un territorio statale o di una sua parte; da esso scompare ogni informazione relativa alla costituzione materiale della città, alla sua fisicità, al suo concreto ingombro. La sua origine va individuata nell'idea di "campo urbano" inteso come unità territoriale di base della città post-industriale. È una vasta area che distingue dalla città per due motivi:

non può essere visualizzata come un'insieme, ma può essere praticata solo in sequenza

risulta individuata dall'uso che le persone fanno del loro ambiente, tanto che i suoi limiti esterni coincidono con gli spazi periodicamente utilizzati dagli abitanti per scopo ricreativo individuazione funzionale e non più topografica dei limiti che avvia la distruzione del concetto stesso di limite urbano

Si ha così la crisi dell'omogeneità e della continuità topografica della città. Si riconosce lo spazio urbano come spazio funzionalmente individuato da flussi di persone, denaro, merci, in cui la dimensione temporale prende il sopravvento su quella spaziale. I comportamenti individuali sono specificati a priori da una serie di parametri quantitativi, e sono questi a risultare collegati sistematicamente.

Secondo Harvey si inaugura una nuova fase nel processo di urbanizzazione del capitale. Il paradosso è che, nel momento del suo massimo slancio edilizio, la città entra in crisi riguardo il suo compito originario: elaborare un'immagine di sé in cui possa riconoscersi e riuscire a controllare il proprio sviluppo.


91. LA CITTà FORDISTA

È possibile riscontrare nella disposizione interna delle funzioni urbane una qualche forma di ordine la cui ricorrenza implichi la somiglianza della natura e dei congegni di sviluppo delle città stesse?

modello per "zone concentriche" (Burges) - costituito da un centro, che svolge il ruolo di comando, e 5 corone circolari dotate di specifici compiti. Si è accusato questo modello di eccessiva rigidità

2) teoria dei "nuclei multipli" (Harris e Ullmann) - l'uso del suolo urbano si articola attorno ad una pluralità di gangli, discosti l'uno dall'altro, prodotti dalla specializzazione interna delle funzioni. Alla serie di anelli concentrici si sostituisce una sorta di patchwork

Spiega Gramsci che il fordismo, pratica della produzione in serie per il consumo di massa introdotta da Henry Ford, si fonda sull'inclusione della città e del suo sistema di trasporti all'interno della produzione.

3) modello dei "settori radianti" (Hoyt) - si basa sul trasporto urbano; la sua originalità si fonda sul riconoscimento della tendenza allo sviluppo assiale delle aree urbane, che definiscono un impianto di forma stellare

I modelli urbani messi a punto tra le due guerre sono ancora topografici: la città imita ancora la carta, il suo funzionamento obbedisce ancora alla logica della carta.


92. LA CITTà KEYNESIANA

città [scuola di Chicago] = costellazione di aree naturali, ognuna col suo ambiente caratteristico e ognuna con la sua funzione specifica da assolvere nell'economia urbana nel suo complesso

La città fordista è la città della produzione, la città keynesiana è la città del consumo. Prende il nome da John Maynard Keynes, economista inglese che teorizzò (anni '30) l'intervento dello Stato nella gestione delle politiche fiscali e monetarie atte a incentivare l'urbanizzazione dal lato della domanda, e risolvere così il problema della disoccupazione. La città venne trasformata in un gigantesco artefatto per la redistribuzione dei redditi. Ne scaturirono in Italia vere e proprie regioni funzionali sotto il profilo economico ed urbanistico, incentrate sulla capacità di irraggiamento dei una grande città che agiva da centro coordinatore. Le imprese però iniziarono a svincolarsi dal quadro di riferimento dello stato-nazione e a sfruttare a tutto campo i diversi rapporti della nuova articolazione dell'economia mondiale: nazionali, internazionali, multinazionali, planetari. La città keynesiana all'inizio mantiene in parte la qualità isotropica, ma negli anni '70 perde anche questa del tutto, perché il suo corpo è sempre meno l'espressione di decisioni prese al proprio interno, e sempre più il risultato di scelte esterne. La città keynesiana inizia a trasformarsi in un organismo transnazionale irriducibile al modello topografico e invisibile nei suoi meccanismi. Questo perché nel 1969 nasce la prima rete di comunicazione elettronica, e la materia che circonda inizia a mutarsi in immateriali unità d'informazione. Se lo spazio con Ulisse e Polifemo veniva alla luce per la prima volta, negli anni '70 esso inizia a morire.


93. LA CITTà INFORMAZIONALE

All'inizio degli anni '70 la logica della città keynesiana va in crisi, e il processo urbano torna ad essere dominato dalle questioni relative all'organizzazione della produzione. È lo stesso processo di produzione, compresa quella della città, ad essere progressivamente fagocitato dall'immateriale e dall'invisibile, dalla rivoluzione informatica = crescente presa esercitata sul funzionamento del mondo dal sistema dei flussi elettronici, che determina l'ambito dell'economia dell'informazione e che perciò ridisegna impetuosamente la Terra. L'avvento di tale sistema va unito ad una serie concomitante di fattori:

   l'abbandono del programma keynesiano di redistribuzione sociale da parte dello Stato

   l'accelerazione nell'internazionalizzazione dei processi economici

   la decentralizzazione della produzione unita alla localizzazione flessibile degli impianti

   lo sviluppo di nuove tecnologie basate sul trattamento dell'informazione

Si differenzia così il lavoro in due settori ugualmente dinamici:

l'economia formale - fondata sull'informazione

l'economia informale - cioè illegale, che mette a frutto ogni tipo di lavoro degradato

Da quest'ultima deriva il carattere semi-invisibile della nuova forma urbana. La materia prima dell'economia è l'informazione, essa si fonda sull'immateriale capacità di manipolazione simbolica, che è un altro modo per dire cultura: qualcosa che dipende dal complessivo ambiente in cui si viene educati, che varia da luogo a luogo e che è la principale risorsa della forza lavoro all'interno del mercato planetario.

Negli anni '80 la crescita del sistema dei flussi elettronici riconfigurava il rapporto tra i modelli di spazio e di luogo, distinguendoli l'uno dall'altro. Così il funzionamento del mondo poteva ancora essere pensato nei termini di un'articolazione dialettica tra ambiti differenti eppure integrati, tra due sensi riconducibili allo stesso significato.


94. UN GIRO INTERO

Girare intorno al globo (come Tolomeo sconsiglia) produce l'horror vacui, ma soprattutto implica che la conoscenza sia il risultato di un processo che vuole tempo. Stare fermi e far scorrere il globo con la mano, invece, comporta l'idea che il sapere sia fondato ugualmente sulla vista e sul tatto. Ambedue però sono contro le regole fondamentali dell'epistemologia moderna: il soggetto sta fermo e a conoscere basta lo sguardo.

"città globale" = è selettiva, discontinua, frammentaria, disomogenea, per nulla isotropica, al suo interno spazio e tempo non spiegano praticamente nulla, e l'apparenza topografica (il visibile) è una spoglia inutile. È la città che tutti noi abitiamo.


95. LA CITTà GLOBALE

Le città globali comandano l'economia globale, sono le sedi principali dell'attività finanziaria e delle sue innovazioni. Non sono necessariamente le città più grandi della Terra. Sono: Tokio, San Paolo, Città del Messico, Londra, Parigi, Hong Kong, Amsterdam, Zurigo, Francoforte, Sydney. Le funzioni di queste città dipendono dalla rivoluzione informatica del sistema delle comunicazioni, dalla sua trasformazione in una rete elettronica. Le città globali "sono connesse globalmente e disconnesse localmente, fisicamente e socialmente" (Castells). L'esistenza di tali città si svolge principalmente in uno spazio invisibile, quello dei flussi elettronici. Esse ospitano una popolazione socialmente frammentata e culturalmente disomogenea.


96. LA CITTà ELETTRONICA

La città elettronica è lo sviluppo della città euclidea. Essa reintroduce l'invisibile, reincanta in forma funzionale il mondo che era stato appena disincantato; crea sacche di inaudita ricchezza per pochi, per i "globolitani" (Castells), gli alti funzionari della rete che sono metà esseri viventi e metà flussi, e crescente povertà per tutti gli altri. Gli strumenti dell'interazione umana sono miniaturizzati, smaterializzati, sganciati da ogni localizzazione fissa. La logica cartografica viene completamente sovvertita. Scompare il presupposto decisivo di ogni possibilità di conoscenza, la fiducia che esista una relazione tra ciò che vediamo ed il funzionamento del mondo. Webber chiama tutto ciò "ambito urbano delocalizzato" (non place urban realm): assegnazione di funzioni superiori, tradizionalmente connesse alle città, a posti assolutamente sprovvisti di ogni connotato cittadino e locale, impossibili a localizzarsi in maniera precisa in termini di luogo Secaucus, la edge-city, posti dove ci sono solo uffici collegati da autostrade, ma soprattutto reti informatiche.

Una rete informatica presuppone una rete stradale che serva da guida per l'installazione dei cavi sotterranei necessari alla sua alimentazione. Una volta installati i cavi però il rapporto si rovescia: la strada inizia a dipendere dai cavi. Non c'è un centro, non c'è uno spazio, l'identità individuale è minacciata, e quello che vediamo non basta ad orientarci. È la condizione attuale, ma anche quella arcaica.


97. L'IMPOSSIBILE LABIRINTO

Dalla sottomissione della verticalità all'orizzontalità, da tale cataclisma nasce l'ordigno: la tavola, la mappa, la carta. Ad essa si può applicare la legge di Kranzberg: "la tecnologia non è né buona né cattiva, ma non è nemmeno neutrale". La prima prova del carattere non-neutrale della mappa consiste nella dimostrazione del suo formidabile potere ontologico, in grado di decidere cioè dell'esistenza o della non-esistenza delle cose.

Il labirinto corrisponde per definizione all'assenza di centralità. Se esso viene scolpito o disegnato, cessa automaticamente di essere tale perché si trova ad essere inevitabilmente centrato. Il termine "labirinto" quindi implica una contraddizione archetipica tra quel che esiste e quel che sussiste. Esso denuncia l'impotenza del sistema tavola-grafia a tradurre ogni condizione in un disegno, ogni situazione in uno schema. Tutto il nostro mondo è stato edificato sul suo opposto, la tavola.

Il labirinto greco, rappresentazione originaria che appunto perché tale non può essere rappresentata, scrittura originaria che perché tale non può essere scritta, riflette il trionfo della dimensione orizzontale (geografica) sulla struttura verticale del mondo.


98. CRITICA DELLA RAGIONE CARTOGRAFICA

Il nostro mondo si fonda sulla fine della precedenza della mappa rispetto al territorio, perché ormai la carta ed il territorio non sono più distinguibili tra loro. Va quindi riscoperto il carattere labirintico del nostro pianeta, di ciò che sta sopra e di ciò che sta sotto, di e insieme di Ctòn, che sono un'unica cosa.




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