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Immanuel KANT
Tutte le varie tendenze della filosofia e del pensiero scientifico del seicento e del Settecento trovano una conclusione sintetica nella "filosofia critica" di Kant; razionalismo, empirismo, scetticismo, sentimentalismo , filosofia della scienza e filosofia della religione diventano elementi costituitivi di una nuova dottrina della ragione, in cui la ragione stessa giudica.
Kant, nel suo scritto " Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?" del 1784 affermava che è l'uscita dell'uomo dalla sua minorità.
Minorità è impotenza di servirsi della propria ragione senza la guida di un altro.
" Sapere aude", abbi il coraggio di servirti della ragione è il motto dell'Illuminismo.
La filosofia di Kant, nello stesso tempo, però, ne oltrepassa i limiti, gettando le basi per gli sviluppi successivi della filosofia.
Nato a Konigsberg, nella Prussia orientale, da famiglia di lontana origine scozzese il 22 aprile del 1724, Kant entrò ad otto anni nel Collegium Fridericianum, il cui direttore era uno degli esponenti più in vista del pietismo.
Dell'educazione pietista, Kant serbò sempre un grato ricordo.
Iniziò gli studi di filosofia nel 1740 nell'Università di Konigsberg.
Nel 1746 presentò al decano dell'Università il suo primo scritto " Pensieri sulla vera estimazione delle forze vive".
Nel 1755 pubblicò altri due scritti, " De igne" e " Principiorum primorum cognitionis metaphisicae nova dilucidatio".
Inizi cosi i suoi corsi liberi all'università, fino al 1770, anno in cui fu chiamato ad occupare, come professore, la cattedra di logica e metafisica.
Gli scritti composti in questi 15 anni , si suole chiamarli del " periodo precritico", anteriori cioè alla formulazione del "criticismo", cioè della dottrina della "critica della ragione" che è il frutto della sua maturità di pensiero.
Di questo periodo ricordiamo "Storia universale della natura e teorie del cielo" del 1755, "Monadologia fisica" del 1756, " Unico argomento possibile per una dimostrazione sull'esistenza di Dio" del 1763, " Ricerca sulla chiarezza dei principi della teologia naturale e della morale" del 1764.
Nel 1770 Kant, pubblicò la dissertazione "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" che segnò il passaggio dal periodo " precritico" al " critico".
Seguì un periodo di intensa attività accademica e di lavoro intellettuale , in cui Kant inizia a maturare la "Critica della ragione pura", il primo dei suoi capolavori pubblicato nel 1781.
A questa segue la " Critica della ragion pratica" e nel 1790 la " Critica del giudizio".
La sua vita fu regolata da orari ed abitudini precise, senza alcuna modifica di rilievo, l'unico avvenimento degno di nota fu il conflitto con l'autorità censoria , nel 1794, in occasione della pubblicazione della " Religione nei limiti della ragione".
Kant non volle ritrattare ma neppure disubbidire e preferì promettere di astenersi di trattare di temi religiosi.
L'anno dopo, morto Federico Guglielmo II con il quale aveva avuto il dissidio, pubblicò " Conflitto delle facoltà" dove tornò a trattare le sue tesi religiose.
Del 1763 è anche un suo scritto "Per la pace perpetua" che contiene le sue idee politiche.
Kant morì il 12 febbraio 1804 di morte naturale.
La filosofia del periodo " precritico"
Nel periodo "precritico" vi è una notevole differenza tra gli scritti che vanno dal 1746 al 1756 nei quali l'interesse è prevalentemente per i problemi filosofici della tradizione di Wolff, negli scritti degli anni 1762- 1770 invece il pensiero è orientato verso i problemi morali e si manifesta la critica nei confronti della metafisica.
I contributi dati da Kant nelle ricerche scientifiche sono valutati in modo diverso, ma è certo che nella sua " Storia universale della natura e teoria del cielo" enunciò una ipotesi cosmogonia che suppone una nebulosa, ovvero lo spazio cosmico pieno di materia atomica di differente intensità e soggetta all'azione di due diverse forze meccaniche dell'attrazione ( centripeta) e della repulsione ( centrifuga): i residui della nebulosa sono adesso la via lattea e dall'originaria nebulosa si sono formati il sistema solare e gli altri infiniti sistemi astrali simili al nostro.
Ma il passo decisivo di Kant avviene nel 1769 con la "Dissertazione" ove la distinzione tra sensibilità fondata sulla recettività del soggetto e l'intelletto ; l'idealità dello spazio e del tempo; la distinzione tra materia e forma del conoscere sono i risultati fondamentali raggiunti.
Ma ciò che nella Dissertazione ancora manca è la distinzione, con tutte le sue conseguenze, soprattutto in campo metafisico, tra un uso legittimo e un uso illegittimo della ragione, tra "intelletto" e "ragione": distinzione che è, invece, fondamentale nella "Critica".
La "Critica della ragion pura": il problema critico della conoscenza
La dottrina critica della conoscenza è esposta compiutamente da Kant nella "Critica della ragion pura " e nei "Prolegomeni": si tratta di due esposizioni di una stessa materia, condotte però da due punti di vista, oltre che assai diseguali in estensione.
Cosa vuol dire " Critica della ragione pura"?
"Critica" è l'esame che il tribunale della ragione istituisce, nella sua autonomia assoluta, per giudicare nei limiti della ragione stessa e per giudicare i poteri e le pretese nel campo della conoscenza.
"Ragione" è la nostra facoltà di conoscere in generale. Kant comunque fa una distinzione della ragione, da un lato chiama RAGIONE la facoltà spontanea di conoscere, contrapposta alla SENSIBILITA' che è recettiva e passiva.
La critica della ragione è quindi la critica della nostra facoltà di conoscere in generale.
"Pura"vuol dire che ad essa non è mescolato nulla di empirico.
Sotto il nome di conoscenze a priori s'intendono solo quelle cose che sono indipendenti da ogni esperienza. Vi sono poi le conoscenze a posteriori ovvero quelle conoscenze derivate dall'esperienza.
Tuttavia, per Kant, l'esperienza è incapace di produrre quelle conoscenze "universali e necessarie", cioè oggettive, che sole, possono appartenere alla scienza.
Kant traduce sul piano logico l'opposizione tra empirismo e razionalismo in una opposizione di tipi di giudizi: i giudizi dell'empirismo sono "sintetici a posteriori"; i giudizi del razionalismo sono "analitici a priori".
In altri termini le condizioni della scienza sono la "sinteticità" e l'" apriorità" e la scienza sarà possibile solo se saranno possibili "giudizi sintetici a priori" cioè giudizi che traggano i loro sempre nuovi contenuti dall'esperienza e che poi questi contenuti si ordinino secondo "forme" a priori.
Analizzare "come siano possibili i giudizi sintetici a priori" è dunque il compito fondamentale della "critica"; ed è "Un'analisi trascendentale", nel senso che nell'esperienza stessa, e non fuori di essa, deve individuare gli elementi del nostro conoscere che non sono empirici ma a priori: il termine " Trascendentale" assume in tal modo un significato diverso non solo da " empirico" ma anche da "trascendentale":
empirico è ciò che deriva dall'esperienza;
trascendente è ciò che oltrepassa l'esperienza ed è da essa separato;
trascendentale è invece ciò che pur non avendo un'origine empirica, ha valore solo "nei limiti dell'esperienza".
"Critica della ragion pura" significa, in conclusione, analisi trascendentale degli "elementi a priori" della conoscenza e del loro uso possibile.
La struttura della Critica della ragion pura" si articola in :
Estetica trascendentale (o dottrina della sensibilità)
Logica trascendentale (o dottrina del pensiero):
a) analitica trascendentale ( dottrina dell'intelletto)
b) dialettica trascendentale ( dottrina della ragione).
L'estetica trascendentale
L'estetica trascendentale è quella parte della Critica che concerne la conoscenza sensibile e la sensibilità, ovvero la facoltà di avere conoscenze sensibili; è detta da Kant "recettiva" poiché non produce essa stessa i contenuti delle proprie rappresentazioni, ma li riceve dalla realtà esterna e dall'esperienza interna.
Ma la recettività è anche attività, perché essa ordina i dati, la materia del conoscere, secondo le sue " forme" a priori.
Kant individua le forme a priori della conoscenza sensibile nello spazio e nel tempo
Queste non sono, per Kant, delle realtà conoscibili empiricamente e non sono neppure rappresentazioni che ricaviamo dall'esperienza: il che significa che non sono conoscenze che il soggetto possiede, ma che sono funzioni costitutive della nostra sensibilità, mediante le quali il soggetto conoscente opera sui dati empirici, orinandoli ed unificandoli in " oggetti" della nostra esperienza.
Nella conoscenza sensibile il soggetto percepisce immediatamente i dati empirici e ciò significa che la conoscenza sensibile è "intuitiva".
In tal modo " spazio" e "tempo" sono le forme pure dell'intuizione.
La conoscenza sensibile è la conoscenza delle cose come ci appaiono nell'esperienza, ovvero è conoscenza dei "fenomeni", infatti rappresenta gli oggetti non come sono in se stessi ma come risultano nella loro relazione con il soggetto che li rappresenta.
La conoscenza sensibile è dunque " fenomenica".
L'analitica trascendentale
La Logica trascendentale deve studiare non solo le leggi del pensiero, ma anche la loro funzione trascendentale in riferimento agli oggetti del conoscere.
La prima parte della logica trascendentale, l'Analitica, si divide anch'essa in due parti:
Analitica dei concetti, che deve scoprire i concetti sintetici a priori;
Analitica dei principi, che deve individuare i principi in base ai quali gli oggetti possono essere pensati.
La scienza della natura non è esaurita nella conoscenza sensibile, che si limita ad ordinare i particolari dati empirici secondo la forma dello spazio e del tempo.
La scienza della natura non può neppure essere ridotta a " giudizi percettivi", che, essendo soltanto empirici, esprimono solo un rapporto tra due sensazioni e uno stesso oggetto.
Nel caso delle leggi scientifiche, ciò che l'esperienza insegna in determinate circostanze è pensato come qualcosa che deve valere sempre e per tutti e ciò è possibile solo se nei giudizi che l'esprimono è presente un elemento non empirico, ma a priori.
Il concetto di causa non è un concetto empirico, perché è universale e necessario, ma è un "concetto puro", cioè una forma a priori del nostro pensiero, in quanto non deriva dall'esperienza e non ha mescolato in se nulla di empirico, pur avendo solo nell'esperienza la possibilità del suo uso al fine della conoscenza scientifica.
Ci significa che in ogni giudizio sintetico a priori deve poter essere ritrovato, oltre a ciò che deriva dall'esperienza anche un concetto puro, mediante il quale l'intelletto, unificando il molteplice, volge la sua funzione predicativa: sussumere il molteplice sotto un concetto vuol dire formulare un giudizio.
Questi concetti puri sono chiamati da Kant, " categorie".
Pensare è giudicare. In virtù di questo Kant ritiene di poter ricavare i concetti puri dell'intelletto dalla tavola dei giudizi della logica formale, nel senso che ad ogni giudizio corrisponde una categoria.
Tavola dei giudizi
1) secondo la " quantità" : Particolare
Singolare
Universale
2) secondo la "qualità" : Affermativo
Negativo
Infinito
3) secondo la " relazione": Categorico
Ipotetico
Disgiuntivo
4) secondo la "modalità" : Problematico
Assertorio
Apodittico
Da cui si ricava la seguente
Tavola delle categorie
1) della " quantità" : Molteplicità
Unità
Totalità
2) della "qualità" : Realtà
Negazione
Limitazione
3) della "relazione" : Sostanzialità
Casualità
Reciprocità
4) della " modalità" : Possibilità
Esistenza
Necessità
La categoria delle categorie è l'unità dell'IO, dove l'Io non è la psiche ma la coscienza in generale, che organizza tutti i pensieri di tutte le coscienze particolari.
Le categorie sono dunque a priori: non derivano dall' esperienza ma operano sui contenuti della sensibilità come "leggi costitutive" di ogni esperienza possibile.
La dimostrazione dell'apriorità delle categorie è da Kant chiamata "deduzione metafisica" , dove deduzione significa la giustificazione di una pretesa: la pretesa cioè, delle categorie, che sono soggettive ad avere un valore oggettivo e quindi ad essere costitutive della scienza della natura.
Nell'"Analitica dei principi" Kant, studia e classifica, sulla base della tavola delle categorie, i principi secondo cui le categorie esplicano la loro funzione nei giudizi.
L'unità del contenuto della sensibilità della forma delle categorie non può avvenire direttamente e immediatamente; ma richiede il tramite di uno " schema" che è opera dell' "immaginazione" : questa immaginazione non è riproduttiva, ma produce gli oggetti di esperienza e li porge all'intelletto.
Questa sussunzione avviene secondo quattro principi che sono modellati sui quattro tipi di categorie:
assiomi dell'intuizione ( tutte le intuizioni sono grandezze estensive);
anticipazioni della percezione ( in tutti i fenomeni, il reale oggetto della sensazione ha un grado, cioè una grandezza estensiva);
analogie dell'esperienza ( l'esperienza è possibile solo mediante l'idea di una necessaria connessione di rappresentazioni);
postulati del pensiero empirico ( determinazioni di ciò che è possibile, reale e necessario).
Il sapere scientifico ha quindi come base l'esperienza e i suoi limiti sono i limiti dell'esperienza.
Dunque ogni conoscenza è conoscenza di " fenomeni".
L' "IO PENSO" è il Legislatore della natura, ed in questa verità Kant asserisce che le cose gravitano intorno al soggetto, accettando la rivoluzione copernicana.
Ma, se la nostra conoscenza è limitata ai fenomeni, resta del tutto esclusa la conoscenza del "noumeno", ovvero la cosa in sé.
Ma poiché ogni attività conoscitiva dell'intelletto non può esercitarsi che su un materia empirica, l'intuizione intellettuale non è data all'uomo e il "noumeno" è in conoscibile, ma è "pensabile".
Tuttavia poiché il noumeno è fuori di ogni possibile esperienza , è del tutto illusorio pensare di poterlo conoscere e di riferire ad esso la categorie a priori dell'intelletto.
Da ciò consegue che anche la conoscenza che il soggetto può avere di se stesso è una conoscenza soltanto fenomenica, limitata a ciò che cade nell'esperienza.
La dialettica trascendentale
La "dialettica trascendentale" deve mostrare gli errori a cui la ragione va inevitabilmente incontro, quando pretende di abbandonare o oltrepassare il solido regno dell'esperienza: la ragione non è altro che l'intelletto nella sua pretesa di andare al di la di ogni esperienza possibile per arrivare a conoscere le cose in sé; ma il noumeno è anche il pensabile ma non è conoscibile, poiché alla conoscenza è indispensabile il fondamento della conoscenza.
Il principio fondamentale che regge tutta la logica dell'apparenza è quello dell'"incondizionato"; l'esperienza non è mai totale , perché è sempre possibile che altre esperienze si aggiungano a quelle già avute e la seria di condizioni è sempre aperta ma mai conclusa.
La pretesa della ragione è quella di assumere l'esperienza già fatta come tutta l'esperienza possibile.
La ragione tende a realizzare questa pretesa mediante le sue tre idee:
dell'ANIMA, come totalità sostanziale del soggetto;
del MONDO, come totalità degli oggetti;
di DIO, come totalità incondizionata.
Su queste tre idee la ragione pretende di costruire tre scienze:
la psicologia razionale;
la cosmologia razionale;
la teologia razionale.
Queste tre idee sono l'inevitabile produzione di apparenza e illusione, quando la ragione ne fa un uso costitutivo.
E' positivo invece il loro uso "regolativo" ovvero quando si limita ad indicare un ideale, una norma o una regola di totalità e unità.
La " Critica della ragion pratica"
" Critica della ragion pratica" significa esame di limiti della ragione nel suo uso pratico, cioè in quanto capace di guidare la volontà mediante le sue leggi.
Kant definisce "principi pratici" quelle proposizioni che contengono una determinazione universale della volontà.
Essi possono essere:
a) SOGGETTIVI quando sono considerati dal soggetto validi solo per la propria volontà
b) OGGETTIVI quando sono ritenuti validi per la volontà di ogni essere razionale
La legge ha la caratteristica di essere imperativa, l'uomo è formato di ragione e di sensibilità e se la sua volontà, la sua facoltà di desiderare, fosse necessariamente determinata o dall'una o dall'altra il problema morale non si porrebbe.
Ma poiché l'uomo può essere determinato dalla ragione e dalla sensibilità , la moralità richiede che esso debba poter essere determinato dalla ragione , ed è appunto questo dovere che è espresso dal comando della ragione : "TU DEVI!"
Il dovere è pertanto l'unico movente possibile dell'azione morale.
Gli imperativi possono essere:
IPOTETICI, esprimono un comando che è subordinato ad un fine che si vuol conseguire ( es. Se vuoi dimagrire mangia poco!)
CATEGORICI, esprimono un comando che ha in se un'azione oggettivamente necessaria per se stessa, senza nessun altro fine. Questi imperativi esprimono il comando della ragione e quindi la Legge morale.
L'Imperativo categorico presuppone a sua volta tre formule:
FORMALITA': La volontà deve essere conforme alla legge, e per questo comando la ragione non ha bisogno di presupporre altro all'infuori di se stessa.
LIBERTA': Un comando ha senso solo se rivolto a qualcuno che può disubbidire, l'imperativo categorico presuppone la " libertà"
AUTONOMIA: Ma tutto ciò non sarebbe possibile se l'uomo non fosse " autonomo" ovvero "legislatore di se stesso"
Termina cosi la "Critica della ragion pratica" nella quale risulta un dualismo profondo tra " virtù" e " felicità".
La Virtù è infatti il bene supremo, ma il sommo bene è l'unione della virtù e della felicità che, se non è possibile in questa vita lo è nella vita ultraterrena.
L'esistenza di Dio, come garanzia assoluta dell'unità di entrambe e l'immortalità dell'anima , come garanzia della possibilità, per l'uomo di raggiungerla , sono cosi, oltre la libertà, i concetti fondamentali di questa Critica.
La "Critica del giudizio"
Per "Critica del giudizio" Kant intende l'esame della "facoltà di giudicare", che è intermedia tra l'intelletto e la ragione, cioè tra la sfera della conoscenza e la sfera della moralità.
Rispetto alle altre due Critiche, in questa Critica viene riconosciuta una terza facoltà, oltre il "potere di conoscere" e il "potere di desiderare" : il " sentimento del piacere o del dolore".
Kant ha elaborato due trattazioni distinte e per il giudizio estetico e per il giudizio teleologico, ciascuna divisa, in analogia con le altre Critiche, in una "analitica" e in una "dialettica".
Il giudizio estetico
Nell'analisi del giudizio estetico e della relativa facoltà , che è quella del gusto, Kant parte dall'osservazione che la " bellezza", il " bello" , non è una proprietà oggettiva delle cose, ma una qualità che noi attribuiamo ad esse in funzione del sentimento del piacere o di dolore che la loro immagine suscita in noi; e poiché ciò che giudica il rapporto tra l'immagine e il sentimento del "gusto", bello non è tutto ciò che piace, ma solo ciò che piace nel giudizio del gusto, cioè nel giudizio estetico.
Kant individua quattro elementi caratterizzanti il giudizio estetico:
il bello che piace senza interesse;
il bello è ciò che piace universalmente , senza concetto;
la bellezza è la forma di una finalità di un oggetto cioè non un fine determinato, sensibile razionale o pratico, ma l'idea stessa;
il bello è l'oggetto di un piacere necessario.
Diverso dal sentimento del bello è il "sentimento del sublime", suscitato in noi dalla smisurata grandezza o dalla smisurata potenza della natura.
Questo sentimento è inizialmente i insufficienza e quindi di pena o di timore, causato dalla consapevolezza dei nostri limiti che lo spettacolo grandioso della natura suscita in noi.
Il " bello" fin qui esposto è il "bello di natura"; ma da questo Kant distingue il "bello artistico" che non è sentito nelle cose mediante il giudizio di gusto, ma è prodotto dal "genio".
Per Genio si intende , in quanto facoltà innata,l'unione , secondo un certo rapporto , di immaginazione e di intelletto, nel senso che l'intelletto spontaneamente regola ed indirizza la libertà produttrice dell'immaginazione.
Il giudizio teleologico
Il giudizio teleologico, cioè quel giudizio nel quale l'accordo tra la natura e la libertà è pensato mediante il concetto di fine.
Gli organismi viventi offrono l'esempio più caratteristico di una considerazione finalistica, poiché in essi la correlazione delle loro parti con il tutto è tale da far pensare ad un'idea di una intelligenza che si è proposta quella correlazione come un fine. La teleologia ci permette di interpretare l'uomo come "scopo finale" della realtà: esso, infatti, in quanto soggetto noumenico e quindi incondizionato, non suppone alcun'altra realtà come condizione della sua possibilità.
Ciò significa che il "fine ultimo" della natura è quello di rendere possibile la vita morale dell'uomo, mostrando l'accordo che così si istaura tra gli scopi propri del mondo naturale e gli scopi propri dell'uomo come casualità libera.
La garanzia di questo accordo poggia su una "prova morale" dell'esistenza di Dio come causa morale del mondo; ma questa prova , oltre a non essere utilizzabile speculativamente, non toglie che la moralità debba essere fondata solo sul comando della ragione.
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