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TESINA: LE INNOVAZIONI CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO: INTRODUZIONE STORICA

interdisciplinare




TESINA:

LE INNOVAZIONI CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO:



INTRODUZIONE STORICA


All'alba della prima guerra mondiale, un enorme fervore culturale dilagava in Europa: il mondo era dominato da una fiducia illimitata nel progresso e nella scienza. Questo clima allontanava l'ombra di un imminente conflitto di cui ormai erano evidenti le premesse, a partire dall'emergere di spiccati nazionalismi e dalla generale corsa al riarmo. Nonostante la diffusione di uno spirito anti-parlamentare, l'accentuarsi dei militarismi e la crisi incombente sulle democrazie, la guerra era sentita come la più lontana delle ipotesi, anche se ormai era un fantasma che si aggirava silenzioso e invisibile per l'Europa. Nel peggiore dei casi, si credeva nel mito di una guerra rapida, breve e incruenta; sebbene gli appelli all'attivismo e alla forza si moltiplicassero, a molti (se non ai più) la possibilità di un conflitto (peraltro di portata mondiale) sembrava remota. Era questa l'atmosfera che si respirava al tempo della Belle époque, periodo in cui lo sviluppo tecnologico e industriale generò un clima di euforia e ottimismo, legato alla fiducia di un progresso che appariva inarrestabile; migliorarono le condizioni igenico-abitative, si moltiplicarono i divertimenti, nacque lo sport di massa, mentre i manifesti pubblicitari propagandavano i tanti prodotti dell'industria. Questo rapido mutamento comportò però anche aspetti più problematici, che corrispondevano all'esigenza di aggiornare, assieme alle abitudini quotidiane, anche la mentalità e la morale comune, ma che esprimevano anche l'inquietudine e l'insicurezza dovute alla perdita di valori di riferimento.



Due teorie sconvolsero questo inizio di secolo: le scoperte freudiane nel campo della psicoanalisi e la relatività einsteiniana nel campo della fisica.

Entrambe contribuirono a modificare notevolmente il clima culturale del tempo e a far crollare il sistema positivistico, l'una sconvolgendo le credenze in ambito medico, l'altra rivoluzionando la visione del cosmo. Queste teorie hanno profondamente influenzato e condizionato ogni campo del sapere: sui principi della relatività, in effetti, si basa la moderna concezione dell'universo, mentre l'indagine freudiana sull'inconscio e sul flusso di coscienza condizionò il panorama letterario mondiale (esemplari sono le esperienze di Joyce, Proust e Svevo). Anche l'arte subì gli influssi delle nuove scoperte psicoanalitiche, e il surrealismo ne è una lampante dimostrazione. Questi eccezionali risultati ottenuti in me 828b18i rito alla scienza e alla psicoanalisi contribuirono ad aprire un profondo abisso con la cultura del passato; notevole e incancellabile è uno degli effetti (che purtroppo si rivelò nella sua piena negatività con la seconda guerra mondiale) legato alla teoria della relatività: l'invenzione della bomba atomica, resa possibile dall'utilizzo della celebre equazione einsteiniana E=mc2. Fu dalla consapevolezza delle conseguenze disastrose e catastrofiche che sarebbero potute seguire al corso preso dalla scienza che nacque il pacifismo attivo di Einstein. Lo scienziato, in effetti, temeva una guerra in cui l'uomo aveva a disposizione armi nucleari di elevato potere distruttivo da sfruttare e sentiva quindi la necessità di difendere la pace. Queste furono le ragioni che spinsero Einstein, su proposta della Società delle Nazioni, a tenere un carteggio con Freud come interlocutore e le motivazioni che conducono alla guerra come argomento tematico. Nella risposta alla lettera di Einstein, Freud usò la psicoanalisi per cercare di spiegare quali potessero essere le ragioni più profonde di un conflitto e spinse tale indagine oltre l'analisi di circostanze particolari e concomitanti (di carattere economico, politico o sociale) per ricercare le cause più generali negli impulsi distruttivi intrinseci all'uomo stesso.

Sopra le ricerche dei due intellettuali gravarono gli esiti negativi della guerra: il 1938 è l'anno in cui i nazisti occuparono Vienna e Freud si rifugiò a Londra; anche Einstein dovette abbandonare la Germania nazista in quanto gli intellettuali di origine ebraica non erano immuni dalle persecuzioni razziali; è dunque per motivi fortemente personali che Einstein e Freud si occuparono di riflessioni pungenti quali quelle inerenti alla guerra.

I due si erano conosciuti a Berlino nel 1927 a casa di Ernst, il figlio minore di Freud, e di lì nacque una grande amicizia. Lo scienziato e l'analista erano pacifisti militanti, ossimoro che mette in evidenza il loro intento di fare guerra alla guerra, impegnandosi attivamente in prima persona. La lotta alla pace era da loro vista come l'unica arma che potesse mettere il mondo al riparo dalla guerra. L'impegno pacifista di Einstein, in particolar modo, fu continuo e attivo: basti ricordare che nel 1925 firmò con Gandhi un manifesto contro il servizio militare e nel 1946 scrisse una lettera aperta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore di un governo mondiale. Einstein sottoscrisse infine l'appello Russell per la messa al bando totale delle armi nucleari, nonostante egli stesso nel 1939 avesse sollecitato Roosevelt per l'impegno nella costruzione di un'arma atomica.

Si può quindi attribuire ad entrambi gli intellettuali il titolo coniato da Freud di "amici dell'umanità": esserlo significa schierarsi a favore di un destino comune, prendendo posizione per il bene di tutti. Amico dell'umanità, per usare le parole di Freud, è "chi supera le ambivalenze emotive e sceglie la via dell'universalismo: una parte che lavora per la sopravvivenza del tutto", scommettendo sull'esistenza di un bene comune che è il bene dell'umanità in se stesso.


ALBERT EINSTEIN: LA RELATIVITA'


La relatività ristretta
Fu Albert Einstein (1879 - 1955), allora impiegato all'ufficio brevetti di Zurigo, che pubblicò nel 1905 un articolo su una rivista scientifica tedesca, dove esponeva la teoria della relatività ristretta.

Ancora sulla contrazione di Lorentz

Un primo punto riguardava la supposta contrazione delle lunghezze.
Secondo l'idea di Lorentz, la contrazione era reale per un corpo in movimento rispetto all'etere, Einstein invece affermava che si trattava di un accorciamento apparente e, soprattutto, reciproco per i due osservatori in moto relativo!
Si tratta di un'affermazione molto forte e difficile da accettare ma, se nel nostro mondo, fosse abituale l'osservazione di oggetti in moto a velocità vicine a quella della luce, non ci sarebbe alcun stupore così come non ci stupiamo nel vedere gli oggetti apparentemente rimpiccioliti dalla lontananza.

Il concetto di simultaneità

Una volta accettata la contrazione delle lunghezze, un altro baluardo della fisica classica da far crollare fu il concetto assoluto di simultaneità.
Un dato che sembrava incontestabile ed inattaccabile era proprio l'affermazione, pressoché scontata, che, se due eventi apparivano contemporanei per un osservatore, lo dovevano essere anche per chiunque altro. Einstein negò questo fatto con il seguente ragionamento.

Supponiamo di avere quattro osservatori, A e B su un carro ferroviario in moto a velocità v, e A' e B' fermi a terra. Tutti gli osservatori sono muniti di cronometri sufficientemente precisi.
Dal punto medio di AB e da una sorgente in moto col carro, si lanciano contemporaneamente due segnali luminosi in direzione degli osservatori in movimento, nell'istante in cui la sorgente transita per il punto medio di A'B'.
Non essendoci moto relativo fra osservatori e sorgente, A e B potranno affermare di aver ricevuto il segnale nello stesso istante:

TA = TB.

Consideriamo ora il punto di vista di A' e B': appellandosi alla costanza della velocità della luce, anch'essi potranno affermare di aver ricevuto il segnale contemporaneamente:

TA' = TB',

però sosterranno, dal loro punto di vista, che A e B non possono aver ricevuto il segnale contemporaneamente dato che B si muove verso il segnale mentre A tende ad allontanarsene quindi B riceve il segnale per primo:

TB< TA

Un ragionamento analogo potrebbero farlo anche A e B, nei confronti degli osservatori a terra, consapevoli del fatto che la sorgente è in movimento con essi, giungendo alla conclusione che il segnale ha raggiunto A' e B' in tempi diversi.
Si perviene quindi ad un paradosso, superabile soltanto negando il valore assoluto del tempo. Due fenomeni, simultanei per un osservatore, non lo sono per altri osservatori in moto relativo col primo.

La dilatazione del tempo

Ragionando sul concetto di tempo, Einstein trovò, come conseguenza della sua teoria che, se si hanno due orologi identici, uno fermo e l'altro in movimento, per l'orologio in moto varrà una contrazione dei tempi data dalla formula:

dove b = v/c come già visto in precedenza. Questo significa che un orologio in movimento ritarda rispetto ad un altro identico, fermo rispetto all'osservatore.
Anche in questo caso la dilatazione è reciproca e porta a conclusioni sconcertanti, per esempio il paradosso dei gemelli: uno dei gemelli rimane sulla Terra mentre il fratello parte per una missione spaziale a velocità elevatissime; come conseguenza se ne deduce che, al suo ritorno, l'astronauta troverà il fratello molto più vecchio di lui che ha viaggiato su un'astronave dove il tempo è dilatato per l'alta velocità.
Ma la situazione paradossale sta nel fatto che il ragionamento può essere ribaltato, essendo i due moti relativi, e nessuno dei due ha valore assoluto.
Non è possibile verificare sperimentalmente, comunque la teoria si applica correttamente solo in caso di moto rettilineo uniforme che non è il caso dei gemelli considerati.
Conferme sperimentali si sono invece avute dallo studio dei raggi cosmici e dagli acceleratori di particelle.

La composizione delle velocità

La costanza della velocità della luce ed il principio che si tratti di un limite irraggiungibile ed invalicabile, comporta una riscrittura delle regole di composizione delle velocità.
Supponiamo che dalla Terra possa partire un'astronave che si muove nello spazio alla velocità di 200.000 km/s e che, a sua volta, l'astronave lanci una navicella con una velocità, relativa all'astronave, di 150.000 km/s. Secondo le regole di Galileo, la navicella avrebbe, rispetto la Terra, una velocità superiore a quella della luce, la regola di Einstein invece ci dà:

La situazione sarà alquanto improbabile ma, se al posto delle astronavi ci mettiamo delle particelle in moto in un acceleratore, allora l'esempio diventa significativo e verificato dalle osservazioni sperimentali.

5.6 La massa relativistica

Il secondo principio della dinamica non pone nessuna limitazione alla velocità; data una certa massa, è possibile accelerarla ad una qualsiasi velocità voluta applicandovi una forza opportuna e mantenendola per il tempo sufficiente.
Siamo di nuovo di fronte ad una contraddizione con la teoria einsteiniana che pone la velocità della luce come limite invalicabile.
Sviluppando la sua teoria, Einstein trovò che anche la massa è una funzione della velocità relativa.

La massa trasversale

Oltre a considerare il modulo della velocità, risulta ora indispensabile tenere conto anche della sua direzione rispetto all'osservatore.
Nel caso di moto della massa in direzione trasversale all'osservatore, si ha la formula:

in cui m0 è la massa a riposo, cioè la massa misurata da un osservatore fermo rispetto ad essa, che corrisponde al valore misurato dalla meccanica classica.
Inserendo nella formula precedente v = c, si ottiene m = ¥, quindi un oggetto materiale, a velocità prossime a quella della luce, avrebbe una massa enorme che renderebbe estremamente difficile accelerarlo ulteriormente. La velocità della luce è quindi irraggiungibile per qualsiasi corpo pesante.

La massa longitudinale

Se la massa si muove in direzione dell'osservatore, la teoria di Einstein ci dà per essa la formula:

In cui si ottiene ancora per v = c, m = ¥.

5.6.3 Massa ed energia

Un corpo in movimento, secondo la meccanica classica, possiede un'energia cinetica:

Con la relatività di Einstein si ottiene:

Dalla formula precedente, si può dedurre che la nuova teoria attribuisce ad una massa a riposo un livello di energia:

Questa semplice formula comporta enormi sconvolgimenti nelle concezioni della fisica, essa lega in qualche modo il concetto di massa a quello di energia, crolla inoltre uno dei più solidi pilastri della fisica: il principio di conservazione della massa. La massa viene ora considerata come una forma di energia estremamente concentrata, va pertanto riformulato un nuovo principio di conservazione della massa - energia in cui è permesso il passaggio da una all'altra mediante la formula precedente.

Considerazioni finali

La teoria della relatività ha comportato uno stravolgimento di teorie fisiche consolidate da parecchio tempo.
Dato il campo di applicazione a cui è rivolta, si può dire che nulla è cambiato nei calcoli di tutti i giorni. Essa risulta comunque indispensabile nella fisica dei raggi cosmici e degli acceleratori di particelle dove si sono ottenute valide conferme .

Ulteriori conferme sono state date dalle applicazioni in astronomia. Una delle apparenti stranezze della relatività, è quella di prevedere una massa anche per la luce, che verrebbe così deviata dai campi gravitazionali. La luce di una stella, passando nelle vicinanze del Sole, ne risulterebbe deviata, così che dalla Terra verrebbe vista in una posizione apparente. Fotografando la stella a distanza di sei mesi, in modo da avere due deviazioni opposte, si può verificare l'ipotesi. Si tratta di un procedimento molto complesso ed eseguibile solo durante un'eclissi totale.
Comunque è stata realizzata ed ha confermato la teoria.

Altre considerazioni sulla relatività generale portano all'impossibilità di distinguere un moto accelerato da un campo gravitazionale.
Per ipotesi, un tale chiuso in un ascensore privo di aperture e posto nello spazio, lontano da ogni corpo celeste, se si sentisse improvvisamente attratto verso il pavimento, non avrebbe modo di sapere se è finito nel campo gravitazionale di un pianeta oppure se qualcuno, dall'esterno, ha impresso un'accelerazione alla cabina stessa.
Ma il cammino della fisica non è ancora giunto alla fine, ogni teoria porta con sè nuovi sviluppi, risolve antichi interrogativi, ma ne propone sempre di nuovi che hanno bisogno di ulteriori indagini, nuove idee e uomini sempre più curiosi.


LA PSICOANALISI


La psicoanalisi si basa su un metodo analitico in campo psicoterapeutico che permette di penetrare nella malattia mentale, dando informazioni a riguardo dell'origine e dei rapporti reciproci dei fenomeni patologici per eliminare i sintomi di tale malattia, psicosi o nevrosi che essa sia. La psicoanalisi non è un'invenzione di Freud; già Breuer, infatti, nel 1880-82 aveva curato con l'utilizzo di un metodo molto simile una giovane paziente isterica, Anna O. Grazie all'ipnosi, Breuer era riuscito a guarirla da una sorta di idrofobia, dimostrando che in realtà il paziente isterico soffre di reminiscenza e che tali ricordi traumatici possono risultare purificatori sotto ipnosi. Questo metodo fu perciò chiamato catartico. Grazie alla collaborazione con Breuer, Freud poté apprendere ed utilizzare sistematicamente questa tecnica nella sua professione, e pubblicare in seguito Studi sull'Isteria Dal lungo periodo (1887-1895) di collaborazione con Breuer, Freud ricavò alcune acquisizioni che resteranno essenziali per la terapia dell'isteria e delle altre nevrosi: l'importante è lo "sblocco", vale a dire una carica emotiva rimossa e l'affioramento alla coscienza di quanto prima era inconscio. Freud aveva fatto inoltre una grande scoperta: la chiave della nevrosi è nella psicologia. E questo voleva dire rompere di netto con il passato, avviarsi sulla strada della psicoanalisi; per fare ciò, era necessaria una nuova impostazione della psicologia. In breve però i due medici si distaccarono. Il metodo analitico di Freud, infatti, ha come presupposto il rifiuto di ogni tipo di trattamento ipnotico.

Freud si ripropone innanzi tutto di sfatare alcune credenze erronee diffuse a riguardo della psicoanalisi, dovute alla cattiva informazione o a pregiudizi inerenti questo nuovo metodo di indagine. Innanzi tutto, egli dice, non bisogna pensare che questo tipo di trattamento sia facilmente applicabile o che ottenga effetti in periodi di tempo molto brevi; al contrario, sono necessarie una profonda conoscenza dei metodi psicoanalitici e la disponibilità di tempo per raggiungere la completa guarigione e gli effetti positivi desiderati. Ci sono poi precise limitazioni all'applicazione del metodo psicoanalitico: il paziente deve avere un certo grado di istruzione e di sincerità; egli, inoltre, deve sottoporsi spontaneamente alla cura (l'imposizione o la coercizione esterna non porterebbero ad alcun giovamento) e deve presentare condizioni mentali normali (sono esclusi dal trattamento, perciò, coloro che presentano degenerazione nevrotica e stati di confusione o di depressione profonda). Essendo poi richiesta una certa elasticità mentale, esistono limiti di età (max 50 anni circa) variabili da persona a persona. Data la lunga durata del trattamento, è necessario che non si applichi tale metodo nei casi in cui bisogna eliminare rapidamente sintomi pericolosi (per esempio, se il paziente soffre di anoressia isterica).

Al medico, invece, è richiesta irreprensibilità e professionalità; la tecnica da applicare, infatti, non è assolutamente banale e per questo è richiesta una profonda formazione. Per evitare una cosiddetta "psicoanalisi selvaggia", praticata cioè senza cognizione di causa, nel 1910 fu fondata l'Associazione Psicoanalitica Internazionale, con capo nella figura di Jung, alla quale aderivano specialisti iscritti ad un albo (in tal modo era possibile declinare ogni responsabilità per quanto veniva fatto da chi non apparteneva a questo gruppo). Freud, comunque, ci tiene a sottolineare che non c'è da temere alcun danno a seguito del trattamento psicoanalitico, se quest'ultimo viene eseguito da un esperto. La preoccupazione di chiarire questo punto nasce in Freud dal fatto che egli si rendeva conto che tutti i risultati cui stava approdando contrastavano con il pensiero, il costume e la morale dei suoi tempi (soprattutto in seguito al fatto che egli aveva percepito che molti dei sintomi nevrotici erano originati dalla sessualità repressa).

La terapia psicoanalitica si fonda sul presupposto che le idee inconsce sono la causa dei sintomi morbosi. Il materiale inconscio, se reso cosciente entro la mente del paziente, può ottenere il risultato di correggere la deviazione dalla normalità. Questo passaggio, però, è reso più complicato dalla presenza di una continua resistenza che il paziente vi oppone. Il processo di portare alla luce questo materiale inconscio, infatti, provoca dispiacere ed è questa la ragione per cui il paziente lo respinge in continuazione. Lo psicoanalista ha il compito di riuscire a persuadere ad accettare questo materiale che il paziente respinge (o rimuove). Il trattamento psicoanalitico, dunque, può essere concepito come una sorta di rieducazione a superare le resistenze interne.

Freud afferma che esiste uno stretto rapporto tra gli elementi psichici e la vita sessuale. Il bisogno e la privazione sessuale, però, sono solo uno (ma forse il più importante) dei fattori in atto nel meccanismo della nevrosi. Un altro fattore è l'avversione del nevrotico verso la sessualità, la sua incapacità di amare (cioè quella caratteristica della psiche che Freud definisce "rimozione": le forze che si oppongono, sotto forma di resistenze, al riemergere nella coscienza delle idee dimenticate sono le stesse che hanno provocato l'oblio; questo è il meccanismo denominato da Freud rimozione).

Grazie all'esperienza, Freud costatò che nel paziente in cura veniva suscitato un desiderio che si trovava in netto contrasto con tutti gli altri desideri dell'individuo e si dimostrava incompatibile con le esigenze etiche, estetiche e soggettive della sua personalità. Ci doveva essere stato un breve conflitto tra questi desideri contrastanti e la conclusione di tale lotta interiore era appunto la rimozione dell'idea che si presentava alla coscienza come vettrice del desiderio incompatibile. Avvenuta la rimozione, si stabiliva l'oblio. Così un simile processo viene a costituirsi come un meccanismo di difesa della personalità. Per risalire alla base di questo conflitto e per individuare l'idea rimossa, Freud utilizza un processo che si basa sull'esaminare le libere associazioni che si profilano nella mente dell'uomo costituendo un flusso continuo, cui solo la resistenza dà un'apparenza di interruzione. Le libere associazioni consistono nell'abbandonarsi acriticamente alle proprie intuizioni e ai propri pensieri, senza censure. Lo psicoanalista, poi, ha il compito di elaborare sistematicamente tutto ciò che viene in mente al paziente; per raggiungere tale scopo, egli deve avvalersi dell'interpretazione dei sogni, della valutazione degli atti mancati e degli atti casuali del paziente.

Freud evidenzia in particolar modo l'importanza di interpretare i sogni dato che il sogno manifesto che si ricorda al risveglio può essere definito come un appagamento, sebbene deformato, di desideri rimossi. Grazie all'analisi dei sogni si è scoperto che l'inconscio si serve di una sorta di simbolismo interpretabile (anche se talvolta con difficoltà). Non bisogna però incorrere nell'errore di voler decifrare completamente ogni singolo sogno riportato dal paziente perché questo sarebbe un lavoro interminabile e talvolta fuorviante (si potrebbe perdere di vista il vero obiettivo, la guarigione del nevrotico).

Anche i lapsus verbali, di lettura e di scrittura, lo smarrimento o la rottura di oggetti sono piccolezze per le quali sussiste un determinismo psicologico: queste piccolezze non vanno attribuite al caso, alla distrazione o alla disattenzione in quanto sono azioni che esprimono impulsi e scopi che sono stati rimossi o celati alla coscienza dell'individuo e il loro studio può guidare alla scoperta dei complessi nascosti della vita psichica. Freud sostiene dunque il determinismo della vita psichica: per lui, nelle manifestazioni della psiche non vi è nulla di arbitrario e casuale.

Tra i fattori eziologici della malattia sono particolarmente significativi i disturbi della sfera sessuale; Freud dà a questo aggettivo un'accezione molto ampia rispetto a quella conferitagli dall'uso comune, così che si può parlare anche di sessualità infantile. Quest'ultima si manifesta visibilmente attraverso il complesso di Edipo: Freud sostiene che tutti i bambini, in particolare i maschi, nei primi anni di vita attraversano una fase molto conflittuale con i genitori, in quanto tendono a vedere il genitore del sesso opposto come un possesso esclusivo, e di conseguenza vedono un rivale nel genitore dello stesso sesso. In una certa fase dell'esistenza, dice Freud, ogni bambino è un piccolo Edipo che si trova ad affrontare in una piccola misura le vicende di quel re immortalato da Sofocle che aveva ucciso il padre e sposato la madre. Questo complesso è destinato ad essere rapidamente rimosso ma continua ad esercitare dall'inconscio un effetto intenso e durevole.

L'esperienza più importante che conferma la teoria sulle forze pulsionali sessuali che operano nel nevrotico è il fenomeno del transfert: egli riversa sulla persona del medico una notevole aliquota di tenerezza ed affetto, spesso frammista ad ostilità, che non è basata su alcun reale rapporto ma che si deve far risalire alle antiche fantasie di desiderio del paziente divenute inconsce. Di conseguenza ogni frammento della vita affettiva è vissuto dal paziente nel suo rapporto con il medico ed è soltanto perché torna a riviverle nel transfert che egli si convince dell'esistenza e della forza di tali eccitazioni sessuali inconsce.

Nell'esito del lavoro psicoanalitico le pulsioni inconsce portate alla luce possono finalmente essere indirizzate verso quelle utili applicazioni che, nel caso in cui lo sviluppo non fosse stato disturbato, avrebbero trovato prima. Più spesso, invece, il desiderio inconscio è distrutto nel corso del lavoro dalla corretta attività psichica delle tendenze migliori che gli si oppongono.



ITALO SVEVO


Un autore appartenente al periodo del decadentismo, che fu influenzato dalle teorie della psicanalisi freudiana fu Italo Svevo.

E' possibile ricostruire la cultura di Svevo attraverso l'epistolario, il Profilo autobiografico, scritto negli ultimi anni di vita, e articoli e saggi composti in tre periodi: il primo, fino al 1899, coincide con la collaborazione all' "Indipendente" e a altre riviste; il secondo è il periodo del silenzio letterario, fra il 1899 e il 1918, nel quale Svevo di dedicò alla stesura,   incompleta, di alcuni saggi; e infine l'ultimo, fase della collaborazione con la Nazione, e dei saggi scritti negli ultimi dieci anni di vita. Attraverso le sue opere, e in particolare attraverso l'apologo politico La tribù, o i saggi L'uomo e la teoria darwiniana e La corruzione dell'anima, la cultura di Svevo rivela un apparente aspetto contraddittorio: infatti egli da un lato fu studioso del positivismo, di Darwin e del marxismo; dall'altro di Schopenhauer e di Nietzsche. Subì inoltre, soprattutto negli ultimi anni, l'influenza di Freud, il quale era portatore sia di elementi positivisti, quale la necessità di ricondurre lo studio a chiarezza scientifica, che antipositivisti, come l'evidenziamento dei limiti della ragione rispetto al potere dell'inconscio. In realtà lo scrittore assunse gli elementi critici e gli strumenti di diversi pensatori, e non il loro pensiero complessivo. Infatti Svevo condivise con Darwin, con il positivismo in genere e con Freud, la propensione all'utilizzo di metodi scientifici di conoscenza e il rifiuto di una visione metafisica, spiritualistica, senza però accettare la fiducia darwiniana nel progresso e la presunzione del positivismo di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere. Nel racconto La tribù, uscito nel 1897 sulla rivista teorica del socialismo italiano "Critica sociale", in cui viene rifiutato il percorso graduale attraverso cui l'umanità potrà giungere al socialismo, e viene proposto di cominciare dalla fine, saltando le tappe intermedie, lo scrittore palesa di non aver accettato il marxismo come soluzione sociale, ma solo come strumento e come prospettiva critica di giudizio sulla civiltà europea e sui suoi meccanismi economici e sociali. Stessa selezione aveva compiuto anche nei confronti del pensiero di Schopenhauer, dal quale imparò a osservare i caratteri della volontà umana, a verificare come ideali e programmi siano determinati non da motivazioni razionali, ma da diversi orientamenti della volontà, i quali spingono poi gli uomini fino a ingannare se stessi e a rimanere prigionieri delle proprie illusioni: se nei suoi romanzi Svevo mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi e a smontare gli alibi psicologici che essi si costruiscono, dipende certo dalla forte influenza del filosofo. Problematico fu il rapporto con la psicoanalisi, che pure ebbe un ruolo così importante nella sua riflessione e nella sua scrittura letteraria: verso Freud lo spingeva l'interesse per le tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda, che già aveva esplorato prima della nascita delle teorie psicoanalitiche in Una vita e in Senilità Ma Svevo non apprezzò la psicoanalisi come terapia, che pretendeva di portare alla salute il malato di nevrosi, bensì come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica, e, di conseguenza come strumento narrativo.  L'autore riconosce infatti nell'ammalato pulsioni vitali che verrebbero spente dalla terapia. Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti ( Balzac, Flaubert e Zola); dall'altro invece Bourget, creatore del romanzo psicologico e Dostoevskij, che aveva scandagliato le piaghe più riposte della psiche umana. Nell'ambito della letteratura italiana l'opera di Svevo segna proprio il trapasso dal verismo a una nuova visione e descrizione del reale, più analitica e introversa, svincolata da certe cristallizzazioni tradizionalmente presenti nella narrativa, quali il personaggio, le ordinate categorie temporali, l'univocità degli eventi: si tratta naturalmente di un'acquisizione progressiva, poco visibile nel suo primo libro, nettissima nella Coscienza di Zeno I dati realistici - la raffigurazione dei vari ceti (borghesi o popolari che siano), la rappresentazione dell'ambiente, le descrizioni degli accadimenti - vanno incontro, nelle pagine di Svevo, a una crescente interiorizzazione, vengono cioè usati sempre più come specchi per chiarire i complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle storie l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale gli altri fan da coro, per lo più antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realtà e che a essa costantemente soccombe, ma che nello stesso tempo tenta di nascondere a se stesso la propria inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e compromessi. Nell'analizzare questi processi, l'inconscio, le sue canalizzazioni e le sue mascherature, Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente, e talora comicamente, le non semplici stratificazioni della psiche, tutta la sua instabilità, in cui passato e presente, ricordi e desideri si intrecciano reciprocamente. Ma questa indagine è anche carica di un affetto dolente, quasi che l'autore volesse salvare dall'estrema umiliazione della condanna il suo eroe negativo, che è in fondo il risvolto irredimibile di noi stessi, e la cui malattia è da assimilare alla crisi di un'intera società. Portatore di innovazioni straordinarie, Svevo non ottenne grande successo, se non alla fine degli anni Sessanta, quando entrò a far parte dei classici della letteratura italiana: causa di questo tardivo successo fu certamente la cultura mitteleuropea, più viennese che italiana, che fece sì che egli non avesse mai alcun rapporto con la cultura letteraria fiorentina, allora egemone a livello nazionale. Inoltre in Italia la psicoanalisi penetrò solo negli anni Sessanta; e la mancata conoscenza del pensiero di Freud era certamente un ostacolo alla comprensione della grandiosità della Coscienza di Zeno. In secondo luogo, Svevo è totalmente estraneo all'idea di arte propria dei letterati e critici italiani: la sua visione di scrittura come igiene appariva incomprensibile ai suoi contemporanei. Inoltre, anche la sintassi semplice e talora vicino al parlato, non coincideva con i canoni armoniosi e lirici del tempo.

Il terzo romanzo di Svevo appare ben venticinque anni dopo Senilità, nel 1923, e per questo motivo differisce molto dai due romanzi precedenti: quelli furono anni cruciali non solo per lo scrittore, ma anche per la società europea, si pensi solo al fatto che si era verificato il cataclisma della guerra mondiale, che aveva realmente chiuso un'epoca, e, sul piano culturale, si era assistito all'imporsi di correnti filosofiche che superavano definitivamente il positivismo e all'affacciarsi della teoria della relatività Svevo abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce anonima ed esterna alla vicenda La coscienza di Zeno è strutturato in sette capitoli, e tutti, eccetto la Prefazione sono scritti in prima persona dal protagonista Zeno Cosini. Il romanzo viene presentato nella Prefazione dal "dottor S." analista di Zeno Cosini, come un originale, quanto non ortodosso, metodo di analisi rivelatosi fallimentare, soprattutto dopo l'abbandono del trattamento operato da Zeno. A parte questo capitolo iniziale tutto il resto della narrazione è compiuta da Zeno, il quale è quindi protagonista-narratore tutto il racconto passa attraverso il suo sguardo, che però non è uno sguardo qualunque, egli infatti è in cura dallo psicanalista perché è un nevrotico. La nevrosi è una malattia che porta a operare una forte rimozione, cioè a eliminare dalla coscienza gli eventi più traumatizzanti: egli per questo non potrà mai essere un testimone attendibile degli avvenimenti legati alla sua malattia. Bisogna tuttavia anche stare attenti al ruolo dello psicanalista che lo ha in cura: nella Prefazione egli dimostra di non essere un dottore serio ammettendo di aver deciso di pubblicare il diario per vendetta verso il paziente, che aveva interrotto la cura, per guadagno e per ricattare Zeno, promettendogli di dividere i guadagni della pubblicazione solo quando avesse deciso di riprendere l'analisi. L'ironica figura dello psicanalista non è certo casuale: Svevo conosceva bene la psicoanalisi e Freud, del quale aveva anche tradotto un saggio sul sogno, e non condivideva il suo utilizzo come terapia. L'autore infatti vedeva nella nevrosi un segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà che impone un regime di vita, sacrificando la ricerca del piacere. La struttura del romanzo non corrisponde quindi a quella di un diario, che ripercorre in ordine cronologico le più importanti fasi della vita, ma è la storia della malattia del protagonista: tutti i temi raccontati da Zeno sono le tappe della sua nevrosi. Il tempo della narrazione è soggettivo, mescola piani e distanze, in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili del presente, in un movimento incessante. Eventi contemporanei possono così essere distribuiti in più capitoli successivi, poiché si riferiscono a nuclei tematici diversi e, inversamente, singoli capitoli, dedicati ad un particolare tema, possono abbracciare ampi segmenti della vita di Zeno. Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in una continua oscillazione tra malattia e salute, tra coscienza e inganno, tra narrazione e riflessione, tra bisogno degli altri e difficoltà ad instaurare con loro un rapporto, tra desiderio e aridità sentimentale. Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che è consapevole di non poter raggiungere. All'inizio del 1914 Zeno Cosini si fa visitare dallo psicanalista "dottor S.", il quale, prima di intraprendere la cura , invita il paziente a raccontare la sua vita a partire dalla nascita fino a quell'anno. Pertanto fra il gennaio e l'aprile del 1914 Zeno scrive le sue "confessioni", nelle quali hanno particolare risalto alcuni periodi compresi fra il 1890, anno della morte del padre, e l'estate del 1897, anno in cui egli si reca in una clinica per smettere di fumare, e consegna il manoscritto ( cioè i capitoli 2-7) al dottore. Nel novembre dello stesso anno Zeno incomincia la cura che si protrae, senza alcun risultato, fino all'aprile del 1915. Nel maggio Zeno decide di interrompere la terapia, scegliendo di farsi curare dal dottor Paoli, e descrive in forma di diario la sua vita fino al marzo 1916. In seguito fa avere anche questo secondo manoscritto al "dottor S." il quale, come già spiegato, lo pubblica per vendetta. Il fumo è il primo tema trattato dal protagonista, e la scelta è indotta dal dottore che lo invita "a iniziare il suo lavoro con un'analisi storica della sua propensione al fumo": scopriamo così che Zeno è un accanito fumatore fin dalla adolescenza, e che ha iniziato a fumare con  un sigaro lasciato in giro per casa dal padre. Ma l'aspetto che subito viene evidenziato da egli stesso è che appena creatosi il vizio, Zeno tenta, invano, di liberarsene: ogni occasione, come una bella giornata, la fine dell'anno, il piacevole accostamento delle cifre di una data, coincide con la scritta U.S.-ultima sigaretta. Zeno si rivolge a facoltosi medici, riempie libri e addirittura pareti con la sigla U.S., ma non riesce a smettere: il tentativo dura moltissimi anni, e non si realizza mai, neanche dopo essersi recato in una clinica specialistica, pur di scappare dalla quale corrompe l'infermiera. Il continuo rimandare un evento è tipico del nevrotico, che così, in questo caso, può gustare sempre di più l'ultima sigaretta. Il secondo tema trattato dal protagonista è anch'esso legato al vizio del fumo: infatti Zeno cerca di spegnere l'ultima sigaretta anche il giorno della morte del padre. Il rapporto con il padre è il primo, della una lunga serie, di rapporti ambigui raccontati da Zeno: tra padre e figlio vi è una forte ostilità, Zeno gioca continuamente a provocare il padre, il quale da parte sua non cerca di comprendere il figlio, anzi lo disprezza per il suo carattere troppo ironico. Il protagonista amplifica gli aspetti non apprezzati dal padre al punto dal volerlo convincere di essere pazzo. La situazione ha una svolta solo il giorno in cui il padre, per un edema polmonare, è costretto a letto, e Zeno si dedica a lui giorno e notte: una sera, nel tentativo di impedirgli di alzarsi dal letto, il figlio lo trattiene, ma il padre in un ultimo impeto di forza, rizzatosi nel letto, alza la mano verso Zeno per colpirlo...e muore. Il protagonista vede nel gesto una punizione, ultima ed eterna, del padre: e questo crea in lui un forte senso di colpa per avere desiderato la morte del padre. Ma soprattutto rivela la probabile origine della sua malattia: aveva amato troppo suo madre e avrebbe voluto uccidere il padre, e l'origine volontaria o meno del gesto del padre non può comunque attenuare il suo senso di colpa. Il terzo capitolo è La storia del matrimonio, in cui Zeno narra, utilizzando molto la sua  ironia, gli avvenimenti precedenti e posteriori al grande evento. Così come alcune mattine il protagonista racconta di svegliarsi con l'intento di smettere di fumare, una mattina decide di cercar moglie, ma prima ancora di conoscere la futura sposa, egli sceglie il suocero: Giovanni Malfenti, da lui ammirato per l'abilità negli affari, per la forza di carattere, per la grandiosa capacità di attirare l'attenzione. In Malfenti egli vede la mancata figura paterna, e inizia così a frequentare la sua casa: l'uomo è sposato e ha ben quattro figlie. Zeno appena entra nella casa dell'amico osserva le sue figlie per scegliere l'eletta: tutte e quattro hanno il nome che inizia per A, ma ognuna ha una marcata caratteristica. Ada, la più grande e la più bella, Augusta, la strabica, Alberta, lo spirito libero, che sogna di esser poetessa, e infine la piccola, di soli otto anni, Anna. La scelta di Zeno cade su Ada, la sorella maggiore. Da quel momento il protagonista inizia a frequentare assiduamente casa Malfenti, facendo ogni cosa per conquistare l'amata. Torna a suonare il violino, racconta aneddoti, leggende e fatti mai avvenuti, cerca dunque di attirare in ogni modo l'attenzione della fanciulla, ma più si prodiga e più lei si allontana, e al contrario si avvicina la strabica Augusta. Costretto anche dall'arrivo di altro un corteggiatore ufficiale, Zeno dichiara il suo amore a Ada: l'evento è raccontato con ironia dal protagonista, che così riesce a ridere di una situazione tragi-comica. Ma Zeno viene rifiutato, ripiega così, preso da un vero e proprio raptus di follia, sulla sorella Alberta, che però vuol rimaner sola per poter divenire scrittrice, e infine, essendo Anna troppo piccola, sulla brutta Augusta.  Augusta si rivela essere la donna perfetta per lui, e Zeno impensabilmente, se ne innamora. Il capitolo La moglie e l'amante racconta della storia extraconiugale che Zeno intraprende con una fanciulla povera e molto bella di nome Carla. Un amico di Zeno, Copler, anch'esso malato, ma di una malattia, com'egli stesso si vanta, dai sintomi chiari e non immaginaria come quella di Zeno, sollecita il protagonista ad aiutare economicamente la ragazza. Alla sua morte i due trasformano il rapporto beneficante-beneficata in un rapporto assai più intimo. La storia prosegue nel tempo, sebbene Zeno, consapevole che tale rapporto è in contrasto con la sanità di cui è immagine la moglie Augusta, tenga sempre in tasca una assegno con cui vorrebbe liquidare l'amante. L'avvenimento però viene sempre rimandato, così come per tutta la vita egli rimanda l'ultima sigaretta. Il suo inconscio che precedentemente lo aveva portato ad Augusta, lo induce a abbandonare l'amante. Ma questo è da lui provocato quasi inconsapevolmente: Carla aveva una splendida voce e Zeno pagava per lei un maestro anziano e dai metodi antiquati; un giorno decide di licenziarlo e al suo posto arriva un giovane maestro di talento che valorizza finalmente le capacità canore della fanciulla.  Carla nel frattempo, messa sempre da Zeno in competizione con la perfetta borghesia di Augusta, chiede all'amato di poterla vedere: Zeno fa in modo che si imbatta nella bella Ada e non nella brutta Augusta. Ma questa scelta si rivela controproducente: Carla vede la tristezza di Ada, che aveva da poco scoperto che Guido la tradiva, e, sentendosi in colpa, abbandona Zeno per sposare il giovane maestro di canto.

Nel romanzo il capitolo Storia di un'associazione commerciale è di fondamentale importanza: Guido Speier, marito di Ada, titolare dell'azienda cui si è associato Zeno e commerciante velleitario, distratto, fantasioso, del tutto privo di senso pratico e realistico, ha fatto per sua colpa degli affari conclusisi con un forte passivo e nel tentativo di colmare il deficit ha giocato in Borsa perdendo ulteriormente e provocando un grave disastro finanziario; e poco dopo, dopo una prima, riuscita simulazione di suicidio, dovuta alla speranza di impietosire i parenti e di ottenere altro denaro, muore davvero per l'ingestione di una forte dose di "veronal" e, soprattutto, per l'avversità del destino. Proprio in tale circostanza viene a colmarsi quell'abisso, all'inizio evidentissimo e a poco a poco sempre meno avvertibile, fra l'uomo che sa vivere e quello che non sa vivere, ovvero tra Guido e Zeno: poiché sarà appunto Zeno, nonostante le sue continue inibizioni e perplessità, la sua abulia e la sua inettitudine, che riuscirà, con l'imprevisto aiuto della fortuna, ovvero l'improvviso rialzo dei titoli di borsa, a salvare la ditta dal fallimento e ad aiutare la famiglia del cognato. E se nel giorno del funerale di Guido, Zeno si reca per distrazione al funerale di un estraneo, in realtà il suo errore si spiega psicanaliticamente, come sostengono Ada e il "dottor S.", con il fatto che il Cosini, al di sotto dell'affetto obbligato per il cognato, celava un inconscio sentimento di rancore e, anzi, di odio verso la persona che gli aveva sottratto Ada, da lui amata, ed era riuscito a sposarla rendendola ben presto infelice per i suoi tradimenti. In ogni caso, poiché non avviene per un suo particolare merito, questo non coincide con un superamento della malattia, per quanto Zeno si ritenga guarito dalla sua malattia, e si senta d'un tratto forte, sano e venga a preferire una malattia fisica e organica a una psichica. Nell'ultimo capitolo, Psico-analisi, l'euforia di Zeno è sopraffatta dalla convinzione obbiettiva che la vita è malattia, che la realtà è "inquinata alle radici", che può avvenire anche di peggio di quello che è avvenuto, che qualunque sforzo di darci la salute è vano, che gli ordigni hanno violentato e distrutto la natura e le sue leggi e che solamente facendo esplodere il mondo è forse possibile ipotizzare, in un futuro, l'avvento di un mondo nuovo, migliore e sano. Per concludere analizziamo la funzione dei personaggi minori nei confronti del protagonista: viene a mancare, rispetto ai due precedenti romanzi, la figura dell'antagonista. Si potrebbe supporre che all'inizio del romanzo l'antagonista di Zeno fosse, per esempio il galante dottor Muli, libero di abbandonare la clinica a suo piacere e magari di accompagnare a casa e di corteggiare Augusta; o il padre del Cosini, che il figlio ritiene una sorta di rivale o una persona con cui competere; o Giovanni Malfenti, il futuro suocero, al quale l'abulico Zeno cerca di assomigliare e che considera un secondo padre; e, soprattutto, Guido Speier, giovane avvenente, spiritoso, dinamico, allegro, intraprendente e fortunato conquistatore di donne, in primo luogo Ada, amata da Zeno. Ma a poco a poco ci si rende conto che le cose non stanno in questi termini e che, a parte il fatto che il dottor Muli non si interessa ad Augusta e che Malfenti e suo padre muoiono, nel supposto antagonismo tra Guido e Zeno il vero, definitivo vincitore non è il primo, tradito dalla sua superficialità, dal suo egoismo e dall'esagerata stima in se stesso, bensì proprio Zeno, che, con l'aiuto del medesimo destino che aveva decretato la morte del cognato, riesce a sanare in parte i fallimentari bilanci dell'azienda. Analogamente non Ada Malfenti, la cui bellezza è guastata senza rimedio dal morbo di Basedow, e neppure la bella Carla, desiderosa di affermarsi nel canto con l'aiuto non proprio disinteressato di Zeno, né la vistosa e seducente Carmen, amante di Guido, ma la saggia e positiva Augusta è il nuovo tipo di donna proposto - polemicamente e ironicamente - da Svevo. Augusta, ossia la donna comune, così come uomo comune è Zeno: antieroina, come antieroe è lui; e tuttavia modello di saggezza e di sollecitudine nello sbrigare le faccende domestiche e nell'allevare i figli, esempio di assennatezza e di attaccamento alla famiglia, tanto da suscitare, per le sue doti di buona moglie e di madre tenera e affettuosa, la reticente o esplicita ammirazione di Zeno. E poi Augusta "col suo occhio sbilenco e la sua figura da balia" è la "salute personificata", ma è anche portatrice della concezione borghese della vita, che in apparenza Zeno rispetta e persino invidia, ma che non pensa assolutamente di poter condividere e che non fa a meno di incrinare con la sua incessante ironia. Da un simile punto di vista la condanna della società borghese risulta inequivocabile. I tragici risvolti della vita della bella Ada e la salute della strabica Augusta, che vive felice nella sua realtà in apparenza serena, documentano l'ironia dell'autore e soprattutto l'ideologia fondamentale del romanzo, che mira a affrontare il grande problema della vita, con riferimento particolare a un ben concreto e definito periodo storico.


IL SURREALISMO


Il surrealismo è una corrente artistica e letteraria che si sviluppa nel primo dopoguerra (al 1924 risale il Manifesto firmato da André Breton) in cui riveste un ruolo fondamentale la teoria dell'irrazionale e dell'inconscio. In questa direzione Freud esercitò una grande influenza sui surrealisti, per i quali il metodo della psicoanalisi e l'abbandono nel sogno diventano fattori fondamentali. Il Surrealismo, infatti, è il tentativo di esprimere il proprio io interiore in piena libertà, senza l'intervento della ragione che condiziona l'uomo obbligandolo a reprimere istinti e sentimenti. Il Surrealismo non si limita a trascrivere positivamente il sogno, ma si esprime attraverso simboli cercando di seguire il meccanismo con il quale opera l'inconscio. Da questa situazione prende il via l'automatismo psichico, cioè il processo per cui un'idea segue l'altra senza la conseguenza logica del ragionamento consueto, ma spontaneamente una parola, un'immagine, un colore, una forma ne richiamano alla mente altri completamente diversi in un concatenamento inarrestabile.

Secondo Freud, il sogno è la «via regia verso la scoperta dell'inconscio». Nel sonno, infatti, viene meno il controllo della coscienza sui pensieri dell'uomo e può quindi liberamente emergere l'inconscio, travestendosi in immagini di tipo simbolico. La funzione interpretativa è necessaria per capire il messaggio che proviene dall'inconscio, in termini di desideri, pulsioni, malesseri e disagi. Il sogno propone soprattutto immagini: si svolge, quindi, secondo un linguaggio analogico. Di qui, spesso, la sua difficoltà ad essere tradotto in parole, ossia in un linguaggio logico. La produzione figurativa può, dunque, risultare più immediata per la rappresentazione diretta ed immediata del sogno. E da qui, nacque la teoria del Surrealismo.

Secondo Breton, teorico del movimento, bisogna cercare il modo di giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà) in cui conciliare i due momenti fondamentali del pensiero umano: quello della veglia e quello del sogno. Il Surrealismo è dunque il processo mediante il quale si giunge a questa surrealtà. Sempre Breton così definisce il Surrealismo:

«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d'associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita».

L'automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali e morali, così che il pensiero sia libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In tal modo si riesce a portare in superficie quell'inconscio che altrimenti apparirebbe solo nel sogno.

Al Surrealismo aderirono diversi pittori europei, tra i quali Max Ernst, Juan Mirò, René Magritte e Salvador Dalì. Non vi aderì Giorgio De Chirico, che pure aveva fornito con la sua pittura metafisica un contributo determinante alla nascita del movimento.

Il surrealismo è un movimento che pratica un'arte figurativa (ma non naturalistica) e non astratta, per il fatto esso vuole trasfigurare la realtà, ma non negarla.

Si può suddividere la tecnica surrealista in due grosse categorie: quella degli accostamenti inconsueti e quella delle deformazioni irreali.

Gli accostamenti inconsueti sono stati spiegati da Max Ernst come «l'accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse».

In sostanza, procedendo per libera associazione di idee, si uniscono cose e spazi tra loro apparentemente estranei per ricavarne una sensazione inedita. La bellezza surrealista nasce, allora, dal trovare due oggetti reali, veri, esistenti, che non hanno nulla in comune, assieme in un luogo ugualmente estraneo ad entrambi. Tale situazione genera una inattesa visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le usuali certezze.

Le trasformazioni irreali riguardano invece la categoria della metamorfosi, cioè la trasformazione di un oggetto in un altro, come, ad esempio, delle donne che si trasformano in alberi (Delvaux) o delle foglie che hanno forma di uccelli (Magritte).

Entrambi questi procedimenti hanno un unico fine: lo spostamento del senso. Ossia la trasformazione delle immagini, che abitualmente si è abituati a vedere in base al senso comune, in immagini che trasmettono l'idea di un diverso ordine della realtà.












LE TRASFORMAZIONI IRREALI GLI ACCOSTAMENTI

(Delvaux) INCONSUETI



DALI': LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA, 1931


".E il giorno in cui decisi di dipingere gli orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della "ipermollezza" posto da quel formaggio. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. I famosi orologi molli non sono altro che il molle, pazzo, solitario, paranoico-critico Camembert del tempo e dello spazio".


Dalì definì i propri quadri "fotografie di sogni fatti a mano", realizzati con il preciso intento di materializzare con esatta precisione immagini irrazionali. Tale procedimento risulta particolarmente evidente nel quadro La persistenza della memoria, detto anche Gli orologi molli ovvero Il tempo che si scioglie, uno dei dipinti eseguiti da Dalì in seguito all'elaborazione del metodo paranoico-critico (basato sul tentativo di far emergere l'inconscio secondo il principio dell'automatismo psichico teorizzato da Breton e della psicoanalisi di Freud).

Nel quadro, i tre orologi sul punto di sciogliersi al sole -mentre un quarto, ancora chiuso nel suo coperchio dorato, è assaltato da un cumulo di formiche brulicanti- rappresentano l'aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella soggettiva percezione umana, assume una velocità e una connotazione diversa, interna, che segue solo la logica dello stato d'animo e del ricordo. Il tempo, inteso nella razionale successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla memoria umana, che del tempo non ha una percezione razionale.

Salvador Dalí restò fortemente influenzato dagli sconvolgimenti teorici della fisica ad opera di Einstein. In quest'opera egli ha voluto interpretare le indagini relativistiche sulla dimensione del tempo. La deformazione delle immagini è uno strumento per mettere in dubbio le facoltà razionali, che vedono gli oggetti sempre con una forma definita. L'orologio è lo strumento razionale per eccellenza che permette di misurare il tempo e di dividerlo in modo da piegarlo alle esigenze pratiche e quotidiane. Deformando l'orologio, che sembra sciogliersi e adattarsi alle superfici su cui viene posto, Dalì invita l'osservatore a riconsiderare la dimensione del tempo, della memoria, del sogno e del desiderio, non sottoposta alle regole apparentemente logiche, nella quale il prima e il dopo si mescolano e lo scorrere delle ore e dei giorni accelera e rallenta a seconda della percezione soggettiva. Una interpretazione filosofica che ben si associa con le proprietà metriche dello spazio e del tempo concepite con la relatività di Einstein.


LE INNOVAZIONI NEL MONDO ANTICO


L' autore che possiamo considerare innovatore per quanto riguarda il mondo antico, è Menandro autore di commedie dell'antica Grecia.

Menandro è stato collocato dagli studiosi nel periodo della commedia "muova", perché rispetto agli autori appartenenti alla commedia "antica" e "di mezzo ha apportato delle innovazioni.

Prima di cominciare a discutere delle innovazioni che fece Menando. dobbiamo ricordare che già le ultime opere di Aristofane (commediografo appartenente al periodo della "commedia di mezzo*') mostrano un indebolimento dei meccanismi caratteristici della commedia antica: in primo luogo, la riduzione del presenza del coro nell"azione scenica, con la rinuncia la parabasi. in cui si manifestava in sommo grado relazione tra poeta, pubblico e vita cittadina. Anche il linguaggio dell'ultimo Aristofane allenta la continua, feroce tensione espressiva per adeguarsi a un tono più pacato, così come si smorza la libertà fantastica, qua visionaria, della trama. Nei decenni successivi ( 3I7a.C.), la commedia si evolve sviluppando forme sempre più lontane de quelle delle sue origini sicché essa è ormai tutt'altra cosa e ha già assunto la struttura che. senza sostanziali variazioni, si trasmetterà al teatro latino.

Proprio in Menandro possiamo evidenziare questo distacco rispetto alla commedia antica: in Menando possiamo ormai parlare di una commedia a schemi familiari alle nostre consuetudini. Il dramma è suddiviso in cinque atti separati l'uno dall'altro da un intermezzo in cui il coro danza e canta per intrattenere gli spettatori. La commedia contempla invariabilmente una vicenda d'amore, sviluppata attraverso una trama compatta e un intreccio unitario, che attraverso varie peripezie giunge all'immancabile lieto fine; ha carattere realistico, nel senso che sono accantonate le invenzioni fantastiche del teatro di Aristofane. Ricco di umanità e simpatia. Menandro esprime una nuova concezione dell'uomo e della sua virtù: "Nessuno che sia uomo mi sia estraneo". Gli angusti limiti della polis sono superali ne riconoscimento della comune condizione umana. Per questo possiamo affermare che la commedia di Menandro è la testimonianza d cambiamento che si è fatto nella vita politica e sociale di tutta la Grecia: il distacco sempre più netto tra singolo e la sua città, il manifestarsi di nuovi interessi, l'affermarsi di nuovi valori; insomma interpreta lo spirito del periodo alessandrino. Tale commedia si allontana del tutto dalla vita della piazza e si trasferisce all'interno della casa borghese. Si viene a formare un nuovo tipo di pubblico. interessato ad argomenti privati e meno pubblici, teatro di svago, espressione di una classe colta che è moderata e che gravida spettacoli di evasione, di cui la vicenda quotidiana doveva avere un lieto fine. In Menandro possiamo individuare i seguenti mutamente strutturali:

  • Il coro scompare; serve solo a riempire gli spazi degli intervalli con la danza,
  • Scompare del tutto la parabasi;
  • Scompare il travestimento grottesco degli attori, i quali indossano maschere:
  • Compaiono costumi adatti al mestiere e all'ambiente circostante;
  • Il linguaggio si fa più serio e castigato.
  • L'ambiente in generale è quello dell'Attica e spesso Atene, ma spesso serve come cornice dell'uomo e dei suoi interessi;
  • Presenta caratteri che non sono del tutto cattivi o buoni ma di personaggi che rappresentano limitatezza della classe di cui appartengono.

Nel I sec. a.C. si diffuse, anche a Roma, un genere letterario molto simile a quello di Menandro nell'antica Grecia. Terenzio, autore di questo genere, fece parte del cosiddetto circolo degli Scipioni, il gruppo di intellettuali legati a Publio Cornelio Scipione Emiliano e a Gaio Leio, con i quali intrattenne sempre legami di intensa amicizia. Il circolo degli Scipioni era un gruppo composto da aristocratici romani ed intellettuali greci, che vedevano nell'assunzione della cultura greca il passo necessario per fornire alla classe dirigente romana idonei strumenti concettuali. Al nuovo clima culturale maturato intorno al circolo degli Scipioni si lega l'attività letteraria di Terenzio, che si pose di attuare un rinnovamento della commedia latina. Nel corso di pochi anni ( dal 166 al 160 a.C.) Terenzio compose sei commedie palliatae che non furono subito accettate dal pubblico, e per questo motivo furono oggetto di critica. Queste sono le sei commedie che scrisse Terenzio:

  • Andria
  • Hautontimonùmenos
  • Eunuchus
  • Phormio
  • Adelphoe
  • Hècyra

Come in Menandro, anche in Terenzio possiamo trovare la trattazioni di tematiche che riguardano vicissitudini amorose di una coppia di giovani che solo alla fine della vicenda possono, grazie all'aiuto della sorte, realizzare il loro amore.

Terenzio fa proprio il messaggio di Menandro, che si era distinto per una particolare umanizzazione dei personaggi sostituendo ai "tipi" i caratteri e ambientando le trame nella realtà del mondo "borghese" contemporaneo. Il rapporto Fra Terenzio e i suoi modelli (come Menandro) è stato oggetto di un dibattito critico; Terenzio per molti anni è stato considerato come un vero e proprio imitatore della commedia Menandrea e di Plauto; ma, la più recente tendenza critica, invece, gli riconosce la raffinata capacità di reinterpretare i propri modelli e di saperli adeguare alla società romana in cui egli vive.

Come in Menandro Terenzio tocca tematiche quali l'educazione dei giovani o il rapporto di coppia, finalizzato al puro divertimento.

Non solo nelle tematiche, ma anche nei personaggi terenziani si riflette molto il modello di Menandro. Pur nel rispetto della tradizione , Terenzio differenzia le maschere in una schiere di sottotipi che rappresentano ciascuno una diversa sfumatura psicologica: tutto questo conferisce maggiore risalto all'umanità dei personaggi.

La sensibilità di Terenzio costituiva alla società Romana la prima occasione per riflettere sull'unicità dell'essere umano e sulla problematica mutevolezza della realtà. Essere uomo significava, per Terenzio, raffinare la propria sensibilità, comprendere gli altri esseri umani e rispettarne le opinioni, confidare nella natura della bontà umana, non contare troppo sulla propria infallibilità e mantenere sempre la capacità di mettersi in discussione, così da riuscire a superare con uno sforzo di fiducia e di buona volontà anche le crisi più profonde.

Ma se dobbiamo parlare di innovazioni, non dobbiamo sicuramente tralasciare l'impostazione drammaturgia innovativa che Terenzio da alle proprie opere.

  • Una prima rilevante caratteristica è il ricorso frequente alla tecnica della contaminazione, applicata per esempio nell'Andria, in cui vengono fuse insieme l'Andria e la  perinthìa di Menandro.
  • Un altro tratto tipico della commedia di Terenzio è il "raddoppiamento" delle trame, attraverso l'inserimento di personaggi "minori" o "doppi" dei protagonisti: così nell'Andria le vicende dei due amanti protagonisti si intrecciano saldamente con quella di un'altra coppia di innamorati.
  • Terenzio introduce un altro elemento di forte novità nella struttura delle sue commedie: al prologo tradizionale sostituisce un prologo di tipo personale e polemico, in cui per bacca di un attore o del capocomico in persona, egli può motivare le sue scelte poetiche e difenderle dai critici malevoli.
  • Legata a questa gestione delle trame è anche la soppressione degli interventi "metateatrali", tipici della commedia platina, che , per stabilire un contatto con il pubblico,tendevano a rompere l'illusione scenica. Lo sforzo di Terenzio, invece, era quello di costruire un testo realistico, che avvicinasse gli spettatori e li mettesse in condizione di identificarsi con l'azione scenica.

Analizzando lo stile Terenziano, gli studiosi hanno definito questo raffinato e dolce, ma privo di vis comica e di pathos, intesi rispettivamente come capacità di destare il riso e di rappresentare passioni intense.



L'INVENZIONE DEL CINEMA

Il cinema ha più di cento anni. Esso, infatti, nasce alla fine del secolo scorso l'invenzione del cinèmatographe dei fratelli Louis e Auguste Lumière (1864-1948 e 1862.1954), grazie al quale le immagini fotografiche potevano scorrere non solo a una velocità tale da dare l'illusione del movimento, ma essere proiettate su uno schermo davanti a più persone. Il 28 dicembre 1895, a Parigi, presso il Gran Cafè del Boulevard des Capucines, si effettuò la prima proiezione per un pubblico pagante. In questa occasione furono proiettati alcuni film quali, l'arrivo di un treno alla stazione, l'uscita degli operai dalle officine ecc. Ciò che soprattutto determinò il successo di questi film fu proprio il loro fedele carattere di riproduzione della realtà in movimento, nonostante la cattiva qualità delle immagini (bidimensionalità, cornice, assenza di colore).

Parallela all'attività dei fratelli Lumière corre quella di Georges Méliès (1861-1938), prestigiatore e illusionista. Egli intuì le infinite possibilità del cinema di realizzare dei mondi impossibili; così diede vita a un cinema in cui "il fantastico" diventava spettacolo vero e proprio.

Così si attribuisce ai fratelli Lumière la nascita del cinema realista e a Méliè quella del cinema fantastico.


UNA NOVITA' ANCHE NEL TEATRO: IL METODO STANISLAVSKJ

Il Metodo Stanislavskij è uno stile di insegnamento della recitazione messo a punto da Kostantin Sergeevič Stanislavskij (che solitamente lo chiama: psicotecnica) nei primi anni del . Il metodo si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell'attore. Si basa sulla esternazione delle emozioni interiori attraverso la loro interpretazione e rielaborazione a livello intimo. Per ottenere la credibilità scenica il maestro Stanislavskij proponeva esercizi che riproponessero le emozioni da provare sulla scena andando ad analizzare in modo profondo gli atteggiamenti non verbali e il sottotesto del messaggio da trasmettere. I risultati dei suoi studi furono raccolti in alcuni volumi. Nel pubblicò Il lavoro dell'attore su sé stesso e nel uscì postumo. Se il metodo Stanislavskij pone alle basi dell'arte dell'attore il concetto dell'immedesimazione, il metodo opposto si deve allo studio dell'opera di Bertold Brecht, che invece basa la tecnica recitativa sulle capacità di straniamento. Il metodo nasce tra la fine del secolo e gli inizi del novecento dalle puntigliose annotazioni di Stanislavskij sulle proprie esperienze. Egli cercò poi di trasmetterlo agli attori con risultati diversi e da qui si sviluppò anche il suo interesse per la scuola e la pedagogia. Le vicende della Rivoluzione Russa creano al teatro non pochi problemi e durante una tournée in America, egli scrive il primo dei suoi libri. Al suo ritorno si dedica ai classici e all'insegnamento del suo metodo. Si può affermare che l'importanza del metodo sta soprattutto nel fatto che per la prima volta il processo creativo dell'attore sia sottoposto ad un'analisi rigorosa da parte di un attore competente, lui stesso, capace di utilizzare alcuni principi della moderna psicologia. Due sono, per Stanislavskij, i grandi processi che sono alla base dell'interpretazione: quello della personificazione e quello della riviviscenza. Il processo di personificazione parte dal rilassamento muscolare per proseguire con lo sviluppo dell'espressività fisica, dell'impostazione della voce, della logica e coerenza delle azioni fisiche e della caratterizzazione esteriore. Il processo di reviviscenza parte dalle funzioni dell'immaginazione e prosegue con la divisione del testo in sezioni, con lo sviluppo dell'attenzione, l'eliminazione dei clichè, e l'identificazione del tempo-ritmo. La reviviscenza è fondamentale perché tutto ciò che non è rivissuto resta inerte, meccanico ed inespressivo. Ma non basta che la reviviscenza sia autentica: essa deve essere in perfetta consonanza con la personificazione. Infatti, a volte, una reviviscenza profonda è deformata da una personificazione grossolana dovuta ad un apparato fisico non allenato ed incapace di trasmettere quello che l'attore sente, per cambiare il modo di vivere.





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