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L'uomo moderno si identifica in un nuovo Prometeo?

interdisciplinare



L'uomo moderno si identifica in

un nuovo  Prometeo?





SOMMARIO




Introduzione:

importanza del mito nella storia dell'uomo



Prometeo




Nell'antichità

Esiodo, Eschilo e Platone: le interpretazioni del mito

Prometeo creatore degli uomini e Prometeo apportatore di fuoco

Tra seicento e ottocento

Rousseau e Mary Shelley i moderni vi si identificano oppure lo rifiutano come modello da seguire ed imitare

Dalla rivoluzione industriale a oggi

L'avvento dell'uomo tecnologico

Gadda:la tecnologia contro l'uomo


Le nuove frontiere delle biotecnologie

Jonas: Una risposta morale (bioetica)

Introduzione



Il mito di Prometeo è, assieme a quello di Ulisse, tra i miti greci che hanno subito il maggior numero di riletture ed elaborazioni in età post-classica. Un discorso sulla rielaborazione del mito - e di alcuni miti in particolare - offre una prospettiva privilegiata per osservare i "passaggi", i mutamenti culturali di ampia portata, perché, come osserva Fisch, "i miti sono soggetti a mutamento sotto la pressione che su di loro esercita la storia" (Un futuro ricordato, Il Mulino 1988), e alcuni di essi in particolare hanno la capacità di sintetizzare tutte le domande essenziali sull'uomo. Se Ulisse è sempre stato occasione per parlare dell'uomo, del suo destino, lo stesso si può dire di Prometeo, tanto che Blumemberg nota che la storia di Prometeo "non risponde ad alcuna domanda sull'uomo, ma sembra contenere tutte le domande che si possono porre su di lui". Ecco quindi che lo studio dell'elaborazione del mito può consentire un approccio particolare alle visioni del mondo elaborate nel corso della tradizione occidentale. Un approccio particolare perché diacronico, capace di misurare le differenze, non soltanto nelle risposte, ma anche nelle domande che il mito articola.

Prometeo in Grecia: il mito e le sue interpretazioni



Chi è Prometeo? Per cominciare, immaginiamo una situazione ricorrente in molte versioni del mito. Il Titano è incatenato ad una roccia del Caucaso, sottoposto da Zeus al terribile supplizio di un'aquila che gli mangia di giorno il fegato che ricresce la notte. La sua colpa consiste nell'aver rubato il fuoco dall'Olimpo per portarlo agli uomini. Di fronte a Prometeo ci interroghiamo: è stato punito giustamente un atto di hybris (tracotanza)? O viene ingiustamente colpito da un dio invidioso chi ha beneficato i mortali? Il supplizio è davvero eterno oppure arriverà la grazia? E questa grazia è il frutto di un compromesso o un atto unilaterale da parte di Zeus? O, addirittura, la salvezza viene dalla sconfitta di Zeus?




La prima versione del mito di Prometeo la troviamo nell'opera di Esiodo, poeta greco dell'VIII sec. a.C. Esiodo narra il mito di Prometeo tanto nella Teogonia quanto nelle Opere e giorni. Iniziamo dalla Teogonia (vv.507-602)


Iapeto la fanciulla oceanina dalle belle caviglie, Climene, si prese per sposa e con lei lo stesso talamo ascese; ed essa a lui Atlante, dal cuore violento, partorì come figlio; partorì l'orgoglioso Menezio, e poi Prometeo, versatile e astuto, e il malaccorto Epimeteo, che il male fin dall'inizio procurò agli uomini che mangiano pane: per primo infatti nella sua casa accolse la donna formata da Zeus, fanciulla. L'orgoglioso Menezio Zeus onniveggente all'Erebo spinse colpitolo col fulmine fumante per via della sua tracotanza e della forza senza pari. Atlante il cielo ampio sostiene, a ciò costretto da forte necessità, ai confini della terra, di fronte alle Esperidi dal canto sonoro, con la testa facendo forza e con le infaticabili braccia; tale destino assegnò a lui Zeus accorto. Legò Prometeo dai vari pensieri con inestricabili lacci, con legami dolorosi, che a mezzo d'una colonna poi avvolse, e sopra gli avventò un'aquila, ampia d'ali, che il fegato gli mangiasse immortale, c 858b11i he ricresceva altrettanto la notte quanto nel giorno gli aveva mangiato l'uccello dall'ampie ali.


Il destino di Prometeo - figlio di un titano e dunque titano egli stesso - è accostato a quello dei fratelli: tutti sono entrati in conflitto con Zeus e tutti sono stati puniti. Non è un particolare privo di rilevanza, perché ci aiuta a contestualizzare l'opposizione di Prometeo a Zeus, individuandone i presupposti nel cosmico conflitto che ha opposto i Titani a Zeus.


Ma la uccise [l'aquila] il prode figlio di Alcmena dalle belle caviglie, Eracle, e dalla crudele sciagura allontanò il figlio di Iapeto, e lo liberò dai tormenti non contro il volere di Zeus olimpio che regna nell'alto, perché di Eracle, stirpe di Tebe, la fama fosse maggiore di quanto lo era prima sulla terra nutrice; in tal modo dunque onorò l'illustre suo figlio e, pur irato, lasciò il rancore che prima nutriva perché quello volle contendere contro i disegni del possente figlio di Crono.


In Esiodo la pena di Prometeo cessa per intervento di Eracle. Non cessa tuttavia l'inimicizia di Zeus, che non può certo rinnegare una giusta sentenza nei confronti di un hybristes (chi si è reso colpevole di superbia, chi ha oltrepassato i limiti) quale Prometeo. Zeus concede l'impresa al proprio figlio, non il perdono a Prometeo. Ma qual è la colpa di Prometeo? Continua il testo di Esiodo:


Quando la loro contesa dirimevano dèi e uomini mortali a Mecone, allora un grande bue, con animo consapevole, spartì, dopo averlo diviso, volendo ingannare la mente di Zeus; da una parte infatti carni e interiora ricche di grasso pose in una pelle, nascostele nel ventre del bue, dall'altra ossa bianche di bue, per perfido inganno, con arte disposte, nascose nel bianco grasso. E allora a lui disse il padre degli uomini e degli dèi: "O figlio di Iapeto, illustre fra tutti i signori, amico mio caro, con quanta ingiustizia facesti le parti". Così disse Zeus beffardo che sa eterni consigli, ma a lui rispose Prometeo dai torti pensieri, ridendo sommesso, e non dimenticava le sue ingannevoli arti: "O Zeus nobilissimo, il più grande degli dèi sempre esistenti, di queste scegli quella che il cuore nel petto ti dice". Così disse meditando inganni, ma Zeus che sa eterni consigli riconobbe l'inganno, né gli sfuggì, e mali meditava dentro il suo cuore per gli uomini mortali e a compierli si preparava. Con ambedue le mani il bianco grasso raccolse; si adirò dentro l'animo e l'ira raggiunse il suo cuore, come vide le ossa bianche del bue frutto del perfido inganno: è da allora che agli immortali la stirpe degli uomini sulla terra brucia ossa bianche sugli altari odorosi. Molto indignato gli disse Zeus adunatore di nubi: "O figlio di Iapeto, tu che sopra tutti sai cose sagge, caro amico, non mi sfuggì la tua arte ingannevole".


Ecco il primo inganno di Prometeo, quello che nel racconto esiodeo sta all'origine della caduta, della necessità del lavoro. Prometeo agisce da subito in favore dell'uomo, suggerendo con la sua spartizione - secondo Blumemberg - la "moderazione dello zelo sacrificale", ossia una pratica del sacrificio meno onerosa per gli uomini. Tuttavia è indubbio che si tratti di un classico atto di hybris, simile a quelli per cui sono stati puniti i suoi fratelli. La spartizione proposta da Prometeo è palesemente iniqua, per di più viene proposta con un raggiro. Egli agisce sì a vantaggio del genere umano, ma cerca per essi più del giusto, attirandosi l'ira di Zeus e la punizione che ricadrà su tutti gli uomini. Sulla giustizia di tale punizione Esiodo non nutre dubbi.


I secoli a venire - e già la tragedia di Eschilo - interpreteranno il gesto di Prometeo come emancipazione, come rivendicazione di libertà nei confronti degli dèi, ma la religiosità esiodea ne evidenzia innanzitutto le conseguenze negative per la vita dell'uomo sulla terra. Quali sono queste conseguenze? Leggiamo ancora Esiodo:


Così disse Zeus irato, che sa immortali pensieri, e da allora dell'inganno memore sempre non concesse più ai legni la forza del fuoco indefesso per gli uomini mortali che sulla terra hanno dimora. Ma il prode figlio di Iapeto lo ingannò rubando il bagliore lungisplendente del fuoco indefesso in una ferula cava; s'addolorò fino in fondo nel cuore Zeus alto tonante, e l'animo gli arse dall'ira appena vide fra gli uomini il bagliore lungisplendente del fuoco.




Zeus nasconde il fuoco e Prometeo glielo sottrae, di nuovo con l'inganno. Nelle Opere e giorni - in cui si tratta dell'origine del lavoro - il mito viene ripreso e questo passaggio in particolare viene sviluppato: non solo il fuoco Zeus ha tolto ai mortali, ma con esso il bios, il sostentamento. Spiega Esiodo [Op. vv.42-52]:


Gli dèi infatti tengono nascosto agli uomini il sostentamento, ché facilmente allora potresti lavorare un solo giorno e per un anno ne avresti, anche restando nell'ozio, presto il timone lo potresti appendere sul fumo e sarebbe finito il lavoro dei buoi e dei muli pazienti; ma Zeus lo nascose adirato dentro il suo cuore. Perché Prometeo dagli astuti pensieri lo aveva ingannato, per questo meditò agli uomini tristi sciagure: nascose il fuoco; ma ancora di Iapeto il figlio valente lo rubò per gli uomini a Zeus dai saggi consigli, di nascosto a Zeus fulminatore, in una ferula cava.


C'è quindi un rapporto stretto tra il bios e il fuoco: la perdita del fuoco coincide con la perdita dei mezzi di sussistenza. In Esiodo il fuoco è essenzialmente il fuoco che cuoce, il fuoco alimentare, e non ancora - come sarà in Eschilo - il fuoco civilizzatore.


"Ma è questa cottura - nota Vernant - che permette all'uomo d'alimentarsi: senza di essa, egli è condannato a morir di fame; per Esiodo c'è un'equivalenza totale fra l'atto col quale Zeus nasconde alla razza umana il fuoco e quello col quale le nasconde il suo cibo, la sua vita, bíos.

In entrambi i casi, le conseguenze sono analoghe: ora che il grano è nascosto, l'uomo dovrà lavorare una terra che una volta gli offriva un raccolto naturale; ugualmente, il fuoco che Zeus si riserva, rifiutando ormai di dirigere il suo fulmine sulla terra a vantaggio dei mortali, è il fuoco naturale.


Di qui per Prometeo, che vuole salvare la razza umana, la necessità di procurarle un fuoco artificiale, sottratto "nel cavo d'una ferula", en koilói narthéki, cioè nel fusto d'una canna, secondo una tecnica allora utilizzata per il trasporto del fuoco. La conservazione della vita umana si trova dunque assicurata da un atto che ha doppiamente il carattere d'un artificio: esso è la sostituzione d'una tecnica del fuoco ad un fuoco naturale, ed è insieme un'astuzia che prende Zeus alla sprovvista."


Il gesto di Prometeo - suggerisce il passo appena citato di Vernant - evoca il controverso e doloroso passaggio dalla natura alla cultura. Se la produzione del fuoco viene rappresentata come furto ai danni di Zeus, tale passaggio è sentito come una rottura, una violenza sul corpo sacro della natura. In questa prospettiva è un atto di hybris simile a quello di chi viola le distese del mare o la volta del cielo (Dedalo e Icaro). Ci troviamo di fronte ad un'ambivalenza, perché questa hybris fonda una pratica culturale: il fuoco alimentare, cui successivamente si aggiungerà il fuoco tecnico. Questa ambivalenza segnerà la tradizione e l'elaborazione del mito di Prometeo: ogni autore farà i conti con la domanda fondamentale: Prometeo è il benefattore dell'umanità che lotta contro un dio oppressivo, alfiere dell'emancipazione dell'uomo e della sua presa di possesso della natura, oppure è il responsabile della caduta dell'uomo, simbolo di una condotta che non accetta gli invalicabili limiti posti dagli dèi? In Esiodo prevale certamente la nozione della caduta, del lavoro come necessità in uno stretto legame con la presenza del male nel mondo: non a caso Pandora, fonte di ogni male, viene inviata sulla terra come punizione per il furto del fuoco. Eschilo insomma rivolge il suo sguardo all'indietro, all'Eden irrimediabilmente perduto per colpa di Prometeo.



Una prospettiva diversa informa la tragedia Prometeo incatenato di Eschilo (tra il 467 e il 458). Qui il titano si avvicina alla sua immagine classica: difensore degli uomini contro la volontà di potenza di Zeus, disposto a soffrire una pena eterna pur di non abbassare la testa di fronte all'eterno nemico.


Mentre viene incatenato ad una roccia sul Caucaso, Prometeo rivendica orgogliosamente i propri meriti nei confronti del genere umano, rifiutando di piegarsi alla volontà di Zeus che vorrebbe conoscere da lui quel segreto che potrebbe costargli il potere (il matrimonio con Teti).


Se Esiodo - come abbiamo notato sopra - rivolge il suo sguardo nostalgico all'età dell'oro che la hybris di Prometeo ha chiuso per sempre, Eschilo mette in luce come l'uomo beneficato da Prometeo abbia potuto vincere la propria misera condizione originaria. Prometeo ha difeso la causa degli uomini trascurati da Zeus, aprendo loro la strada della cultura, della civilizzazione. Innanzitutto li ha resi "riflessivi, sovrani del loro intelletto", poi ha permesso loro di escogitare tutte le tecniche ("fonte di tutte le scienze ai viventi è Prometeo"), dalla misurazione del tempo all'edilizia, dalla scrittura all'arte nautica, dalla divinazione alla medicina. Due sono i doni di Prometeo: il fuoco tecnico ("una fonte, da trarne la scienza di molti mestieri") e la speranza, quella stessa speranza che - nel racconto di Esiodo - era rimasta nel vaso di Pandora dopo che tutti i mali erano usciti. Che cosa ci dice il dono della speranza accanto a quello del fuoco? Prometeo ricorda che prima del suo dono ("opaco sperare") "era fisso, sbarrato all'ora fatale l'occhio dell'uomo: io lo distolsi". L'uomo viveva nell'attesa della morte, nella consapevolezza della propria fragilità, facile preda della volontà annientatrice di Zeus. Tramite la speranza Prometeo vanifica il piano di Zeus, ma questa volta inganna gli uomini non il padre degli dèi: la speranza è infatti illusione, legame illusorio con il futuro. Scrive Blumemberg: "per persuaderli ad accettare il fuoco, egli li aveva accecati con la speranza, impedendo loro di guardare in faccia la loro vera sorte" (cit., p. 379). Altro carattere del Prometeo titanico di Eschilo è la lucida consapevolezza delle proprie azioni e delle conseguenze (realizzando con ciò il destino scritto nel proprio nome): "Io sapevo le cose fino in fondo. Scelsi io di peccare, non voglio negarlo. Da me ho creato il mio strazio per proteggere l'uomo". Ma anche, nello stesso tempo, il rammarico per non saper giovare a sé stesso: "Io che ho ideato tanti congegni per l'uomo non trovo per me uno scaltro pensiero, sollievo al tormento che ora m'assale. È la mia sofferenza!".


Un'altra importante elaborazione del mito di Prometeo la troviamo in Platone, nel Protagora, in cui viene sottolineata la funzione civilizzatrice del titano, che tramite il fuoco ha permesso la diffusione del sapere tecnico tra gli uomini.


Secondo il racconto platonico - attribuito a Protagora -, gli dèi incaricano Prometeo e Epimeteo di "ordinare" le creature mortali, plasmate dagli dèi stessi, e di "distribuire ad ognuna le possibilità confacenti". Epimeteo ottiene dal fratello di poter procedere alla distribuzione ma, nella sua imprudenza, assegna tutte le doti agli esseri privi di ragione, tanto che l'uomo ne rimane sprovvisto. Per riparare alla sciocchezza di Epimeteo, Prometeo ruba "la sapienza tecnica di Efesto e Atena insieme col fuoco (perché acquisire o impiegare questa tecnica senza il fuoco era impossibile) e ne fece dono all'uomo". Tuttavia ciò non è sufficiente, perché gli uomini non conoscono le norme della convivenza civile e rischiano di estinguersi a causa dei continui conflitti che impediscono la costruzione di una società. Interviene allora Zeus, incaricando Ermes di distribuire a tutti gli uomini "rispetto e giustizia", ossia quella tecnica politica che era rimasta inaccessibile alla scaltrezza di Prometeo.




Nel racconto platonico condizione naturale, tecniche artigianali e tecnica politica sono presentate come tre fasi, cronologicamente successive, della storia dell'umanità: ad ognuna di queste fasi corrisponde l'intervento benefico di un essere sovrumano, Epimeteo, Prometeo, Zeus. Ma la disposizione cronologica non è il fine principale del racconto di Protagora: ciò che egli vuole indicare sotto tale disposizione è il peso dei tre fattori, corrispondenti alle tre fasi, nel quadro della società umana. In primo luogo è sottolineata l'insufficienza delle doti naturali umane ai fini della sopravvivenza. Poi si manifesta l'insufficienza delle tecniche.


"Le tecniche artigianali infatti - osserva Cambiano - non sono l'equivalente globale delle doti animali. Una tecnica artigianale da sola non salva l'uomo: occorre una pluralità di tali tecniche, in grado di scambiarsi servizi reciproci. Ma in tal modo emerge una realtà nuova, la riunione in gruppi, che non è però ancora l'instaurazione di un ordine umano. Le prestazioni reciproche, che sole sono in grado di affrontare positivamente l'assalto degli animali e dell'ambiente, non si sistemano naturalmente. Il fatto stesso che una tecnica possa essere usata in funzione di altri individui può portare alla nascita di conflitti interumani. L'esistenza, che la comunità garantisce nei confronti dei pericoli della natura, è minacciata sotto un altro piano. Sono necessarie quindi le doti politiche (rispetto e giustizia), donate da Zeus a tutti gli uomini, al fine di garantire un'ordinata convivenza civile."


Osserveremo che la definizione di questo ordine naturale e sociale spinge necessariamente nell'ombra il conflitto tra Prometeo e Zeus, che avevamo visto essere invece al centro del racconto esiodeo ed eschileo. In Platone Prometeo ruba il fuoco e lo dona agli uomini senza subire conseguenze, perché tale dono di per sé sarebbe inutile se Zeus non intervenisse a perfezionare l'opera con il dono della virtù politica. Una variante importante introdotta in età classica presenta il Titano come creatore della razza umana (Apollodoro) e il fuoco come il principio spirituale che anima la creatura (Esopo).


Prometeo tra Settecento e Ottocento: i moderni vi si identificano o lo rifiutano come modello da seguire



"Il mitologema di Prometeo - osserva Blumemberg -, in qualunque forma compaia, ha delle implicazioni di critica della civiltà", in quanto spinge ad interrogarsi sulla concezione dell'uomo, della sua origine, del suo rapporto con la divinità, del suo intervento sulla natura tramite l'abilità tecnica. In tal senso si tratta di un mito antropocentrico, un mito che pone le questioni essenziali sull'uomo postulandone la centralità rispetto agli altri enti naturali: l'uomo che Prometeo crea, o per conto del quale agisce, è un essere capace di superare attivamente il condizionamento naturale fino al punto da entrare in conflitto con Giove. Questa centralità del genere umano è - nelle diverse elaborazioni del mito - sostanzialmente indiscussa, sia che venga esaltata (da Eschilo fino a Shelley), sia che se ne descrivano i limiti (da Esiodo fino a Mary Shelley). La domanda fondamentale rimane quella posta da Eschilo: Prometeo è paladino di un'umanità di cui Giove vuole sbarazzarsi o lo scaltro procacciatore di vantaggi a cui l'uomo - "che tramonta col giorno" - non ha diritto, vantaggi che superano la misura umana? Se così stanno le cose, non ci stupisce la straordinaria frequenza con cui Prometeo compare tra Settecento e Ottocento: quale figura più adatta a sviluppare un discorso sulla modernità e sui suoi fondamenti? L'interrogazione verte allora sul potere e i limiti del pensiero critico, sull'idea di un'umanità infinitamente perfettibile, emancipata da vincoli religiosi e padrona della natura. Vediamo rapidamente alcuni esempi.


La cultura illuminista, come è ovvio attendersi, individua in Prometeo il simbolo della lotta dell'uomo contro l'oscurantismo religioso per la costruzione del regnum hominis. Nella voce Grec dell'Encyclopédie, ad esempio, Prometeo è considerato "il genio audace della razza umana", e nelle Lettere sulla mitologia di Theodore Blackwell, come il benefico creatore di una civiltà che ha "trasformato in uomini dei bruti". Il Prometeo ribelle è protagonista di Pandora (1740), opera filosofica di Voltaire. Qui Giove, causa "del male morale e del male fisico" contro cui insorge un Prometeo liberatore, altri non è che il Dio crudele e terribile, giansenista, che ossessiona Voltaire. Conducendo la lotta contro un "tiranno capriccioso e onnipotente", contro l'"eterno persecutore, / creator della sventura", Prometeo proclama "l'eterno divorzio tra la terra e i cieli", lasciando agli uomini le tre forze che li affrancano da Giove: la facoltà creativa, l'amore e la speranza. In questa "lotta" filosofica troviamo già in embrione il titanismo romantico.


Sempre nel '700 si diffonde una lettura in chiave negativa - di matrice, potremmo dire, esiodea (si veda anche Orazio, Odi, I,3). Rousseau (Discorso sulle scienze e le arti, 1750) denuncia in Prometeo l'inventore delle scienze e di conseguenza il pervertitore dell'uomo buono per natura, smarrito in una criminosa socializzazione. Un dramma anonimo (Prometheus or the Rise of Moral Evil, 1775) fa del furto del fuoco, cioè della disobbedienza, la fonte di tutti i mali.

In queste ed altre opere, il mito serve dunque a ricusare il progresso delle scienze, che, dando all'uomo un'ingannevole fiducia in se stesso, lo allontana dai veri valori; in questo, Rousseau e i teologi si trovano uniti nella protesta contro lo spirito dell'Illuminismo. Questa divaricazione, che ripropone l'ambivalenza già evidenziata all'altezza delle elaborazioni greche, si ripresenta in età romantica. Ritroviamo questa duplice lettura del mito all'interno della famiglia Shelley:  Percy, celebra nel Prometeo liberato (1820) la vittoria di Prometeo sul tiranno Giove, cioè il trionfo della potenza civilizzatrice dell'uomo, la fiducia romantica nella sua infinita perfettibilità; Mary, nel Frankenstein, o il Prometeo moderno (1818) mostra le incontrollabili conseguenze a cui può condurre una smisurata presunzione di potenza, la pretesa di violare le leggi più sacre della natura.


"...ora che avevo finito, la bellezza del sogno svaniva e un orrore e un disgusto soffocanti mi riempiono il cuore". Il dottore dopo aver lavorato duramente per due lunghi anni con il solo pensiero di infondere vita alla sua creatura, terminato il suo lavoro è incapace di provare gioia ma solo orrore alla vista di quell'essere così abominevole. Nel tempo l'orrore viene affiancato da un logorante senso di colpa; il mostro oltre ad essere repellente alla vista degli uomini coltiva anche un'indole malvagia che lo porta a compiere una serie di delitti. Frankenstein si rende conto di aver dato vita a una creatura capace solo di portare distruzione e morte e per questo si ritiene il principale colpevole delle atrocità commesse dal mostro. Nell'immaginazione collettiva la parola "mostro" viene associata ad un essere malvagio, ma non è così per la creatura animata da Frankenstein. All'inizio la sua mostruosità è solo fisica; non avendo ancora avuto contatti con gli altri esseri umani la sua indole si rivela essere buona. Come ogni altro essere umano è desideroso di intraprendere rapporti con gli altri, ma essendo consapevole del suo aspetto deforme capisce che l'unico modo per ottenere ciò è quello di imparare ad esprimersi nel linguaggio degli uomini.

Per questo il mostro si stabilisce in una capanna accanto ad una casa di contadini e osservando i loro comportamenti quotidiani dà inizio alla sua formazione completata dalla lettura di tre libri: "Il paradiso perduto" di Milton, un volume delle vite di Plutarco e "I dolori del giovane Werther" di Goethe. Grazie a questi "tesori" il mostro comincia a conoscere e a classificare i sentimenti che lo porteranno a prendere coscienza della sua diversità. "... la mia persona era ripugnante: cosa significava questo? Chi ero? Che cosa ero? Da dove venivo? Quale era la mia destinazione?...".

Cresce in lui l'invidia per la felicità dei suoi protettori ma al tempo stesso anche la voglia di avere un rapporto con queste persone che lo avrebbero certamente accettato per le sue buone qualità morali. Il mostro tenta così un approccio, ma invano, in quanto viene rifiutato e scacciato. Accecato dall'ira e dallo sconforto fugge e inizia a coltivare odio nei confronti del suo creatore e di tutto il genere umano, incapace di vedere oltre il suo aspetto fisico. Comincia così a premeditare la vendetta: eliminare tutte le persone care a Frankenstein, suo padre. Dopo avere tentato inutilmente di integrarsi nella società, la creatura adegua l'indole al suo aspetto: non più sentimenti buoni, ma solo malvagità.


Rousseau



Contro l'ottimismo dell'idea di progresso degli illuministi, Rousseau descrive l'azione di corruzione esercitata dallo sviluppo della civiltà e quindi delle scienze e delle arti sulla vita morale degli uomini. Dalla comparazione tra mondo greco-romano e mondo moderno Rousseau ricava la dimostrazione del progressivo passaggio dalla semplicità dei costumi e dall'autenticità delle relazioni sociali alla corruzione, l'egoismo, l'ipocrisia, la perdita di libertà, la disuguaglianza. Nel secondo Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza Rousseau sviluppa lo stesso tema attraverso una distinzione tra "uomo naturale" e "uomo sociale". All'idea condivisa dai razionalisti di un'origine "naturale" delle relazioni sociali, Rousseau oppone l'idea che l'uomo sociale non abbia più nulla di naturale. Rousseau si spinge fino a descrivere concretamente, e letterariamente, lo sviluppo storico che dallo stato di natura, semplice e autentico, portò l'uomo allo stato sociale, corrotto e artificiale.


Nel saggio Discorso sulle scienze e sulle arti (1750), scritto in seguito ad un concorso indetto dall'Accademia di Digione sul tema: "La rinascita della scienza e delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi?". Rousseau, che otterrà il primo premio, rivelò una personalità originale, con una forte determinazione ad andare al cuore dei problemi e desiderosa di rinnovamento e di rigenerazione radicale della società. In apparenza, l'assunto sembrava sostenere che le scienze e le arti non hanno contribuito al progresso bensì al regresso della civiltà, fiaccando gli animi e distogliendoli dal perseguimento delle più autentiche virtù civili e sociali. In realtà, il Discorso non criticava né la cultura né il sapere in sé. Li criticava solo nella misura in cui, tradendo la loro più vera missione, essi non operavano per il miglioramento dell'umanità, rendendosi talora persino complici del rammollimento dei costumi. Non dimentichiamo le responsabilità politiche che scienze ed arti hanno avuto (ed hanno) nello sviluppo del dispotismo repressivo degli Stati moderni. Rousseau vagheggia invece la polis dell'antichità, cioè è convinto che la mirabile armonia tra individuo e comunità, tra cultura e politica che fu un tempo di Atene e Sparta, dovrebbe essere il traguardo ambìto anche delle nazioni moderne.


Nel Discorso sull'origine della disuguaglianza tra gli uomini (1754), che Rousseau scrisse per un altro concorso, sempre bandito dall'Accademia di Digione, esordisce dicendo che l'uomo di natura non è tanto un essere buono quanto un essere dotato di tendenze e istinti positivi. Per natura l'uomo è solo aperto al rapporto intersoggettivo ed è solo sollecitato, dall'istinto di perfettibilità, al proprio perfezionamento.

Il pessimismo di Gadda:

la tecnologia contro l'uomo



Il primo avvicinamento di Gadda alla scrittura si realizza nel folto diario steso durante gli anni di guerra dal 1915 al 1919 per scopi di svago, memoria e sfogo. Edito nel 1955 con il titolo di Giornale di guerra e di prigionia, in esso annota con puntuale ed accanita precisione le traversie quotidiane dell'esperienza bellica e soprattutto registra - tra tumultuosi sentimenti di rabbia ed indignazione e tetra malinconia - gli orrori e le irresponsabilità di superiori e compagni, l'inadeguatezza generale, la mancanza di senso civile dei connazionali (Gadda si stupisce amaramente di vedere che a Milano la gente "si diverte, passeggia, chiacchiera come se nulla fosse"). Tutto ciò è in forte, stridente contrasto con il suo fervido e rigoroso patriottismo interventista, ancorato con solidità alla difesa dei più alti valori borghesi, patriottismo che non può non venirne dolorosamente messo in crisi. A livello di contenuti, è  notevole la continua collisione tra il severo rigore e la disciplina di colui scrive e lo sfascio generale circostante. Da questa rabbiosa protesta e denuncia di Gadda, si sviluppa l'invettiva contro l'inefficienza, la colpevole incuria e la vacua retorica della guerra.


Nel 1924 lo scrittore avvia il suo primo esperimento di un romanzo che non concluderà, ma per il quale stila un titolo, Romanzo italiano di un ignoto del novecento: "Il caos del romanzo deve essere un'emanazione della società italiana del dopoguerra (non immediato) con richiami lirico-drammatici alla guerra (nostra generazione) e forse al preguerra (infanzia, adolescenza)". Si possono individuare in questo breve passo una serie di punti chiave del lavoro di Gadda: la percezione della realtà come "caos"; l'attenzione acuta alla società italiana, che pur deformata e alterata resta al centro di tutta la produzione gaddiana; la traumatica esperienza della guerra rimasta nella memoria dell'autore e spesso riattivata nella scrittura.


Gadda non è solo narratore, ma anche autore di riflessioni vertenti su temi filosofici (Meditazione milanese), che si incentrano sui più vari sistemi disciplinari e conoscitivi, quali filosofia, scienza, logica e morale. I metodi di conoscenza non vanno intesi come strumenti universali di appropriazione e sistematizzazione della realtà - e qui si contrappone all'atteggiamento positivista ottocentesco -, si tratta di prendere coscienza della relatività di qualsiasi sistema e punto di riferimento della conoscenza e di sforzarsi di penetrare nella uniformità del reale con uno scavo che non ne risparmi nessun aspetto. Adesione al fatto. A livello della Meditazione Gadda è ancora convinto della possibilità dell'artista di "mettere in ordine il mondo", in opposizione ai sistemi aggrovigliati, mobili e contraddittori del mondo e della vita; ma con il tempo prevarrà il pessimismo, e allora riverserà nelle sue opere letterarie tutta la mutevolezza ingovernabile dei fatti e delle psicologie.


Il 1928 è un anno importante per l'ingegnere milanese, perché ad esso risale parecchio lavoro creativo: avvia (completandone una prima stesura) una "novella.lunga", che intitola dapprima La passione per la meccanica, poi semplicemente La meccanica. Nonostante l'incompiutezza (incompiutezza che resterà una costante delle imprese narrative di Gadda) rappresenta un importante momento nella sua progettazione romanzesca: il testo raffigura la complessa e amara realtà sociale della guerra e del primo dopoguerra. Mette in scena popolani, borghesi e alto borghesi satiricamente ritratti, sul filo lungo e attorcigliato di una continua divagazione.

La Meccanica "è l'espressione della mia amarezza di italiano, di nazionalista, di soldato, per il male che precedette l'intervento e stagnò nella guerra, mefitico" (così Gadda nella lunga premessa); si cimenta già nel suo plurilinguismo giocando tra termini colti e quotidiani, con qualche inserto dialettale. E, nel campo strutturale, forza e deforma la costruzione tradizionale e oggettiva del romanzo con continue aperture digressive ed escursioni centrifughe che gli fanno trascurare l'architettura unitaria della storia inserendo saporiti dettagli, seguiti all'infinitesimo e catalogando così il reale nella sua varia, mobile, intricata confusione di elementi plurimi. I punti di vista si intersecano, le divagazioni allontanano da un presunto "centro", il catalogo analitico dei particolari sembra inarrestabile e documenta un reale aperto, irriducibile ad unità. "Ma in realtà la vita è un intreccio e quale ingarbugliato intreccio! [.] La trama complessa della realtà". Il gusto ossessivo e quasi maniacale per il catalogo è uno strumento attraverso cui Gadda sonda le infinite combinazioni del reale disperdendosi nella sua esuberante molteplicità; o le invettive radicali contro l'imbecillità e contro il culto dell'io, contro i valori borghesi tradizionali della famiglia, della figliolanza; o il "pessimismo eversivo" ma conservatore di chi non crede in una società migliore. Egli la disprezza e non ha fiducia nella sua opera.




Gadda non sviluppa una sua personale interpretazione del mito prometeico, ma polemizza contro l'atteggiamento di coloro che l'hanno adottato a loro modello: critica apertamente i seguaci del "mito del progresso", eredi della concezione positivista secondo la quale la società è in continuo sviluppo e miglioramento. Profondamente deluso per aver visto distrutti i suoi ideali patriottici e dispersi i valori morali del singolo individuo, identifica nella guerra e nelle sue tragiche conseguenze l'espressione palese del degrado e del regresso del mondo; nella dinamica di questo conflitto, nel quale emergono tutti gli istinti bestiali e gli atteggiamenti disumani di soldati, politici e civili, si intravede la decadenza non solo delle passate tradizioni, ma anche un effetto paradossale della tecnologia.

Pare proprio che nella massima espressione della propria potenza, l'uomo distrugga se stesso: la guerra, in cui si afferma il più forte, e a vincere la partita è il migliore, chi è ben organizzato e preparato, vede la morte di colui che l'ha resa possibile. "Chi lamentava in anticipo il proprio martirio [.]: chi sfoggiava crudezze realistiche paragonando il battaglione a una mandria convogliata verso il macello".


Il tempo ed il progressivo sviluppo delle capacità umane hanno portato a numerose scoperte: l'applicazione di tali novità in campo scientifico e bellico paiono le migliori utilizzazioni possibili, atte all'affermazione dell'insuperabile facoltà dell'uomo di migliorarsi.

" Fu insomma un miracolo di volontà e di lavoro metter in piedi qualche cosa come un esercito in dieci mesi, magazzini vuoti riempirli, levar soldati e allinearli in quello schema così poco neolatino ch'erano i reggimenti di linea"

Si giunge alla creazione di micidiali strumenti distruttivi, armi altamente sofisticate e sempre più difficili da contrastare :"I torni e i baleni delle acciaierie e tutti i fuochi fumavano: color fuoco i lingotti, presi da graffi, il maglio potente li lavorava". Ecco come l'uomo crede di poter migliorare la propria vita, distruggendo la terra e dando luogo a tremendi massacri. "V'erano armi nella terra de' maravigliosi poemi e dei sonetti con la coda".

Gadda dunque sviluppa una concezione negativa di questo mito del progresso, che tanto entusiasma i grandi protagonisti della storia del primo novecento: così la tecnologia agisce contro l'uomo e non a suo vantaggio. La società entra in crisi, i valori tradizionali vengono abbandonati per adottarne di nuovi, legati alle  scoperte tecniche che ormai dominano il mondo. "Chi declamava contro la scritta cavalli otto, uomini quaranta, trovando che una leggenda simile è indelicata, anzi, addirittura disumana; e contrasta con lo spirito civile de' tempi, con il progresso". Sembra che non si possa porre freni né limiti alla scienza : come un treno che non sosta mai, ma accelera con il passare del tempo, saltando le stazioni e diretto verso un orizzonte indefinito.


La scienza del futuro: emula del Titano



Le biotecnologie


Con il termine biotecnologia si intendono sia le biot. tradizionali sia quelle innovative. Le prime comprendono processi ormai consolidati, come quelli basati sui processi fermentativi impiegati per la panificazione e la preparazione di bevande (Pasteur). Le attuali biot. innovative consistono nell'applicazione integrata delle conoscenze acquisite nei campi della biologia, della chimica e dell'ingegneria di progresso. Sono tecniche consistenti nell'utilizzo di organismi viventi o parti di essi (cioè microrganismi, cellule animali e vegetali e i loro enzimi) allo scopo di produrre quantità commerciali di prodotti utili, o per migliorare le caratteristiche di piante ed animali; applicando queste tecniche gli scienziati sono in grado di creare "fabbriche" sofisticate di batteri, muffe o lieviti che usano le nuove informazioni del loro patrimonio genetico per produrre, a basso costo e su larga scala, farmaci ed altre sostanze utili all'uomo. Infatti le aree applicative delle biot. innovative sono innumerevoli. Esse vanno dalla sanità, con la produzione di nuovi farmaci e nuovi vaccini, all'agricoltura, con il miglioramento della produttività e della resistenza delle piante; dall'industria alimentare, con la messa a punto di tecniche di conservazione degli alimenti e produzione di biomasse da utilizzare come alimenti umani o animali, alla zootecnia; dalla protezione dell'ambiente alla rigenerazione di fonti di energia.



 L'ingegneria genetica


La tecnologia che permette di tagliare, modificare e trasferire geni da una cellula ad un'altra (anche di specie diverse), si chiama ingegneria genetica o tecnica del DNA ricombinante (DNAr). Sebbene la parola "ingegneria genetica" sembri terribile e futuristica, poche persone ne conoscono pienamente il significato. In poche parole l'ingegneria genetica funziona così: un tratto di DNA, che controlla le caratteristiche fisiche, di crescita e sviluppo dell'essere vivente, viene isolato dal DNA di un altro organismo e trasferito nel DNA di un altro. Si crea un terzo organismo che differisce completamente dai due precedenti. Un prodotto viene modificato geneticamente per diversi motivi; ad esempio per renderlo resistente agli agenti patogeni o al gelo, per mantenerne il sapore o per accrescerne il valore proteico. Al momento sono in commercio diversi prodotti geneticamente modificati, tra i quali troviamo pomodori, soia, papaia, patate.



I principali vantaggi per l'uomo


Le biotecnologie consentono di proteggere più efficacemente la salute dell'uomo perché permettono di curarci meglio. Migliorando la prevenzione, grazie a nuovi alimenti curativi, ai vaccini, al risanamento dell'ambiente. Sarà poi possibile diagnosticare sempre più precocemente le malattie che potranno essere curate grazie a nuovi farmaci più diretti e efficaci, anche contro malattie come cancro ed AIDS. Le biotecnologie possono altresì aiutare a sconfiggere la fame nel mondo perché permettono la coltivazione di terreni aridi o troppo salati, fino ad oggi nemici dell'agricoltura; permettono di aumentare la quantità di raccolto e di ridurre le perdite dovute ad infestazioni di parassiti; permettono l'allevamento di bestiame da carne più sano, più robusto e rapido nella crescita.


Settori di Applicazione


Sanità


. pr. ormoni naturali o modificati (superormoni)

. pr. fattori di crescita specifici di determinati organi e tessuti

. pr. enzimi a scopo terapeutico

. pr. antigeni microbici, virali o parassitari per ottenere vaccini che non potranno più essere prodotti con metodi tradizionali (malaria)

. pr. proteine umane a scopo terapeutico (interferone)

. pr. antibiotici e vitamine

. diagnosi prenatale di malattie ereditarie ed eventuale correzione mediante introduzione di gene normale


Biotecnologie e cancro: i biologi molecolari sono riusciti a studiare alcune variazioni nei cromosomi degli eucarioti che sono i responsabili del cancro. Gli studi vengono effettuati su cellule in coltura, dove è possibile visualizzare l'insorgere della trasformazione cellulare osservandone sia l'aspetto, sia la qualità della crescita.

Il cancro è una patologia in cui le cellule non rispondono più alla normale regolazione delle funzioni, in quanto sono trasformate, per cui invadono i tessuti e li distruggono (le cellule sane hanno una loro forma precisa, un loro aspetto ed un tipico ritmo di crescita). Ormai si dà per scontato che tale trasformazione è una proprietà ereditari della cellula, nel senso che tutte le sue discendenti presentano lo stesso difetto.
Inoltre nelle cellule cancerose si verificano anomalie dei cromosomi e gli stessi agenti che provocano la malattia (come sostanze chimiche, raggi X, UV, fumo di tabacco) sono anche mutageni, nel senso che provocano variazioni dl normale corredo cromosomico. Gli stessi virus oncogeni (onkos, tumore) apportano nuove trasformazioni nei geni delle cellule che infettano. La causa di questa ribellione improvvisa delle cellule eucariote pare sia dovuta a particolari geni detti appunto oncogeni (ad oggi se ne conoscono una quarantina), i quali sintetizzano proteine specifiche, che dettano la loro personale legge sul controllo della crescita e della divisione cellulare, legge che non corrisponde a quella normale. Grazie alle scoperte sul DNA, quindi, e alla capacità di verificarne le funzioni attraverso le nuove tecnologie, l'oncologia e la genetica stanno diventando sempre più due discipline interdipendenti



Zootecnia e Agricoltura


. pr. vaccini, vitamine, ormoni e fattori di crescita animali

. miglioramento della qualità alimentare delle proteine vegetali spesso carenti in amminoacidi essenziali

. pr. proteine vegetali equivalenti, dal punto di vista nutrizionale, a quelle animali

. piante: resistenti a infezioni virali; in grado di produrre composti con proprietà terapeutiche

. sementi

. biopesticidi


Piante ed alimenti vaccinati: uno dei problemi principali affrontati dai ricercatori è quello di conferire a frutta ed ortaggi l'immunità verso infestanti di diversa natura; si sta cercando di creare varietà dotate di un patrimonio genetico in grado di esprimere una risposta immunitaria, un'autodifesa efficace come quella dei vertebrati. La tecnica si basa sul concetto che i vertebrati dispongono di un efficiente sistema immunitario, mentre le piante hanno difese più rudimentali, inoltre molte di esse riescono a rigenerare l'organismo a partire da singole cellule: dal pezzetto di foglia si è infatti riusciti ad ottenere piante intere, transgeniche, che oltre ai geni normali, ne hanno uno di più, prelevato da un animale.

Una delle scoperte più entusiasmanti in materia di difesa delle piante è la biolistica (sintesi di biologia e balistica): per salvare il riso dalle malattie gli scienziati hanno "sparato" nelle sue cellule piccole biglie d'oro ricoperte di geni antimalaria!!



Chimica e Energia


. pr. prodotti chimici intermedi

. pr. enzimi

. miglioramento di ceppi di microrganismi che possono concentrare o modificare alcuni metalli (lisciviazione). utilizzazione della biomassa (materia prima rinnovabile) al posto di prodotti fossili, come petrolio e carbone, le cui riserve non sono illimitate, per la produzione di nuovi vettori energetici

 

l'estrazione dei minerali: vengono impiegati microrganismi (batteri "divoratori di roccia) per l'estrazione dei minerali: essi si servono delle pietre come fonte di energia e producono sostanze corrosive (come l'acido solforico), che intaccano le rocce circostanti sciogliendo molti minerali metallici in esse contenuti (lisciviazione)




Bioetica


La bioetica sta diventando un'importante disciplina accademica: è quella parte della filosofia morale relativa agli interventi dell'uomo in campo biologico e medico. Mentre per le fermentazioni nessuno aveva mai sollevato questioni morali, il grado di accettazione delle biotecnologie avanzate è ancora piuttosto basso rispetto alle aspettative dei ricercatori, specie per quanto riguarda la genetica applicata all'uomo e agli animali. Il mondo è diviso tra sostenitori e contrari: il dibattito è destinato a continuare, anche se per tentare di dare un certo ordine, i diversi Comitati di Bioetica esistenti stanno assumendo le loro posizioni, spesso contrastanti, nonostante l'obbiettivo comune sia quello di evitare aberrazioni e abusi delle nuove scoperte. Infatti l'enorme potenziale sviluppato dall'ingegneria genetica ha reso necessaria la nascita di norme volte a regolamentare i problemi che le innovazioni scientifiche pongono;


coloro che si occupano di bioetica non bandiscono a priori il progresso delle biotecnologie, anzi sono tutti d'accordo nel consentire: la produzione di animali transgenici da usare per le sperimentazioni delle cure per certe malattie, dall'Alzheimer al cancro (vengono prodotti topi programmati per ammalarsi di queste patologie); l'utilizzo di porzioni di patrimonio genetico o di cellule viventi per curare malattie, per produrre farmaci o vaccini per risanare l'ambiente o per ottenere in agricoltura piante più resistenti ai parassiti.

La raccomandazione del consiglio d'Europa chiede invece ai governi di proibire: la creazioni di embrioni umani con fertilizzazioni in vitro allo scopo di ricerca, la creazione di esseri umani identici ottenuti mediante clonazione, l'impianto di un embrione umano nell'utero di un animale o viceversa, la fusione di embrioni o qualsiasi altra operazione che possa produrre chimere, la creazione di gemelli identici da cellule riproduttive umane. L'industria biotecnologica europea riconosce le proprie responsabilità e le ha raccolte in un "codice" di valori approvato a Bruxelles nel 1998; tali valori sono condivisi e applicati da 14 associazioni nazionali rappresentative di 50 gruppi imprenditoriali. Inoltre la normativa internazionale è in continua evoluzione e tende semmai a porre maggiori limiti piuttosto che ad allentare i controlli. Ad oggi i principali punti di dibattito della bioetica nell'ambito delle biotecnologie avanzate sono i seguenti:



. il progetto di mappatura del genoma umano

. la ricerca sull'embrione umano

. la terapia genica

. l'uso della fertilizzazione in vitro

. la brevettazione delle forme di vita e del DNA animale e umano

. la clonazione

. la salvaguardia della privacy in seguito a test genetici sui neonati



Ottimismo e pessimismo



Nella tecnica l'uomo, essere "incompiuto" per natura, incontra un elemento con cui compiersi. Fabbricando utensili, contribuisce a liberarsi dal regno della necessità per accedere a quello della libertà; egli conforma a sé il mondo che all'inizio gli è disadattato e perfino ostile, trasformandolo in qualcosa di coerente con lui. Inserendosi nella natura per "imitarla", ripararla, correggerla, utilizzarla, la tecnica appare come una risposta e una terapia al male di natura (malattia, dolore, povertà, ecc.) che attacca l'uomo. Essa favorisce l'opera di autostrutturazione antropologica mediante cui l'individuo organizza se stesso e l'ambiente, completando la scarsità della dotazione naturale. Con tale impegno collettivo esercitato sin dalle più antiche epoche si produce un uomo in grande ricco di creatività e di risorse. Nel processo viene coinvolta la struttura plastica dei bisogni umani, che premono per una loro più raffinata soddisfazione. Che i bisogni primari vadano soddisfatti non cade dubbio, ma il modo può variare enormemente in una scala dal basso all'alto. Per esemplificare: se il nutrimento quotidiano di un uomo deve raggiungere un certo numero di calorie, queste possono provenire da cibi scadenti o via via più curati e sapidi.


Se la tecnica ci appare antica quanto l'uomo, un'esplicazione dell'essenza umana senza di cui difficilmente egli si sarebbe salvato entro il cosmo, sono palpabili i timori verso la tecnologia: da quello legato all'eccesso di ordine e di controllo sociale ad opera delle tecnocrazie, alla recente paura per i rischi di caos emergenti dalla manipolazione della vita, al disagio per la complessificazione e intellettualizzazione del vivere. Il troppo successo che si attribuisce alla tecnica fa sorgere interrogativi severi: lo sviluppo tecnologico è diventato lo scopo di tutti gli scopi, perché è il mezzo di tutti i mezzi, quel mezzo universale che li rende possibili tutti? E' lo sviluppo tecnologico ormai un imperativo categorico per l'umanità? E' ancora possibile per questa fare ritorno ad un'epoca di minor tecnologia o a una tecnologia più "dolce" verso la natura?


Non appena si varca tale soglia si manifestano atteggiamenti polari nei confronti della tecnica, divisi tra valutazioni progressiste-ottimistiche e apocalittiche-pessimistiche. I favorevoli richiamano a buon diritto l'attenzione sui suoi benefici: emancipazione dell'uomo dalla condizione di bestia, di strumento; dalla fatica disumana; dal bisogno; dalla malattia; aumento del suo potere di disposizione e del tempo libero; possibilità di accedere ai beni della cultura, ecc. Con eguale diritto gli oppositori gettano le accuse: promozione di un mutamento continuo e dunque civiltà senza radici; abbandono del passato e distruzione delle tradizioni; inquietudine; eccesso di proiezione verso il futuro; declino della capacità di riflessione; massificazione e livellamento; volontà di potenza che può esplicarsi nel controllo totale; squilibrio tra l'abbondanza dei mezzi e la povertà degli scopi.
Ciò che il senso comune avverte, ossia il carattere intrinsecamente ambivalente della tecnologia, può essere fondato non appena si ponga mente che al lato della scienza-tecnica per cui essa è apportatrice di benefici si accompagna quello per cui è foriera di danni. Là dove si sviluppano nuove possibilità energetiche, ciò vale tanto per costruire quanto per distruggere. Questa intrinseca ambivalenza accompagna come un'ombra ogni sviluppo tecnologico: ogni nuovo potere raggiunto dall'uomo si presta a diventare potere sull'uomo.




Una risposta: Jonas



Hans Jonas si è imposto alla attenzione degli studiosi per la sua "etica della responsabilità", concepita per affrontare le sfide inquietanti dell'ecologia in una civiltà tecnologica minacciata dall'autodistruzione. Il suo originale concetto di "responsabilità" concepita come impegno morale e civile nei confronti degli esseri, ma anche delle cose, compreso il nostro pianeta, ha avuto grande risonanza nel dibattito etico e bioetico degli ultimi anni.

L'uomo di Jonas è costruito sulla tradizione teologica ebraica : per un verso è un immagine del Dio sofferente e che si prende cura , per l'altro è l'immagine di un Dio che ha rinunciato all'onnipotenza e che accetta per questo l'ambiguità. L'ambiguità è il dato fondamentale dell'uomo così concepito. Ambiguità vuol dire poter scegliere tra il bene e il male, di essere buono o cattivo; voler eliminare questa ambiguità significa, per Jonas, eliminare la libertà dell'uomo. Questa antropologia della autolimitazione dell'uomo è polemica nei confronti delle moderne antropologie che sottolineano la centralità dell'uomo, o meglio il dominio dell'uomo sulla natura, l'atteggiamento tracotante e aggressivo di voler sottomettere la natura. Jonas critica anche lo spazio dell'utopia soprattutto nella sua aspirazione a dare una soluzione una volta per tutte al rapporto di osmosi tra uomo e natura , tra società e natura . Quello utopico è un mondo caratterizzato dalla dinamica dell'accrescimento dei beni e dei prodotti, dal dinamismo di crescita degli uomini: il problema demografico assume in Jonas una centralità che non è presente in tanti altri pensatori .Non si tratta solamente di un tratto moderno della hybris ma qualcosa che rimanda molto più indietro al messaggio religioso di "crescete e moltiplicatevi ", a rischio che questo messaggio , calato in una realtà di dinamismo economico-sociale propriamente moderno possa deflagrare e possa creare i problemi che conosciamo.


A questo punto possiamo tematizzare meglio l'aspetto innovativo del pensiero di Jonas sul piano etico-politico, che possiamo cogliere nella sua capacità di individuare i problemi del nostro tempo come questioni etiche di sopravvivenza più che semplicemente come questioni che riguardano la qualità della vita. Jonas pone al centro della sua posizione filosofica la questione della sopravvivenza , in base alle minacce specifiche che si affacciano all'orizzonte contemporaneo.
Triplice è per lui la natura del rischio: in primo luogo la catastrofe nucleare , in secondo luogo il collasso ecologico , in terzo luogo il rischio della manipolazione genetica che può condurre ad una perdita della unità e dell'integrità del genere umano, attraverso la creazione di sottoclassi biologiche tra loro differenziate . Se questo è il rischio, il problema centrale per la filosofia diviene , a suo modo di vedere , quello dell'obbligo nei confronti delle generazioni future, di chi non esiste ancora e, in quanto tale, non può avanzare dei diritti. Jonas ritiene , a differenza di tanti filosofi contemporanei, che non si possa parlare dei diritti delle generazione future perché chi non esiste non può avanzare pretese e non è capace di una relazione di reciprocità (i diritti sono sempre correlati a dei doveri). Ebbene, l'archetipo di questo rapporto è il modello della responsabilità parentale: di un essere che può dare risposte ad un essere che non esiste ancora e che non è in grado di rispondere in maniera adeguata. Noi dobbiamo decidere per le generazioni future.


Da un punto di vista politico è interessante notare come Jonas metta in luce che i caratteri di fondo di questa obbligazione asimmetrica fra genitori e figli sono quelli che si ritrovano anche nella obbligazione politica, nel senso che l'obbligazione di responsabilità è una obbligazione totalizzante (riguarda la totalità dell'essere di cui si prende cura), è una relazione continuativa che figura nel tempo (non ci si cura dei figli in modo intermittente); ed infine concerne il futuro dell'esistenza, non il presente .


Inoltre Jonas coglie bene la questione di fondo dei nostri sistemi politici, in quanto le nostre democrazie teorizzano la politica in termini di diritti, e quindi hanno una prospettiva universalistica, però poi la praticano in termini di utilità, e quindi in modo particolaristico, perché le utilità o sono sempre le utilità di un gruppo nazionale contrapposto agli altri oppure, all'interno di un gruppo, determinate categorie, che dicono di voler difendere i loro interessi. A questo riguardo Jonas si spinge addirittura a sostenere la prospettiva di una tirannia ben intenzionata, di un governo dei custodi (tratto chiaramente platonico) che costituisca un problematico ma praticabile esito del tentativo di coniugare insieme una prospettiva universalistica con il relativismo politico. La sua non vuole affatto essere un'apologia dei governi tirannici quanto cercare una soluzione compatibile con i governi liberali e democratici odierni: un governo capace di dare risposte, competenze tecniche sorvegliate e controllate da un progetto universalistico ai problemi che rischiano di travolgere non soltanto le istituzioni esistenti ma addirittura le condizioni di sopravvivenza del genere umano.

Bibliografia



Argomento:  L'uomo moderno si identifica in un nuovo

Prometeo?




Letteratura Greca: Esiodo, Teogonia, Rizzoli, Milano, 1997

Esiodo, Opere e giorni, Rizzoli, Milano, 1993

Eschilo, Prometeo Incatenato, Garzanti, Milano,


Platone, Protagora, Rizzoli, Milano, 1999


Critica Vernant, Mito e pensiero presso i Greci, Einaudi,

1970 (pag.275)

G.Cambiano, Platone e le tecniche, Einaudi, 1971

(pag.16)


Letteratura Italiana:   C.E.Gadda, La Meccanica, Garzanti, Milano, 1999



Letteratura Inglese:  M.W.Shelley, Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno, Mondadori, Milano, 1994



Filosofia:  H.Jonas, Il Principio Responsabilità, Einaudi,

Treviso, 1999

(I cap: pag. da 3 a 32; II cap: pag. da 33 a 49; V cap: pag. da 175 a 178- da 205 a 211; VI cap: pag. da 282 a 286)

H.Blumenberg, Elaborazione del mito, Il Mulino,

Bologna

(III parte: pag. da 367 a 422)

C.Ciancio-G.Ferretti-A.Pastore-U.Perone, Profilo di Storia della Filosofia, SEI, Torino, 1996

(capitolo dedicato a Rousseau)



Scienze:  M.C.Ferri, Biotecnologie, SEI, Torino, 1999

(I cap: pag. 5; IV cap: pag. da 22 a 30; XII-XIII-XIV-XV-XVI cap: pag. da 78 a 125; XIX cap: pag. da 137 a 140)







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