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Ugo Mulas (1928-1973)

fotografia



Ugo Mulas (1928-1973):


da ragazzo si iscrive alla Facolta di Giurisprudenza presso l'Università Statale di Milano, ma non porta a termine il percorso universitario perchè la frequentazione di una serie di amici, alcuni dei quali diventeranno poi artisti famosi, lo porterà a maturare nuovi interessi e a dedicarsi interamente alla fotografia. Inizia come autodidatta fotografando dapprima gli amici del bar Giamaica a Brera ed in seguito si occupa di fatti di cronaca. Successivamente si dedica alla documentazione di opere di artisti iniziando proprio dalle persone più vicine a lui per giungere alle documentazioni sulle Biennali di Venezia, dove conosce gli artisti americani della Pop-Art,e decidendo di realizzare un libro che sarà pubblicato in seguito con il titolo: "New York arte e persone", nel quale tenta sempre di operare una fotografia che consenta di comprendere i meccanismi creativi degli artisti.

In america l'incontro con Robert Frank e la conoscenza dei lavo 545b18f ri di Lee Friedlander stimolano la presa di coscienza del fotografo sulle modalità del suo operare,non semplice testimonianza neutrale ma ma scelta responsabile dell'attimo oltre che del luogo.



In Italia realizza lavori di documentazione di opere teatrali come "Il Galileo" messo in scena al Picccolo di Milano da Streler, oltre che a lavori di tipo più prettamente industriale. Molti sono anche i ritratti di personaggi celebri sempre studiati con grande attenzione.

Realizza molte pubblicazioni fra le quali "Fotografare l'arte" con l'amico scultore Pietro Consagra e l'introduzione di Umerto Eco, ma soprattutto "La fotografia" un libro pubblicato nella collana letteratura dell'Einaudi che raccoglie un po' tutto il suo percorso acompagnato da una serie di riflessioni scritte sui diversi lavori svolti.

Alla fine della sua vita, quando la malattia lo costringerà a delle lunghe pause di sospensione del lavoro, nelle quali poter riflettere, avrà il desiderio di andare a ripensare che cosa sia stata per lui la fotografia stessa, il suo rapporto con la fotografia, cosa ha significato per lui dedicare tanto tempo al correre dietro alla realtà. Queste riflessioni porteranno alla creazione delle 'Verifiche', una serie di fotografie che rappresentano il momento più alto della sua presa di coscienza su tutta una carriera, operazione sentita come necessaria anche a causa di quella mancanza iniziale di conoscenza di ciò che era la fotografia :" Ho chiamato questa serie di fotografie verifiche perchè il loro scopo era quello di far toccare con mano il senso di operazioni che ho ripetuto cento volte al giorno senza mai fermarmi una volta a considerarle in sè stesse".

L'introduzione alle "Verifiche" rappresenta ancora oggi un momento di rara lucidità sull'operare del fotografo. "Oggi la fotografia con i suoi derivati, televisione e cinema, è dappertutto in ogni momento. Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre più con gli occhi degli altri. Potrebbe anche essere un vantaggio ; migliaia di occhi invece di due, ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi, seguono una operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione. anche inconsapevolmente migliaia di occhi sono collegati a pochi cervelli a precisi interessi a un solo potere. Così i nostri occhi anzichè trasmetterci informazioni genuine magari povere ci investono con infinite informazioni visive doppiamente stordenti perchè la loro falsità si cela sotto una sorta di splendore, si finisce con il rinunciare alla propria visione che ci pare cosi povera, rispetto a quella elaborata da migliaia di specialisti della comunicazione visiva e a poco a poco il mondo non è più cielo, terra, fuoco e acqua, ma è carta stampata, fantasmi evocati da macchine sempre più perfette e suadenti."

Il discorso che giunge all'inizio degli anni settanta è oggi ancora di più e sorprendentemente attuale, infatti siamo sempre più sottoposti a un bombardamento di immagini, che essendo cosi curate e sapientemente strutturate diventano sempre più belle e affascinanti al punto da diventare ancora più belle del nostro stesso rapporto con la realtà.

Le riflessioni sull'uso delle immagini porteranno Mulas a polemizzare con quel tipo di fotografia praticato dai reporter e dai tanti amatori che cercano nella fotografia lo straordinario. In effetti, una parte della fotografia, si è sempre legata all'attimo privilegiato, indimenticabile, al saper cogliere l'istante decisivo. Proprio questo sarà un terreno di confronto con un altro grande fotografo di reportage: Henry Cartier Bresson, il quale, fra le diverse cose interessanti che ha scritto, nell'introduzione al suo celebre libro 'Images à la sauvette" dice che, attraverso il nostro apparecchio fotografico, noi accettiamo la vita in tutta la sua realtà, questa idea, condivisa da Ugo Mulas, però è accompagnata da un' altra sua affermazione in cui spiega che il fotografo deve avvicinarsi alla realtà a passi di lupo, senza farsi sentire e scorgere, come se fosse un animale predatore che deve ghermire la sua preda senza farla fuggire. Proprio questa concezione ha poi creato il mito del fotoreporter sempre pronto a scattare al momento giusto. E' con questo tipo di fotografia che Mulas polemizza perchè, egli sostiene, l'idea dell'attimo straordinario, dello straordinario in sè, è l'idea di chi non è più in grado di cogliere proprio la straordinarietà di ogni istante, della normalità, per cui la sfida che lancia Mulas è la capacità di cogliere in ogni attimo l'evento straordinario, l'evento significativo, e quindi l'avventura del fotografo può essere altrettanto straordinaria, parlando di Milano, camminando da porta Ticinese a porta Romana, che viaggiando in Nepal o in altre zone della terra.

Spesso la realtà che ci circonda più da vicino diventa sconosciuta al punto da non riconoscere i volti e le realtà che ci circondano perfino nel nostro stesso condominio. Un altro aspetto straordinariamente importante che Mulas mette a fuoco consiste nel comprendere come ci sia, da parte del fotografo, la necessità di individuare quella che è la realtà da fotografare come il momento più importante; una volta fatto questo l'operazione seguente è quasi un operazione tecnica manuale. Il fotografo, a quel punto, diventa solamente un operatore: "Ciò che veramente importa è individuare la propria realtà, dopo di che tutti gli attimi più o meno si equivalgono, circoscritto il proprio territorio potremo assistere al miracolo delle immagini che creano sè stesse perchè a quel punto il fotografo deve trasformarsi in operatore, ridurre cioè il suo intervento alle operazioni strumentali: inquadratura, tempo di posa, diaframma, messa a fuoco".

Sembra, allora, di poter ritornare alle origini della fotografia quando gli oggetti si delineavano da sè senza l'aiuto della matita dell'artista, e si può fare riferimento allo scritto di uno dei primi scopritori della fotografia W.H.F. Talbot che intitolò il suo primo libro (la prima raccolta di fotografie nella storia): "La matita della natura". Talbot allora vedeva in questo procedimento il miracolo della natura che si registrava da sè senza l'intervento dell'artista, dell'uomo.


Verifica n.1 : Omaggio a Nièpce

La prima immagine consiste in un provino intatto di una pellicola sviluppata ancora vergine, senza cioè essere stata esposta. Ciò che vediamo è una striscia trasparente, tranne la coda che è stampata in bianco perchè è stata colpita dalla luce e che quindi nel negativo diventa nera. Omaggio a Nièpce è la dedica perchè, di fatto, lui fu il primo di cui abbiamo un immagine, per quanto poco nitida e faticosamente leggibile. Il sottotitolo di questa verifica era: 36 occasioni perdute; è la spiegazione di questa operazione dedicata in primo luogo al materiale sensibile; che svela questa sua sensibilità solo nel primo pezzo di pellicola e che poi rimane vergine, e la cui scansione successiva viene data dal solo numerino che viene stampigliato sul bordo del negativo. Questa operazione verrà poi ripresa alla fine intitolando l'ultima delle verifiche Omaggio a Duchamp con un' immagine molto simile ma inella quale la lastra di vetro che viene utilizzata per tenere premuta la pellicola sul foglio di carta viene rotta. Questo uso di un materiale, nemmeno manipolato, avvicina il discorso a quelle che sono le operazioni di Duchamp




Verifica n.2 : L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander.

In questa immagine Mulas si è munito di una reflex ed ha posto sulla parete di fronte a lui un piccolo specchio, si è poi fotografato riprendendo nell'immagine : la propria ombra, lo specchio in cui egli si vede riflesso e, alle sue spalle, la finestra da cui entra la luce. Il suo volto però non si vede perchè nascosto dalla macchina fotografica: quello stesso strumento che permette registrare la realtà, nel momento stesso in cui il fotografo scatta, partecipa all'evento, non gli permette di vedersi, tra lui e la realtà c'è la macchina fotografica.

Quando Mulas realizza questo tipo di operazione è immerso in letture di filosofia come quelle sulla fenomenologia, che gli permettono di portare avanti le riflessioni sul fatto che l'uomo tutto può vedere tranne che il proprio volto, al massimo si può vedere allo specchio ma in tal caso il lo sguardo è rivolto  allo specchio, non al proprio volto. Tali riflessioni fanno parte del lungo percorso che porta Mulas a realizzare queste verifiche; d'altra parte il discorso sullo specchio e sull'ombra è un discorso fondamentale, molto sentito, anche in altri ambiti artistici, basti pensare alla letteratura.


Verifica n.3 : Il tempo fotografico. A J. Kounellis

La riflessione in questo caso è tutta sul rapporto tra la fotografia e il passare del tempo, il succedersi degli attimi.

Il discorso sul tempo è un altro aspetto fondamentale rispetto all'immagine, sia l'immagine in movimento che l'immagine fissa. Si pensi ai cronofotografi che nella seconda parte dell'ottocento studieranno il movimento, giungendo con Muybridge all'anticipazione del cinematografo e si pensi al tempo fermato all'interno dell'immagine, che costituisce un problema ricorrente nel lavoro dei fotografi.

In questo caso le immagini di Mulas si riferiscono ad una sorta di performance che un musicista eseguiva ripetendo in modo abbastanza ossessivo lo stesso brano musicale (dal Nabucco di G. Verdi).

Come rendere visivamente questa idea di tempo, di tempo che ritorna che fluisce, utilizzando la fotografia che da parte sua tende a fermare il tempo, a concentrarlo in una istantanea?

Mulas riprende la scena con un grandangolo e da discreta distanza; operazione che fa diventare il pianista molto piccolo e il movimento delle sue mani impercettibile: le immagini sembrano tutte uguali, e scorrono quasi tutte uguali scandite solo dal numerino di posa posto alla base della pellicola.

La riflessione sul tempo può acquisire anche altri significati: la fotografia non è certo in grado di fermare il tempo, ma, in questo caso, abbiamo questa dimensione solo per il fatto che le immagini coesistono tutte nello stesso momento e sullo stesso piano .

Verifica n.4 : L'uso della fotografia. Dedicata ai fratelli Alinari.

In questo caso l'immagine non è stata ripresa originalmente da Mulas ma si tratta di un immagine dei fratelli Alinari. Mulas però ne assume la paternità, la firma come verifica, per il semplice fatto di aver definito quello che è il suo pensiero, la sua lettura.

La fotografia riporta due immagini sulla stessa lastra, e rappresenta due esposizioni del Re Vittorio Emanuele II eseguite quasi nello stesso istante e quasi identiche tra loro. Mulas descrive di aver trovato queste fotografie con grande stupore: gli sembrava di aver trovato due realtà opposte l'una all'altra eppure simultaneamente presenti nella stessa immagine, nella stessa lastra. Queste due immagini, che a prima vista sembrano identiche, sono l'una il contrario dell'altra: la prima immagine, diffusa probabilmente in formato card-visite, è quella in cui il Re si mostra in tutta la sua fierezza e forza; ma è la seconda che ci rivela, che ci fa capire la falsità della prima. Qui, infatti, vediamo un Re con le rughe sulla fronte, le borse sotto gli occhi ed appare quasi mummificato dall'età. E' evidente che la prima è stata ritoccata. Ma ciò che ha colpito Mulas è il trovare sulla stessa lastra due immagini della stessa persona scattate a poca distanza l'una dall'altra, una ritoccata e una no; significa trovare allo stesso tempo i due usi della fotografia nella storia.

Quella stessa fotografia che dai suoi creatori fu immaginata come uno strumento meraviglioso e unico in cui per la prima volta la natura si tracciava da sè, ecco che, fin dall'inizio, l'uomo ha poi utilizzato questo strumento imparando a manipolarlo pur caricandolo di una presunta obbiettività e verità.


Verifica n.5 : L'ingrandimento. Il cielo per Nini.

Il punto di partenza di questa riflessione è appunto l'ingrandimento fotografico. Il fotografo spesso sceglie una scala, una grandezza, un fattore di ingrandimento per il soggetto. Mulas è andato a prendere ciò che in fondo aveva meno senso o possibilità di essere ingrandito: il cielo, lo ha quindi fotografato al tramonto con un grandangolo. Delle 36 pose che ha scattato ha realizzato un provino a contatto, ne ha poi scelta una e l' ha stampata al limite della visibilità della grana (la grana sono i sali d'argento che compongono la pellicola stessa, e sono tanto più visibili quanto più è ingrandita l'immagine ) La stessa immagine l'ha infine ingrandita alla massima possibilità che poteva ottenere nel suo studio (proiettando con l'ingranditore a parete su una grandezza di alcuni metri tale immagine). A questo punto il foglio 40x50 della stampa inserito all'interno di questo enorme ingrandimento svela quasi esclusivamente la struttura materica che compone l'immagine stessa: ci fa vedere i sali d'argento della pellicola.



L'immagine che inizia con il materiale sensibile ritorna al materiale sensibile.

Si può così osservare come il tentativo di "possedere" al massimo grado l'oggetto della fotografia in realtà si rivela perdente; in questa sequenza non si trova più il cielo, da cui si era partiti, ma un muro fatto dai sali d'argento.


Verifica n.6 : L'ingrandimento.

Dalla mia finestra ricordando la finestra di Gras. (16 Settembre 1824. Nicéphore Niepce al fratello Claude: " Ho la soddisfazione di poterti finalmente comunicare che sono riuscito ad ottenere un immagine

della natura talmente buona che non potrei desiderare di meglio, questa immagine è stata presa dalla tua stanza dalla parte verso Graz. ")

Di fatto questa è la prima fotografia della storia.

Mulas a causa della sua malattia non può muoversi molto e dopo aver più volte guardato dalla finestra lo stesso paesaggio ha l'intenzione di fotografarlo e di renderlo oggetto della sua riflessione. Per questa operazione utilizza una pellicola della Agfa con cui riprende la scena che si vede dalla sua finestra, come dalla finestra di Gras. La prima immagine, stampata a contatto, mostra quel cortile, molto poco leggibile, ma è leggibile sul bordo della pellicola la scritta Agfa. La seconda immagine è una stampa normale in cui si vede il paesaggio (leggibile questa volta) in cui compare, molto piccolo, lo stesso logo presente su una insegna, che viene poi ingrandito diventando l'oggetto della terza immagine, anche se molto sgranata. Questa cosa è molto interessante perchè si parte dalla materia della fotografia e si ritorna nella materia considerando però quello che è stato il divenire della fotografia nella storia. Mulas spiega questa cosa dicendo che un giorno guardando dalla finestra mentre pensava alla foto di Niepce ha constatato che nel cortile c'era in quella insegna della Agfa la presenza di Niepce, un Niepce mercificato, ridotto a oggetto di consumo e prevaricazione, che non ha niente a che fare con lo scienziato e il poeta che aveva pensato di aver scoperto un linguaggio estremamente puro dove la mano dell'uomo non concorresse a intorbidare le acque. Mulas ha cosi pensato di fare una operazione come quella del cielo. Ancora una volta si parte dal mezzo cioè piccoli fotogrammi e si ritorna nel mezzo. E' la scoperta di una fotografia che diventa presente nel territorio, che diventa fabbrica, business.


Verifica n.7 : Il laboratorio.

L'immagine è dedicata a Sir Jhon Frederick William Herschel. Lo scienziato inglese che inventò il fissaggio: "Esperimento 1013. 29 gennaio 1839. Trovato iposolfito di sodio per arrestare l'azione della luce eliminando con lavaggio tutto il cloruro d'argento ..."

Uno dei problemi enormi all'inizio della fotografia era costituito dal cercare un' immagine che fosse direttamente positiva, mentre in realtà non lo era. La sensibilità alla luce dell'argento era nota, ma anche se si riusciva a realizzare una superficie che registrasse la luce non si riusciva ad arrestare questo processo e l'immagine ottenuta, esposta successivamente ancora alla luce diventava completamente nera.

Mulas va a riprendere questa stessa esperienza; prende un foglio di carta sensibile esposto alla luce ci mette sopra una mano bagnata di sviluppo a sinistra e una bagnata di fissaggio a destra, sviluppa la parte di destra che diventerà nera tranne la parte bagnata di fissaggio. A questo punto fissa il tutto e rimane a sinistra la mano bagnata di sviluppo annerita con il bianco sotto e a destra l'impronta della mano sopra il nero. E' anche un sottolineare l'importanza delle mani in tutte le operazioni che vengono svolte dai fotografi


Verifica n.8 : Gli obbiettivi. Dedicata a Davide Mosconi, fotografo.

Mulas prende due obbiettivi: un grandangolare e un tele, mette la macchina fotografica davanti al soggetto e fotografa con i due diversi obbiettivi cercando di mantenere la stessa espressione, la stessa luce e soprattutto di occupare interamente con il volto l'inquadratura in modo da ottenere due immagini il più possibile simili. Tra le due immagini però ci sono ugualmente notevoli differenze prodotte dall'ottica diversa: in una il soggetto è perfettamente leggibile, staccato dallo sfondo nell'altra la deformazione del volto che appare in primo piano lo rende affatto diverso.

Anche in questo caso Mulas compie una riflessione sulla fotografia che può apparire banale ma che banale non è. La riflessione è di tipo linguistico e semplicemente vuole sottolineare la scelta dell'ottica in funzione di un'interpretazione differente.


Verifica n.9: Il sole il diaframma il tempo di posa.

Il secondo libro di Fox Talbot, edito nel 1845, era intitolato immagini di Scozia fatte dal sole, Mulas vuole ripercorrere questa idea del sole, della luce protagonista, di uno scrivere con luce. Ecco allora che riprende il sole fotografandolo in tutta la sequenza delle trentasei pose del rullino con una pellicola a bassa sensibilità. Partendo da tempi molto brevi (1\1000) e diaframma completamente chiuso si ha un progressivo aprire il diaframma per cui partendo da immagini in cui il sole compare appena timidamente come un piccolo puntino al centro, si arriva ad immagini in cui il sole diventa protagonista fino a sfondare il negativo stesso facendolo diventare completamente nero (bianca la stampa) per poi tornare nel buio . La conoscenza del materiale sensibile permette di ottenere, con lo stesso soggetto tutto e il contrario di tutto.




Verifica n.10 : L'ottica e lo spazio. Ad A. Pomodoro. Foto non fatta.

Mulas descrive la fotografia che avrebbe voluto fare: l'interno di uno studio di scultore.L'idea è quella di passare a obiettivi con focale sempre più lunga isolando il soggetto (lo scultore) in modo da fare sparire le cose attorno col risultato che il personaggio estraniato dal suo tempo e dal suo spazio diventa quasi mitico cioè idealizzato. Togliere il contesto e isolare la persona, questo è il significato dell'operazione di Mulas, cioè un voler far capire ad altri, ma anche un riflettere in prima persona, sulle caratteristiche della fotografia ed in particolare sulla scelta che il fotografo opera nel momento in cui va a decidere se utilizzare un ottica o un altra.

In realtà tutte queste verifiche sono importanti per capire sempre di più come il fotografo sia un interpretante, sia chiamato ad interpretare la realtà.

Una delle occasioni che fecero crescare culturalmente Mulas, fu l'incontro con il fotografo americano Robert Frank, Mulas in quel periodo riteneva che il fotografo dovesse porsi come uno spettatore, un osservatore neutrale, un testimone, quasi confidando in una neutralità della fotografia. Fu proprio Robert Frank che insistette con Mulas sul fatto che il fotografo non può essere mai uno spettatore neutrale perchè anche inconsapevolmente il fotografo nel momento in cui registra la realtà davanti a sè ha già operato una scelta, nello spazio e nel tempo, ha scelto un luogo, un tempo, e un modo di osservare quel soggetto. Quindi comunque sia il fotografo è sempre coinvolto in prima persona e pertanto, per Robert Frank la posizione più corretta è assumersi coscientemente la responsabilità della scelta. Il problema non è tanto nel credere in una finta obbiettività, cosa per altro impossibile, ma nel dichiarare la propria scelta, l'essere coscienti del dove e come ci si è collocati.


Verifica n.11 : La didascalia Dedicata a Man Ray.

Scattata nel '72 in una delle occasioni di visita di Man Ray allo studio Marconi. Mulas racconta che aveva seguito il muoversi, l'operare di M.R. in mezzo alle persone della galleria, mentre era ripreso da altri fotografi, ma non soddisfatto di quelli che erano gli scatti che aveva eseguito fino a quel momento continuò a seguirlo fino a quando ad un certo momento M. Ray passando in uno dei lati dello studio e alzando la mano pronunciò ai giornalisti che lo seguivano la frase : "Questo è il mio ultimo quadro"; una battuta, ma in realtà quello che Mulas aveva fotografato in quel momento era esattamente la battuta stessa, quindi riprende la frase e la inserisce nella fotografia. La didascalia viene posta così all'interno dell'immagine.

Questa verifica è tutta giocata sul rapporto tra scrittura e fotografia, aspetto non molto indagato ma certamente molto importante. Mulas descrive questo rapporto come fondamentale perchè se esistono immagini che già sono sufficientemente chiare da non richiedere alcuna didascalia, ce ne sono altre che la richiedono. La didascalia diventa un ulteriore documento che accompagna, spiega, fa capire l'immagine stessa. Anche in questo caso il fotografo dovrebbe assumersi la paternità, la responsabilità di ciò che scrive, dovrebbe fornire la sua chiave di interpretazione, la sua spiegazione eventuale. E' terribile vedere come succede in molti cataloghi ed esposizioni anche contemporanee, immagini di cui non si conosce a volte nemmeno l'autore e il suo punto di vista intellettuale, chiave di lettura indispensabile per giungere ad una corretta e completa interpretazione.


Verifica n.12 : Autoritratto con Nini.

Qui uno sguardo attento ci svela qualcosa di strano: Nini è perfettamente a fuoco mentre l'immagine di Mulas è sfuocata. Ecco tornare quel pensiero sul fatto che l'uomo non possa vedersi, può farsi l'autoscatto ma in realtà non si vede mai. Identità : parola che ancora oggi si presta a una doppia lettura; identità come definizione di una persona (carta d'identità) e identità anche come uguaglianza, equivalenza a qualcos'altro. Mulas si ritrae sfuocato per sottolineare questa impossibilità di vedersi. un'altra possibile interpretazione, suggerita da un suo assistente di allora, può essere quella di una percezione da parte di Mulas del proprio essere malato, dell'essere destinato a morire da lì a breve e ci può essere anche questo nel ritrarsi in modo non nitido davanti alla macchina da presa. Ciò peraltro porta ad un'apertura su un altra riflessione che è fondamentale e determinante contenuta in uno scritto di Roland Barthes, sul fatto che la fotografia sia una sorta di memoria di ciò che è stato, una testimonianza inconfutabile, che può aprire un fronte molto ampio di tipo anche psicanalitico sulla fotografia. L'uomo può vivere la fotografia anche come disperato tentativo di sottrarsi alla morte, di lasciare una parte di sè, di registrarsi.


Verifica n. 14: Fine delle verifiche. Per Marcel Duchamp

"La serie delle verifiche l'ho considerata ad un certo momento conclusa, ho deciso di chiuderla dove aveva avuto inizio, ho fatto in un certo senso come un incisore che biffa la lastra a tiratura ultimata. "

Nelle tirature limitate per mantenere alto il valore delle stampe (più recentemente anche delle fotografie), l'incisore al termine della serie distrugge la lastra.

Mulas realizza questa immagine rompendo la lastra di vetro che si utilizza per tenere premuta la pellicola sul foglio di carta. L'immagine che ne risulta è un immagine del tutto nuova diversa da quella di partenza da cui pure era partita. Questo suo gesto lo porta a pensare a Duchamp: "... e non solo per la circostanza estrinseca che nella produzione di Duchamp c'è un'opera che è un grande vetro spezzato, ma mi sono reso conto dell'influenza inconscia dell'atteggiamento di Duchamp, del suo non fare che ha tanto significato nell'arte più recente e senza il quale questa parte di lavoro non sarebbe nata ". Perciò questa verifica è dedicata a Duchamp.






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