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APPUNTI PROFESSOR ANCORA DIRITTO PUBBLICO - Il diritto pubblico

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APPUNTI PROFESSOR ANCORA DIRITTO PUBBLICO

II. Il diritto pubblico.



L'idea di Stato implica l'esistenza di una comunità organizzata, e perciò di una organizzazione, che esercita le massime funzioni di governo, in modo indipendente ed efficace, rispetto ad un determinato territorio.

Lo stato è un "ente" composto di sovranità, territorio e popolo. Infatti il popolo corrisponde all'idea della comunità, la sovranità richiama l'indipendenza della comunità statale e l'efficace esercizio dei massimi poteri di governo entro un territorio determinato.

Ciò che lega i diversi elementi costitutivi si manifesta in norme giuridiche, e diciamo che lo Stato forma un ordinamento giuridico.

Lo Stato è l'insieme delle istituzioni proprie del popolo italiano e lo stesso popolo italiano organizzato nelle sue istituzioni. Ma anche lo Stato è soltanto una di tali istituzioni, benché si tratti di quella dotata rispetto alle altre di una supremazia, che si esercita nell'ambito della Costituzione e delle leggi.



Il territorio si tratta di qualcosa entro la quale, ed in relazione alla quale, lo Stato opera come Stato. Il territorio rappresenta il luogo di stabile radicamento del gruppo sociale indipendente organizzato in forma statale, e perciò il luogo di radicamento del popoli. Il territorio statale è delimitato dai confini o dal mare. I confini possono essere naturali (fiumi o catene montuose) oppure artificiali (fissati dagli Stati).

Il popolo, quale elemento personale dello Stato, è formato da  tutti coloro che, secondo le regole poste dallo Stato stesso, godono della cittadinanza. La cittadinanza definisce una persona fisica come membro di una determinata comunità statale. Indichiamo invece con popolazione l'insieme di coloro che risiedono entro il territorio di uno Stato. Il popolo è formato da tutti i cittadini, ovunque residenti, la popolazione da tutti i soggetti residenti, anche se stranieri o apolidi. L'idea di popolo non va confusa con l'idea di nazione. Ad una stessa nazionalità appartengono coloro che sono legati da comuni caratteristiche di lingua, costumi, religione o simili.

Un potere è sovrano quando non esiste un altro potere ad esso superiore, che sia in grado di porgli dei vincoli (limitatamente al proprio territorio). La sovranità è una supremazia nei confronti di ogni altro soggetto o organizzazione operante sul territorio. Nei confronti degli altri Stati la sovranità non si manifesta come superiorità ma come indipendenza. Uno Stato è sovrano quando non è giuridicamente subordinato ad un altro, con un vincolo del quale non possa liberarsi da sé.

Dato che l'intera popolazione mondiale è organizzata in Stati, non è possibile che un nuovo stato sorga senza che nessuno altro Stato si trovi ad essere modificato nei suoi elementi costituitivi. Quindi la nascita di un nuovo Stato comporta la modificazione o l'estinzione di Stati che già esistevano. Si parla allora di smembramento quando l'unità statale viene meno, di fusione quando un nuovo Stato nasce dall'unione di Stati già indipendenti, e di incorporazione quando uno Stato entra a far parte di un diverso Stato preesistente.

Gli Stati, complessivamente considerati, formano la comunità degli Stati, che è disciplinata da regole, che non si rivolgono ai singoli ma agli Stati stessi. La comunità degli Stati forma un insieme ordinato da regole concernenti gli Stati: l'ordinamento internazionale. L'ordinamento internazionale si presenta, come un ordinamento paritario, nel quale manca una distinzione tra autorità governativa e soggetti governati. Così la produzione di regole giuridiche è affidata principalmente alla formazione di consuetudini o agli accordi che gli Stati stipulano fra di loro. Ancor più complesso è il problema delle sanzioni da infliggere agli Stati che violano le norme di diritto internazionale. L'estremo rimedio alle controversie, è la guerra, la quale non rappresenta una violazione del punto di vista dei contendenti, ma un modo di affermazione e restaurazione dei diritti violati.

Lo Stato fissa le regole di comportamento, riscuote le tasse, risolve le controversie tra i soggetti fisici e giuridici, punisce i colpevoli di azioni criminose, costruisce strade, ponti, dighe, ecc..

La scienza del diritto pubblico ha cercato di trovare i criteri di analisi che consentano di ordinare le attività statali in modo significativo:

Funzione normativa: una parte molto importante dell'attività statale consiste nel creare e modificare le norme giuridiche destinate a guidare i comportamenti dei soggetti. Lo Stato produce norme giuridiche attraverso le leggi del Parlamento e gli atti del Governo con forza di legge.

Funzione giurisdizionale: lo Stato deve assicurare che la vita sociale si svolga secondo gi 454f51e ustizia, grazie agli ordinamenti giurisdizionali o giuridici. Qualunque sia il processo, esso si chiude con la decisione del giudice espressa in un atto che prende il nome di sentenza, che può essere dichiarativa (quando si limita ad accertare la situazione giuridica della parti), costitutiva (quando determina una situazione giuridica nuova), o di condanna (quando ordina ad una delle parti di tenere un determinato comportamento). In generale la prima sentenza pronunciata dal giudice non è definitiva, ma ci può essere un nuovo giudizio (appello) di fronte ad un giudice di grado più elevato. Tuttavia, se sono stati percorsi tutti i gradi di giudizio disponibili, la sentenza non può più essere contestata e passa in giudicato.

Funzione esecutiva o di governo: la funzione esecutiva, propria del potere esecutivo, fa capo agli apparati del governo. Ma l'attività del governo non è solo esecutiva: si pensi alla deliberazione di disegni di legge, al bilancio, alla politica estera, quindi l'azione del governo è piuttosto che "esecutiva" di scelte parlamentari, propulsiva e quasi direttiva di esse.

Funzione amministrativa: la funzione esecutiva comprende anche attività, che hanno in comune l'essere rivolte a perseguire gli interessi della collettività: gli interessi pubblici. La legge interviene per individuare i fini pubblici che devono essere perseguiti dagli apparati amministrativi, grazie al principio di legalità della pubblica amministrazione, che significa che l'amministrazione è sottoposta come tutti i soggetti alla legge, e che nella legge che l'amministrazione trova i fini della propria azione e i poteri giuridici che può esercitare. Lo stretto legame tra funzione normativa e amministrativa ha fatto si che l'attività amministrativa sia spesso apparsa come attività di "attuazione della legge".

Funzione di indirizzo politico: l'indirizzo politico si manifesta nel programma del governo e in atti del Parlamento (mozioni di fiducia), ma si manifesta anche nell'insieme dell'attività normativa e amministrativa.


ORGANIZZAZIONE PUBBLICA

Le persone giuridiche sia pubbliche che private, hanno capacità giuridica e capacità d'agire.

La persona giuridica è un'organizzazione che opera non attraverso estranei, ma attraverso l'organizzazione stessa. Per sottolineare questo si dice che colui che opera per la persona giuridica non è rappresentante ma il titolare di un organo, che è parte della stessa persona giuridica, un suo "ufficio", che ha come proprio compito il compito di esercitare i poteri giuridici ad essa attribuiti. Si usa fiore che l'organo si immedesima nella persona giuridica.

Gli organi sono parti dell'organizzazione di un ente, cui è affidato il compito di esercitare i poteri giuridici dell'ente. Esistono però anche altre parte dell'organizzazione che non esercitano i poteri giuridici, ma producono il lavoro necessario affinché l'ente possa raggiungere i suoi fini. Questi apparati si dicono uffici. Si parla però di meri uffici per distinguerli da quelli cui è invece affidato l'esercizio dei poteri giuridici,  che si dicono uffici - organi.

L'ufficio è un insieme di compiti, persone e mezzi. Ogni persona giuridica ha sempre i suoi organi e i suoi uffici.

L'insieme dei compiti e dei poteri giuridici assegnati ad un ente (attribuzione all'ente) viene ripartito dalle norme che lo riguardano tra i diversi organi, di modo che ciascun organo si caratterizza per la sua competenza. Quando ciascuno abbia una competenza delimitata da quella di un altro, gli organi svolgono i compiti ed esercitano i poteri loro affidati in reciproca indipendenza. Altre volte però si realizza una diversa relazione tra organi, nell'ambito del quale un organo risulta subordinato ad altri organi. Si dice allora che tali organi hanno tra di loro un rapporto gerarchico. In questa situazione il superiore può impartire ordini o direttive all'inferiore.

NB. Non esiste mai gerarchia tra giudici.

All'interno di uno Stato si chiamano organi costituzionali gli organi fondamentali senza i quali lo Stato sarebbe sostanzialmente diverso nella sua forma di governo. Sono organi costituzionali il Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e anche il CSM.

Quando una persona giuridica dispone di una organizzazione ramificata nel territorio, si possono distinguere gli organi centrali dagli organi periferici. I primi sono gli organi che hanno competenza estesa nell'intero territorio. I secondi hanno una competenza più limitata e parziale, relativa a specifici ambiti territoriali (prefetti, questori, provveditori agli studi, ecc.).

Nello Stato sono organi centrali gli organi costituzionali.

Gli organi hanno il compito di decidere per l'ente del quale sono parte. Sono questi gli organi deliberativi o attivi. Ci sono anche però organi diversi. Precisamente, si tratta di organi consultivi e organi di controllo. Organi consultivi si dicono gli organi che sono chiamati a dare consigli o pareri agli organi che devono decidere (come il Consiglio di Stato). Organi di controllo sono quelli che hanno il compito di verificare la conformità alle norme, cioè la legittimità o in certi casi anche l'opportunità (il merito) di atti compiuti da altri organi (come la Corte dei Conti).

Una distinzione importante nello studio del funzionamento degli organi delle persone giuridiche si fa tra organi monocratici e organi collegiali. Talvolta il titolare dell'organo è una singola persona fisica, come il Presidente della Repubblica, i Ministri o il Sindaco. Altri, invece hanno una pluralità di persone fisiche, si dice allora che l'organo è collegiale, e i suoi componenti costituiscono una collegio (Parlamento, Consiglio dei Ministri).

Esiste la necessità di far si che i componenti del collegio effettivamente si riuniscano per prendere le decisioni, perciò è necessaria la convocazione, nella quale è indicato il luogo, la data e l'ora della riunione, ed è fissato l'ordine del giorno.

Vi sono collegi che non possono deliberare se non è presenta la totalità dei componenti previsti dalla legge (giudici, commissioni per pubblici concorsi, ecc.). In altri casi, basta che i componenti raggiungano un certo numero, detto numero legale. Il numero legale è il numero dei componenti la cui presenza è necessaria affinché il collegio possa funzionare, che può essere il più vario (di solito metà più 1 dei componenti).

La deliberazione posta in votazione si considera approvata se ha raggiunto la maggioranza, che può essere maggioranza semplice (numero superiore alla metà dei presenti), maggioranza assoluta (numero superiore alla metà dei componenti), maggioranza qualificata (di solito 2/3 dei componenti).

Quando si tratta di elezioni, si parla di maggioranza relativa, per indicare che una persona o una lista ha ottenuto più voti degli altri.

Le deliberazioni vengono documentate attraverso un resoconto scritto, che prende il nome di verbale, e la loro esistenza può essere dimostrata solo attraverso di esso.

Si chiamano organi elettivi gli organi dei quali il titolare o i titolari sono scelti mediante votazione da parte di una pluralità di persone che formano il corpo elettorale.

Gli organi elettivi possono essere monocratici o collegiali. Quando si tratta di eleggere un organo, il problema maggiore sta nello stabilire quale percentuale dei voti un candidato debba ottenere per risultare eletto. Per l'elezione a Presidente della Repubblica è richiesta (art. 83 Cost.) la maggioranza dei 2 terzi dell'assemblea, se però non si raggiunge dopo la terza votazione, è sufficiente la maggioranza assoluta.

Quando invece si tratta di eleggere i componenti di un organo collegiale, il problema dell'organizzazione delle elezioni e dei connessi sistemi elettorali diviene complesso.

Si distinguono sistemi proporzionali e sistemi maggioritari, anche se prima è meglio distinguere tra sistemi a collegi uninominali a sistemi a collegi plurinominali.

Con la tecnica del collegio uninominale il corpo elettorale viene scomposto in tanti seggi quanti sono i candidati da eleggere: per ciascun collegio deve essere eletto un solo candidato, questo sistema è maggioritario. Nei sistemi plurinominali ognuno dei collegi dispone di più seggi. Alle elezioni partecipano non singoli candidati, ma liste di candidati. Essendovi più posti da assegnare il sistema dei collegi plurinominali consente di assegnare i posti disponibili in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna lista. Il sistema a collegi uninominali opera come sistema proporzionale.

NB. Nel 1993, a seguito di un Referendum concernente il sistema elettorale del Senato, il Parlamento ha approvato 2 leggi (Camera e Senato) che prevede l'assegnazione dei ¾ dei seggi con sistema maggioritario a collegio uninominale e turno unico, del rimanente ¼ a sistema proporzionale.

Le persone che diventano titolari dell'organo e l'ente per il quale esse prestano la propria opera si instaura un rapporto gerarchico vero e proprio, fatto di reciproci diritti e obblighi tra 2 distinti soggetti, e poiché questo supporto ha per oggetto la prestazione all'ente di un servizio da parte di una persona fisica esso viene chiamato rapporto di servizio. Vi sono dei casi in cui la prestazione è obbligatoria o volontaria, si distingue così tra servizio volontario e servizio coattivo. Il più noto servizio coattivo è il servizio militare di leva. Quando il servizio è volontario bisogna distinguere se lo fa per lavoro e viene detto professionale appare come compito a lui assegnato, e viene detto onorario. Il principale rapporto professionale è il rapporto di pubblico impiego. Il servizio onorario può essere quello del Presidente della Repubblica, il Parlamentare, il Sindaco, ecc. . I rapporti professionali sono stabili, gli onorari temporanei.

Di qualunque tipo sia, il rapporto si instaura attraverso un atto di nomina, mentre l'effettivo inserimento nell'organizzazione di cui si trova avviene con il rapporto di servizio.

In generale coloro che prestano a titolo professionale la loro attività a favore dello Stato si trovano con l'ente in un rapporto di pubblico impiego.

Il decreto legislativo n. 29 del 1993 ha accelerato il processo di avvicinamento del pubblico impiego al lavoro privato, a seguito del quale il pubblico impiego non ha più carattere unitario, ma si distingue in diversi ambiti. Da una parte, per la generalità dei pubblici impiegati vale la regola secondo cui i relativi rapporti di lavoro sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato all'impresa.

Dall'altra vi sono invece alcune categorie, escluse dalla privatizzazione (magistrati ordinari, amm. e contabili, avvocati e proc. dello Stato, personale militare e di polizia, diplomatici e prefettizi, alti dirigenti dello Stato) per cui rimangono in vigore le tradizionali regole del pubblico impiego.

Pubblici impiegati si diventa attraverso un concorso pubblico.







Il Parlamento,

Il Parlamento italiano è composto da 2 distinte Camere: la Camera dei deputati e il Senato. Considerate nei loro compiti e nei loro poteri, sono del tutto uguali (bicameralismo perfetto). Il compito di legiferare, è assegnato collettivamente ad entrambe le camere (art. 70 Cost.).

La Camera consta di 630 deputati (art. 56, co. 2, Cost.) tutti eletti dai cittadini. Il numero dei senatori elettivi è di 315 (art. 57, co. 2, Cost.), ma al Senato fanno parte anche componenti non elettive, infatti la Costituzione prevede che facciano parte del Senato gli ex Presidenti della Repubblica, ed inoltre il Presidente della Repubblica può nominare 5 cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Una ulteriore differenziazione tra Camera e Senato sta nella diversa età per votare (elettorato attivo) che per essere votati (elettorato passivo). Il diritto di voto si acquista con la maggiore età (18 anni) per la Camera, ma solo a 25 anni per il Senato (art. 48, co. 1 e art. 58, co. 2, Cost.); mentre l'elettorato passivo diviene a 25 per la Camera e 40 per il Senato (art. 56, co.3 e art. 58, co. 2, Cost.).

Sono i partiti politici che già al momento delle elezioni organizzano le candidature, sicché gli eletti saranno per lo più membri di un partito. Inoltre i partiti influenzano i lavori del Parlamento, dato che deputati e senatori si raggruppano per tendenza politica in gruppo parlamentari che corrispondono ai partiti stessi.

La disciplina dei sistemi elettorali, sono i modi mediante i quali attraverso la procedura elettorale si determinano in concreto i componenti delle 2 Camere. Fino al 1993, le elezioni per la Camera dei deputati si svolgevano con un metodo rigorosamente proporzionale. I 630 seggi venivano ripartiti in 32 circoscrizioni elettorali, a ciascuna delle quali veniva assegnato in certo numero di seggi, sulla base della popolazione. Al Senato invece il territorio veniva diviso in collegi elettorali a ciascuno dei quali veniva assegnato un certo numero di seggi, sulla base della popolazione. Al Senato invece il territorio nazionale veniva diviso in collegi elettorali a ciascuno dei quali era assegnato un solo seggio. Era perciò un collegio uninominale, tipico delle elezioni con il metodo maggioritario, ma affinché il seggio venisse assegnato il candidato doveva ottenere il 65 % dei voti del collegio. Nella realtà pochi raggiungevano questo obbiettivo e allora subentrava un meccanismo tra i candidati dello stesso partito nell'ambito della regione, che conduceva alla formazione di liste, quindi i seggi di ogni regione venivano attribuiti alle liste in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista.

Nel 1993 un referendum popolare determinò l'abrogazione dei meccanismi che impedivano il funzionamento in senso maggioritario della legge elettorale del Senato. Prendendo atto della volontà popolare il Parlamento ha disciplinato per Camera e Senato un sistema misto a prevalenza maggioritaria. In entrambi i casi, ¾ dei seggi sono assegnati con il sistema uninominale (maggioritario) e il restante ¼ con un criterio proporzionale.

Entrambe le Camere, restano in carica 5 anni, che costituiscono perciò la durata della legislatura. La loro vita e la loro attività si svolgono secondo 3 principi: principio bicamerale, principio di continuità, principio di autonomia. Il principio di continuità dell'attività parlamentare significa che le Camere possono riunirsi in qualunque momento, senza limitazioni. L'autonomia di ciascuna Camera è garantita in varie direzioni: dal Governo, dal potere giudiziario, dalla stessa altra Camera. Essa è garantita dalle immunità parlamentari volte ad assicurare la piena libertà del membro del Parlamento nell'esercizio del suo mandato.

Secondo le norme costituzionali ogni Camera ha un Presidente ed un Ufficio di Presidenza, eletta fra i suoi componenti. Il Presidente rappresenta la Camera, deve agire in modo imparziale, garantendo nello svolgimento dei lavori sia i diritti della maggioranza che delle minoranze.

Le Camere sono il potere legislativo per eccellenza. Accanto a questo ne esiste un altro, che è quello di concedere o negare la fiducia al Governo, costringendolo alle dimissioni. Il Parlamento esercita un "controllo" sul Governo grazie alle interrogazioni, interpellanze, inchieste e indagini conoscitive.

L'interrogazione consiste in una domanda (scritta) rivolta al Governo per sapere se una fatto sia vero, se una informazione sia esatta, se vi siano documenti o notizie da comunicare, se siano imminenti provvedimenti. L'interpellanza consiste in una domanda (scritta) rivolta al Governo per conoscere i motivi e gli intendimenti della sua condotta su questioni che coinvolgono la sua politica. Le inchieste e le indagini conoscitive vengono decise dalle Camere stesse o dalle Commissioni permanenti.

Le Camere esercitano anche una funzione di indirizzo nei confronti del Governo, che si esercita attraverso atti chiamati mozioni, ordini del giorno, risoluzioni, con i quali il Parlamento vincola il governo ad un determinato comportamento.

In alcuni casi il Parlamento si riunisce in seduta comune (art. 55 Cost.). Quando accade deputati e senatori formano un unico organo collegiale, di cui il Presidente è il Presidente della Camera dei deputati (art. 63 Cost.).

In seduta comune il Parlamento elegge il Presidente della Repubblica (in questo caso votano anche i rappresentanti delle Regioni). Viene poi l'elezione di un terzo dei componenti della Corte Costituzionale (5 giudici). Inoltre elegge un terzo dei componenti del CSM. (10).

È anche assegnato il compito di mettere in stato di accusa davanti alla Corte Costituzionale il Presidente della Repubblica che sia reso colpevole di alto tradimento o di attentato alla costituzione (art. 90 Cost.). Infine "riceve" il giuramento di fedeltà alla Repubblica che il Presidente della Repubblica presta prima di assumere le sue funzioni (art. 91 Cost.).


il Governo

Secondo la Costituzione il governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Dunque il Governo è fondamentalmente il Consiglio dei Ministri. Il Governo viene nominato dal Presidente della Repubblica.

NB. Però entro 10 giorni dalla sua formazione il Governo deve presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia e se non la ottiene deve dimettersi.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, e inoltre mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. In pratica la preminenza del Presidente del Consiglio si manifesta nel potere di rappresentanza del Governo, e più concretamente in quello di convocare il Consiglio e fissarne l'ordine del giorno, individuando gli argomenti da affrontare, inoltre può sospendere l'adozione di atti da parte dei Ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative. Poi chiama alcuni Ministri per partecipare ad un comitato detto Consiglio di Gabinetto, che svolge un'attività preparatoria delle riunioni del consiglio.

Tra la funzioni attribuite al "Governo" ci sono: le deliberazioni dei decreti - legge, con i quali viene esercitato un potere normativo straordinario per fronteggiare situazioni di necessità e di emergenza (art. 77 Cost.); la deliberazione dei decreti legislativi, con i quali si esercita un potere normativo su delega del Parlamento (art. 76 Cost.); la deliberazione dei disegni di legge (art. 71, co. 1, Cost.), e il controllo sulle leggi regionali (art.127 Cost.). Il consiglio dei Ministri è l'organo di livello più elevato del potere esecutivo dell'intera pubblica amministrazione. Tuttavia, le singole amministrazioni statali, organizzate per Ministeri, trovano il loro vertice nei singoli Ministri.

Accanto a coloro che fanno parte del Governo ci sono i cosiddetti Ministri senza portafoglio che fanno parte a pieno titolo, con diritto di voto, del Consiglio dei Ministri. Però non sono a capo di un Ministero ma sono nominati presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Esistono anche i sottosegretari di Stato che non fanno parte del Consiglio dei Ministri, ma possono intervenire alle sedute delle Camere, e ricevono deleghe per lo svolgimento di alcuni dei compiti amministrativi che spettano al ministro.

Specifiche funzioni amministrative sono distribuite ad Alti Commissari, che sono a capo di apparati amministrativi ma non sono Ministri (Alto commissariato per il turismo, ecc.).

La legge precede anche i Commissari straordinari del Governo che vengono nominati in relazione a specifici obbiettivi o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni.

Accanto al Consiglio dei Ministri operano dei Comitati interministeriali, che sono organi collegiali composti dai Ministri interessati ai settori di attività del Comitato.

La Costituzione prevede che il Governo perda la fiducia quando una camera approvi una mozione di sfiducia a ciò rivolta: mozione che viene messa ai voti per appello nominale, non prima di 3 giorni dalla sua presentazione.

La formazione di un nuovo Governo si articola in 3 fasi: consultazione, incarico, nomina. La consultazione serve al Capo dello Stato per formarsi una migliore conoscenza sul modo nel quale potrà essere risolta la crisi, con la formazione di un governo capace di ottenere la fiducia delle camere. Sulla base delle consultazioni il Capo dello Stato conferisce l'incarico di formare un nuovo governo. Poi il Presidente della Repubblica può provvedere alla nomina del Governo. Dopo il giuramento il Governo deve presentarsi entro 10 giorni alle Camere per ottenere la fiducia.



Il Presidente della Repubblica



Il Presidente della Repubblica nella forma di governo italiana

Elezione e permanenza in carica del presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.

È eletto dal Parlamento in seduta comune, solo a tal fine integrato (temporaneamente) da tre rappresentanti di ciascuna Regione designati dai rispettivi Consigli Regionali in modo da garantire la rappresentanza delle minoranze.

Può essere eletto qualunque cittadino italiano, purché abbia 50 anni e sia in possesso dei diritti civili e politici. Per l'elezione occorre la maggioranza dei due terzi dell'assemblea nelle prime 3 votazioni, ma è sufficiente la maggioranza assoluta nelle successive.

Il Presidente entra in carica dopo il "giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione", che deve pronunciare, ai sensi dell'art. 91 Cost., dinanzi al Parlamento in seduta comune.

La durata in carica è pari a 7 anni, ma un Presidente può vedere prorogati i suoi poteri dal ritardo che si verifichi nell'elezione del suo successore, malgrado il fatto che il Parlamento integrato debba essere convocato da parte del Presidente della Camera trenta giorni prima della scadenza del mandato presidenziale, nonché per effetto della prescrizione costituzionale di cui all'art. 85.3 Cost., secondo la quale "se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la riunione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove".

Il mandato presidenziale può essere interrotto da dimissioni volontarie dalla carica, da decadenza (venir meno dei requisiti di eleggibilità e di compatibilità), da destituzione (possibile sanzione penale accessoria, irrogabile dalla Corte costituzionale), dall'impedimento permanente (prolungato stato di grave malattia del Presidente o  sottoposizione a misure detentive).

Il tutti questi casi, le funzioni presidenziali vengono esercitate dal Presidente del Senato, organo supplente del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 86.1 Cost. Spetta, invece, al Presidente della Camera, nella sua qualità di Presidente del Parlamento in seduta comune, convocare l'organo per la elezione del nuovo residente della Repubblica.

Il Presidente è rieleggibile senza limiti. Una volta cessata la carica, l'ex Presidente assume la qualifica di senatore a vita (art. 59, co. 1, Cost.).


Le garanzie di autonomia disposte a favore del Presidente della Repubblica e degli apparati della Presidenza

Ai sensi della Costituzione (art. 90 Cost.), il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, con l'eccezione nel caso di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. A mettere il presidente in stato di accusa è il Parlamento in seduta comune, a giudicarlo la Corte Costituzionale in composizione integrata.

Secondo l'art. 89 Cost., nessun atto di indirizzo governativo è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Per quanto riguarda gli atti di indirizzo presidenziale, il Governo non si assume invece nessuna responsabilità politica.

Sempre in tema di strumenti per assicurare il libero esercizio delle funzioni presidenziali, la Costituzione prevede, all'art. 84.3, che la legge assicuri al Presidente un assegno personale, nonché una dotazione, destinata agli apparati organizzativi della Presidenza per il migliore espletamento delle funzioni presidenziali.

Inoltre, riguardo alla piena autonomia del Presidente della Repubblica rispetto agli altri poteri dello Stato, si è previsto che esso possa disporre liberamente di un apparato organizzativo autonomo, il Segretario generale della Presidente della Repubblica.


Le funzioni del Presidente della Repubblica in relazione a quelle proprie del Governo

Al Presidente sono attribuiti particolari poteri, il cui esercizio mira a garantire il funzionamento delle istituzioni fondamentali dello Stato e ad assicurare la tutela dei cittadini.

Egli pertanto rappresenta l'unità dello Stato, al di là delle differenti ideologie dei singoli orientamenti politici, inoltre assicura l'osservanza dei principi fondamentali della Costituzione, ciò significa che egli è il garante della Costituzione.

Con ciò s'intende evidenziare che il Suo ruolo è in funzione del miglior funzionamento complessivo del sistema Costituzionale. Tale obiettivo può essere raggiunto sia tramite funzioni di controllo che mediante funzioni di stimolo, qualora gli organi non svolgano nel modo migliore le delicate funzioni loro riservate.

L'art. 89 stabilisce che "nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai Ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità". La controfirma non ha latra funzione che quella di assicurare una forma di controllo del Governo sugli atti del Presidente della Repubblica, controllo sostanzialmente speculare a quello che il Presiedente esercita sugli atti governativi.

Si distinguono in genere:

&  Atti formalmente presidenziali.

Sono atti attribuiti al Presidente sotto il profilo formale, in quanto l'effettiva decisione di adottarli è stata assunta dal governo o dai singoli ministri. Essi sono atti dovuti perché egli si limita ad emanarli senza decidere al riguardo. Il Presidente non può opporsi alla decisione del governo anche se può esprimere dei rilievi sugli atti; in questi casi gli atti sono firmati dal Presidente tuttavia la Costituzione prevede e stabilisce che nessun atto è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se n'assumono la responsabilità.

A questa categoria appartengono i seguenti atti:

L'emanazione degli atti normativi del governo e l'autorizzazione alla presentazione alle camere di disegni di legge del governo.

La nomina dei ministri su proposta del Presidente del consiglio.

L'adozione di provvedimenti amministrativi con decreto presidenziale.

La nomina di funzionari dello Stato

La ratifica dei trattati internazionali e gli altri atti relativi a rapporti internazionali.

La dichiarazione dello Stato di guerra.

Lo scioglimento dei consigli regionali.

Il conferimento delle onorificenze.

Indizione delle lezioni e dei raferendum

La concessione dell'amnistia e dell'indulto su legge di delegazione delle camere. Questi ultimi sono atti di clemenza generale:

L'amnistia ha com'effetto quello di estinguere il reato.

L'indulto invece condona la pena o una parte di essa.

Tali procedure sono ora attribuite al parlamento.

&  Atti presidenziali.

Essi sono gli atti per la cui emanazione è determinante la volontà del Capo dello Stato, in sostanza egli li può decidere in piena autonomia. Anche in questo caso è necessaria la controfirma dei ministri, in quanto l'art. 89 esprime una regola generale. Tuttavia i ministri si limitano ad assicurarne la validità solo sotto il profilo formale.

Appartengono a questa categoria:

La nomina di cinque senatori a vita.

La nomina di cinque giudici della Corte costituzionale.

L'invio di messaggi alle camere e comunque l'esternazione dell'opinione del Presidente su fatti di interesse generale.

La convocazione straordinaria delle camere.

La promulgazione e il rinvio delle leggi.

La concessione della grazia.

L'indizione delle elezioni delle nuove camere e la convocazione della prima riunione delle nuove camere.

L'indizione dei referendum.

&  Atti complessi.

In certi casi il Presidente partecipa con altri organi alla formazione della volontà dell'atto:

Il decreto di nomina del Presidente del consiglio.

Lo scioglimento anticipato delle camere.

Infine il Presidente è chiamato a presiedere due organi collegiali:

v  Il consiglio superiore della magistratura.

v  Il consiglio supremo della difesa.


I poteri del Presidente della Repubblica:

Rispetto al corpo elettorale: il Presidente dispone di poteri molto ridotti, per di più prevalentemente da esercitare su proposta degli organi governativi:

indizione della data delle votazioni.

Rispetto al Parlamento ben più rilevanti i poteri di cui il Presidente dispone nei confronti del Parlamento:

nomina dei senatori a vita, secondo l'art. 59 Cost.

messaggi formali al Parlamento, rappresentano il più solenne e libero potere di stimolo del Presidente della Repubblica. Danno la possibilità al Presidente, in momenti gravi per il Paese, di prendere l'iniziativa di inviare alle Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse;

messaggio di rinvio di una legge al Parlamento, rappresenta un eccezionale potere di temporaneo arresto della volontà legislativa del Parlamento. Tale rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il capo dello Stato chiarisce i motivi della sua decisione. Il capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il capo dello stato è tutore;

promulgazione, consiste nell'ordine di dare esecuzione alla legge deliberata dalle Camere, rappresenta un'importante forma di controllo preventivo

convocazione straordinaria delle Camere, tale potere, che rappresenta una delle vere e proprie funzioni di garanzia e di stimolo, previsto dall'art. 62 Cost., non è mai stato esercitato fino ad oggi;

scioglimento anticipato delle Camere, secondo quanto previsto dall'art. 88. E' il potere più rilevante attribuito al capo dello Stato, contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l'esistenza del Governo nominato dal presidente della Repubblica. Dopo il 1948 si sono avuti numerosi scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, 1958, 1963, 1968), situazioni di instabilità politica del Parlamento (1972, 1976, 1979, 1983, 1987) contrasti istituzionali (1992), bufere giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996). Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al Paese. L'art. 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato, contiene due indicazioni procedurali. Infatti il capo dello Stato: a) prima di disporre lo scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a scioglimento negli ultimi sei mesi del suo mandato ("semestre bianco").

Rispetto al Governo, nell'ambito di crisi:

accettazione delle dimissioni del governo: spetta al Presidente accettare le dimissioni presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto la fiducia delle Camere o è stato colpito da sfiducia l'atto è dovuto, così come nel caso di morte, impedimento permanente o decadimento della carica del presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue dimissioni per valutazioni politiche il capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra in una valutazione autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese;

nomina del presidente del Consiglio dei ministri: i margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza parlamentare. Il presidente della Repubblica ha il compito di nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri.

L'esercizio dei poteri presidenziali ha prodotto lo sviluppo, in via di prassi, degli istituti delle:

le consultazioni,  con il fine di acquisire le opinioni dei presidenti dei gruppi parlamentari, dei segretari dei corrispondenti partiti, nonché quella dei Presidenti di Camera e Senato e degli ex-Presidenti della Repubblica riguardo la possibilità di conseguimento della fiducia parlamentare del nuovo Governo;

l'incarico a formare il Governo, non di rado affidato dal Presidente ad un esponente politico che egli reputa idoneo ad assumere l'incarico di Presidente del Consiglio ma cui il Presidente della Repubblica intende offrire il modo di verificare le reali possibilità di dar vita ad un nuovo Governo, attraverso una serie di contatti con le diverse forze politiche. Questa situazione ha termine con la nomina, o con la rinuncia, o cono la stessa revoca dell'incarico da parte del Presidente della Repubblica;

il mandato esplorativo, con il fine di acquisire informazioni sulle possibili vie di superamento della crisi.

Rispetto al governo

autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge del Governo

emanazione degli atti normativi del Governo;

emanazione dei D.P.R. la legge 13/1991, ha indicato 30 gruppi di atti che vanno, appunto, adottati con decreto presidenziale con elencazione esplicitamente dichiarata tassativa e tale da non poter essere "modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso".

poteri presidenziali nell'ambito della politica estera,

rappresenta lo Stato nei rapporti internazionali avendo una capacità rappresentativa generale;

accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, secondo l'art. 87 Cost.;

ratifica i trattati previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere. Tale autorizzazione è richiesta per i trattati di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi;

dichiara lo Stato di guerra deliberato dalle Camere;

poteri presidenziali nell'ambito della politica militare, il comando da parte del Presidente delle Forze Armate, viene sostanzialmente integrato dall'affidamento al Capo dello Stato della presidenza del Consiglio Supremo di Difesa

concessione della grazia.

Rispetto alla magistratura:

atti di nomina dei magistrati

atti del Presidente della Repubblica in quanto Presidente del C.S.M.

Rispetto alla Corte Costituzionale

Spetta al Presidente nominare un terzo dei giudici della Corte Costituzionale (cioè cinque), dopo l'elezione degli altri dieci giudici, per consentire al presidente della Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle competenze che fossero state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature.

La Corte Costituzionale


La giustizia costituzionale

L'introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, di un sistema cioè diretto ad assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle altre fonti normative è strettamente legato alla natura rigida o flessibile della Costituzione. Anzi, la garanzia giuridica della rigidità della Costituzione è rappresentata soprattutto dalla introduzione di un sistema di giustizia costituzionale.

La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della Costituzione. Quest'organo è chiamato Corte Costituzionale.


Si può dire che solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale è divenuto, in Europa, un principio generalmente accolto: oltre che in Italia, è avvenuto così, ad es. in Germania, con la Costituzione del 1949; in Francia con la Costituzione del 1958; in Portogallo, con la Costituzione del 1976; in Spagna con la Costituzione del 1978.


Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti

Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida e si affronta il problema di assicurare il rispetto di questo principio attraverso l'introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, sono due i modelli a cui si fa riferimento: quello "diffuso", proprio della tradizione americana; e quello accentrato, proprio dell'esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito che si svolse su questo tema fu l'introduzione di un modello di giustizia costituzionale che, in qualche modo, tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Così del modello "accentrato" il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello "diffuso" esso accolse il principio dell'estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni, attraverso il cosiddetto procedimento in via incidentale.

Quella che viene designata dal Costituente è un'alta magistratura che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell'attività che essa è chiamata a svolgere (giurisdizionale e politica insieme) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni, in relazione all'insorgere di conflitti la cui soluzione sia legata all'interpretazione di specifiche disposizioni costituzionali, quanto ai singoli cittadini, attraverso l'intermediazione del giudice, sempre nell'ipotesi che specifiche posizioni soggettive, loro riconosciute dalla Costituzione, siano state lese dal legislatore ordinario. Un'alta magistratura cui viene attribuito in esclusiva il potere di pronunciarsi su questo tipo di controversie e con decisioni inappellabili.


Struttura e funzionamento della Corte.

L'art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri dell'organo di giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti).

Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite; esiste una regola convenzionale che stabilisce che la designazione di questi cinque giudici venga riservata ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono.

Una regola in larga misura analoga ha finora guidato anche l'esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato, nel senso che, anche in questo caso, si tratta di nomine che spesso vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della rappresentanza delle diverse aree politiche.

La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, e gli altri due dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta, si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti e tra questi viene eletto chi ottiene la maggioranza relativa. In caso di parità, risulta eletto il più anziano.

Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei membri eletto a maggioranza dai componente dell'organo. Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile, sempre ovviamente entro i limiti del suo mandato novennale.

Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non solo in ordine allo svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario della cause da decidere. Oltre ai poteri che gli spettano sul piano interno, esiste una funzione di rappresentanza esterna della Corte, che viene svolta dal Presidente e che egli esercita in numerosi modi, tra cui quello di un conferenza stampa annuale, con cui viene fatto il punto sugli sviluppi della giurisprudenza della Corte.

Non appena eletti, i giudici della Corte Costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Allo scadere del termine dei nove anni, i giudici costituzionali cessano dalla carica e dall'esercizio delle loro funzioni. 

La composizione ordinaria della Corte muta nel caso in cui l'organo di giustizia costituzionale sia chiamato ad esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica; la composizione della Corte viene in questo caso integrata da 16 giudici non togati, estratti a sorte dalla lista predisposta dal Parlamento in seduta comune.

Come ogni altro organo costituzionale, la Corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l'autonomia e l'indipendenza.

Le garanzie disposte a favore dell'organo sono:

potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del possesso dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale;

potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità;

potere di decidere la rimozione dalla carica dei propri membri, con una maggioranza pari ad almeno i due terzi dei presenti, qualora si determinino situazioni di incapacità fisica o civile o si verifichino gravi mancanze nell'adempimento dello loro funzioni;

autonomia finanziaria, da esercitarsi nei limiti del fondo stanziato da una legge del Parlamento per il funzionamento dell'organo di giustizia costituzionale;

autonomia amministrativa, che consente alla Corte, nei limiti delle disponibilità, non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione connessa a questi rapporti di impiego;

autonomia regolamentare, attraverso la quale la Corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione, nonché dei procedimenti relativi all'esercizio delle sue funzioni;

potere di polizia interna assegnato al Presidente della Corte;

"giustizia domestica", ossia potere di decidere le controversie in materia di impiego relative ai suoi dipendenti, le quali sono dunque sottratte al giudice amministrativo.

Le garanzie assicurate ai giudici costituzionali sono:

l'inamovibilità;

l'insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell'esercizio delle proprie funzioni;

la non sottoponibilità a limitazioni della libertà personale, salva l'autorizzazione della stessa Corte;

una retribuzione.


I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della

pubblicità: le sedute della Corte sono pubbliche, salvi i casi, per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, all'ordine pubblico o alla orale, o per turbative provenienti dal pubblico all'udienza, il Presiedente non decida che quest'ultima debba avvenire a porte chiuse; sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale; 

collegialità: stabilisce che la Corte operi alla presenza di almeno undici giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.


Il controllo di legittimità costituzionale: l'oggetto

La prima e fondamentale funzione della Corte costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi

Oggetto di tale controllo non sono solo le leggi approvate dal Parlamento, ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato (decreti legislativi, decreti legge, norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, gli statuti delle Regioni di diritto comune) e delle Regioni (le leggi regionali e le leggi di Trento e Bolzano).

Non sono stati compresi, invece nella categoria degli atti sottoponibili al giudizio della Corte i regolamenti, nella convinzione che essendo questi, in quanto fonti secondarie, subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione (ma questo non vale per i regolamenti indipendenti, il cui contenuto è slegato da una normativa precedente). Non rientrano tra gli atti sottoponibili al giudizio della Corte neppure i regolamenti parlamentari e degli altri organi costituzionali.

Vi rientrano, invece, sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari per il tramite della legge di attuazione dei Trattati.

Per ciò che attiene al referendum abrogativo esistono dei dubbi che riguardano non tanto la natura dell'atto, quanto i vizi che la Corte sarebbe chiamata a sindacare, posto che la stessa Corte interviene in via preventiva, in sede di giudizio di ammissibilità. Si tratterebbe qui, allora di vizi diversi e connessi o all'eventuale violazione delle regole procedimentali che disciplinano il ricorso al referendum o alla situazione normativa che si determina a seguito dell'effetto abrogante dell'istituto, la quale potrebbe presentare dei profili di illegittimità costituzionale. Nel primo caso, tuttavia, va ricordato che l'Ufficio centrale per il referendum ed il Presidente della Repubblica hanno già il compito di accertare l'avvenuto rispetto delle regole procedimentali, mentre nel secondo caso, risulta assai problematica l'individuazione puntuale dei profili di illegittimità dei quali la Corte si vedrebbe investita e, soprattutto, non è chiaro se, in questa ipotesi, ad essere sottoposto alla Corte dovrebbe essere l'atto conclusivo del procedimento referendario o non piuttosto la disciplina normativa di quella determinata materia, così come risultata amputata dall'effetto abrogante del referendum stesso.

Per ciò che attiene alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali , il problema nasce dal fatto che si ritiene che esse dono dotate di una particolare forza di resistenza passiva, nel senso che si ritiene che esse non possano essere abrogate da un'altra legge successiva, proprio per la connessione che le lega al trattato internazionali, i cui effetti nell'ordinamento interno potrebbero esser fatti cessare, in tutto o in parte, solo attraverso un'azione internazionale dello Stato diretta alla denuncia del trattato stesso. Di qui l'interrogativo circa la loro sottoponibilità o meno al controllo di legittimità della Corte, che potrebbe provocarne la caducazione totale o parziale, qualora il contenuto del trattato, cui la legge dà esecuzione, risultasse in contrasto con la Costituzione.

Sempre in ordine all'oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte o anche sulle norme che, in via interpretativa, se ne possono desumere. Oggi nessuno mette in discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni, quanto le norme da esse comunque desumibili.


I vizi sindacabili e le norme parametro

Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è innanzitutto un controllo formale: la Corte può cioè sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all'approvazione e all'entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge.

Ma il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne al conformità o meno rispetto alla Costituzione. 

Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili della Corte sono di tre ordini:

violazione della Costituzione, individua il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale;

incompetenza, riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe spettato adottarli

eccesso di potere legislativo: in relazione agli atti amministrativi, indica l'adozione di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione alla legge, indica l'adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa è vincolata. Qui, si tratta di trovare volta per volta, quale si il limite costituzionale alla discrezionalità del legislatore che la Corte è tenuta a far rispettare in sede di sindacato sull'eccesso di potere legislativo: problema di non facile soluzione e che spesso ha dato adito a decisioni fortemente contestate dell'organo di giustizia costituzionale. La stessa Corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni criteri guida per orientare il suo sindacato su questo possibile vizio della legge: in concreto, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge rispetto ai suoi presupposti, l'incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al raggiungimento delle finalità e le ragionevolezza del contenuto della legge, sempre misurata alla luce delle sue finalità.


I parametri di controllo di costituzionalità della legge sono le norme espressamente prevista dalla Costituzione e i principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale. Vengono utilizzate come parametro anche le norme "interposte", cioè quelle norme che si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano una specifica attuazione e la norma di legge impugnata davanti alla Corte:

leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto disposto dall'art. 76 Cost., tutta una serie di limiti cui il Governo deve attenersi nell'adottare i conseguenti decreti delegati: ove quest'ultimi non rispettino le indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti alla Corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa;

norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del principio affermato dall'art. 10, il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività di tali norme nell'ambito dell'ordinamento interno, con conseguente obbligo di rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale;

"legge cornice", quelle destinate, secondo l'art. 117 Cost. a dettare i principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle Regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in questa ipotesi, dunque, l'eventuale violazione da parte della legge regionale dei principi fondamentali contenuti nella legge cornice è soggetta al sindacato della Corte, in quanto violazione indiretta dell'art. 117 Cost.

norme comunitarie, il cui ingresso nell'ordinamento interno come norme direttamente applicabili, e quindi, non modificabili dal legislatore nazionale, è garantita dall'art. 11 Cost., sì che la loro eventuale violazione si tradurrebbe in una violazione indiretta della citata norma costituzionale.


L'accesso alla Corte in via incidentale e principale

Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione, sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare.

Per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell'organo di giustizia costituzionale bisogna fare riferimento alla legge cost. 1/1948. Tali regole danno vita a distinti procedimenti:

  1. un procedimento in via incidentale. Nasce da una iniziativa di un giudice comune, la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere: nel corso del giudizio può avvenire, infatti, che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per decidere quel processo, presenti dubbi di legittimità costituzionale. In questo caso egli sospende il processo e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla Corte costituzionale (ordinanza motivata di rinvio: atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti alla Corte Costituzionale, che deve contenere: l'indicazione della disposizione in considerazione; l'indicazioni delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi cha hanno indotto il giudice a ritenere la questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte rilevante ai fini della decisione del processo, giudizio di rilevanza; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità non sia manifestamente infondata, ossia ritenere che esistano davvero i dubbi circa la conformità a Costituzione di quella disposizione, giudizio di non manifestata infondatezza). Si tratta, dunque, di un procedimento che coinvolge anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi, con un ruolo non decisionale, ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni che possono nascere in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche controversie.
  2. un procedimento in via principale (o diretta). L'unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, rispettivamente, o una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione, e, più in particolare, in contrasto con i criteri costituzionalmente fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte.

L'impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale è una questione che può essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione dell'avvenuta riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, in sede di riesame del testo già approvato, ma rinviato dal Governo alla Regione, nel corso della prima fase di controllo. I motivi che possono determinare questa situazione sono  legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Questa è una forma di controllo di legittimità di tipo preventivi: esso precede, cioè, la promulgazione e l'entrata in vigore della legge regionale.

Oltre che dallo Stato una legge regionale può essere impugnata da un'altra Regione, la quale ritenga tale legge invasiva della propria competenza costituzionale garantita; l'impugnazione va promossa, previa deliberazione della Giunta, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e dà luogo, pertanto ad un controllo successivo.

Sul versante regionale, legittimato a promuovere l'impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un'apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge. L'impugnazione da parte delle Regioni di una legge statale si basa sull'invasione della propria sfera di competenza costituzionalmente garantita.


L'esame della questione da parte della Corte

Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la Costituzione per la costituzione delle parti e indipendentemente dal fatto che tale costituzione sia o meno avvenuta, ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte.

L'esame della questione deve attenersi trattamento ai termini ei quali essa è stata posta dall'ordinanza di rinvio.

Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione del processo "a quo". Il giudizio di rilevanza, come si è visto, è riservato al giudice comune, sì che l'intervento della Corte deve limitarsi ad accertare l'esistenza di una motivazione. In caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla Corte, essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà gli atti al giudice "a quo" (ordinanza di inammissibilità). Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice "a quo", nel caso on cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestatamene infondata (ordinanza di manifesta infondatezza): siamo anche in questo caso, di fronte ad una valutazione preliminare.

Nell'ipotesi opposta, viceversa, la Corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità costituzionale espressi nell'ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestatamene infondati, siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata.La decisione della questione avviene in Camera di Consiglio, ma può essere preceduta da un'udienza pubblica.

La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza.

Le modalità di conclusione del processo costituzionale:

a)  in via incidentale

Le sentenze della Corte si compongono di tre parti:

in fatto, vengono riassunti i termini della questione, ed esposte le posizioni espresse nalla parti che si eventualmente costituite

in diritto, la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione prposta, sia in ordine alla sua fondatezza o meno

dispositivo, la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione

e possono essere:

sentenze di accoglimento, che recano nel dispositivo la dichiarazione di incostituzionalità della norme impugnate. Producono l'annullamento delle norme dichiarate incostituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti "erga omnes". La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici successivi alla sentenza di accoglimento che non siano giuridicamente esauriti, (tale retroattività incontra tuttavia un limite, dunque, nei cosiddetti rapporti giuridici esauriti). Un altro limite "mobile" alla retroattività delle sentenze di accoglimento è venuto affermandosi in una recente giurisprudenza della Corte, là dove essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Come per gli effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la Corte ha messo a punto una serie di meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze connesse all'accertamento dell'incostituzionalità della legge impugnata. Si pensi alle sentenze di rigetto precario o di incostituzionalità provvisoria, con le quali la Corte accerta l'incostituzionalità della legge, ma, in virtù della transitorietà della disciplina normativa sottoposta a giudizio, rinvia ad un momento successivo la declaratoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi, ancora, alle cosiddette, sentenze di incostituzionalità differita, che sono invece delle sentenze di accoglimento, con le quali la Corte dichiara l'incostituzionalità della legge, me, contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un "dies a quo", futuro, che, in certi casi, viene lasciato indeterminato, in latri viene puntualmente determinato dalla stessa Corte. 

sentenze di rigetto, che recano nel dispositivo la dichiarazione dell'infondatezza dei dubbi di costituzionalità espressi nell'ordinanza di rinvio. Gli effetti si riverberano essenzialmente nei confronti del processo "a quo": il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondatezza. Ed ovviamente le stesse norme potranno continuare ad essere applicare da latri giudici comuni, nonché dagli organi amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude che la stessa possa essere riproposta alla Corte, accompagnata da diverse motivazioni e, che possa andare incontro ad un esito diverso.

Entrambe vengono depositate presso la cancelleria della stessa Corte, e il dispositivo delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Sentenze di accoglimento e di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte Costituzionale. Quest'ultima ha, infatti, messo a punto una apparato di strumenti decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto con i soggetti istituzionali destinatati delle sue pronunce meno schematico di quello che il solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbero consentito:

introduzione delle sentenze interpretative, con esse la Corte valuta la conformità delle norme desumibili rispetto alla Costituzione, sì che su queste e non sulle disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Esistono sentenze interpretative di accoglimento con cui ad essere dichiarata incostituzionale è una certa interpretazione delle disposizione; sentenze interpretative di rigetto, che consente la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche alla sua apllicazione dell'interpretazione datane dalla Corte;

sentenze additive, ablative e sostitutive. Le sentenze di accoglimento possono essere:

additive, con cui la Corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata "nella parte in cui non prevede" un qualche cosa che invece dovrebbe prevedere; l'effetto sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto,

ablative, con cui la Corte dichiara l'incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe prevedere; l'effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale dalla Corte,lasciandone in vita la parte restante, cioè riducono l'ambito di applicazione della disposizione legislativa;

sostitutive, con cui la Corte dichiara l'incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa anziché un'alta; L'effetto sarà quello di imporre al giudice comune l'applicazione della norma individuata dalla Corte in sostituzione di quella dichiarata illegittima, cioè si giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi.

sentenze-delega e sentenze di incostituzionalità differita. Con le sentenze-delega, infatti, la Corte nel motivare la propria decisione, si preoccupa di indicare al legislatore quali dovrebbero essere, le linee generali della normativa della materia in oggetto. Con le sentenze di incostituzionalità,la Corte, nel riconoscere l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salva tuttavia, la applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato ad intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall'organo di giustizia costituzionale.

b.  la conclusione del processo in via principale

Assai più semplice, sotto il profilo dei possibili strumenti utilizzabili, risulta la conclusione del processo in via principale. Esso può portare o ad una sentenza di rigetto o ad una dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, o della legge statale impugnata.

Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l'effetto sarà quello di impedire la promulgazione e quindi l'entrata in vigore della legge regionale o provinciale, o quello di determinare l'annullamento della legge statale impugnata.

Nel caso in cui la Corte adotti, invece, una sentenza di rigetto, l'effetto sarà quello di consentire la promulgazione e l'entrata in vigore della legge regionale, o quello di consentire l'ulteriore applicazione della legge statale.

Un altro effetto delle pronunce della Corte, in sede di decisione del processo in via principale, è quello di definire implicitamente l'ambito materiale delle competenze normative tra Stato e Regioni in ordine alle singole questioni chele vengono prospettate, sempre ovviamente alla luce dei criteri generali fissati dalla Costituzione.


Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato

La seconda funzione che l'art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni e Regioni. Il conflitto di attribuzione è una controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come proprio.

Con riferimento al conflitto tra i poteri dello Stato, l'art. 137 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra "organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono" ed hanno ad oggetto " la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali". Da questo derivano alcuni problemi:

individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. Non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad adire la Corte fossero non solo gli organi che impersonano i tre tradizionali poteri dello Stato (Parlamento, Governo e giudici), ma anche gli organi che abbiamo ricompreso nella categoria degli organi costituzionali (Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale stessa). A questi la Corte ha successivamente assimilato quegli organi che, pur non appartenendo allo Stato-apparato, ma essendo esterni ad esso, sono tuttavia titolari di "funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statali in senso proprio" (in particolare la questione riguardava il comitato promotore del referendum). L'art. 134 Cost. e l'art 137 della legge 87/1953 escludono che il conflitto tra organi appartenenti allo stesso potere non può essere portato davanti alla Corte.

Nella sentenza 7/1996, la Corte ha riconosciuto la legittimazione dei singoli Ministri a sollevare il conflitto di attribuzione nell'ipotesi di contestazione di una mozione di sfiducia individuale. In questa ipotesi, infatti, è l'atto contestato, secondo la Corte, che distingue ed isola la responsabilità individuale del Ministro, sì che non gioca più l'argomento relativo alla collegialità governativa, né l'argomento della necessaria attribuzione di specifiche competenze da parte della Costituzione al soggetto ricorrente (argomento che aveva già consentito alla Corte di riconoscere la legittimazione individuale del Ministro di Grazia e Giustizia)

Con ordinanza 226/1995, la stessa Corte ha. Invece, negato la stessa legittimazione al Garante per la radiodiffusione e l'editoria, sulla base di un duplice ordine di motivazioni (la natura ordinaria e non costituzionale della fonte attributiva dei poteri al Garante e l'impossibilità di poter riferire in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato.

Interpretazione di ciò che dovesse intendersi per organi "competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono". Col tempo ha finito per prevalere un'interpretazione estensiva e non formalistica dell'inciso, sulla base della quale l'individuazione degli organi abilitati a sollevare il conflitto va fatta caso per caso, alla luce delle norme costituzionali che disciplinano le caratteristiche organizzative del potere cui essi appartengono. Così la Corte ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione a ciascuna Camera del Parlamento, alle commissioni d'inchiesta parlamentari; così la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale.

Definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva: si ritengono ammissibili non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni, ma anche quelli determinati dall'esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio all'esercizio di competenza spettanti a un altro organo.

La Corte prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato, decide con ordinanza circa l'ammissibilità del medesimo (decide, cioè, se esso può farsi rientrare nell'ambito dei conflitti presentabili davanti alla Corte). Solo successivamente procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: innanzitutto essa determina a quale dei poteri in conflitto spettino le attribuzioni in contestazione e, in secondo luogo, essa può determinare l'annullamento dell'atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze. Nel caso, invece, di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi,la pronuncia della Corte comporterà l'accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all'organo chiamato a risponderne.


Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regioni 

I conflitti di cui qui ci occupiamo nascono da interferenze dovute ad atti non legislativi: ad atti amministrativi, normativi o giurisdizionali. Vengono ritenuti ammissibili non solo i conflitti nascenti da un atto specifico di esercizio di un'altrui competenza, ma anche quelli nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con conseguenze negative in ordine al corretto esercizio di altre competenze, costituzionalmente assegnate rispettivamente allo Stato o alla Regione.


Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica

Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione.

In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni.

Quanto al procedimento, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale, diretta alla contestazione delle accuse, esso si conclude con una decisione presa in camera di consiglio. Nella votazione finale, non è ammessa l'astensione e, in caso si parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato.

La sentenza che conclude il giudizio d'accusa è soggetta alla pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale, è irrevocabile ma può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte, con ordinanza, nell'ipotesi in cui successivamente alla condanna, emergano fatti o elementi nuovi che provino l'estraneità dell'imputato ai fatti a lui addebitati. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare perle accuse.


Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo

La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.

Il giudizio che porta al giudizio di ammissibilità o inammissibilità del referendum abrogativo è l'unica ipotesi in cui la Corte decide in assenza di parti . La Corte decide in camera di Consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.








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