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Reggio Emilia Rinascimentale: Problemi - Reggio sotto l'urto degli eventi esterni

architettura



Reggio Emilia Rinascimentale: Problemi


Reggio sotto l'urto degli eventi esterni

Sin qui si è trattato della città come un'isola: un'isola murata ai cui bastoni vengono ad infrangersi le pene del mon 737b12h do contadino o la riottosità dei briganti della montagna, quasi testimoni residuali di un'altra dimensione del vivere umano. Ma Reggio è una città dello stato estense e come tale vive le vicissitudini della politica di Ferrara: siamo nell'epoca dei guai delle "guerre d'Italia"(1494-1559).

Guido Panciroli, in un suo libro, racconta il convegno in Reggio di Ercole I col genero Ludovico Sforza, il Moro: devono concordare l'appoggio al re dei francesi Carlo VIII, che scende in Italia. E tutto comincia bene; ma poi si registrano eventi d'altro segno, che prefigurano le costanti dei guai futuri. A parte i prodigi, come la fosca cometa del marzo 1494, che tutti interpretarono come segnale di calamità imminenti, si ebbero i passaggi e gli insediamenti di truppe forestiere, con gli strascichi consueti: violenze sulla popolazione, stupri, ruberie, decurtazione delle disponibilità alimentari, epidemie.



Da cui fin verso il 1560 queste realtà sgradevoli furono un accompagnamento costante alla vita della città. L'erogazione per le truppe di passaggio, ad esempio, diventò in quegli anni una voce fissa della contabilità cittadina: per non parlare poi dello strascico annesso di sofferenze umane, specie dei contadini. Guardando a distanza si può rimanere stupiti della vitalità con cui la città reagiva alle sciagure: si tenga presente che nel 1531 si vivevano ancora i postumi della grande peste del 1523 che aveva mietuto 6000 vittime solo in città.

Gli eventi descritti rimbalzavano sulla città come esiti di disegni politici tramati altrove, più remoti o più prossimi. La tendenza della chiesa ad imporsi in Emilia, già evidente nell'azione di Cesare Borgia figlio di Alessandro VI, fu consolidata da Giulio II che sfidò frontalmente gli Estensi.

Nell'agosto del 1510 Modena passa dagli Estensi alla chiesa e Giulio II adopera l'arma dell'interdetto contro Reggio, che si mantiene fedele alla dedizione del1409 e ad Alfonso I. I reggiani si consegnarono al papa solo nel luglio del 1512 e restarono sotto governo pontificio per undici anni, sino al giorno di S. Michele del 1523. Ma proprio questa fase di governo pontificio rese evidenti le difficoltà di una libertà intesa come libertà delle grandi famiglie di fare i loro giochi senza un controllo superiore.

La chiesa aveva realizzato temporaneamente il suo intento: un solo governatore (Giuliano de' Medici, prima, poi Francesco Guicciardini) reggeva, per il potere ecclesiastico, le città della via Emilia, Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Questa situazione, incrinata dal ritorno di Reggio agli Estensi nel 1523 e di Modena nel 1527, fu sanata definitivamente in senso favorevole agli Estensi dal lodo di Carlo V nel 1531.

Ma per Reggio si riaprirono difficoltà con la fondazione dello stato farnese nel 1545: contro il pericolo rappresentato dagli eredi di papa Paolo III, Ercole II d'Este decise la costruzione della nuova poderosa cerchia muraria, adatta ad una città di frontiera.: "In primo luogo per non lasciare al nemico spazio alcuno su cui attestarsi nel mese di ottobre (1551) fece abbattere tutti gli edifici e tutti gli alberi attorno alla città per una profondità di cinquecento passi. E oltre ai lunghi sobborghi, i grandiosi ospizi e parecchie dimore di privati che furono travolte nel pubblico lutto, fu diroccato anche il tempio di S. Giovanni presso porta S. Pietro.

Le mura risultarono utili all'epoca della guerra in cui Ercole II si lasciò coinvolgere da papa Paolo IV contro gli spagnoli e contro Ottavio Farnese negli anni 1557-1558; e ci fu chi sostenne che esse contribuirono a tener fuori dalla città la peste, che, accompagnando al solito la guerra, in quell'anno 1558 distrusse, pare, un terzo della popolazione della campagna reggiana.








Una spia d'inquietudine o i disagi della religione

Restano da fare alcune osservazioni sul luogo che in questa città teneva la presenza ecclesiastica. In un saggio Adriano Prosperi, prendendo spunto dalla prassi consueta per la scelta di un predicatore, annotava: "queste tradizionali strutture di una religione cittadina che ha i suoi poli nel consiglio e nei conventi entrano in crisi intorno al 1540. Per Reggio uno studio sui verbali e sul carteggio del consiglio degli Anziani, mostra che le cose si svolsero tranquillamente fino agli anni che vedono sul piano più generale della storia religiosa italiana del '500 la crisi dell'evangelismo". La situazione cambiò dopo la predicazione di Bartolomeo Pergola nel 1542. Allora si registrava il "moto et fluttuazione" della comunità religiosa cittadina e si cominciava a denunciare qua e là la presenza di nuovi cristiani poco cattolici, i quali turbavano il ritmo tradizionale della religiosità cittadina.

Questa era una religiosità fortemente corporizzata, incarnata nelle molte chiese e nei molti conventi, fortemente espressiva nei rituali a forti colori delle predicazioni emotive, delle processioni pittoresche, dei conflitti sempre aperti e sempre risolti circa l'autenticità delle reliquie dei grandi santi protettori. E, come sempre, quando il sacro è sentito come molto vicino e molto personale, in questa religiosità si mescolavano devozione bruciante, mancanze di riguardo orribili e una buona dose di ritualismi magici, che coinvolgono ampiamente anche il clero secolare e regolare. Del resto, per capire l'intreccio tra questa religiosità e la vita cittadina, basterebbe riflettere sulla rilevanza che vi tengono i monasteri femminili: nel 1505 alle vicende delle suore di S. Raffaele si lega l'avvio del conflitto tra i clan familiari della Tovaglia e della Cucina: nel 1530 sono cacciati dalla città per decreto del consiglio dei Francescani, chiacchierati per via delle suore da loro assistite; e nel 1556 sono espulsi per le stesse ragioni i Domenicani.

I monasteri erano (in Reggio e nelle altre città della cattolicità, e per molto tempo a venire) strumenti per la soluzione della questione femminile; sicchè non è del tutto un caso che, proprio in un convento femminile, nascesse in Reggio l'idea di una nuova redenzione: dodici suore del monastero di S. Chiara si strinsero attorno al medico-profeta Basilio Albrisio nell'attesa di un nuovo avvento di Cristo, di una nuova incarnazione, che avrebbe avuto luogo in questa "pichol cità di Regio", dove "si sarebbero radunate le aquile".











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